Mese: Giugno 2016

Dato che il varicocele può causare infertilità ed è asintomatico servono controlli sin dalla pubertà

Il varicocele può causare infertilità perché spesso asintomatico. Ecco perché va scoperto in tempo. Si tratta di un disturbo che può comparire frequentemente in età puberale senza dare sintomi precisi. A soffrirne pare siano circa 200mila adolescenti di età compresa fra gli 11 e i 17 anni, e due milioni e mezzo di adulti tra i 18 e i 65 anni.

Il varicocele può causare infertilità se non diagnosticato per tempo

Il varicocele è caratterizzato da un’anormale dilatazione delle vene spermatiche che, nella stragrande maggioranza dei casi, non dà origine a una sintomatologia specifica. Per questo è difficile fare una diagnosi tempestiva, molto importante però perché, nel tempo, il varicocele può causare infertilità e, in linea generale, è la prima causa d’infertilità non solo maschile, ma dell’intera coppia: da sola rappresenta ben il 20 per cento delle infertilità di coppia.

Ecco i motivi per cui il varicocele può causare infertilità

Pur non essendo del tutto noti, i meccanismi che provocano il danno testicolare sono:

  1. la stasi sanguigna nel testicolo che causa un ristagno di sangue povero di ossigeno e di sostanze nutritive a livello testicolare;
  2. l’aumento della temperatura nel testicolo per la congestione sanguigna.

La combinazione di queste due condizioni provoca un danno sulla spermatogenesi, ovvero sul processo che porta alla produzione di spermatozoi. Il varicocele può causare infertilità perché spesso gli spermatozoi di chi ne è affetto sono in numero ridotto e dalla scarsa motilità.

Servono campagne di sensibilizzazione per i giovani e le famiglie e controlli periodici

Motivo per cui gli esperti sottolineano l’importanza, dato il normale esordio in età puberale, d’informare i giovani e le loro famiglie con campagne di sensibilizzazione che spieghino quanto conti ricevere una diagnosi precoce.

Per rilevare la comparsa di varicocele è sufficiente una visita dall’urologo o dall’andrologo in età puberale. In questa fase della vita la malattia non è pericolosa, anche se può alterare la maturazione e la funzionalità dei testicoli. In questo senso, con lo sviluppo del ragazzo, il varicocele può causare infertilità. Per tenerlo sotto controllo basta prevedere controlli periodi con ecodoppler.

Se di grado elevato si opera: le possibilità di concepimento crescono del 70%

Nei casi più gravi, invece, cioè se il varicocele è associato a dolore e quindi di grado elevato, una buona soluzione può essere rappresentata dall’intervento chirurgico, che aumenta le possibilità di concepimento fino al 70 per cento.

Quando deve avvenire il transfer degli embrioni, in terza o in quinta/sesta giornata dalla fecondazione?

Una volta effettuata la tecnica di fecondazione in vitro più appropriata per la coppia, l’embriologo osserva meticolosamente lo sviluppo degli embrioni che ne derivano. La valutazione della qualità degli embrioni ottenuti viene eseguita quotidianamente così da selezionare il o gli embrioni migliori da trasferire nella cavità uterina della donna. Ad oggi, il transfer viene eseguito per lo più in terza (D3) o in quinta/sesta giornata (D5/D6) dal prelievo ovocitario. In D3 l’embrione ottimale è allo stadio di 6/8 cellule, in D5/D6 si trova ad uno stadio di sviluppo più avanzato, detto blastocisti. Se per una coppia si hanno molti embrioni a disposizione, la coltura in vitro prolungata a blastocisti ha il vantaggio di selezionare in laboratorio gli embrioni più “forti” che riescono a raggiungere tale stadio di maturazione (non tutti gli embrioni ne sono capaci) e quindi trasferirli in utero ed eventualmente congelare i sovrannumerari.

Fisiologicamente, in quinta/sesta giornata l’embrione ha già percorso la tuba dove è avvenuto l’incontro tra spermatozoo e ovulo, e si trova allo stadio di blastocisti all’interno della cavità uterina, dove avverrà l’annidamento. È dunque ragionevole pensare che il risultato migliore, in seguito ad un ciclo di fecondazione assistita, si ottenga in seguito al transfer effettuato in D5/D6, in quanto si cerca di mimare ciò che avviene in natura. In realtà vi sono delle situazioni in cui è preferibile il transfer in D3 e dei casi in cui è preferibile il transfer in D5/D6.

Il transfer in D3 viene privilegiato nel caso in cui la paziente sia giovane (<35 anni) ed al primo ciclo di fecondazione assistita, in quanto la coltura in vitro fino alla quinta/sesta giornata potrebbe non portare allo sviluppo di blastocisti e ciò comporterebbe un annullamento del transfer, con conseguente insoddisfazione della coppia. Risulta inoltre più favorevole il transfer in D3 nel caso in cui vi siano pochi embrioni disponibili per la coppia, percui risulterebbe inutile la selezione a blastocisti.

D’altro canto, il transfer in D5/D6 viene preferito per migliorare la selezione degli embrioni da trasferire alle coppie che hanno vissuto ripetuti fallimenti di cicli di fecondazione in vitro, gravidanze biochimiche o aborti in seguito a IVF, e per le coppie per cui sono disponibili molti embrioni di ottima qualità in D3 percui risulta difficile, se non impossibile, scegliere solo dal punto di vista osservazionale il o gli embrioni migliori da trasferire. Il transfer in D5/D6 è preferibile anche per le donne che hanno ricorso all’ovodonazione in quanto gli embrioni derivano da ovociti di donne giovani e quindi con buone probabilità di dare gravidanza. Consente inoltre di trasferire un unico embrione evitando così il rischio di gravidanze plurime. Infine, quando una coppia decide di sottoporre i suoi embrioni alla diagnosi genetica preimpianto (PGD/PGS), ciascun embrione viene privato di 1 o 2 cellule in D3 per l’indagine genetica. I risultati genetici si ottengono dopo circa 48 ore, quindi si attende lo sviluppo in vitro a blastocisti, e si trasferiscono solamente quelle geneticamente “sane”.

Dott.ssa Stefania Luppi

Quali sono i vantaggi della maturazione in vitro degli ovociti e a chi e’ rivolta?

La maturazione in vitro degli ovociti è una tecnica di (PMA) di secondo livello, cioè un metodo ad alta tecnologia per la terapia dell’infertilità.

In natura ogni mese in media un solo follicolo arriva a maturazione e scoppia durante l’ovulazione per liberare l’ovocita nella tuba e permettergli di essere fecondato. In un ciclo di fecondazione in vitro invece si cerca di ottenere il maggior numero possibile di ovociti maturi per selezionare quelli con le caratteristiche migliori per l’inseminazione. Per ottenere questo, la donna deve essere sottoposta ad una stimolazione ormonale adeguata.

Vi sono dei casi in cui la stimolazione ormonale non è possibile, allora si può ricorrere alla maturazione in vitro degli ovociti (IVM), con successiva ICSI degli ovociti maturati. Tale tecnica minimizza il rischio di incorrere in iperstimolazione ovarica OHSS ed è inoltre rivolta alle donne che soffrono di sindrome dell’ovaio micropolicistico (PCOS).

La maturazione in vitro degli ovociti è inoltre una tecnica consigliata alle donne che devono preservare la loro fertilità, prima di sottoporsi ad un trattamento oncologico farmacologico, o chirurgico di asportazione di ovaie. La procedura consiste nel sottoporre la donna a dosi di farmaci minime o nulle e ad un paio di ecografie a 8-9 giorni dall’inizio delle mestruazioni così da valutare il momento adatto al prelievo degli ovociti immaturi. Tali ovociti vengono poi fatti maturare in vitro, all’interno di un terreno specifico addizionato di specifici ormoni, lasciati in incubatori appositi per circa 30 ore. Una volta ottenuti gli ovociti maturi essi vengono utilizzati per la iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo (ICSI).

Sebbene i tassi di gravidanza in seguito maturazione in vitro degli ovociti siano leggermente inferiori a quelli della fecondazione in vitro classica, gli esperti stanno trovando delle soluzioni promettenti andando a migliorare i protocolli clinici e le condizioni di coltura degli ovociti immaturi.

Dott.ssa Stefania Luppi

Resto incinta, che fare degli embrioni sovrannumerari?

 

La coppia che ricorre alle tecniche di fecondazione assistita firma inizialmente un consenso informato in cui decide se vuole ottenere in quel ciclo un numero di embrioni tale da non averne in esubero in seguito al transfer in utero, oppure se vuole venga prodotto un numero maggiore di embrioni in modo da aumentare le probabilità di successo potendo selezionare gli embrioni migliori. Nel secondo caso è chiaro che il biologo insemina un numero di ovociti elevato che genererà degli embrioni in eccesso rispetto a quelli destinati al transfer, gli embrioni sovrannumerari possono essere congelati e utilizzati in cicli successivi per ottenere un’ulteriore gravidanza o perché il primo tentativo è fallito. Gli embrioni in esubero vengono crioconservati e mantenuti in banche di azoto liquido a -196°C. Il transfer da embrioni scongelati risulta molto semplice e per niente invasivo in quanto la donna non viene sottoposta ad alcuna stimolazione ovarica ne ad alcun intervento chirurgico. Tuttavia accade spesso, che, se la coppia ha già ottenuto una o più gravidanze e non desidera averne altre, pur avendo altri embrioni crioconservati a disposizione, decida di non volerli più. Secondo la legge 40 non si può obbligare una donna a trasferire in utero i suoi embrioni congelati, quindi restano abbandonati ad un destino molto incerto. Ciò ha portato ad avere in Italia ad oggi migliaia di embrioni abbandonati. Per poter lasciare degli embrioni congelati in stato di abbandono, i genitori biologici devono produrre un documento scritto di rinuncia e non risultano più contattabili dalla clinica.

In Italia, a differenza di molti altri stati europei vi è un vuoto legislativo riguardo alle sorti di tali embrioni, quello che è certo è che essi non possono venire utilizzati né a scopo di ricerche scientifiche né possono venire donati a coppie infertili. Affinchè l’embriodonazione possa essere praticata in Italia, gli embrioni dovrebbero essere dichiarati “adottabili” e la legislazione in tal senso non esiste ancora.

Dott.ssa Stefania Luppi

Gli esperti confermano che slip e jeans attillati rappresentano una vera e propria minaccia per la fertilità maschile

Una “nuova” minaccia per la fertilità maschile è rappresentata dall’indossare indumenti troppo attillati. Gli esperti di fertilità dell’Univesità di Sheffield (GB), dopo aver effettuto test su un totale di 2.500 uomini, hanno segnalato la pratica di mettere abiti attillati come una vera e propria minaccia per la fertilità maschile, ancor più dell’abitudine al fumo e l’assunzione di alcool.

La questione è stata dibattuta dal professor Allan Pacey dell’Università britannica in occasione del Festival della scienza di Cheltenham.

Gli indumenti attillati abbassano la fertilità di ben due volte e mezzo

L’esperto ha riferito di quanto gli abiti attillati siano una minaccia per la fertilità maschile in termini numerici: lo sperma risulterebbe meno fertile di ben due volte e mezzo. Questo dato va a sommarsi a una fertilità femminile sempre più a rischio a causa dell’innalzamento dell’età in cui si decide di provare ad avere un figlio. Il medico ha ricordato, infatti, che dal 1970 non solo l’età della donna ma anche quella dell’uomo è sempre cresciuta e a oggi, nel Regno Unito, si attesta intorno ai 32 anni di età.

Il troppo calore che si sviluppa nella zona genitale è una minaccia per la fertilità maschile

Inoltre, per quanto possa risultare curioso, il ginecologo Gillian Lockwood, intervenuto alla manifestazione, ha fatto un paragone con l’uomo preistorico: “nella preistoria gli uomini andavano in giro attraverso la savana solo con un po’ di pelle d’orso legata intorno alle loro parti intime”, a voler significare quanto possa essere nocivo oggi indossare boxer o jeans attillati.

La minaccia per la fertilità maschile di slip e jeans o pantaloni attillati è dovuta al fatto che in questo modo si innalza sensibilmente il calore nella zona genitale peggiorando, quindi, la qualità dello sperma.

Cos’è la IMSI?

Per metodica ICSI si intende iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo, mentre per metodica IMSI si intende iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo morfologicamente selezionato. La differenza principale tra le due metodiche consiste nell’ingrandimento a cui vengono selezionati gli spermatozoi al microscopio prima della fecondazione in vitro. La ICSI si basa su una valutazione morfologica da parte del biologo che, per mezzo di un ingrandimento di 200-400 volte, può scegliere con cura gli spermatozoi da utilizzare; la IMSI invece prevede l’utilizzo di un microscopio che permette di osservare gli spermatozoi ad un ingrandimento circa 15 volte superiore a quello della classica ICSI, fino a raggiungere un ingrandimento dello spermatozoo di circa 6000 volte. Tale ingrandimento permette di analizzare in tempo reale la struttura interna degli spermatozoi e quindi di non selezionare per l’iniezione intracitoplasmatica quelli con anomalie che potrebbero compromettere la buona riuscita del trattamento di fecondazione assistita.

Quali sono i principali vantaggi della IMSI

Il vantaggio principale della tecnica di IMSI è che durante l’osservazione vengono mantenute la vitalità e l’integrità degli spermatozoi, così che una volta selezionati, possono essere utilizzati per inseminare gli ovociti. Si è notato un miglioramento dei risultati soprattutto nei pazienti in cui si ha un alto indice di frammentazione del DNA, in quanto l’alterazione di tale parametro è nella maggior parte dei casi associato ad anomalie nella struttura degli spermatozoi, che a sua volta influenza negativamente il corretto sviluppo dell’embrione.

A chi è consigliata?

La IMSI è particolarmente consigliata per la selezione degli spermatozoi di pazienti con severe alterazioni dei parametri base del liquido seminale (concentrazione, motilità e morfologia), in casi di aborti ripetuti e di ripetuti fallimenti di cicli di fecondazione in vitro.

Dott.ssa Stefania Luppi

In cosa consiste la tecnologia del time-lapse?

Allo scopo di ottenere maggiori probabilità di successo in termini di gravidanza evolutiva in coppie che si sottopongono a tecniche di fecondazione assistita, di fondamentale importanza è il ruolo del biologo nella scelta degli embrioni da trasferire nell’utero della paziente al momento del transfer. Il sistema classico di valutazione della qualità e della funzionalità degli embrioni prevede l’osservazione degli stessi al microscopio ogni giorno ad orari prestabiliti a partire dal giorno dopo la fecondazione in vitro fino al giorno del transfer (in terza o quinta-sesta giornata dal prelievo ovocitario). Vengono valutati il numero delle cellule che compongono l’embrione (dette blastomeri), il grado di frammentazione (la quantità di frammenti che presenta l’embrione), ed altre evidenze specifiche. In base a queste caratteristiche a ciascun embrione viene assegnato un punteggio che esprime la sua qualità.  Ogni osservazione richiede la rimozione degli embrioni dall’incubatore nel quale sono mantenuti in coltura e ciò non è privo di rischi per gli embrioni stessi.

I progressi della ricerca nel campo della biologia della riproduzione hanno portato allo sviluppo di una nuova tecnologia, il time-lapse, grazie alla quale non è necessario estrarre l’embrione dall’incubatore, cosa che può avere un’influenza negativa sugli esiti della procedura. Tale tecnologia offre la possibilità di descrivere le caratteristiche morfologiche senza privare gli embrioni dalle condizioni ottimali di gas e temperatura presenti all’interno dell’incubatore.

Negli ultimi anni molti laboratori di embriologia si sono muniti dello strumento del time-lapse che funge da incubatore dove vengono mantenuti in coltura gli embrioni ed in cui sono incorporate delle microtelecamere che raccolgono immagini con frequenza molto elevata (ogni 20 minuti circa). Non vi sono rischi legati a tale tecnica, in quanto la fotocamera monitora gli embrioni sotto una luce rossa per un tempo molto breve, tale da non esporli ad una quantità di luce eccessiva. Tale tecnica detta appunto “time-lapse”, permette di ottenere dei filmati che riproducono tutte le fasi di sviluppo di ciascun embrione. Per mezzo di tali registrazioni il biologo osserva la modalità e tempi di divisione dell’embrione ed evidenzia eventuali difetti nel processo di divisione cellulare. Su queste informazioni si basa la decisione di quale sia o quali siano gli embrioni di miglior qualità da trasferire nell’utero della paziente, favorendo così una miglior selezione embrionale.

Dott.ssa Stefania Luppi

A cosa serve il poloscopio?

Un passo fondamentale nella buona riuscita delle tecniche di fecondazione assistita è la valutazione delle caratteristiche degli ovociti che vengono sottoposti a ICSI. Dalla loro qualità dipende in parte la successiva qualità degli embrioni e quindi l’esito del ciclo di procreazione medicalmente assistita.
Con il microscopio tradizionale possono venire identificati parametri morfologici come l’aspetto del citoplasma (area all’interno della quale si trova il DNA materno ed altri organelli), lo spessore della zona pellucida (pellicola protettiva che contiene il citoplasma dell’ovocita e che rimane fino all’impianto della balstocisti), lo spessore e l’aspetto dello spazio perivitellino (area sottile che separa il citoplasma dalla zona pellucida) e la morfologia del globulo polare (piccola cellula all’interno della zona pellucida prodotta durante la prima divisione meiotica dell’ovocita, contiene la metà dell’assetto cromosomico dell’ovocita). Tali parametri tuttavia non bastano per la selezione di ovociti di buona qualità da destinare alla fecondazione in vitro.
Un parametro che negli ultimi anni viene analizzato dai laboratori più specializzati è il fuso meiotico. Il fuso meiotico è una struttura presente all’interno del citoplasma dell’ovocita al centro della quale si allineano i cromosomi durante la divisione meiotica della cellula uovo, tappa fondamentale per la sua corretta maturazione. Per il completamento della meiosi e la successiva fertilizzazione è necessario che tale struttura risulti intatta, in quanto la sua integrità è di fondamentale importanza per il successivo sviluppo embrionale. Il microscopio a luce polarizzata, detto poloscopio, permette di visualizzare il fuso meiotico dell’ovocita prima di effettuare la ICSI, in modo tale da scartare gli ovociti in cui questa struttura non è visibile o appare disorganizzata. Se il fuso è invece visibile e ben organizzato, il poloscopio permette di analizzare la sua posizione all’interno del citoplasma e quindi di evitare di danneggiare le fibre del fuso durante la ICSI.
Dal momento che l’uso del poloscopio non danneggia in alcun modo la vitalità dell’ovocita, l’aspetto del fuso meiotico nella scelta degli ovociti di miglior qualità rappresenta un parametro aggiuntivo di non poca importanza per garantire la massima probabilità di ottenere una gravidanza evolutiva in coppie sottoposte alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.

Dott.ssa Stefania Luppi

Lo spermiogramma di per sé fornisce al paziente informazioni sulla quantità e sulla qualità in termini di motilità e morfologia degli spermatozoi. Tuttavia un altro aspetto qualitativo importante de tenere in considerazione in caso di infertilità maschile è l’integrità del DNA nel nucleo degli spermatozoi maturi. Negli uomini con parametri seminali fortemente alterati la percentuale di problemi al DNA come rotture o lesioni risulta intorno al 25%, percentuale maggiore rispetto a quanto si riscontra negli uomini con liquido seminale nella norma, dove tale percentuale si aggira attorno al 10%.

Numerosi studi hanno evidenziato come un’eccessiva frammentazione del DNA spermatico compromette la fertilità maschile in quanto lo spermatozoo altamente frammentato può perdere la capacità di fertilizzare l’ovocita, o se riesce a farlo origina embrioni non vitali o di cattiva qualità che difficilmente riescono ad impiantarsi e a portare ad una gravidanza. In aggiunta, se la gravidanza si instaura possono dare origine ad aborti precoci. Il test della frammentazione del DNA spermatico fornisce dunque risultati di non minore importanza rispetto allo spermiogramma, tanto che ad oggi viene effettuato nella maggior parte dei laboratori di seminologia.

Il valore soglia di danno al DNA degli spermatozoi è pari al 30%, superato il quale la fertilizzazione e lo sviluppo dell’embrione vengono compromessi. Dunque tale test diagnostico può essere d’aiuto per definire un corretto programma terapeutico in particolar modo nei casi di infertilità idiopatica (cioè senza cause note), di ripetuti fallimenti di cicli di fecondazione assistita, in caso di sviluppo embrionario anomalo e in caso di aborti ripetuti.

Il danno al DNA dello spermatozoo è causato da diversi fattori come difetti della maturazione degli spermatozoi all’interno del testicolo, processi di morte cellulare degli spermatozoi, aumento di radicali liberi dell’ossigeno nel liquido seminale; fenomeni patologici quali varicocele, alti livelli di insulina, stati infiammatori, febbri alte e infezioni da Chlamydia e Mycoplasma, esposizione a tossine ambientali e/o ad alte temperature, chemio e/o radioterapia, fumo di sigaretta ed uso di alcune droghe ed infine può essere legato all’età.

Dott.ssa Stefania Luppi