Sono i risultati preliminari di un progetto in corso presso il Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma che sono stati resi noti in occasione del 3° Congresso Nazionale della Società Italiana di Psicotraumatologia e Gestione dello Stress tenutosi ieri.
Roma, 16 dicembre 2016 – Minori complicanze della partoriente e del bebè (ostetriche e neonatali), attenuazione dei disturbi psichici (da depressione a insonnia a disturbi comportamentali, ansietà) materni e attenuazione del disagio di coppia, significativa riduzione delle difficoltà nella relazione madre-bambino: sono questi i risultati di un intervento prenatale sulla gestante e sulla coppia, quando uno o entrambi i partner presentano dei disturbi ansioso-depressivi durante la gravidanza. L’intervento, messo in atto presso UOC di Psichiatria della Fondazione Policlinico Agostino Gemelli di Roma, prevede sia l’uso della ‘terapia della parola’ sia di integratori, sostanze naturali con effetti positivi sulla psiche, sia nei casi più gravi con farmaci ad hoc.
Presentati dal professor Lucio Rinaldi, Responsabile Aree Psicopatologia Perinatale, Infanzia, Adolescenza e DCA, Responsabile Day-Hospital di Psichiatria Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli di Roma, si tratta dei risultati preliminari di un progetto (che coinvolge il Servizio Ambulatoriale e il Day Hospital di Psichiatria, Servizi e Reparti di Ostetricia, Pediatria, Neonatologia e Neuropsichiatria Infantile del Gemelli) sull’effetto traumatico della depressione perinatale e genitoriale (madre e padre) sulla prole e sulle possibili strategie terapeutiche e preventive.
Questi risultati sono stati presentati in occasione del 3° Congresso Nazionale della Società Italiana di Psicotraumatologia e Gestione dello Stress dal titolo “Esperienze Traumatiche e Disturbi Psichiatrici”, che si è svolto ieri, giovedì 15 dicembre, presso il Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma
Il progetto “Sostegno alla Perinatalità” prende in considerazione le frequenze di disturbi depressivi nella coppia genitoriale che sta per avere un figlio (quindi non solo depressione perinatale della madre, ma anche del padre) e attualmente si sta organizzando anche il follow up dei bambini che presentano un rischio (uno o entrambi i genitori depressi). Si tratta sia di vere e proprie forme di psicopatologia che vengono seguite con interventi di psicoterapia e farmaci; sia di forme subcliniche (la maggioranza dei casi – 73%), trattate invece con interventi psicoterapeutici di sostegno, counselling, nutraceutici, ovvero sostanze come melatonina e S-adenosilmetionina, integratori naturali usati per migliorare il tono dell’umore.
“Stiamo monitorando i trattamenti psicofarmacologici in gravidanza – precisa il professor Rinaldi – con una particolare attenzione all’utilità di utilizzare per l’approccio a queste forme di potremmo dire pre-depressione l’uso ad esempio dei nutraceutici (approccio diversificabile dall’uso degli psicofarmaci che ha una problematicità ed è preferibile per le situazioni ove già una sintomatologia ansiosa o depressiva risulti particolarmente violenta ed insostenibile). In tal senso stiamo riscontrando da tempo l’efficacia di associazioni tra nutraceutici come quello tra melatonina e SAMe”.
Questa scelta, spiega il professor Rinaldi, prende le mosse dai risultati di studi su animali e su uomini nei quali, spiega l’esperto, la melatonina ha dimostrato un’attività di neuro protezione, di ridurre lo stress ossidativo e diminuire la morte di cellule nel cervello fetale, rendendo più positivo lo sviluppo cognitivo funzionale successivo a lesioni cerebrali, ridurre il danno ischemico nel cervello prematuro fetale.
“La nostra volontà – sottolinea il professor Rinaldi – è quella di individuare strade terapeutiche alternative agli psicofarmaci laddove possibile, in modo da limitare i potenziali rischi per il nascituro”.
Il progetto si è sviluppato in parallelo con altre iniziative come uno spazio di ascolto e accoglienza presso il reparto di Ostetricia per accompagnare le mamme e le coppie con difficoltà sociali, psicologiche, economiche, durante la gravidanza, la degenza in ospedale e nel post partum attraverso un’analisi dei bisogni e attuando interventi in un lavoro di rete.
Il progetto, conclude il professor Rinaldi, prevede anche il follow up (il monitoraggio nel tempo) dei bambini che presentano un rischio psichico in quanto, appunto, presentavano uno o entrambi i genitori in difficoltà psicologica nel periodo di vita prenatale.
Sostenere la maternità e la paternità significa proteggere i figli della società del futuro e in qualche modo partecipare alla costruzione di una società con, se possibile, minore disagio o vera e propria sofferenza. Questo è il senso e la finalità del progetto i cui risultati verranno pubblicati su una rivista scientifica nei prossimi mesi.
Le pazienti sottoposte alle procedure di stimolazione ovarica possono essere definite pazienti poor responder e hyper responder.
Le possibilità di successo delle diverse procedure di stimolazione ovarica variano in base all’età e alle caratteristiche delle singole pazienti.
Una ridotta risposta al protocollo di stimolazione: le poor responder
Si definiscono pazienti poor responder coloro che hanno appunto una ridotta risposta al protocollo di stimolazione ovarica e dunque con una riserva ovarica ridotta.
Si tratta di uno dei problemi maggiori nelle procedure di procreazione medicalmente assistita, in quanto la scarsa risposta sembra rappresentare un fattore prognostico sfavorevole per cicli successivi abbassando notevolmente la possibilità di concepimento. Va sottolineato che i criteri d’identificazione di scarsa risposta ovarica non sono uniformi: nella maggior parte dei casi le poor responder vengono identificate in base al numero dei follicoli pre ovulatori reclutati o sul numero di ovociti prelevati. Non c’è però consenso sul numero soglia: si va da 2 a 5 per i follicoli e da 3 a 5 per gli ovociti.
Alto numero di follicoli prodotti: le hyper-responder rischiano l’iperstimolazione ovarica
Esiste poi un gruppo diverso di pazienti definite hyper-responder, che producono un alto numero di follicoli anche con basse dosi di gonadotropine e richiedono, pertanto, una gestione più attenta al fine di evitare il rischio d’incorrere in una vera e propria patologia definita sindrome da iperstimolazione ovarica (ovarian hyperstimulation syndrome – OHSS). Si tratta di una patologia causata dai farmaci utilizzati per indurre l’ovulazione. Va però altresì chiarito che la sindrome non è una necessaria conseguenza della terapia di stimolazione ovarica, si tratta anzi di un’evenienza eccezionale, e che può essere prevenuta riducendo le stimolazioni dell’ovaio con dosaggi delle gonadotropine più bassi di quelli abituali.
Dott. Placido Borzì
La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) colpisce il 5-10% delle donne in età riproduttiva ed è caratterizzata da oligomenorrea (alterazione del ciclo mestruale che arriva dopo 32-35 giorni), eccesso di ormoni androgeni (ormoni presenti anche nella donna ma normalmente in numero nettamente inferiore rispetto agli uomini), insulino-resistenza e alterazioni dell’aspetto morfologico dell’ovaio (follicoli molto piccoli sparsi sulla superficie ma praticamente assenti al centro dell’ovaio).
La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) è la prima causa d’infertilità femminile
La sindrome dell’ovaio policistico è la causa più comune d’infertilità femminile. A oggi l’origine precisa non è ancora stata individuata, ma si pensa che dipenda da una multifattorialità.
Proprio perché la causa della PCOS non è ancora stata definita, non esiste un trattamento specifico e risolutivo della stessa, anche se oggi si sperimentano, con un buon grado di efficacia, diversi approcci terapeutici.
La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) e l’inositolo
Per esempio i cosiddetti “composti insulino-sensibilizzanti” (ricordiamoci, infatti, che tale sindrome si manifesta anche con un’insulino-resistenza) sono stati studiati come efficace trattamento della sindrome dell’ovaio policistico. Vediamo di conoscerli più da vicino. Innanzitutto l’inositolo, una vitamina del complesso B che, somministrata nelle pazienti affette da sindrome dell’ovaio policistico, ha dimostrato di migliorare non solo i parametri metabolici e ormonali, ma anche la funzione ovarica e la risposta ai cicli di fecondazione assistita (PMA).
In più, evidenze scientifiche hanno mostrato che l’inositolo è anche in grado di migliorare la qualità degli embrioni e la follicologenesi (maturazione dei follicoli), aumentando il numero di ovociti maturi dopo stimolazione ovarica in donne con PCOS.
Gli inositoli ei loro derivati sono polialcoli che appartengono alla famiglia della vitamina B. Si tratta di molecole chimicamente stabili che possono essere ingerite con la dieta. L’inositolo è contenuto nella frutta, in particolare nei meloni e nelle arance, nei prodotti ad alto contenuto di crusca e di cereali, nelle noci e nei fagioli. Frutta e verdura fresca hanno un più alto contenuto di inositolo rispetto ai congelati, ai cibi salati o ai prodotti in scatola.
C’è da dire che gli inositoli non sono considerati nutrienti essenziali poiché possono essere prodotti in modo endogeno (dall’organismo) dal glucosio.
Il trattamento della PCOS con agenti insulino-sensibilizzanti
Nella sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) la nota associazione tra iperinsulinemia (eccesso di insulina nel sangue), iperandrogenismo (eccessiva presenza di ormoni androgeni e quindi tratti di mascolinità evidenziati dall’irsutismo, ovvero peli in eccesso) e disfunzione ovulatoria ha costituito la base per il trattamento con agenti insulino-sensibilizzanti, come il mio-inositolo, la metformina (farmaco che normalmente si usa per curare il diabete di tipo 2), e i tiazolidinedioni (farmaci che aumentano la sensibilità all’insulina nei tessuti), che si sono dimostrati efficaci nel migliorare la resistenza all’insulina e le funzioni ovariche in donne affette da sindrome dell’ovaio policistico.
Myo-inositolo (MYO) e D-chiro-inositolo (DCI) sono derivati dell’inositolo: il primo è la forma maggiormente presente a livello cellulare, comprendente fino al 99% della quantità inositolo totale. Il Myo-inositolo viene convertito in DCI da un enzima (epimerasi) insulino-dipendente che influenza fortemente il rapporto intracellulare tra queste due molecole nelle cellule adipose, epatiche e muscolari.
Studi in materia evidenziano che le donne colpite da sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) hanno una cattiva regolazione del metabolismo dell’inositolo. Ciò significa che esiste un collegamento tra carenza d’inositolo e resistenza all’insulina (IR) nella PCOS.
È ampiamente noto che la resistenza all’insulina giochi un ruolo importante nel determinare la sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) in un gran numero di donne ed è una caratteristica comune alle donne con PCOS sia in sovrappeso sia normopeso, ovvero indipendentemente dal loro indice di massa corporea (BMI).
I benefici di basse dosi di DCI: meno resistenza all’insulina e miglior frequenza ovulatoria
L’iperinsulinemia (eccesso d’insulina nel sangue) può alterare il rapporto tra MYO e DCI e, paradossalmente, aumentare la concentrazione DCI all’interno dell’ovaio con conseguenze dannose per la funzione ovarica. Ciò spiegherebbe perché non si registrino benefici clinici nelle donne con sindrome dell’ovaio policistico.
È importante, invece, quando si somministrano inositoli che sia mantenuta una corretta proporzione tra MYO e DCI. Si è infatti osservato che il D-chiro-inositolo (DCI) a basso dosaggio diminuisce la resistenza all’insulina e il contenuto degli ormoni androgeni e, contemporaneamente, migliora la frequenza ovulatoria nelle donne con PCOS.
Integrazione di Myo-inositolo: favorisce produzione di ovociti e stimolazione ovarica per PMA
Inoltre, diversi studi dimostrano che la supplementazione di Myo-inositolo procura benefici in donne affette da sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) in termini di produzione di ovociti ed embrioni di migliore qualità, oltre a migliorare la regolarità mestruale, l’insulino-resistenza, e la qualità dell’ovulazione.
È poi dimostrato che per le donne che accedono a trattamenti di procreazione medicalmente assistita (PMA), la somministrazione di MYO prima della stimolazione ormonale aumenta la qualità di ovociti ed embrioni e riduce la dose di FSH (ormone follicolo stimolante) e i giorni necessari per la stimolazione.
Dott. Antonio Castelli