Per aumentare le possibilità di concepimento occorre creare un’alleanza vincente tra fertilità maschile e alimentazione sana
Fertilità maschile e alimentazione sana sono strettamente correlate: seguendo una dieta equilibrata e bilanciata nell’uomo aumentano le possibilità di concepimento maschile soprattutto in quegli uomini che hanno manifestato qualche problema di fertilità.
Lo dimostrano i risultati di uno studio pubblicato da poco sulla rivista scientifica Fertility and Sterility condotto dall’Erasmus University Medical Centre di Rotterdam in Olanda su 129 uomini, in media di 35 anni, in attesa di un figlio. L’obiettivo della ricerca era studiare le associazioni tra abitudini alimentari e qualità del liquido seminale.
I ricercatori hanno indagato le qualità dello sperma valutando i seguenti parametri: volume, motilità, concentrazione e numero totale degli spermatozoi. Ovviamente si è tenuta in considerazione quale fosse l’alimentazione di questi uomini in fase di concepimento.
I risultati dello studio: fertilità maschile e alimentazione sana sono un’accoppiata vincente
Gli esiti dello studio hanno mostrato che gli uomini che seguivano una dieta sana e equilibrata avevano un livello di sperma qualitativamente più elevato, soprattutto se confrontati con soggetti che avevano un’alimentazione sbilanciata.
Questi risultati hanno dato prova di come fertilità maschile e alimentazione sana siano legate a doppio filo: seguendo un modello alimentare sano, infatti, crescono le possibilità di concepimento.
In più, mangiando bene si può prevenire il rischio per le coppie di incorrere in problemi di fertilità, condizione sempre più diffusa oggi e spesso legata all’uomo.
All’ospedale Sant’Anna della Città della Salute di Torino nasce “Mamme Oltre il tumore”, il primo servizio ambulatoriale per pazienti oncologiche in cerca di un bimbo
Il primo servizio ambulatoriale per pazienti oncologiche che vogliono avere l’opportunità di diventare mamme si chiama “Mamme oltre il tumore” ed è un’iniziativa voluta dall’ospedale Sant’Anna “Città della Salute e della Scienza” di Torino lanciata qualche giorno fa in occasione della Giornata nazionale della salute della donna.
Il servizio sarà gestito dall’équipe, di Ginecologia e Ostetricia 1 universitaria dell’ospedale Sant’Anna della “Città della Salute e della Scienza” di Torino, diretta dalla professoressa Chiara Benedetto.
A chi si rivolge il servizio “Mamme oltre il tumore”
“Mamme oltre il tumore” è un servizio dedicato a donne di età inferiore ai 40 anni, affette da tumore, che vogliano conservare la propria fertilità prima di sottoporsi a terapie oncologiche che potrebbero danneggiare seriamente la loro fecondità. Inoltre, il servizio è rivolto anche a tutte quelle donne che, una volta guarite dalla malattia tumorale, desiderino intraprendere l’avventura della gravidanza.
Che tipo di servizio è “Mamme oltre il tumore”
“Mamme oltre il tumore” sarà un vero e proprio percorso diagnostico/terapeutico suggerito alle giovani pazienti affette da tumori, con un’attenzione particolare a come riuscire a preservare la fertilità anche grazie all’approccio superspecialistico integrato del “Gruppo Multidisciplinare Cure” composto da medici, psicologi e biotecnologi.
-Tutto ciò fa parte del processo di umanizzazione e di personalizzazione delle cure su cui il Sant’Anna si sta impegnando da tempo per rispondere al meglio alle esigenze delle donne e delle coppie. Inoltre, l’ospedale Sant’Anna aderisce ad una Rete Collaborativa Europea che promuove progetti clinico-assistenziali relativi a donne che hanno una gravidanza sia dopo un trattamento oncologico che in corso del trattamento stesso, con monitoraggio dei nati da madri esposte durante la gravidanza a trattamenti chemioterapici- ha commentato la dottoressa Grace Rabacchi, direttore sanitario del Presidio ospedaliero Sant’ Anna.
Informazioni pratiche per accedere al servizio “Mamme oltre il tumore”
Le pazienti potranno accedere a questo servizio, che è offerto da tutti i centri della rete oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta, telefonando allo 011.3134576 nei giorni feriali, dalle ore 11 alle ore 12.30 e dalle ore 14 alle ore 15, a partire dal 2 maggio.
Per tecniche di II e III livello si intendono le tecniche che prevedono il prelievo e la “manipolazione” dei gameti maschili e femminili.
La Fecondazione in Vitro e Trasferimento dell’embrione (FIVET) prevede, quasi sempre, un’induzione ormonale della crescita follicolare multipla e un monitoraggio ormonale ed ecografico per potere valutare l’efficacia della terapia e decidere il momento opportuno per eseguire il prelievo degli ovociti (pick-up). Quest’ultimo viene solitamente effettuato in sedazione e consiste in un’aspirazione ecoguidata del fluido follicolare. Una volta recuperati entrambi i gameti (ovocita e spermatozoo), posti in condizioni adeguate si incontrano all’esterno del corpo della donna per formare gli embrioni. Successivamente gli embrioni ottenuti (solitamente uno o due) vengono trasferiti nell’utero. Questa tecnica viene consigliata nei casi di: fattore tubarico (precedente chirurgia tubarica, anamnesi positiva per flogosi pelvica, ostruzione tubarica bilaterale); endometriosi di III o IV grado; seme crioconservato in relazione alla qualità seminale successiva allo scongelamento; fallimento dell’iter terapeutico di tecniche di I livello.
Nella Microiniezione Intracitoplasmatica dello Spermatozoo (ICSI) a differenza della FIVET la fecondazione avviene con l’iniezione di un singolo spermatozoo all’interno del citoplasma ovocitario. La ICSI trova indicazione nei casi di: infertilità maschile di grado severo; azoospermia ostruttiva dopo avere effettuato il prelievo degli spermatozoi dal testicolo o epididimo mediante tecniche chirurgiche (PESA, TESE, MESA); mancata o ridotta fertilizzazione in precedenti cicli di FIVET; ovociti scongelati; ridotto numero di ovociti.
Anche per le metodiche eterologhe potremo avere delle tecniche di I livello (inseminazione intra-uterina con seme- donazione) e di II livello (FIVET/ICSI con ovo-donazione, con seme-donazione o con entrambi nel qual caso si parla di doppia eterologa). Nei casi di donazione dei gameti femminili non è necessario sottoporsi a terapie ormonali di crescita follicolare multipla indispensabili in quasi tutti gli altri casi.
Dott. Alessandro Giuffrida
Nonostante la prima gravidanza ottenuta mediante il ricorso a tecniche di fecondazione in vitro sia stata eseguita prelevando la cellula uovo da un ciclo ovulatorio spontaneo, allora fu subito chiaro che uno dei punti chiave del successo della tecnica sarebbe stato legato all’elaborazione di adeguati protocolli di stimolazione ormonale necessari per ottenere un numero maggiore di ovociti maturi.
Pochi anni dopo, infatti, fu confermata l’efficacia delle gonadotropine (ormone follicolo stimolante FSH e ormone luteinizzante LH) per laProcreazione Medicalmente Assistita. Tali ormoni, inducendo un’ovulazione multipla, ovvero la maturazione di più ovociti, consentivano il trasferimento di un maggior numero di embrioni aumentando in tal modo le probabilità di successo della tecnica.
La prima gravidanza ottenuta in un ciclo “superstimolato” risale al 1980 e, da allora, l’induzione della crescita follicolare multipla è divenuta una tappa fondamentale dei cicli di procreazione medicalmente assistita.
Le dosi di gonadotropine per la Procreazione Medicalmente Assistita variano in base alla paziente
Dal 1980 ai nostri giorni molte cose sono cambiate in merito a tutto ciò che ruota intorno alla PMA. Ci riferiamo in questo senso sia alla purezza delle preparazioni farmacologiche, con relativo aumento dose/efficacia, sia all’elaborazione di protocolli di stimolazione ovarica “personalizzati” sulla base di specifici parametri.
Il primo fattore da prendere in considerazione è l’età della paziente. È noto, infatti, che dopo i 38 anni la donna abbia un calo della sua “performance riproduttiva” legato a una diminuzione fisiologica della sua riserva ovarica. In questi casi è importante sottolineare che, oltre a una ridotta risposta, intesa come numero di ovociti recuperabili dopo la stimolazione ormonale, abbiamo anche una ridotta qualità ovocitaria.
Ragionando in termini numerici, proprio per rafforzare il concetto, possiamo affermare che se una donna di 30 anni ha soltanto 1/3 del suo patrimonio ovocitario costituito da cellule uovo non idonee alla fecondazione, in una donna di 40 anni il numero di ovociti “compromessi” è almeno del 50%.
In forza di queste premesse le donne di età biologicamente avanzata sono, in linea di massima, sottoposte a protocolli di stimolazione ovarica con dosi maggiori di gonadotropine per la procreazione medicalmente assistita.
Vanno presi in considerazione anche i marcatori della riserva ovarica
L’età non è però il solo fattore che il ginecologo valuterà; esistono i cosiddetti “markers” della riserva ovarica, come il dosaggio dell’FSH al terzo giorno del ciclo della paziente unitamente alla conta ecografica dei follicoli antrali (quelli che risentono della stimolazione con gonadotropine) e il dosaggio dell’ormone antimulleriano (una sorta di marcatore dell’età ovarica), che può invece essere eseguito in qualunque momento del ciclo ovulatorio.
Il ginecologo mette insieme questi dati come le tessere di un puzzle al fine di elaborare il protocollo di stimolazione più adeguato, ovvero le giuste dosi di gonadotropine per la Procreazione Medicalmente Assistita da somministrare alla paziente.
Sulla base di tali criteri predittivi le pazienti vengono classificate come Normo-responder, Poor-responder e Hyper-responder.
La conoscenza della riserva ovarica, dunque, è uno strumento che consente di “personalizzare” il protocollo di stimolazione per le pazienti che accedono a un percorso di PMA.