Mese: Dicembre 2017

Le donne in procinto di sottoporsi ad un trattamento di Riproduzione Assistita devono essere adeguatamente immunizzate prima della gravidanza per evitare malattie prevenibili

Le donne che si sottopongono ad un trattamento di Riproduzione Assistita devono vaccinarsi contro l’influenza se affette da patologie che aumentano il rischio di complicanze da influenza o se desiderano evitare la malattia influenzale e non abbiano specifiche controindicazioni.

  • Prima di sottoporsi ad un trattamento di riproduzione assistita si raccomanda la vaccinazione contro la rosolia, mediante vaccino MPR, se la donna non è immunizzata avvisandola di evitare una gravidanza per il mese successivo.
  • La vaccinazione contro la pertosse, mediante vaccino dTp, è consigliata al terzo trimestre di ogni gravidanza (idealmente alla 28a settimana)

All’inizio del trattamento è raccomandata la vaccinazione contro l’influenza. La Dottoressa Daniela Galliano, Responsabile del Centro IVI di Roma, spiega che “le donne sottoposte a trattamento di riproduzione assistita, se presentano un rischio, devono essere trattate esattamente come il resto della popolazione. Mi riferisco, ad esempio, ad una malattia cronica cardiovascolare o respiratoria o al diabete o ad altre patologie indicate nella Circolare ministeriale annuale per la prevenzione e il controllo dell’influenza. In questi casi si raccomanda la vaccinazione”.

Nelle cliniche IVI, i ginecologi seguono le indicazioni del Ministero della Salute e raccomandano la vaccinazione antinfluenzale alle donne che si trovano nel secondo e terzo trimestre di gravidanza, soprattutto a quelle il cui parto è previsto per l’inverno. Secondo la Dottoressa Galliano, “Il vaccino antinfluenzale protegge la mamma, riducendo il rischio di ricovero almeno del 50% e il bambino, riducendo significativamente i casi di malattia e di otite nei primi due mesi di vita”.

“La vaccinazione contro l’influenza – prosegue la Dottoressa Galliano – rappresenta il mezzo più efficace e sicuro per prevenire la malattia e le sue complicanze. Nel primo trimestre di gravidanza, in assenza di condizioni mediche predisponenti che rendano imperativa la vaccinazione antinfluenzale, questa deve essere subordinata ad una attenta valutazione del rapporto rischio beneficio da parte del medico curante”.

Altri vaccini prima della gravidanza

Rispetto ad altri vaccini che preoccupano le pazienti, la Dottoressa Galliano assicura che nelle analisi da fare prima dei trattamenti di riproduzione assistita è incluso lo stato di immunità per la rosolia e per l’epatite B.

“La prima è compresa nel calendario vaccinale delle bambine, ma accade che donne adulte non siano immunizzate. In questo caso si raccomanda di vaccinare e di attendere un mese prima di iniziare il trattamento di riproduzione assistita, dato che il vaccino è a virus vivi attenuati, informa la Responsabile del Centro IVI di Roma.

Per quanto riguarda il vaccino per l’epatite B, gli specialisti dell’Istituto Valenciano di Infertilità consigliano di somministrarlo in generale in gruppi con fattore di rischio, specialmente personale sanitario, ma se questo non esiste, puntualizzano che non è necessario.

E durante la gravidanza… 

Oltre all’influenza, dal 2015 il Ministero della Sanità raccomanda alle donne incinte di vaccinarsi ad ogni gravidanza contro la pertosse nel terzo trimestre di ogni gravidanza (idealmente alla 28a settimana) mediante il vaccino combinato difterite-tetano-pertosse. Secondo la Dottoressa Daniela Galliano, “è stato dimostrato che in questo modo si proteggono i bambini minori di tre mesi da questa infezione respiratoria che può essere gravissima nel neonato”.

Tuttavia, durante la gravidanza sono “controindicati i vaccini contro morbillo, rosolia, parotite, varicella, da un mese prima della gestazione e durante tutta la stessa, poiché potrebbero provocare un’infezione fetale”, conclude la Dottoressa Galliano, malgrado questa evenienza non rappresenti una indicazione a un eventuale aborto.

Molto spesso capita, allo psicologo che opera nei reparti di PMA, d’incontrare coppie tormentate da dubbi e domande, che se non vengono accolte e ragionate insieme alla coppia stessa, rappresentano un vero ostacolo al successo del percorso procreativo. Nei lavori precedenti ho cercato di mettere in luce i vissuti delle coppie che intraprendono i percorsi di PMA dando alcune risposte ai loro quesiti. “Cosa raccontare al bambino?È giusto parlarne con gli altri? E se anche questo tentativo fallisse?

Nel presente lavoro mi dedichèrò di più a fornire un’analisi delle domande che emergono invece nei percorsi di fecondazione eterologa assistita mettendo in luce alcune differenze importanti in termini emotivi tra un tipo di percorso e l’altro. Il ricorrere alle tecniche di PMA indica l’importanza data dalla coppia al mantenimento di un vincolo biologico con il figlio, che ricorrendo alla fecondazione eterologa in parte si perderebbe, un po’ come avviene nelle genitorialità adottive. Il ricorrere al seme di un donatore esterno alla coppia per procreare il figlio tanto immaginato e desiderato, richiede alla persona di doversi confrontare fino in fondo con il fallimento di un progetto procreativo che affonda le sue origini fin dai primi anni della vita di un individuo, e da alcuni anni nella vita della coppia. In tali casi la situazione della sterilità assume le sembianze di quella del lutto (Vegetti Finzi, 1997). La persona, di fronte alla prospettiva di ricorrere ad una fecondazione eterologa, non solo deve elaborare il lutto della possibilità di generare un prolungamento di se stesso, attraverso una genitorialità biologica, ma deve anche sopportare l’idea che sia qualcun altro esterno/estraneo alla coppia, a poterlo realizzare al proprio posto, o al posto del proprio partner.

Assistiamo a questo punto allo sviluppo di una serie di sensazioni che hanno a che fare con il crollo dell’autostima, vissuti paranoici e sentimenti d’impotenza e d’esclusione. La prospettiva di ricorrere al gamete di un donatore esterno alla coppia per poter realizzare il progetto procreativo ideato con il proprio partner rappresenta un vero attacco all’immagine di Sé e all’ideale dell’Io. La stabilità della coppia viene minacciata dall’insorgenza di ulteriori insicurezze che rappresentano una minaccia vera e propria al progetto originario della coppia stessa. Il superamento dell’empasse procreativo dipende da molteplici fattori, in particolare la personalità dell’individuo e l’equilibrio che la coppia riesce a mantenere.

Lo psicologo in questi casi ha il dovere di aiutare la coppia a riflettere sulla possibilità di intraprendere un ciclo di fecondazione eterologa, come sulla possibilità di intraprendere altre scelte. Lo psicologo deve porre molta attenzione alle domande sollevata dalla coppia, perché proprio attraverso queste domande potrà verificare la consapevolezza della scelta indicata dalla coppia e aiutare i partner a sostenersi durante un percorso estremamente delicato. “È giusto ricorrere alla fecondazione eterologa? In tal caso il bambino a chi somiglierà? Gli vorrò’ bene come fosse mio?” Sono domande estremamente complesse che esprimono principalmente la difficoltà, almeno in uno dei due partner, di superare il desiderio di avere un figlio biologico, “un figlio che lo somigli”. Rinunciare ad una genitorialità biologica rappresenta un passaggio estremamente delicato e complesso: l’esperienza della fecondazione eterologa richiede alla coppia la capacità di tollerare la presenza dei genitori biologici del bambino, presenza che pur non essendo concreta può diventare, in alcuni momenti, invadente e suscitare ansia e sentimenti di perdita rispetto ad un rapporto esclusivo con il figlio.

Sebbene la legge preveda la riservatezza assoluta del donatore, da un punto di vista psicologico non è sempre possibile per la coppia ricevente cancellare la storia biologica del bambino. Il genitore, nella costruzione del legame con il proprio bambino ha bisogno di riconoscersi anche negli aspetti somatici del bambino, non a caso le caratteristiche somatiche della coppia ricevente vengono abbinate attentamente a quelle del donatore. “E’ chiaro che avrei preferito che mi somigliasse in tutto- afferma sorridendo Marco durante un colloquio- ma sono convinto che ci si affeziona stando nella relazione…i figli sono di chi li cresce”. Effettivamente Marco fa riferimento ad un concetto più allargato di genitore; dove la parola “genitore” significa qualcosa di molto più impegnativo che generare in senso biologico un figlio. Genitore è colui che con la propria dedizione amorosa consente lo sviluppo armonico del bambino. Basti pensare a quanti, da Winnicott a Bowlby, hanno affermato che “non esiste un bambino da solo, ma sempre un bambino col genitore”.

Dottoressa Petrozzi

La gravidanza da ovodonazione è un argomento molto dibattuto negli studi scientifici eseguiti in ambito ostetrico negli ultimi anni. Tutti gli esperti sono però concordi nel pensare che la gravidanza ottenuta da ovodonazione sia per definizione ad alto rischio in quanto la donna si trova ad accogliere un patrimonio genetico completamente diverso rispetto al suo; pertanto l’adattamento del corpo può essere più difficoltoso. Tutto questo perché normalmente l’organismo femminile quando accoglie il prodotto del concepimento riconosce il bambino per metà geneticamente uguale a sé stesso e per metà estraneo in quanto uguale al padre; per questo motivo il sistema immunitario mette in atto una serie di modifiche per accogliere quello che è estraneo e favorire la crescita del feto. Nelle ovodonazioni questo meccanismo può non essere perfetto in quanto è più difficoltoso da affrontare; il corpo della donna non riconosce più una parte genetica uguale a sé stessa ma ha un bambino con dei geni completamente diversi da crescere e nutrire. La placentazione, ovvero la crescita della placenta organo che nutre il bambino, può essere difficoltosa e questo può poi comportare lo sviluppo di patologie mediate dalla placenta come la pre-eclampsia o il ritardo di crescita fetale in utero. Nonostante ciò la cosa importante da fare è essere seguiti da una figura professionale esperta in gravidanze a rischio che conosca questi rischi e che gestisca al meglio questa gravidanza così preziosa.

La possibilità al giorno d’oggi di eseguire esami ecografici che ci dicono come si sta adattando l’utero della donna alla nuova gravidanza permette poi, al medico ginecologo, di valutare oltre agli esami ematici e alle caratteristiche anamnestiche questo nuovo dato, per decidere se c’è necessità di eseguire terapie farmacologiche che aiutino lo sviluppo placentare nella paziente. È consigliato infatti intervenire per tempo qualora ci sia un problema per ridurre la possibilità di sviluppare le patologie di cui prima parlavamo.

Il rischio nelle gravidanze da ovodonazione è naturalmente collegato anche all’età in cui queste gravidanze si affrontano. Spesso le donne che ricorrono alla donazione degli ovociti sono di età avanzata o in stato menopausale e si è visto che queste donne sono più a rischio rispetto alle donne più giovani; proprio per questo motivo in Italia è sconsigliata l’esecuzione di questa tecnica nelle donne che hanno oltrepassato i 50 anni di età.

 

Dott.ssa Laura Badolato

 

Nei percorsi di ovodonazione è prevista la figura professionale di una psicologa che sostenga la coppia e la affianchi in questo tipo di percorso. I dubbi e le incertezze che possono pervadere le coppie che intraprendono questa strada sono tanti e molto spesso parlare con persone competenti aiuta più del previsto.

Le coppie che si approcciano ad un percorso di ovodonazione sono tante e spesso hanno vissuti differenti; alcune di loro non hanno mai affrontato un trattamento di procreazione medicalmente assistita altre invece si portano dietro una lunga e dolorosa esperienza di tentativi fallimentari. Tutte però hanno un carico emotivo rilevante con cui affrontano questa nuova esperienza.

La maternità è un cambiamento importante nella vita di una donna e nelle dinamiche di coppia, ancor più se ottenuta con tanto sacrificio. L’ovodonazione poi, spesso fa sorgere dubbi riguardo alla scelta fatta, a come si può metabolizzare nell’interno della coppia e a come si affronterà l’argomento con un figlio un domani.

Le coppie che si ritrovano in percorsi di fecondazione assistita spesso si auto-aiutano creando delle reti di collegamento tramite chat o siti internet per confrontare le proprie esperienze e cercare consiglio sul percorso migliore da fare.

Ogni centro di fecondazione assistita dispone di una figura professionale specializzata in supporto psicologico. Negli ultimi anni sempre più psicologi e psicoterapeuti si sono specializzati nel fornire supporto e aiuto ai pazienti con questo particolare vissuto. La delicatezza dell’argomento e soprattutto la unicità del percorso terapeutico fa si che spesso sia di grande aiuto chiedere un supporto per elaborare il tutto. È infatti vero che il percorso di ovodonazione è uguale per tutte le donne ma è importante sottolineare che ogni coppia ha una propria storia e affronta il percorso in maniera differente. È per questo che è consigliato parlarne e serenamente scegliere di essere accompagnati in questo grande cambiamento che porterà alla formazione di una nuova famiglia.

 

Dott.ssa Laura Badolato