Mese: Novembre 2017

Per ottimizzare i tentativi di Riproduzione Assistita è raccomandabile avere una dieta varia e ben equilibrata. Non esistono cibi che miracolosamente aiutano a rimanere incinta né che ne ostacolano la riuscita. Uno stile di vita sano ed equilibrato è sempre da raccomandare nelle donne che cercano una gravidanza

Numerose credenze associano a particolari cibi la possibilità di aumentare le chance di ottenere una gravidanza, nonostante ciò non è stato dimostrato che ci sia un cibo in particolare che possa aiutare. È però sicuramente vero che una dieta corretta ed equilibrata ed uno stile di vita sano aiutino il corpo ad affrontare una gravidanza.

La dieta mediterranea ha da sempre convinto tutti gli studiosi in quanto ricca di antiossidanti e nutrienti necessari per un buono stato di salute; quindi spazio a frutta e verdura che ci forniscono vitamine di cui abbiamo bisogno. È al contempo consigliato per migliorare la propria fertilità l’assunzione di frutta secca che fornisce zinco, omega 3 e vitamina E. è necessario seguire una dieta sana per cui l’invito è di evitare gli eccessi sia nel cibo che nell’alcool, le fritture e il cosiddetto cibo spazzatura che sempre più spesso finisce nei nostri piatti.

Per quanto riguarda lo stile di vita è sconsigliato fumare. Il fumo influisce negativamente sulla fertilità e sulla gravidanza, specie quella da ovodonazione che può essere complicata da problemi di placentazione. È al contempo importante il proprio peso, una condizione di sovrappeso o addirittura di obesità influisce negativamente sulla possibilità di gravidanza e aumenta il rischio di complicanze qualora si riesca ad ottenerla. È consigliato il movimento fisico anche se anche in quello è necessario non eccedere.

È dunque possibile aumentare le chance di riuscita di un trattamento di procreazione assistita prendendosi cura di se stessi, mantenendo uno stile di vita sano, dimagrendo quando è necessario ed evitando una vita sedentaria. Il riposo è raccomandato solo nei giorni immediatamente successivi al transfer embrionario ma comunque è sconsigliato rimanere costantemente ferme a letto…come al solito no agli eccessi!

 

Dott.ssa Laura Badolato

Una delle motivazioni che spinge le donne a sottoporsi ad ovodonazione è l’impossibilità di procreare spontaneamente dopo avere subito trattamenti medici che hanno leso l’apparato riproduttore. Sempre più spesso una delle cause è avere avuto un tumore in età giovanile. È possibile affrontare una gravidanza ottenuta con ovodonazione solo se si è in buona salute e si ha l’autorizzazione dell’equipe di medici che ha curato precedentemente la patologia neoplastica.

Sempre più spesso le donne cercano una gravidanza in età più avanzata dei tempi passati; le motivazioni sono varie e possono riferirsi alla necessità di creare un rapporto saldo con un partner, la necessità di crearsi una posizione lavorativa adeguata ai propri studi o alle proprie aspettative o semplicemente alla necessità di avere una posizione economica stabile. L’allungamento dei tempi di ricerca della gravidanza molto spesso fa sì che esse arrivino ad affrontare il desiderio di maternità dopo aver vissuto varie vicissitudini personali, talvolta anche in ambito medico.

Il miglioramento delle terapie in ambito oncologico ha restituito sempre di più una buona aspettativa di vita e di guarigione alle giovani donne che hanno affrontato un cancro; talvolta però le terapie necessarie alla guarigione comportano una perdita della fertilità per ragazze che fino a quel momento magari non avevano neanche pensato ad una maternità.

Al giorno d’oggi è possibile preservare la propria fertilità, prima che la terapia possa comprometterla, rivolgendosi ad uno specialista in riproduzione. Non tutte le donne però hanno avuto questa opportunità e sempre più spesso queste donne si rivologono a centri di fecondazione assistita per chiedere aiuto.

L’ovodonazione è spesso la soluzione più idonea. Il medico che si prenderà cura della paziente dovrà accertare però prima di procedere il buono stato di salute e spesso sarà necessario ottenere l’assenso dell’equipe di oncologi che ha seguito la donna nel suo precedente percorso.

Anche le donne che hanno avuto tumori sensibili agli ormoni possono eseguire questo tipo di trattamento se le condizioni prima riportate di buona salute e di nullaosta da parte degli oncologi sono rispettate. È dunque fondamentale prima di ricercare una gravidanza condividere il proprio desiderio con i propri medici curanti.

 

Dott.ssa Laura Badolato

Molte donne desiderano eseguire la diagnosi prenatale invasiva (villocentesi o amniocentesi) dopo avere eseguito una ovodonazione pensando che per una gravidanza affrontata in età avanzata sia necessario eseguirla. Il rischio di anomalie cromosomiche legate all’età materna non si applica alle gravidanze da ovodonazione.

La villocentesi e l’amniocentesi sono due tecniche di diagnosi prenatale invasiva che permettono di eseguire in epoca prenatale un’analisi su cellule provenienti dalla placenta o dal liquido amniotico per verificare il cariotipo fetale ovvero i cromosomi del bambino. La possibilità che il feto sia affetto da anomalie cromosomiche è legata per lo più all’età materna pertanto le donne di età avanzata, in particolare sopra i 35 anni, hanno un rischio sempre maggiore di avere un bambino affetto da patologie legate ai cromosomi; maggiore è l’età maggiore è il rischio, specie per alcune trisomie.

Esistono poi dei test di screening che permettono di calcolare il rischio di un bambino partendo dall’età materna aggiungendo dei dati che sono forniti da alcuni esami ematici (ormoni dosati nel sangue materno) e da misurazioni ecografiche eseguite durante l’ecografia del primo trimestre (translucenza nucale fetale). Questi test calcolano il rischio paziente specifico di avere trisomia 21 (sindrome di Down), trisomia 13 (sindrome di Pateu) e trisomia 18 (sindrome di Edwards). A differenza dei test invasivi quest’ultimi non danno a certezza che il bambino sia malato ma forniscono soltanto un rischio.

Nelle gravidanze ottenute con ovodonazione il rischio di anomalie cromosomiche è legato all’età della donatrice dell’ovulo quindi se anche la gravidanza sarà affrontata da una donna di 40 anni in realtà il rischio per il bambino sarà basso perché legato alla giovane età della donatrice. Per eseguire i test di screening sarà dunque necessario avere le informazioni anagrafiche della donatrice da fornire al medico ecografista al momento del test.

È proprio per questo motivo che la scelta di eseguire una diagnosi invasiva dovrà essere ben ponderata perché ricordiamo che tale tecniche sono gravate comunque da un rischio di aborto dell’1%.

 

Dott.ssa Laura Badolato

Non sono solo le donne a doversi preoccupare della fertilità:  negli uomini fertilità a rischio dopo i 50 anni

Anche negli uomini fertilità a rischio dopo i 50 anni: è infatti molto più probabile che il liquido seminale presenti difetti genetici. Insomma, per gli uomini di “età avanzata”, è più facile sviluppare malattie che condizionano negativamente funzioni sessuali e riproduttive. Così rende noto la Società americana di medicina della riproduzione (ASRM) [American Society for Reproductive Medicine http://connect.asrm.org/home). Gli specialisti spiegano che dopo i 50 anni i testicoli tendono a diventare più piccoli e morfologia e motilità degli spermatozoi diminuiscono.

Dunque è importante che anche gli uomini siano coscienti della fertilità a rischio dopo i 50 anni e che il problema, nel 30 per cento dei casi, li riguarda direttamente. Ecco perché devono mettere in atto misure preventive per preservare la propria capacità riproduttiva.

Regole di stile di vita sano per preservare la fertilità maschile

Se si cerca un bimbo o si è all’inizio di un trattamento di procreazione medicalmente assistita, occorre tenere a mente che il seme ha un ciclo di formazione di 70 giorni e che è necessario seguire alcune regole che mettano al riparo da rischi.

Vediamo quali:

  1. Evitare il consumo di tabacco, marihuana, altre droghe, farmaci e alcol;
  2. ridurre tutti i fattori di stress;
  3. no all’esposizione prolungata ad alte temperature, radiazioni elettromagnetiche, alte temperature e pesticidi;
  4. attenzione al peso e alla cattiva alimentazione: arricchire la propria dieta di acido folico, zinco e cibi antiossidanti come frutta e verdura;
  5. praticare regolare attività fisica.

Nell’ovodonazione la donna accoglie nel suo utero embrioni ottenuti in vitro dalla fecondazione di ovuli donati. È necessario pertanto che l’utero sia pronto ad accogliere una gravidanza, questo può avvenire in maniera spontanea o tramite l’aiuto di farmaci. La tipologia di farmaci utilizzati è differente rispetto a quelli utilizzati nei cicli di fecondazione di tipo omologo.

Affinché si instauri una gravidanza l’utero deve essere recettivo cioè ben preparato per favorire l’attecchimento. L’endometrio, strato più interno dell’utero dove gli embrioni si annidano, ha delle fasi cicliche ovvero solo in alcuni giorni del ciclo mestruale è pronto ad accogliere il prodotto del concepimento.  Nei cicli di fecondazione assistita di tipo eterologo la donna che deve accogliere gli embrioni deve necessariamente avere un endometrio che permetta l’instaurarsi della gravidanza; affinché questo avvenga è prassi comune eseguire una preparazione mediante l’utilizzo di farmaci. I farmaci utilizzati sono estrogeni e progesterone, ormoni che la donna produce fisiologicamente per preparare l’utero e vengono somministrati o per via orale, o per via trans dermica o per via vaginale; questi vengono somministrati in maniera sequenziale, prima si assumono gli estrogeni e in un secondo momento il progesterone. Il medico esegue delle ecografie di controllo per valutare l’aspetto ecografico e lo spessore endometriale; l’ideale sarebbe ottenere un endometrio trilaminare, aspetto tipico della fase periovulatoria c della donna in cui nella parte interna dell’utero si osserva un’immagine che riproduce 3 bande, e di spessore superiore a 7 millimetri. Alcune donne possono avere difficoltà nel raggiungimento di questi parametri ecografici per cui si può aumentare le dosi della terapia fatta precedentemente o pensare di effettuare un trasferimento embrionario su un ciclo spontaneo ovvero senza somministrare farmaci. Il ciclo spontaneo è comunque da monitorizzare ecograficamente per valutare i giorni in cui è favorito l’attecchimento.  Per le donne che non hanno più i cicli mestruali si esegue la stessa terapia perché fortunatamente l’utero risponde ugualmente ai farmaci utilizzati.

A differenza dei cicli di fecondazione omologa non vengono utilizzate gonadotropine esogene ovvero i farmaci iniettivi che servono a stimolare la crescita follicolare nelle ovaie perché ovviamente non è necessario che le ovaie lavorino. Talvolta possono essere utilizzati dei farmaci che inibiscono la secrezione spontanea della donna di ormoni che potrebbero interferire con la preparazione dell’utero al transfer embrionario.

 

Dott.ssa Laura Badolato

L’ovodonazione è una tecnica di fecondazione assistita con cui si può rimanere incinta anche in un periodo non fertile per la donna come la menopausa. Nonostante questa reale possibilità di oltrepassare i limiti fisiologici imposti dall’invecchiamento ovarico in Italia è sconsigliato di sottoporsi a questa tecnica dopo i 50 anni. Numerosi studi indagano sui rischi materni e fetali legati all’avanzare dell’età.

L’ovodonazione permette di ottenere una gravidanza mediante la donazione di ovociti da parte di una donna giovane, questo procedimento consente di superare il problema della fertilità età correlata. Le motivazioni per cui si ricorre più frequentemente a questo tipo di trattamento sono da ricercare nelle menopause precoci, la ridotta riserva ovocitaria o l’età materna avanzata. È noto che dopo i 35 anni c’è un declino fisiologico della riserva ovarica sia in senso di quantità numerica che in senso di qualità del gamete da utilizzare.

Non esistono al momento linee guida internazionali che aiutano nella gestione della paziente infertile che si sottopone ad ovodonazione ma una commissione di esperti di infertilità ha sancito in Italia oltre alle indicazioni per accedere al servizio anche un documento con cui veniva sconsigliata l’esecuzione dell’ovodonazione in donne di età superiore ai 50 anni. Il motivo del limite ai 50 anni di età è dovuto ai rischi collegati alla gestazione che aumentano notevolmente con il passare dell’età nella donna che deve affrontare la gravidanza; i rischi sono sia per la madre di sviluppare patologie come l’ipertensione gestazionale o la pre-eclampsia sia per il feto patologie come il ritardo di crescita intrauterino o il parto pretermine. È infatti dimostrato che con l’aumentare dell’età materna c’è una difficoltà nello sviluppo della placenta, organo che nutre il bambino durante la sua permanenza nel ventre materno; questa insufficiente attività placentare è poi la causa delle patologie come la pre-eclampsia e il ritardo di crescita intrauterino.

 

Dott.ssa Laura Badolato

L’organismo della donna che si sottopone ad ovodonazione subisce tutte le modifiche che avvengono fisiologicamente in gravidanza. È normale pertanto che questa possa partorire e allattare anche se non sempre questo avviene.

La donna che si sottopone ad una donazione di gameti e che ottiene poi una gravidanza va incontro ad una serie di modifiche fisiologiche che durano 40 settimane all’incirca e che servono prima a far crescere il feto all’interno del suo utero, poi a partorire e a nutrire il bambino. La possibilità di partorire spontaneamente per via naturale è, come dice la parola stessa, naturalmente legata alla gravidanza. Nonostante ciò è un dato di fatto che nelle gravidanze ottenute da ovodonazione la maggior parte delle donne partoriscono mediante taglio cesareo. Esistono dei casi in cui è necessario sottoporsi a questo intervento chirurgico e non c’è assolutamente modo di partorire per via vaginale e sono i casi in cui si riscontrano anomalie di inserzione della placenta, presentazioni del feto anomale e gravidanze gemellari in cui i feti non sono messi entrambi in maniera cefalica. In tutti gli altri casi è preferibile partorire per via vaginale a meno che non ci sia qualche impedimento valutato però dall’esperto Ginecologo o da altri Specialisti che hanno o hanno avuto in cura la paziente.

Le donne che hanno affrontato il percorso di ovodonazione spesso considerano il parto come un ulteriore rischio per questa gravidanza preziosa; in realtà sia per la mamma che per il bambino il parto vaginale è consigliabile. Il taglio cesareo è un intervento chirurgico e come tale ha in sé dei rischi e comporta un tempo di ripresa più lungo rispetto ad un parto vaginale. Inoltre una donna che ha subito un taglio cesareo deve aspettare necessariamente un tempo concordato con il ginecologo prima di riaffrontare un’altra gravidanza Per il bambino il parto vaginale consente un adattamento migliore al mondo esterno.

L’allattamento poi è un altro processo fisiologico che avviene dopo la gravidanza. Sono veramente pochi i casi in cui la donna non può allattare per problemi medici. È buona norma provare ad avviare l’allattamento iniziandolo il prima possibile dopo il parto, è un periodo delicato in cui la mamma e il bambino devono impiegare tante risorse e metterci tanta pazienza. Nelle gravidanze da ovodonazione il processo della lattazione è uguale alle mamme rimaste incinta spontaneamente o con una procreazione assistita di tipo omologo. È consigliato dunque provare ad allattare per più tempo possibile, fa bene alla mamma proteggendola poi in futuro anche da tumori e fa bene al bambino che riceve i nutrimenti adeguati e gli anticorpi necessari per la crescita. Infine è bene ricordare che il latte viene facendo succhiare il bambino quindi pazienza e continuate a provarci!

 

Dott.ssa Laura Badolato