Per evitare che le pazienti abbandonino il percorso di procreazione medicalmente assistita (PMA),oltre ai fattori predittivi su cui poter intervenire, esistono i cosiddetti fattori correttivi, ovvero quelli su cui si può intervenire per far cambiare idea alle donne e, in generale, alle coppie.
Che cosa si può fare per aiutare le pazienti: quali i fattori correttivi?
I fattori correttivi intesi dalla parte delle pazienti consistono nell’andare a definire al meglio quali siano le realistiche aspettative del trattamento e, soprattutto, focalizzarsi sulle motivazioni genitoriali. Spesso in questi casi si propone un supporto psicologico di vario genere e molte coppie scelgono poi di beneficiarne.
I fattori correttivi che spettano all’équipe medica
Da parte del team medico i fattori correttivi riguardano:
• fornire ogni necessario supporto al fine di rendere il peso delle terapie il meno oneroso possibile;
• assicurarsi che le pazienti ricevano informazioni chiare e che abbiano la possibilità di mettere in luce valori, problemi, dubbi e cattive interpretazioni di tutto quanto concerne il trattamento di procreazione medicalmente assistita;
• prospettare in modo trasparente, ovvero sin dall’inizio del percorso, la possibilità di dover ricorrere a più cicli di trattamento. In questo senso andrà fornito un adeguato supporto decisionale in tutte le varie fasi del percorso diagnostico e terapeutico;
• cercare di personalizzare i trattamenti e di assicurare un riferimento medico per ogni coppia che necessiti ulteriori informazioni o supporti;
• organizzare turni di lavoro che rispettino un turnover non eccessivo;
• fornire un recapito telefonico destinato a comunicazioni urgenti;
• dopo un ciclo concluso negativamente, fornire una consultazione di tipo critico sulle motivazioni del fallimento e su eventuali aggiustamenti terapeutici;
• addestrare lo staff medico, biologico e infermieristico a migliorare le proprie capacità di comunicazione coi pazienti.
Dott.ssa Luciana De Lauretis
Inibiscono l’ovulazione e riducono il progesterone. Ecco perché tra farmaci antinfiammatori e infertilità femminile c’è un rapporto diretto
Si potrebbe definire una “relazione pericolosa” quella esistente tra farmaci antinfiammatori non steroidei (Fans) e infertilità femminile.A confermarlo uno studio condotto dall’Università di Baghdad e presentato lo scorso anno in occasione di un congresso dell’European League Against Rheumatism.
Lo studio: assegnazione ai gruppi di trattamento con Fans e valutazione dei parametri di fertilità
La ricerca ha preso in esame un campione di 39 giovani donne in età fertile affette da mal di schiena e normalmente curate con Fans, quali molecole di naprossene, diclofenac ed etoricoxib. Le donne sono state assegnate ai quattro regimi di trattamento incluso il gruppo di controllo placebo e, prima d’iniziare la terapia, sono state sottoposte a un’ecografia per valutare diametro del follicolo dominante, spessore endometriale e dimensioni dell’ovaio. Sono stati controllati anche i livelli di progesterone che, con l’assunzione di Fans, si abbassano, ma che sono fondamentali affinché avvenga l’ovulazione e l’impianto di un embrione fecondato.
L’esito: c’è una relazione diretta tra assunzione di farmaci antinfiammatori e infertilità femminile
A distanza di dieci giorni dall’inizio del trattamento è stata riscontrata una significativa riduzione del progesterone, per le donne che assumevano diclofenac l’ovulazione si è ridotta fino al 93%, del 75% per gli altri due gruppi di farmaci.
Per quanto riguarda il follicolo dominante, non è scoppiato nel 75% delle donne nel gruppo diclofenac, nel 25% nel gruppo naprossene, nel 33% nel gruppo etoricoxib e 0% nel gruppo di controllo placebo.
Conclusioni: è un processo reversibile ma serve più informazione e cautela sull’uso dei Fans
Dopo l’interruzione del trattamento, il mese successivo tutte le donne hanno regolarmente ovulato, a dimostrazione che è vero che esiste un legame tra assunzione di farmaci antinfiammatori e infertilità femminile, ma anche che – fortunatamente – si tratta di un fenomeno reversibile.
Si tratta a ogni modo di dati allarmanti che dovrebbero indurre a una riflessione seria sul tema. Come è possibile che nella stragrande maggioranza dei casi, dato i problemi che possono creare, i Fans siano farmaci da banco? Gli effetti collaterali sulla fertilità femminile non dovrebbero essere divulgati in maniera più capillare ed efficace dai medici curanti oltre che dalle stesse case farmaceutiche? È perciò necessario che si lavori in modo tale da spezzare il legame attualmente esistente tra farmaci antinfiammatori e infertilità femminile.
La comunità scientifica evidenzia il rapporto diretto tra fattori contaminanti e infertilità: i rischi maggiori
L’ infertilità è un tema sempre più attuale, al di là delle polemiche legate alla campagna del ministero della Salute in occasione del primo Fertility Day del 22 settembre prossimo. Per parlarne nel modo più esauriente possibile occorrerebbe, secondo quanto sostiene l’Associazione nazionale dei medici per l’ambiente (ISDE Italia), iniziare, per esempio, ad analizzare più nel dettaglio il legame strettissimo tra contaminanti ambientali e infertilità.
Contaminanti ambientali e infertilità: i pesticidi minano la “salute” degli spermatozoi
Esiste ormai una letteratura scientifica in merito che dimostra esserci una reale correlazione tra esposizione a contaminanti ambientali e infertilità, a cominciare dai pesticidi. In particolare, pare che l’esposizione professionale a queste sostanze determini un problema di alterazione della funzione gonadica maschile, ovvero di diminuzione della qualità degli spermatozoi sia dal punto di vista della motilità sia come numero. E non finisce qui. L’esposizione a contaminanti come i pesticidi causerebbe alterazioni nel DNA andando a influenzare negativamente il processo di spermatogenesi, ovvero tutte quelle fasi che determinano la maturazione delle cellule germinali maschili che avviene nei testicoli.
In linea generale sembra che tutte le sostanze che agiscono come interferenti endocrini, ovvero i parabeni, gli ftalati, i ritardanti di fiamma, le diossine eccetera provochino alterazioni ormonali con conseguente danno sulla fertilità.
L’inquinamento espone al rischio di nascite pretermine, basso peso alla nascita e abortività
È perciò ormai ben chiaro che contaminanti ambientali e infertilità abbiano un rapporto diretto, basti pensare solo ai danni provocati all’organismo dalla cattiva qualità dell’aria: si può cominciare elencando i problemi ischemici, circolatori, respiratori, tumorali fino ad arrivare ai danni causati al cervello e, non ultima, alla salute riproduttiva. I pericoli per la fertilità, stando ai dati di un’importante metanalisi svolta pochi anni fa, si stimano, per ogni incremento di 10µg/m3 di PM 2.5, in un aumento del 15 per cento di rischio di nascite pretermine e di un incremento del 9 per cento di rischio di basso peso alla nascita. Contaminanti come l’inquinamento atmosferico, secondo altri studi scientifici, sarebbe poi all’origine dell’abortività spontanea.
Più consapevolezza e norme più stringenti per spezzare il legame tra contaminanti ambientali e infertilità
Insomma, contaminanti ambientali e infertilità si terrebbero strette la mano, motivo per cui l’invito dei medici per l’ambiente sarebbe quello di acquisire una maggior consapevolezza dei rischi connessi all’insalubrità del normale ambiente di vita e lavorativo al fine di prevedere normative a maggior tutela della salute pubblica.
Le ragioni di abbandono in PMA, in linea generale, sono principalmente attribuibili a stress psico-fisico, a vari tipi di paure, oltre a scarsa fiducia nel centro e nello staff medico.
Va detto che le tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) forniscono elevate probabilità cumulative di gravidanza, ma a dispetto di queste buone possibilità di realizzare il proprio progetto genitoriale, molte coppie, per una propria decisione, scelgono di non seguire il trattamento in maniera continuativa, quindi per ragioni che non sono di ordine medico né relative ai costi dei trattamenti stessi. Anzi, molte volte si tratta di pazienti a buona prognosi e in grado di sostenere il peso economico delle terapie.
Inoltre è importante evidenziare questi dati:
• circa la metà delle coppie infertili non ricorre a trattamenti per l’infertilità;
• un terzo delle coppie abbandona dopo il primo fallimento FIVET/ICSI;
• il 1° ciclo è quello più favorevole sui risultati, ma più tentativi aumentano le probabilità di arrivare alla gravidanza;
• la percentuale di bambini nati da tecniche di PMA è il 22% per ogni ciclo iniziato e può raggiungere il 50% se i pazienti si sottopongono ad un numero ottimale di cicli (3);
• esiste un modello teorico secondo il quale il Centro di PMA registrerebbe circa il doppio di gravidanze se tutte le coppie senza successo fossero disposte a concludere 7 cicli di PMA.
Le principali ragioni di abbandono in PMA? Stress emotivo e fisico (Global Burden of Disease)
Ma quante sono le coppie che abbandonano? Il dato è estremamente disomogeneo. Nell’ambito della letteratura scientifica può variare dal 7 all’80 per cento. In media il numero di abbandono in PMA è compreso tra il 25 e il 60 per cento.
I momenti più critici nell’interruzione si verificano nel 50 per cento dei casi prima che inizi qualunque trattamento e 2/3 dei pazienti abbandona prima di iniziare procedure di 2° livello (FIVET/ICSI).
Le ragioni di abbandono in PMA sono principalmente: lo stress emotivo, la scarsa prognosi, il rifiuto dei trattamenti e problemi di relazione.
In termini generali, le cause dell’abbandono possono essere raggruppate in tre fattori. Vediamoli.
1. fattori legati alla coppia/individuo: si tratta di paure e timori nei riguardi delle procedure, della salute dei futuri bambini, e di aspettative spesso non realistiche;
2. fattori legati al Centro medico: accesso alle cure, tempi di attesa, organizzazione dello staff di lavoro, deficit d’informazione e difficoltà nella comunicazione, mancanza di supporti psicologici;
3. fattori legati al trattamento in sé: complessità delle terapie, numero di iniezioni, difficoltà a inserire i numerosi controlli nel proprio contesto di lavoro, logistica eccetera.
Dott.ssa Luciana De Lauretis