Mese: Maggio 2015

La Consulta ammette a eterologa e diagnosi preimpianto coppie fertili, portatrici sane di malattie genetiche. Ora bisogna reperire i donatori 

 

Maggio ha segnato un punto di svolta fondamentale nella vicenda tormentata della Legge 40/2004. L’abolizione del divieto di accesso alla fecondazione eterologa per le coppie fertili, ma portatrici sane di una malattia genetica. La Consulta si è finalmente pronunciata per il sì alla procedura di PMA eterologa per queste coppie il 15 maggio scorso, dopo una serie di rinvii che avevano messo a dura prova le speranze delle molte coppie italiane che avevano presentato ricorso contro una norma definita incostituzionale.

È una vittoria che va ascritta alla perseveranza di queste famiglie e all’appoggio incondizionato di più associazioni che da tempo le sostengono, a iniziare dall’Associazione Luca Coscioni e dall’Avvocato Filomena Gallo, sempre in prima linea, ma senza dimenticare altri, come Amica Cicogna, Parent Project, HERA. L’abolizione del divieto apre quindi le porte alla diagnosi preimpianto dell’embrione, che minimizzerà il rischio di aborto, sia spontaneo, sia richiesto (IVG, interruzione volontaria di gravidanza) proprio per il manifestarsi di una malattia genetica non compatibile con la vita del nuovo essere umano, o comunque destinata a procurargli gravi patologie.

Commenta su “Il Quotidiano Giuridico” Antonio Vallini, professore associato di Diritto Penale delll’Università di Firenze: «La decisione della Corte Costituzionale trae senso da un lungo percorso dottrinale e giurisprudenziale (…). Se si consente, come fa nel nostro ordinamento, la Legge 194/78, il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) nel caso in cui si riscontrino gravi malattie del feto destinate ad avere ripercussioni sul benessere psico-fisico della madre, è evidentemente insensato vietare, al contempo, la selezione e diagnosi preimpianto (PGD), quand’esse possano prevenire i medesimi problemi in una fase ancor più anticipata e con minori rischi per la salute della donna».

Vallini prosegue sottolineando che «un tale divieto, infatti, non tutelerebbe il concepito (vista la possibilità, comunque, di abortire) e invece impedirebbe alla donna di ricorrere, tra più interventi funzionalmente corrispondenti, a quello meno invasivo e meno rischioso. Con violazione, dunque, degli artt. 3 e 32 della Costituzione». Tra l’altro, ribadisce Vallino, la stessa Legge 40/2004 «non delinea in alcun dove, esplicitamente, un divieto di PGD (diagnosi preimpianto)». Il ministero della Salute, dal canto suo, ha già dichiarato che darà “piena attuazione” a quanto deciso dalla Consulta, non appena saranno depositate le motivazioni della sentenza «eventualmente integrando il testo delle nuove linee-guida appena approvate dal Consiglio Superiore di Sanità».

Via libera, dunque, alla PMA con fecondazione eterologa anche alle coppie finora escluse. Nel frattempo, le Regioni aggiornano le proprie delibere in materia di PMA in generale. Laddove il Tar del Veneto ha deciso, il 9 maggio, di abolire il limite d’età a 43 anni per la donna che vuole ricorrere all’eterologa in Centri Pubblici, la Provincia di Bolzano mantiene tale vincolo di età e, con 60 coppie già pronte per sottoporsi alla procedura nel Centro pubblico di Brunico, attende la delibera conclusiva da parte della Giunta Provinciale, che dovrebbe arrivare entro giugno. La fecondazione eterologa aumenta le possibilità di successo della PMA, portandole a oltre il 50%, ma resta l’ostacolo, non da poco, del reperimento di gameti (ovociti o seme).

La Toscana li acquista all’estero. Anche il Friuli Venezia Giulia ha stabilito che, a partire da settembre, sarà possibile utilizzare gameti provenienti dall’estero, per i quali si prevede un rimborso ai donatori, ciò che la Legge 40/2004 vieta, nonostante che, per completare l’intero iter, i donatori debbano necessariamente assentarsi dal lavoro. Infatti la donazione è preceduta da colloqui e valutazioni preliminari e, per la donna, da iperstimolazione ovarica. A debita distanza di tempo si procede al prelievo degli ovociti in sedazione: una procedura decisamente più complessa rispetto a quella maschile. Inoltre, nel caso di donazione di ovociti, i limiti di età sono stringenti: dai 20 ai 35 anni (18-40 per gli uomini).

Tra l’altro, bisogna sempre ricordare che non basta un solo ovocita per procedere a un’eterologa: in genere ne occorrono circa dieci per ciascun tentativo. Ecco perché i costi relativi alla sola disponibilità di ovociti sono calcolati per ogni procedura tra i 4 e i 5mila euro (500 euro per ovocita). Occorre quindi da un lato sensibilizzare la popolazione al tema della donazione di gameti, sia maschili, sia soprattutto femminili, ma anche rendere pienamente operativo un Registro nazionale dei donatori e, contemporaneamente, proporre il tema non secondario del compenso per chi dona. Un’alternativa può intanto essere l’egg-sharing, vale a dire la compartecipazione di ovociti sovrannumerari, messi a disposizione (in modo anonimo) da donne che stanno affrontando un percorso di PMA e che perciò, essendosi sottoposte a iperstimolazione ovarica, possono decidere liberamente di far dono degli ovociti non utilizzati.

 

 

Staminali e ovociti: la ricerca trova nuove vie per migliorare il successo delle tecniche di PMA. In Italia la Legge 40/2004 si adegua ai tempi a piccoli passi

È di pochi giorni fa la notizia della svolta epocale compiuta dalla ricerca canadese: la nascita, a Toronto, del primo bambino concepito dopo la rigenerazione degli ovociti della candidata madre: un vero e proprio ringiovanimento, ottenuto grazie alle cellule staminali  estratte dagli ovociti della donna. Gli ovociti sono così tornati allo stato ottimale per affrontare la fertilizzazione in vitro (FIVET) e l’ottenimento di embrioni ad alta percentuale di impianto.

Zain ha quasi un mese ed è soltanto il primo di un folto gruppo di piccoli che nasceranno nei prossimi mesi. Zain e gli altri sono la concretizzazione di un’ipotesi di lavoro formulata oltre dieci anni fa. Realizzata oggi, dopo anni di ricerca, parte dall’identificazione delle cellule staminali nel tessuto ovarico della candidata madre, procede con la loro purificazione per estrarre i mitocondri (i motori energetici di qualunque cellula) e termina con l’aggiunta di questo estratto, in corso di FIVET, agli ovociti “stanchi” e al liquido seminale del padre.

Dopo iperstimolazione ovarica, e grazie al trattamento con questo estratto di energia vitale, i coniugi Rajani hanno ottenuto con la FIVET quattro embrioni, ritenuti dai medici perfetti per l’impianto: da uno di questi è nato Zain. Quali sono gli aspetti innovativi, oltre alla messa a punto della tecnologia in sé, tutt’altro che semplice?

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Prima di tutto, il deciso aumento delle probabilità di successo della FIVET che, da Louise Brown (la prima bambina nata nel 1978 con questa metodica) a oggi, non è aumentata di molto: circa 38% per le 35-40enni (era 35-36%) e 18% (da 15-16%) per chi ha appena superato i 40 anni.

Inoltre: questa iniezione di energie freschissime non può essere mimata da nessun trattamento in vitro, tra quelli in uso finora. Significa, nelle prospettive più rosee, assicurare prole a chi finora con la FIVET (o l’ICSI l’altra tecnica che prevede l’impianto di embrioni ottenuti in vitro) aveva fallito.

Ma ci sono molti dubbi ancora da chiarire: innazitutto bisognerà provare che questa procedura mantiene le percentuali di successo avute in questi primi tentativi. In parallelo, poiché l’estrazione dei mitocondri e il loro successivo utilizzo sono agli esordi, sarà necessario confermare la sicurezza della metodica. Terzo, e non meno importante, in molti paesi (Stati Uniti in testa) questo tipo di intervento rientra nella cosiddetta “terapia genica”, oggetto di regolamentazione a se stante.

Intanto in Italia, a Pescara, l’egg-sharing (condivisione di ovociti) ha permesso a una 40enne, affetta da menopausa precoce, di usufruire della fecondazione eterologa e avviare una gravidanza. La condivisione di ovociti è l’offerta di ovuli sovrannumerari da parte di donne che si sono sottoposte a trattamenti di iperstimolazione ovarica per una procedura di PMA. Come si può intuire, l’egg-sharing implica, rispetto all’ovodonazione, un coinvolgimento emotivo maggiore da parte della donatrice, perché lei stessa sta affrontando una PMA. Se si diffondesse, la condivisione di ovociti potrebbe ovviare alla ancora scarsissima donazione di gameti femminili che caratterizza i centri italiani di PMA.

Anche in Italia, dunque, qualcosa si muove. Soprattutto sotto il profilo legislativo. Il testo originale della Legge 40/2004 è stato smontato pezzo per pezzo da tempo e, seppure a piccoli passi, altri adeguamenti stanno diventando realtà, anche a livello di singole Regioni. A inizio maggio, per esempio, il Tar del Veneto ha annullato la delibera regionale, che imponeva un limite d’età (43 anni) per la fecondazione eterologa nelle strutture pubbliche, laddove il limite per l’omologa (sempre nelle strutture pubbliche) è posta per un’età superiore, potenzialmente fertile. [/seodiv]

 

Quali sono i tempi migliori e le modalità per la crioconservazione degli spermatozoi, garantendo l’integrità del patrimonio genetico?

 

Per procedere alla crioconservazione degli spermatozoi o gameti maschili bisogna ricordare che una gran parte degli spermatozoi non sopravvive alle metodiche di congelamento e successivo scongelamento. È perciò necessario, se possibile, produrre più campioni di liquido seminale, procedendo ogni volta al recupero degli spermatozoi con normale morfologia e motilità che, successivamente, saranno sottoposti alle metodiche di crioconservazione. Una volta recuperati, i gameti vengono diluiti con sostanze crioprotettrici e sottoposti a temperature progressivamente più basse, da -5° C iniziali fino a -196° C dell’azoto liquido. Lo scongelamento prevede poi l’esposizione dei gameti, precedentemente congelati, a T ambiente per cinque minuti e poi a 37° C per dieci minuti.

In previsione di trattamenti antiblastici, o radioterapici, è necessario eseguire la crioconservazione degli spermatozoi prima dell’inizio del trattamento. In caso vengano usati farmaci che non agiscono sul ciclo cellulare, è possibile crioconservare a distanza di 3 mesi dalla sospensione. Anche per i pazienti normospermici, che sono usciti da poco da stati febbrili o che hanno appena subito una terapia antibiotica, è opportuno fare produrre il campione seminale per la crioconservazione solo dopo un periodo di wash-out.

Dott. Alessandro Giuffrida

Cosa si intende con crioconservazione dei gameti (maschili e femminili)?

 

Quando parliamo di crioconservazione dei gameti facciamo riferimento a tecniche che consentano la conservazione di cellule in condizioni di “animazione sospesa” all’esterno del corpo. La crioconservazione è una branca della criobiologia, che consente il mantenimento della vitalità cellulare per un tempo prolungato, tramite congelamento a temperatura di –196°C in azoto liquido. Il principio fondamentale è quello di interrompere i processi biochimici del metabolismo cellulare. Lo studio di tali metodiche è iniziato già negli anni ‘30 del Secolo scorso in seguito alle osservazioni di uno scienziato francese, incuriosito dalla capacità di alcuni animali di sopravvivere a basse temperature e dalle modificazioni indotte sul loro metabolismo. Lo sviluppo delle ricerche nel campo della crioconservazione dei gameti è proseguito negli ultimi cinquant’anni, parallelamente al progredire delle metodiche di procreazione medicalmente assistita, ponendo come obiettivo la possibilità, dopo esposizione a bassissime temperature, di riportare i gameti maschili e femminili (spermatozoi e ovociti) a uno stato vitale, con il ripristino delle funzioni fisiologiche. L’evoluzione in campo biologico, le nuove metodiche di congelamento, i nuovi crioprotettori consentono oggi di preservare la fertilità in svariate condizioni, con ottimi risultati in termini di possibilità di gravidanza dopo scongelamento.

Dott. Alessandro Giuffrida

I dati del Ministero della Salute parlano chiaro: in Italia, l’età media dell’accesso alla PMA è più elevata rispetto a quella degli altri Paesi europei. Per le donne si attesta attorno ai 36.5 anni, contro i 34.7 del resto d’Europa, per gli uomini ai 40 anni circa. L’età è un fattore-chiave in grado di interferire con la capacità di procreare in modo naturale, sia nella donna, sia nell’uomo. Nel sesso femminile, infatti, i 35 anni rappresentano un po’ il punto di svolta della riserva ovarica, vale a dire della quantità e della qualità degli ovociti; in quello maschile, che pure conserva la spermatogenesi (la capacità di produrre spermatozoi) fino alla tarda età, ogni anno in più riduce sia l’efficienza della spermatogenesi, sia la qualità della struttura della qualità del DNA.

Non deve quindi stupire che il “fattore età” riduca anche le percentuali di successo delle tecniche di PMA. In un quadro generale di aumento dell’infertilità di coppia, che si attesta oggi attorno al 15-20%, si sta infatti sempre più confermando che le cause dipendono, più o meno nella stessa misura, da fattori femminili e maschili. Si tratta di aspetti in continuo approfondimento da parte della ricerca, che verranno trattati anche nel prossimo Congresso della Società Italiana di Endocrinologia, che si terrà a Taormina dal 27 al 30 maggio prossimi. Sta di fatto che le probabilità di successo, in caso di tecniche di PMA, sono tanto maggiori quanto più precocemente si decide di farvi ricorso. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), dopo i 35 anni, è opportuno chiedere un approfondimento diagnostico e accedere a un trattamento se, dopo sei mesi-un anno di rapporti finalizzati al concepimento, la coppia non è ancora riuscita ad avviare una gravidanza.

Tutte le donne (e i loro compagni) che intraprendono questo percorso devono oggi essere consapevoli della sicurezza sia dell’approccio diagnostico con isteroscopia o laparoscopia, sia dell’eventuale chirurgia necessaria per risolvere eventuali ostacoli presenti in ovaio, tube e utero che, oggi, è nella maggior parte dei casi mini-invasiva sia, infine, delle terapie farmacologiche a cui si deve ricorrere per risolvere i disturbi dell’ovulazione. Nei centri PMA autorizzati dal Ministero della Salute, le tecniche scelte per ciascuna coppia sono infatti la tappa finale di un percorso multidisciplinare, che si completa grazie alla collaborazione sinergica di più figure professionali, formate in modo specifico: dal ginecologo all’endocrinologo, dall’andrologo all’urologo al biologo della riproduzione, senza dimenticare l’affiancamento fondamentale dello psicologo.

La legge 40, com’è noto, regola il ricorso alle tecniche di PMA che, se omologa (ovvero se prevede l’utilizzo di ovociti e sperma della coppia), è a carico dello Stato. Nel caso di PMA eterologa, in cui i gameti femminili (ovociti), o maschili (sperma) provengono da un donatore esterno alla coppia, la copertura della procedura non è ancora assicurata su tutto il territorio nazionale. Resta in sospeso la situazione della Regione Lombardia, che aveva deliberato l’onere totale a carico delle famiglie (da 1500 a 4000 euro), per le tecniche di PMA eterologa. Una decisione che, a metà aprile, è stata sospesa dal Consiglio di Stato, dopo il ricorso presentato da associazioni di pazienti, in quanto prefigura «disparità di trattamento tra chi deve ricorrere alla fecondazione eterologa e chi invece all’omologa».

La Regione Lombardia ha, da parte sua, dichiarato che «difenderà al Tar le sue scelte, fondate su motivazioni di ordine legislativo e non certo ideologico, in attesa delle necessarie determinazioni dello Stato. Se invece nelle prossime settimane verrà approvato il decreto di integrazione nei Lea (Livelli essenziali di assistenza) anche della fecondazione eterologa, Regione Lombardia farà la sua parte».