Lo stress può essere causa d’infertilità perché favorisce la produzione di cortisolo impedendo all’organismo di concepire
Generare aiuta l’uomo e la donna a completare il proprio processo evolutivo di cui fanno parte l’essere figlio, poi giovane-adulto, uomo, padre e infine nonno. Quando questo processo si inceppa, inevitabilmente nella persona si sviluppa stress. Il concetto di stress si inserisce in una visione moderna dell’uomo, in cui mente e corpo non sono scissi, ma integrati, e la salute, così come descritta dall’Organizzazione mondiale della sanità, è uno stato di completo benessere fisico, psicologico e sociale. Il concetto di salute, così inteso, ci fa comprendere in modo più allargato anche il concetto di malattia, intesa come un’alterazione dello stato di salute dovuta non solo e/o non sempre a una causa organica, ma solitamente a più fattori. In questa logica si capisce bene che anche lo stress può essere causa d’infertilità perché determina una condizione di mancato benessere psicofisico.
Lo stress può essere causa d’infertilità, soprattutto di quella inspiegata
A tale proposito, nelle ultime linee guida si legge che il 15% di coppie che accedono a un percorso di PMA (procreazione medicalmente assistita) riceve una diagnosi d’infertilità cosiddetta inspiegata, un’infertilità cui non si riesce ad attribuire una causa accertata, ma a cui si imputano più cause: infertilità definita idiopatica. Entrano in gioco, spesso in questi casi, i fattori psicologici.
C’è dunque un legame tra psicologia e infertilità, ma quale è la causa e quale la conseguenza?
Per rispondere al quesito dobbiamo ripartire dal modello mente-corpo e descrivere il meccanismo dello stress come un fattore da cui partono una serie di effetti-cascata che interessano sia il sistema nervoso autonomo, che reagisce allo stress con specifiche risposte emotivo-comportamentali, sia quello biologico che attiva una serie di risposte ormonali la cui conseguenza può essere riassunta con un calo della libido in entrambi i sessi, fino alla disfunzione erettile nell’uomo e con una riduzione della fertilità nella donna. Dunque lo stress può essere causa d’infertilità.
Un organismo sotto stress non ha le energie per avviare una gravidanza
Un organismo sottoposto a stress va in allarme e, per far fronte a tale situazione ansiogena e reperire tutte le risorse, ha bisogno di un risparmio energetico.La gravidanza è una faccenda troppo dispendiosa per un organismo: un individuo sotto stress difficilmente potrà permettersela. I motivi per cui lo stress può essere causa d’infertilità sono da ricercare nei tratti della personalità. Una struttura di personalità ansiosa e perfezionista, tendente al controllo, con scarsa tolleranza alla frustrazione, difficoltà a chiedere aiuto, elementi psicopatologici pregressi, come disturbi del comportamento alimentare, avrà difficoltà a concepire perché questi sono tutti elementi caratterizzati da una scarsa flessibilità e un’elevata rigidità e competitività.
Se lo stress cala è più probabile che avvenga il concepimento
Sarà capitato a molte coppie infertili, senza una precisa causa, di sentirsi dire da un familiare e/o da un amico “non ci pensate e vedrete che presto arriverà una gravidanza”. Non pensare in tali situazione è pressoché impossibile, paradossale. Soltanto quando sarà la coppia stessa, dopo vari tentativi deludenti di mettere al mondo un figlio, a decidere di abbandonare il progetto e sarà pronta a scegliere strade alternative, è probabile che a questo punto si instauri una gravidanza. Difficile spiegarlo, o meglio dimostrarlo, ma si ipotizza che in quel momento la coppia si mostri più flessibile, esca da uno schema rigido in cui esiste soltanto quell’unico obiettivo, quell’unica soluzione. La coppia si rilassa, la tensione diminuisce, l’organismo sente che non esiste più uno stato di allerta, la produzione ormonale cambia, perché viene meno la produzione di cortisolo, (l’ormone dello stress), il corpo si risveglia predisponendosi ad accogliere una gravidanza.
Dott.ssa Angela Petrozzi
L’infertilità può essere causa di depressione: mina il “progetto bambino” della coppia, isolandola
Diversi sono i vissuti psicologici che si sviluppano in seguito alla diagnosi d’infertilità o ancora peggio di sterilità. Indubbiamente l’infertilità può essere causa di depressione perché il mancato raggiungimento dello scopo “diventare genitore” nella maggior parte dei casi provoca veri e propri stati depressivi che coincidono con il fallimento e la perdita di un sogno, sentimenti di ansia, di colpa, isolamento, perdita di interessi, difficoltà di concentrazione, pensieri negativi, difficoltà del sonno e cambiamenti importanti nelle abitudini alimentari e sessuali.
Un segreto che isola socialmente e mina la coppia: l’infertilità può essere causa di depressione
Durante l’ovulazione della donna, la coppia vive l’ansia di un rapporto sessuale programmato finalizzato a procreare, all’arrivo della mestruazione arriva lo sconforto determinato dall’ennesimo fallimento. Le coppie si sentono diverse, non riescono in una cosa del tutto naturale, sviluppano sentimenti di vergogna e di colpa. Dunque l’infertilità può essere causa di depressione e diventare un segreto che li appesantisce e li isola dalle relazioni sociali. Si riscontrano tentativi di evitamento delle coppie con bambini e si osserva la preferenza per coppie simili. Spesso tali vissuti ricadono anche sull’equilibrio della coppia stessa. L’isolamento non si osserva soltanto in relazione agli “altri”, intesi quelli al di fuori della coppia, ma anche nei confronti del partner stesso, che talvolta viene tagliato “fuori”. Sempre più spesso la coppia si chiude rispetto al compagno/a, lo esclude dalle proprie visite specialistiche vissute come un peso. La coppia è messa a dura prova di resistenza. Tutto quello che la coppia ha costruito finora, sembra scomparire, non esistere più. La coppia deve rielaborare una perdita, quella di essere genitore.
L’infertilità può essere causa di depressione perché distrugge “il progetto bambino” che abita in noi da sempre
Prima ancora di nascere e di essere concepito, il bambino della coppia esiste nel loro immaginario. Durante l’infanzia, i bambini fantasticano di avere a loro volta un bambino nella pancia, il che corrisponde al desiderio di essere uguali ai loro genitori. L’infertilità può essere causa di depressione perché quando questo progetto non si realizza in età adulta è necessario elaborare un lutto come la perdita di un progetto importante, che affonda le sue radici nell’infanzia. A questo punto la coppia ha bisogno di un intervento specialistico che l’aiuti a ristrutturare la percezione di sé e di coppia.
Se la coppia sceglie la PMA occorrerà un supporto psicologico sin dall’inizio del percorso
Il fatto che l’infertilità può essere causa di depressione rende fondamentale necessità di attivare, per le coppie che accedono a un percorso PMA (procreazione medicalmente assistita), spazi di consulenza psicologica rivolti alla persona e alla coppia stessa. Questo significa garantire una consulenza alle persone prima di iniziare le singole procedure diagnostiche. Le coppie non devono soltanto essere informate, ma devono poter avere la possibilità di maturare un’accettazione consapevole della tecnica proposta.
Nasce quindi la necessità per lo psicologo di affiancare il medico fin dai primi colloqui. Poter osservare come le coppie rispondono fin da subito al carico emotivo che la PMA comporta significa, per lo psicologo, identificare precocemente le coppie più a rischio, quelle che necessitano di un maggiore e tempestivo intervento psicologico. In questo senso l’attività di consulenza non ha esclusivamente finalità terapeutica, ma anche carattere decisionale per le successive tappe da intraprendere. Lo psicologo comincerà a interessarsi alle credenze di quella coppia, cercherà di comprendere quale stile di risposta (coping) utilizza quella coppia solitamente nelle situazioni ansiogene e stressanti, cercherà di mettere in relazione i loro pensieri con le loro emozioni, tentando di anticipare come tutti questi vissuti potrebbero ricadere sulle relazioni. Lo psicologo proverà a prendere in considerazione tutti questi aspetti della persona con lo scopo principale di tenere la coppia in equilibrio, in una fase estremamente faticosa e turbolenta.
Dott.ssa Angela Petrozzi
È ormai un dato reale: Ecofoodfertility illustra gli effetti nocivi di certe sostanze sulla fertilità e invita a una rapida soluzione
L’inquinamento ambientale come causa dell’infertilità maschile. È questo uno dei temi caldi emersi a seguito della recentissima inaugurazione a Roma presso l’ospedale San Camillo di Roma di un ambulatorio dedicato proprio al tema dell’infertilità maschile. Un argomento delicato ma di grande attualità, una condizione fisica determinata anche dai cambiamenti ambientali e sociali del tempo che stiamo vivendo.
Inquinamento ambientale come causa dell’infertilità maschile e patologie genitali in adolescenza
Ne ha parlato il dottor Giuseppe La Pera in occasione del Convegno della Società italiana di andrologia (Sia) che si è tenuto – appunto – presso l’azienda ospedaliera San Camillo Forlanini in questi giorni. Nell’ambito del convegno è stato affrontato il tema dell’inquinamento ambientale come causa dell’infertilità maschile anche dovuta all’età sempre più avanzata in cui si decide di fare un figlio.
Si è discusso, inoltre, del peso che hanno alcune patologie dell’apparato genitale in età adolescenziale sulla futura vita fertile e sessuale. Un adolescente su due ha un problema genitale più o meno grave ma, nella stragrande maggioranza dei casi, non se ne fa carico, non si rivolge a specialisti e spesso cerca soluzioni fai-da-te ancor più dannose per la sua salute.
Ecofoodfertility: il progetto che analizza l’inquinamento ambientale come causa dell’infertilità maschile
Ecco allora che occorre un’attenzione maggiore sin da un’età molto giovane alla preservazione della fertilità. Su questa linea preventiva si posiziona Ecofoodfertility, un progetto di respiro internazionale che analizza sia l’alimentazione sia l’inquinamento ambientale come causa dell’infertilità maschile. I risultati di un’indagine approfondita condotta in luoghi molto inquinati, come la Terra dei Fuochi, Gela, Piombino, Taranto e Brescia, hanno fornito subito un dato preoccupante: gli spermatozoi degli abitanti di queste zone hanno una diminuita mobilità. Dunque il seme maschile, all’interno di questa indagine epidemiologica, diventa un vero e proprio sensore della qualità ambientale e quindi un indicatore precoce dello stato di salute. Secondo le ricerche svolte dagli artefici di Ecofoodfertility lo sperma danneggiato può rendere più vulnerabili i bambini che nasceranno, se non, persino, più generazioni.
Vanno ridotte subito tutte le fonti d’inquinamento che creano danni agli spermatozoi
Motivo per cui, in base ai dati dei ricercatori, è di primaria importanza ridurre in brevissimo tempo tutte le fonti di inquinamento. Sotto accusa i metalli pesanti e tutti quegli elementi che rientrano nella categoria degli interferenti endocrini, ovvero sostanze che interferiscono con i recettori per gli ormoni sessuali impedendo un corretto sviluppo degli spermatozoi.
Uno studio belga ha riscontrato una minor fertilità maschile nei nati da tecniche di PMA. Ciò lascia presupporre che “entri in campo” l’ereditarietà
Non si parla di infertilità, sia chiaro, ma di minor fertilità maschile nei figli nati con tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA). Questo, in sintesi, il risultato di un recente studio belga condotto dal Centro di Genetica medica dell’Università di Ziekenhuis e pubblicato sulla rivista Human Reproduction.
I ricercatori, paragonando coetanei nati in modo naturale ai cosiddetti “figli della provetta”, avrebbero scoperto che gli spermatozoi di questi ultimi sarebbero di qualità più scarsa e in numero inferiore.
Ciò lascerebbe dunque ipotizzare che anche la fertilità maschile sia ereditabile geneticamente. In particolare, sotto la lente d’ingrandimento ci sarebbe la tecnica d’iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo (ICSI), che prevede che un unico spermatozoo sia iniettato, mediante un ago microscopico, all’interno di un solo uovo dando luogo alla fecondazione in vitro. L’embrione ricavato verrebbe poi impiantato nell’utero.
I 54 ragazzi tra 18 e i 22 anni nati con ICSI mostravano parametri di una minor fertilità maschile
L’indagine ha riguardato un campione abbastanza piccolo: 54 ragazzi tra i 18 e i 22 anni concepiti con ICSI messi a paragone con un gruppo di controllo della stessa età nati in modo naturale. Dei 54 ben 50 avevano un padre con un fattore d’infertilità. Il gruppo ICSI aveva quasi la metà della concentrazione spermatica e circa due volte in meno di numero e motilità degli spermatozoi. Dunque, in sostanza, una minor fertilità maschile e, nello specifico, una concentrazione spermatica di tre volte più bassa di 15 milioni per millimetro di seme, il numero considerato normale dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS).
Intraprendere la fecondazione eterologa: luci e ombre di un “salvagente” delle gravidanze fino a poco fa ritenute impossibili
Intraprendere la fecondazione eterologa rappresenta una possibilità per la coppia con diagnosi di sterilità. La legge 40/2004 in materia di Procreazione medicalmente assistita (Pma) prevedeva, fino a due anni fa, l’utilizzo esclusivo di tecniche di tipo omologo (quelle cioè che utilizzano seme e ovociti della stessa coppia).
9 aprile 2014, una data storica: via libera della Consulta a intraprendere la fecondazione eterologa in Italia
Il 9 aprile 2014 la Corte Costituzionale ha dato il via libera ad intraprendere la fecondazione eterologa in Italia, attraverso una modifica (sentenza 162) delle linee guida previste in materia di Pma: quando uno dei due partner è sterile, è possibile arrivare a una gravidanza attraverso l’utilizzo di un gamete, un ovulo o uno spermatozoo, di una terza persona, cioè il donatore.
L’accesso alla fecondazione eterologa è stato inserito dalle varie regioni nei Lea (Livelli essenziali di assistenza) e prevede per la coppia il pagamento di un ticket. Il permesso legislativo di accedere alla fecondazione eterologa apre un nuovo scenario emotivo per le coppie. Se fino a qualche anno fa, per una coppia impossibilita a procreare, la legge prevedeva come unico diritto alla genitorialità l’adozione e/o l’affidamento (Legge 149/2001), questo ampliamento di orizzonti sconvolge, in un certo senso, la psicologia della coppia sterile.
I dubbi sulla difficile scelta d’intraprendere la fecondazione eterologa
A questo punto dobbiamo chiederci: quali fasi emotive precedono la scelta del percorso da intraprendere? Che differenze ci sono sul piano emotivo tra adottare un bambino oppure procreare un figlio decidendo di intraprendere la fecondazione eterologa? Quali vissuti si generano nella coppia? Come viene vissuta la scelta di intraprendere la fecondazione eterologa da una coppia con problemi oncologici? Cercherò di rispondere ai vari interrogativi, partendo dal concetto di sterilità, pur nella consapevolezza che, in Italia, esistono poche ricerche scientifiche sull’argomento “eterologa”, quindi ancora pochissimi risultati utili a orientare le risposte su un’evidenza scientifica.
Distinguiamo tra diagnosi di sterilità e d’infertilità: quali conseguenze psicologiche
La diagnosi di sterilità differisce innanzitutto profondamente da quella d’infertilità.
Una coppia infertile è una coppia che non è stata in grado di concepire dopo 12/18 mesi di rapporti sessuali intenzionalmente fecondi (2-3giorni/settimana) le cui cause sono ancora da individuare. La coppia sterile è una coppia nella quale esistono delle cause accertate che riguardano uno o entrambi i coniugi, per cui esiste una condizione fisica permanente che non rende possibile la procreazione. Esiste una diagnosi d’incapacità biologica da parte della coppia di contribuire al concepimento. In Italia sono circa il 20% le coppie che arrivano a un centro di PMA dove viene fatta una diagnosi di reale sterilità. Alla diagnosi segue un periodo turbolento per la coppia in cui si alternano solitamente tre fasi: accettare di non potere, accettare di dover chiedere aiuto e “ristrutturare” la propria identità personale e di coppia.
La dura fase di accettazione è il primo passo per chiedere aiuto e ridefinire la propria identità
La prima fase ha a che fare con l’elaborazione della perdita del progetto di genitorialità. La coppia vive la frustrazione di non essere capace di progredire nel proprio ciclo vitale. La coppia sterile perde improvvisamente la prospettiva di poter evolversi da coppia coniugale a coppia genitoriale e vede svanire un progetto che era solitamente “il progetto” della propria vita: quello di avere un figlio. Come succede quando viviamo un lutto importante, la reazione emotiva rispetto a una perdita è caratterizzata da varie fasi che passano dal senso d’incredulità alla disperazione, dalla rabbia alla rassegnazione e quindi alla consapevolezza che le cose sono immutabili ed è necessario accettarle per quello che sono. Accettare di non potere è un passo necessario per poter chiedere aiuto. La coppia ha bisogno che qualcuno la guidi nella fase di ristrutturazione della propria identità.
Riuscire a superare il vissuto di fallimento e il senso d’inferiorità rispetto all’altro (partner) o agli altri (coppie fertili), sentendosi ancora uomo o donna nonostante la propria sterilità, è fondamentale per poter rinnovare il proprio progetto iniziale verso nuove prospettive. A questo punto la coppia sterile può decidere di adottare, d’intraprendere la fecondazione eterologa oppure di rimanere soltanto coppia per sempre.
Intraprendere la fecondazione eterologa offre alla coppia l’opportunità di vivere la gravidanza
Decidersi a intraprendere la fecondazione eterologa, permette alla coppia di riparare la diagnosi di sterilità attraverso una procreazione non solo affettiva, come avviene nell’adozione, ma anche biologica.
L’eterologa permette, infatti, alla coppia di viversi l’esperienza della gravidanza, di seguire la crescita del proprio bambino fin dai primi momenti della vita prenatale, a partire dal risultato, tanto atteso del test di gravidanza, fino al suo monitoraggio attraverso le visite ecografiche. Tuttavia, il donatore o la donatrice alterano la normalità del processo di procreazione a tal punto da generare talvolta, nell’uomo e nella donna “riceventi”, sentimenti ambivalenti molto simili a quelli vissuti dalla coppia adottiva. Il sentimento di gratitudine si alterna a fantasie che percepiscono il donatore come una figura potente, giovane e fertile. Ne consegue, per il ricevente, un senso d’inferiorità e un vissuto di esclusione. L’uomo e la donna possono vivere tali emozioni in modo differente a seconda del ruolo che rivestono in tale processo.
La donna, anche quando si vive come la causa della sterilità di coppia, attraverso la scelta d’intraprendere la fecondazione eterologa ha la possibilità di superare il vissuto del fallimento procreativo, identificandosi con un corpo capace di ospitare, contenere e alimentare. La funzione materna, pur castrata della sua capacità generativa iniziale, si riinserisce immediatamente nel percorso procreativo, attraverso la funzione contenitiva e nutritiva dell’utero ospitante.
L’ovodonazione per l’uomo può essere vissuta come minaccia alla propria paternità
Nel caso dell’ovodonazione la donna può respingere così l’insidia dell’intruso. Quando è l’uomo ad avere una diagnosi di sterilità, ricorrere a un donatore può rappresentare una minaccia per la propria identità maschile all’interno della coppia. L’esclusione della sessualità genitale o l’intrusione in essa di elementi estranei tende a deresponsabilizzare l’atto creativo, evocando nell’uomo più spesso che nella donna, fantasmi di onnipotenza” (Passarelli C, 2002) e di persecuzione. Un po’ similarmente a quanto avviene per la coppia adottiva, si sviluppano fantasie sul genitore biologico che può essere vissuto come una minaccia alla propria paternità e il partner, poiché genitore biologico, può venire vissuto in vantaggio rispetto al nascituro.
In questi termini, la coppia adottiva vive un vantaggio: entrambi i partner sono estranei alla storia iniziale del bambino, per cui il vissuto di esclusione accomuna e unisce i genitori adottivi, anziché dividerli.
Nei pazienti oncologici intraprendere la fecondazione eterologa è una conquista importante
La situazione è diversa quando a intraprendere la fecondazione eterologa è una coppia con problemi oncologici. La preservazione della fertilità nei pazienti oncologici, attraverso la conservazione degli ovociti, o del liquido seminale, prima di effettuare il trattamento chemioterapico, è una conquista importante della medicina degli ultimi anni. Tuttavia non è sempre una scelta percorribile a causa delle varie difficoltà che la malattia oncologica comporta. Per esempio, sebbene nell’uomo la preservazione dei gameti, non implichi un ritardo nell’inizio del trattamento antitumorale, alcuni pazienti non hanno il tempo per eseguire raccolte plurime, limitando così i campioni di eiaculato disponibili.
Inoltre la crioconservazione riduce la qualità del liquido seminale per cui è possibile che non ci siano spermatozoi utilizzabili dopo scongelamento. Tra le tecniche di crioconservazione per la donna, l’unica che abbia dimostrato risultati riproducibili, oltre alla crioconservazione degli embrioni vietata in Italia dalla legge 40/2004, è la crioconservazione di ovociti maturi, tecnica che richiede dei tempi non sempre disponibili. Intraprendere la fecondazione eterologa, quindi tramite donatore esterno alla coppia, rappresenta, spesso, l’unica possibilità anche per le coppie con una storia di malattia oncologica.
Tuttavia, i vissuti psicologici, che si sviluppano in questi casi, presentano delle differenze rispetto a quelli che vive normalmente una coppia sterile senza una causa oncologica. Se la coppia sterile vive il sentimento della “vergogna” nel percepirsi ingiustamente diversa rispetto agli altri e sviluppando comportamenti d’isolamento rispetto al mondo degli amici e talvolta anche dei familiari, la coppia con storia oncologica si ritiene fortunata per essere riuscita a vincere la malattia e vive la mancanza del gamete, non come una vergogna legata al Sé, al senso d’identità: “sono una persona sterile”, ma come un evento fortuito, che non dipende dal Sé, ma da un evento esterno di cui si è vittima.
La coppia con storia oncologica vive il donatore come una figura salvifica
Nel 1954 Julian B. Rotter, uno psicologo statunitense, descrisse il costrutto “attribuzione causale interna/esterna” (Locus of control) per indicare la modalità con cui un individuo ritiene che gli eventi della sua vita siano prodotti da suoi comportamenti o azioni, oppure da cause esterne indipendenti dalla sua volontà. Il senso di attribuzione causale esterna alla propria sterilità protegge la coppia con storia oncologica da sentimenti di vergogna e bisogno di isolamento. La scelta d’intraprendere la fecondazione eterologa, in questi casi, viene affrontato con maggior naturalezza, quasi come una delle tante medicalizzazioni già vissute nei reparti di oncologia. Sono persone che hanno ricevuto trasfusioni di sangue e talvolta veri e propri trapianti. Il donatore, da queste coppie, viene vissuto come una risorsa indispensabile, una figura salvifica e non una minaccia alla propria identità.
La coppia può anche scegliere di rinunciare alla genitorialità valorizzando ciò che ha
La reazione emotiva della coppia alla sterilità dipende sostanzialmente dalla sua capacità di far fronte alle difficoltà. In psicologia si utilizza il termine “resilienza”, intesa come quella capacità di una persona o di un gruppo di svilupparsi positivamente, di continuare a progettare il proprio futuro, a dispetto di avvenimenti destabilizzanti. Le risposte degli individui alle malattie sono chiaramente diverse a seconda, sia delle caratteristiche di queste ultime, in relazione al tipo, alla gravità, alla durata della malattia stessa, che delle caratteristiche personali, intese come stili cognitivi, emotivi e relazionali.
È importante per la coppia poter valutare, come possibili alternative alla procreazione e all’adozione, il non avere figli, approfondendo i propri vissuti di accettazione o di rifiuto in merito alla mancata genitorialità. La coppia può decidere di rinunciare al progetto della procreazione, accettare di non avere figli, restando una coppia per sempre. Per compiere al meglio tale processo, è di grande aiuto cercare di valorizzare quello che uno ha, in termini di amicizie, relazioni, progetti e interessi, piuttosto che su quello che non si ha, riprogettando il proprio futuro attraverso nuove aspettative.
Dott.ssa Angela Petrozzi