Mese: Maggio 2017

Le coppie, per potere accedere alle metodiche di fecondazione eterologa, devono essere costituite da coniugi o conviventi di sesso diverso, maggiorenni, in età potenzialmente fertile, e comunque in buona salute per affrontare una gravidanza, entrambi viventi (articolo 5, legge 40 /2004).

Le indicazioni cliniche alla fecondazione eterologa nella donna sono:

  • l’ipogonadismo ipergonadotropo (alterazione della funzionalità ovarica caratterizzata da livelli alti di ormoni endogeni FSH)
  • avanzata età riproduttiva in età potenzialmente fertile
  • ridotta riserva ovarica dopo fallimento di fecondazione omologa
  • significativo difetto genetico o storia familiare di una condizione per la quale lo stato di portatore non può essere determinato
  • ovociti e/o embrioni di scarsa qualità o ripetuti tentativi di concepimento falliti tramite tecniche di PMA
  • donne con infertilità iatrogena (cioè secondaria a terapie chirurgiche o farmacologiche).

Per potere accedere alle metodiche di procreazione eterologhe, il partner maschile invece deve essere affetto da:

  • azoospermia e oligoastenoteratozoospermia severa
  • disfunzione eiaculatoria incurabile
  • significativo difetto genetico o storia familiare di una condizione per la quale lo stato di portatore non può essere determinato
  • infezione sessualmente trasmissibile che non può essere eliminata
  • fattore iatrogeno di infertilità
  • partner femminile Rh-negativo e gravemente isoimmunizzato e partner maschile Rh-positivo
  • mancata fertilizzazione dopo ICSI.

Dott. Alessandro Giuffrida

In generale si assiste in Italia a un aumento nel numero di pazienti/coppie che accedono a tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita, con netto avvicinamento alle medie europee (i cicli per milione di abitanti sono 1.078 in Italia, rispetto ai 1.221 del dato europeo, come risulta dai dati ESHRE, European Society of Human Reproduction).

Il numero di successi è invece lievemente inferiore: questo dato è strettamente correlato all’età delle coppie.

Dai dati del Registro Nazionale della PMA dell’Istituto Superiore di Sanità emerge che, nel 2012, l’età media delle donne che hanno avuto accesso alle tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita era pari a 36,5 anni, superiore al dato europeo, attestato attorno a 34,7 anni. In Italia circa il 30 % dei cicli a fresco è effettuato da pazienti di 40 anni o più: questo porta fatalmente a un diminuito tasso di gravidanza e ad aumento del tasso di patologia abortiva. Per tutti questi motivi è fondamentale sensibilizzare le coppie alle tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita, onde evitare che si procrastini oltre misura il primo approccio diagnostico-terapeutico alla sterilità di coppia.

Dott. Maurizio Cignitti

Esistono indagini diagnostico-clinico-genetiche che possano quantificare la probabilità di successo?

 

Quantificare la probabilità di successo di una PMA non è semplice ma uno strumento sicuramente utile può essere rappresentato dalle indagini diagnostico-clinico-genetiche.

L’elemento principale nel determinare la probabilità di gravidanza dopo PMA è comunque rappresentato dall’età della paziente. Alcune indagini, però, permettono di determinare dei parametri, mediante indagini diagnostico-clinico-genetiche, che meglio inquadrano le probabilità di successo.

Il primo è la valutazione della riserva ovarica, cioè della potenzialità riproduttiva della paziente. Questo può avvenire attraverso la determinazione di due ormoni:

  1. AMH (ormone antimuelleriano)
  2. FSH (ormone follicolo stimolante)

ma anche mediante un’ecografia transvaginale, che permette di calcolare il volume delle ovaie e di stimare i follicoli antrali presenti in ciascun ovaio.

Va inoltre ricordata la necessità di verificare l’assenza di una situazione trombofilica. Essa aumenterebbe il rischio di patologia abortiva, determinando il fattore V di Leiden, l’enzima MTHFR (metilen-tetra-idro-folatoreduttasi) e l’omocisteina.

Quanto alle altre indagini diagnostico-clinico-genetiche, il riferimento va alla PGS (diagnosi preimpianto delle aneuploidie cromosomiche). Essa valuta lo stato di salute degli embrioni pronti per il trasferimento in utero, accertando l’eventuale presenza di anomalie cromosomiche, correlate sia all’aumento di abortività spontanea, sia allo sviluppo di un feto non sano.

Dott. Maurizio Cignitti

Quali sono i casi in cui è opportuno consigliare la crioconservazione dei gameti e perché?

Esiste un numero sempre maggiore di condizioni in cui il ricorso a tecniche di crioconservazione potrebbe rappresentare la sola opzione terapeutica. La possibile comparsa di sterilità o infertilità secondaria ai trattamenti antiproliferativi e il disagio psicosociale che ne deriva sono temi di importanza crescente, non solo per il miglioramento della prognosi nei pazienti oncologici in età pediatrica e giovanile, ma anche per lo spostamento in avanti dell’età alla prima gravidanza.

Oltre ai casi oncologici, bisogna considerare ulteriori campi di applicazione: esistono infatti numerose condizioni patologiche in cui si assiste a un progressivo peggioramento delle capacità riproduttive in entrambi i sessi.

Negli uomini ci sono patologie che necessitano di terapie farmacologiche tali da indurre danni alla spermatogenesi; è anche possibile che si renda necessario il ricorso a interventi chirurgici uro-genitali lesivi per la funzione eiaculatoria. Alcuni pazienti, invece, mostrano un severo e progressivo peggioramento della qualità del seme, che può essere correlato a particolari attività professionali, che comportano una prolungata esposizione a sostanze tossiche per la gametogenesi, o a modificazione dei parametri ormonali. Infine, non bisogna dimenticare i casi di giovani uomini che si sottopongono a vasectomia, per evitare gravidanze indesiderate: la crioconservazione rappresenta evidentemente la possibilità di mantenere la capacità riproduttiva, qualora dovesse successivamente insorgere il desiderio di prole.

Anche per le donne possono sussistere numerose condizioni patologiche che compromettono la fertilità: l’endometriosi severa, le malattie autoimmuni, l’esaurimento ovarico precoce, in cui la capacità delle gonadi di produrre ovociti è fortemente compromessa. Oltre che in queste condizioni, la crioconservazione può essere utile per ridurre i rischi di iperstimolazione ovarica, che può insorgere durante l’applicazione dei protocolli terapeutici usati nella fecondazione assistita per indurre la crescita follicolare multipla. Se in corso di terapia dovessero verificarsi le condizioni di rischio per tale patologia, è consigliabile evitare ulteriori cicli di stimolazione ormonale, prelevando tutti i gameti prodotti e precedendo con la crioconservazione di quelli non “utilizzati” nel corso dello stesso ciclo.

Infine, oggi sempre più spesso le donne manifestano il desiderio di rimandare la maternità per ragioni “sociali” (carriera) o per mancanza di un partner; in tal caso procedere alla crioconservazione dei gameti prima dei 35 anni potrebbe rappresentare la sola possibilità di preservare la riproduzione.

Dott. Alessandro Giuffrida

Dalla parte della donna: quali sono le possibilità offerte dalla crioconservazione per preservare la fertilità femminile?

La metodiche di preservazione della fertilità della donna comprendono oggi diverse modalità, oltre alla criocoservazione degli ovociti, a seconda delle necessità della paziente stessa. È infatti possibile ricorrere al congelamento del tessuto ovarico, dell’intero ovaio o degli embrioni. Anche lo stesso congelamento degli ovociti può avvenire attraverso tecniche di raffreddamento lento o rapido. Il congelamento lento prevede che gli ovociti, opportunamente trattati, vengano trasferiti in un congelatore biologico e successivamente immersi in azoto liquido, per portarli alla temperatura di -196° C.

Lo scongelamento invece deve essere eseguito molto velocemente, circa 8 minuti, per evitare all’interno della cellula la formazione di cristalli di ghiaccio, che determinerebbero la rottura delle membrane cellulari, con danno irreversibile delle cellule. Per evitare i rischi di alterazione delle strutture cellulari durante il processo di congelamento e scongelamento lento, negli ultimi anni è stata sviluppata una nuova tecnica di congelamento rapido detta vitrificazione. Il trattamento consiste nel portare l’ovocita a -196° saltando i passaggi intermedi. Il rapido e brusco abbassamento delle temperature induce il passaggio della cellula dallo stato acquoso a quello vitreo, senza formazione di cristalli di ghiaccio.
Per quel che riguarda il congelamento di tessuto ovarico, o dell’intero ovaio, è necessario sottoporsi a due interventi chirurgici: nel primo si procederà alla rimozione del tessuto, o dell’ovaio e, nel secondo si procederà al reimpianto, nella stessa sede (ortotopico), o in sede diversa, per esempio l’avambraccio (eterotopico). A distanza di un periodo di circa 4 mesi, necessari a ripristinare l’irrorazione sanguigna del tessuto reimpiantato, si può procedere con le terapie di induzione della crescita follicolare multipla.
La crioconservazione degli embrioni, infine, prevede l’esecuzione di una tecnica Fivet o Icsi: si inizia con una terapia di stimolazione, seguito da un pick-up (prelievo) ovocitario in sedazione, poi da un procedimento di fertilizzazione in vitro e di successivo congelamento. Pur essendo la metodica che offre maggiori percentuali di gravidanza, data la maggiore resistenza degli embrioni ai processi di congelamento e successivo scongelamento, può però determinare il manifestarsi di controversie etico-legali, in caso di separazione dei partner successiva al loro ottenimento.

Dott. Alessandro Giuffrida

La procedura di crioconservazione nella donna presuppone tempi più lunghi rispetto all’uomo. Perché?

Il primo imprescindibile step per poter procedere alla crioconservazione nella donna è il recupero dei gameti, quindi ovociti per la donna e spermatozoi per l’uomo. Una parte dei gameti, sia maschili sia femminili, una volta sottoposti al processo di congelamento e scongelamento non è più vitale: è perciò necessario, per procedere con tali tecniche, disporre di un “pool” di gameti. Per l’uomo è sufficiente produrre uno o più campioni di liquido seminale; poiché invece la donna produce generalmente un singolo ovocita per ciclo e visto che i gameti non sono prodotti all’esterno del corpo, la raccolta dei gameti femminili prevede diverse fasi.
Innanzitutto è necessario sottoporsi a una terapia di stimolazione ormonale, che ha durata variabile a seconda del tipo di protocollo di induzione della crescita follicolare multipla, che è scelto dallo specialista alla luce di una serie di accertamenti preliminari all’inizio del trattamento. Questa terapia è necessaria per produrre un numero maggiore di ovociti: la paziente si sottopone a ecografie e dosaggi ormonali per valutare il tipo di risposta alla terapia stessa e attuare eventuali modifiche che ottimizzino il risultato. Quando i follicoli hanno raggiunto dimensioni di circa 18-20 mm viene effettuato il prelievo ovocitario (pick-up). Quest’ultimo consiste in un’aspirazione del liquido follicolare direttamente dalle ovaie, ecoguidata per via transvaginale. Tale fluido follicolare viene poi osservato al microscopio da biologi esperti nell’ambito della riproduzione che, una volta recuperati gli ovociti, li sottoporranno alle tecniche di congelamento.

Dott. Alessandro Giuffrida

Perché si preferiscono alcune tecniche di crioconservazione degli ovociti, piuttosto che degli embrioni?

Sino a pochi anni fa le metodiche di crioconservazione considerate efficaci erano solo quelle limitate a spermatozoi ed embrioni, dal momento che i tassi di sopravvivenza degli ovociti e le percentuali di gravidanza dopo scongelamento ovocitario erano significativamente più basse.

Con il progressivo miglioramento sia delle metodiche di crioconservazione sia delle sostanze crioprotettrici, il management delle pazienti infertili continua a modificarsi. Bisogna considerare che le metodiche di riproduzione assistita si prestano a possibili scenari etici di difficile risoluzione. Supponiamo per esempio il caso in cui una coppia si sottoponga a un ciclo di fecondazione assistita con congelamento di embrioni. Sia dopo fallimento del ciclo di procreazione assistita sia in caso di esito favorevole, qualora si disponga di embrioni congelati, cosa ne sarà degli embrioni nel caso in cui la coppia decidesse di separarsi o di non avere ulteriori gravidanze? Chi ne potrà disporre? Nonostante ciò che dice la legge, e cioè che la donna può disporre degli embrioni congelati senza il consenso del partner, può questo essere considerato eticamente corretto? Certamente, disporre di gameti invece che di embrioni consente di evitare dibattiti sia etici sia legali. Le percentuali di sopravvivenza nei cicli con congelamento dei gameti sono attualemente crescenti: al fine di evitare le possibili implicazioni correlate al congelamento e alla “conservazione” embrionaria, nonché all’eventuale smaltimento di embrioni sovrannumerari, è verosimile pensare che la medicina della riproduzione si orienterà sempre di più verso la conservazione dei gameti piuttosto che degli embrioni.

Dott. Alessandro Giuffrida

Che cosa s’intende con trasposizione ovarica? La crioconservazione può completare questa metodica e perché?

La trasposizione ovarica è un’ulteriore opzione terapeutica che, da qualche anno, è possibile offrire alle pazienti non ancora in menopausa, che debbano sottoporsi a terapia radiante pelvica (casi di linfoma di Hodgkin e tumori a carico dell’apparato gastro-intestinale). È una procedura chirurgica che può essere eseguita per via laparotomica classica, o per via laparoscopica: quest’ultima è da preferire per la minore aggressività chirurgica.

Nel corso dell’intervento si procede a dislocare le ovaie in una sede diversa da quella anatomica fisiologica, al di fuori del campo di irradiazione, pur conservando la normale irrorazione sanguigna, in modo da ridurre al minimo la quantità di radiazioni assorbite dalle ovaie. Nel corso dell’intervento, per assicurare maggiori chance alla preservazione della fertilità, si può eseguire anche un prelievo e successivo congelamento di tessuto ovarico o di un intero ovaio, in modo da poter procedere, in caso di esaurimento ovarico secondario al trattamento, al reimpianto del tessuto scongelato, con possibile ripristino della fertilità che, in genere, avviene dopo 4-6 mesi. In tal caso si parla di trapianto ovarico. Prima di potere procedere è necessario escludere la presenza di possibili metastasi ovariche.

 

Dott. Alessandro Giuffrida

Quali sono le cause di ipofertilità maschile e femminile per le quali è indicata la PMA?

Le tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) hanno come obiettivo quello di superare le condizioni di ipofertilità che, nell’ambito della coppia, ostacolano l’incontro dei gameti (spermatozoi e ovocita), impedendo quindi la fecondazione della cellula uovo. Il sito naturale della fecondazione è rappresentato dall’estremità distale della tuba e cioè dall’ampolla tubarica, dove un numero adeguato di spermatozoi deve essere presente nel periodo periovulatorio per fertilizzare la cellula uovo.

Da questa premessa è facile intuire che tali tecniche siano rivolte a superare: 1) problematiche legate a scarsa qualità del campione seminale (ridotto numero, o addirittura assenza di spermatozoi nell’eiaculato, scarsa motilità, bassa percentuale di spermatozoi con buona morfologia); 2) problematiche legate all’apparato riproduttivo femminile, come la patologia tubarica.

Dott.ssa Marilena Vento