Mese: Dicembre 2015

Per procedere con la fecondazione assistita la coppia  deve sottoporsi a una serie di test diagnostici

La coppia che ha le caratteristiche necessarie per accedere alla fecondazione assistita deve sottoporsi a una serie di esami prima di procedere. Per prima cosa si raccoglie la storia clinica individuale di entrambi i partner per verificare se in passato siano stati effettuati trattamenti che possano aver compromesso la fertilità (terapie antitumorali, alcol e fumo in quantità eccessive, stress, esposizione a sostanze tossiche). Si prendono poi informazioni sulla vita sessuale e su eventuali tecniche di fecondazione assistita già sperimentate.

I controlli necessari per la fecondazione assistita

Si inizia con gli esami di base e, per la donna, si eseguono controlli ormonali e test per valutare la riserva ovarica. Si testano l’ormone antimulleriano (Antimullerian Hormone, AMH) e l’inibina b per verificare i livelli di ormoni sessuali contenuti nel sangue e la scorta di ovociti. Si acquisiscono così informazioni sull’eventuale regolarità dell’ovulazione e sull’età biologica dell’ovaio.

L’uomo, invece, esegue lo spermiogramma (analizza la qualità degli spermatozoi: forma, numero e motilità) e la spermiocultura (esame colturale che evidenzia eventuali batteri o microrganismi patogeni contenuti nel liquido seminale).

Se queste indagini non bastano a determinare le cause di infertilità, si procede  con test più specifici. Al termine dell’iter diagnostico si pratica la tecnica di fecondazione assistita più idonea alla coppia.

 

Dalla più semplice e meno invasiva alla più sofisticata, le tecniche di fecondazione assistita regalano maternità anche tardive

I progressi della scienza in questi ultimi anni in campo di fecondazione assistita ridanno speranza a quelle coppie che, nonostante ripetuti tentativi di procreare naturalmente, non riescono ad avviare una gravidanza. La fecondazione assistita è però praticabile solo se le tube sono chiuse o se il numero e la motilità degli spermatozoi è molto ridotta e, comunque in presenza di requisiti specifici.

A ogni modo, per aumentare le probabilità di restare incinta, è consigliabile favorire al massimo la capacità fecondante degli spermatozoi e cercare di ricreare una situazione simile a quella naturale.  Per questo si inizia sempre con tecniche di fecondazione assistita poco invasive.

Le due opzioni di fecondazione assistita

Le tecniche di fecondazione assistita hanno vari gradi d’invasività e vanno proposte considerando il quadro clinico della coppia e il principio di gradualità.

  • Tecniche di I° livello

Fecondazione assistita di I° livello (“in vivo”): avviene all’interno del corpo della donna. Ne fa parte l’ovulazione indotta per rapporti mirati e l’inseminazione intrauterina. Più usata dalle coppie giovani.

  • Tecniche di II° livello

Fecondazione assistita di II° livello (in vitro): l’“incontro” tra spermatozoi e ovociti avviene in laboratorio. Dopo la stimolazione ovarica sono previsti due day hospital: nel primo si prelevano gli ovociti, nel secondo si trasferiscono in utero gli embrioni.

La fecondazione degli ovociti può avvenire in due modi:

  1. FIVET: si mettono insieme su una piastra con terreno di coltura adatto ovociti e spermatozoi. Si attende che gli spermatozoi penetrino naturalmente l’ovocita.
  2. ICSI: microiniezione di un singolo spermatozoo direttamente nella cellula uovo.

 

Boom di fecondazione assistita in Italia negli ultimi anni. Luci e ombre delle maternità tardive

È un dato di fatto: oggi, nel nostro Paese, si diventa mamme sempre più tardi, spesso alla soglia, se non oltre, i 40 anni. Le ragioni sono molte: il ritardo nell’ingresso del mondo del lavoro, una condizione economica precaria o la mancanza del partner giusto. Pur trattandosi di motivazioni reali e dunque più che valide, soprattutto se pensiamo che in media la quarantenne di oggi è molto più in forma e attiva di quanto non lo fosse una volta, occorre fare i conti con la “dura legge” della fertilità, perché la biologia ovarica non perdona: i nostri ovociti invecchiano indipendentemente dal nostro aspetto esteriore. Nello specifico le cellule riproduttive, gli ovociti appunto, diminuiscono di qualità dopo i 30 anni, per subire poi un vero e proprio crollo dopo i 35-38 anni. Senza entrare troppo nel merito delle implicazioni derivanti dalla scarsa qualità delle cellule uovo, è sufficiente dire che, quando una donna decide di avere un figlio intorno o dopo gli “Anta”, il rischio di dover ricorrere a tecniche di fecondazione assistita è molto alto.

Fecondazione assistita in crescita esponenziale: qualche dato

Quando si parla di fecondazione assistita in Italia si resta abbastanza impressionati nel leggere i dati recenti, che descrivono un aumento nel ricorso a tali tecniche pari a circa il 62%. La buona notizia è l’innalzamento dei tassi di successo di fecondazione assistita a fronte di una diminuzione di parti plurimi (dal 24,3% al 22,3%) e di esiti negativi (dal 26,4% al 24%), cioè di aborti spontanei, morti intrauterine e gravidanze ectopiche (l’impianto dell’embrione avviene in una sede diversa dall’utero). In pratica, secondo i dati del Registro nazionale di Procreazione medicalmente assistita, sono 50mila i bambini nati grazie alle tecniche di fecondazione assistita e parliamo di numeri positivi anche per i bimbi nati vivi: dall’inizio del monitoraggio, ovvero nel 2005, erano soltanto 4.940, dall’ultima rilevazione si è saliti a 12.506.

Condizioni di accesso alla PMA (Procreazione medicalmente assistita)

Facciamo un passo indietro. Che cosa si intende per Pma?  Questa definizione raggruppa tutti quei trattamenti in cui le le cellule riproduttive sia femminili (ovociti) sia maschili (spermatozoi) vengono manipolate per   dare avvio al processo riproduttivo. Sono moltissime le coppie che, proprio a causa dell’età matura della donna, dopo aver provato per più di un anno ad avere un figlio naturalmente senza riuscirci, decidono di affidarsi a tali tecniche. È però importante far capire alle donne che non tutte sono le candidate ideali per praticare la fecondazione assistita; i fattori da valutare sono molti e variabili da una donna all’altra e tali da non consentirvi sempre l’accesso.

Vediamo, allora, i requisiti necessari per accedere alla fecondazione assistita:

  • indicazione fornita dal medico di base di mancato concepimento dopo 12-24 mesi di rapporti mirati;
  • problemi di infertilità certificati di uno o entrambi i partner;
  • infertilità inspiegata;
  • età della donna non superiore a 42-43 anni (anche se in alcune regioni non esistono limiti di età);
  • fallimento di una o più delle precedenti tecniche di procreazione assistita.

Rispettate tali condizioni si può accedere alla fecondazione assistita in uno dei vari centri di PMA autorizzati.

Il ringiovanimento degli ovociti è alla prova, privatamente, anche in Italia, per ottimizzare le tecniche di PMA omologa

È alla prova in Italia, dopo i successi spagnoli, il cosiddetto ringiovanimento degli ovociti, anche se per ora viene proposto solo nel privato. Lo scorso maggio, a Toronto (Canada) era nato il primo bambino concepito grazie a questa tecnica d’avanguardia, una vera sferzata di nuova energia, resa possibile dalla microiniezione di mitocondri (estratti dalle staminali ovariche della madre stessa), effettuata contemporaneamente a una tecnica di PMA omologa.

Ma il ringiovanimento degli ovociti non è la sola tecnica d’avanguardia per realizzare il desiderio di maternità di donne che, per età (dai 35 anni in poi), o per decadimento della qualità o della quantità di ovociti, non riescono ad avviare una gravidanza. Le cause più frequenti: una menopausa precoce, naturale o successiva a terapie, o un’inadeguata risposta all’iperstimolazione ovarica con gonadotropine, preparazione necessaria per affrontare una PMA omologa.

Oltre al ringiovanimento degli ovociti sono due gli ulteriori approcci alla prova, che mirano proprio a incrementare la risposta ovarica alle gonadotropine, vale a dire le probabilità che una delle tecniche di PMA omologa possano avere successo. Il primo approccio sfrutta il trapianto di cellule staminali (Scot), il secondo invece si basa sulla frammentazione ovarica che “risveglia” gli ovociti “dormienti” grazie a una vera a propria attivazione dei follicoli (Offa).

Dopo una Scot o una Offa, viene accertato che la risposta ovarica sia davvero incrementata. Il passo successivo prevede l’intervento del biologo, per decidere se ci si può affidare a una tecnica PMA omologa di primo livello , o di secondo livello, così da ottenere la tanto sospirata gravidanza.

Il trapianto di utero, completato dopo un anno dalla PMA, è stato messo a punto in Svezia ed è ora allo studio a Cleveland (Stati Uniti)

Trapianto di utero e Procreazione Medicalmente Assistita (PMA)

I primi cinque casi di trapianto di utero conclusi con una gravidanza sono europei. È infatti in Svezia, a Goeteburg, che sono stati già effettuati nove trapianti di utero, da donatrice vivente: quattro delle riceventi hanno potuto così diventare madri grazie alla successiva tecnica PMA, mentre una quinta nascita è attesa per gennaio. Soltanto due trapianti di utero hanno fallito, ma la tecnica, decisamente d’avanguardia, ha conquistato il team statunitense della Cleveland Clinic a Cleveland (Ohio, Usa).

Un articolo recente e molto dettagliato, pubblicato sul New York Times spiega come si è sviluppata la ricerca sul trapianto di utero, che sta aprendo un nuovo e futuribile capitolo della medicina della riproduzione. Chiamate a collaborare qui sono competenze ancor più ampie e specialistiche, che includono, alla fine del lungo percorso, le tecniche attuali di PMA.

Partiamo dall’inizio: le principali candidate a un trapianto di utero sono prima di tutto le donne che nascono prive dell’organo. Si tratta di una sindrome rara (la Mayer-Rokitansky-Küster-Hauser), presente in una neonata ogni 4.500. Ci sono poi le donne che hanno dovuto subire l’asportazione dell’utero, per malattia o trauma.

I problemi da superare sono intuitivamente molti. Prima di tutto, l’intervento stesso di trapianto di utero, che è molto lungo e complesso e che, come qualunque intervento, non può dare garanzie assolute di successo. Poi la necessità di assumere farmaci anti-rigetto. Inoltre i tempi di attesa per la stabilizzazione delle condizioni della ricevente e dell’organo: almeno 12 mesi. La gravidanza può essere tentata soltanto dopo, ricorrendo comunque a una tecnica di PMA.

I clinici, sia svedesi, sia statunitensi, impegnati nella ricerca sul trapianto di utero, ricordano però che sono ormai migliaia nel mondo le gravidanze affrontate da donne che devono seguire una terapia anti-rigetto, dopo trapianto di organi diversi dall’utero, come reni, fegato, cuore. Gravidanze che sono considerate particolarmente delicate, ma sulle quali c’è ormai un’esperienza consolidata.

 

Proprio qui, inoltre, sta la principale differenza tra il trapianto di utero e quello di altri organi. Infatti, dopo aver portato a termine una o al massimo due gravidanze (oltre non è ritenuto sicuro), l’utero può essere rimosso e la terapia anti-rigetto interrotta. Intanto, sono già otto le donne che, negli Stati Uniti, hanno chiesto di iniziare i test per stabilire l’idoneità al trapianto di utero e alla successiva tecnica PMA per cercare, finalmente, di diventare madri.