Fertilità femminile, gravidanza e sport sono strettamente legati tra loro.
I periodi in cui si cerca il concepimento e si porta avanti una gestazione sono tra i più delicati nella vita di una donna e, contrariamente a quanto si possa pensare, rappresentano un’occasione preziosa per continuare o cominciare a prendersi maggiore cura di sé praticando attività fisica.
Il movimento infatti migliora la salute generale e quella riproduttiva, quindi è molto importante per chi cerca una famiglia. I vantaggi sono molteplici. Innanzitutto, aumenta il dispendio energetico essenziale ai fini del controllo del peso corporeo, e sono ben noti gli effetti dell’obesità sulla fertilità. Inoltre, riduce la frequenza di malattie croniche come quelle cardiovascolari, il diabete e l’ipertensione arteriosa. Non serve ricordare quanto sia importante una corretta vascolarizzazione per migliorare la funzionalità dell’apparato riproduttivo, di come il diabete possa interferire con la fertilità e come l’ipertensione rappresenti un rischio, in generale, e per la gestazione in particolare.
L’attività fisica migliora la mineralizzazione ossea, che contribuisce alla prevenzione di osteoporosi, una protezione in più in vista di gravidanza e allattamento.
Non ultimo, migliora la salute mentale, riduce stress e ansia, migliora la qualità del sonno e dell’autostima, tutti fattori importanti in una donna che sta percorrendo il cammino della PMA, notoriamente complesso dal punto di vista emotivo.
Anche lo sport in gravidanza presenta molteplici vantaggi sia per la madre che per il nascituro. Agisce infatti favorendo una buona circolazione con effetti benefici sul feto e riducendo il rischio di condizioni come il diabete gestazionale, la pre-eclampsia, la nascita pretermine, le varici venose e la trombosi delle vene profonde.
Inoltre, aiuta a tenere sotto controllo il peso corporeo, un problema molto sentito dalle gestanti, consapevoli dei pericoli dell’aumento ponderale eccessivo. Infine, contribuisce a gestire meglio l’impatto psicologico di un periodo così complesso, concorrendo a ridurre stanchezza, ansia e stress e ad aumentare il buon umore.
I consigli
Per poter usufruire di questi e altri vantaggi per la salute, è sufficiente un po’ di forza di volontà. Sforzi eccessivi possono essere controproducenti, se non controindicati, ma un allenamento regolare consente di raggiungere i vantaggi citati.
Non tutti gli sport vanno bene, sia in previsione del concepimento, anche con la PMA, sia durante la gravidanza: da evitare la pesistica della palestra, l’aerobica ad alto impatto, lo spinning, il tennis, la pallavolo e tutte quelle attività che comportano affaticamento, saltelli, rischi di urti. Vanno benissimo la ginnastica dolce, lo yoga, il pilates, gli esercizi moderati in acqua e, ovviamente, le passeggiate.
Un consiglio, solo all’apparenza scontato, è quello di scendere un po’ prima dai mezzi o di parcheggiare l’auto più lontano del solito: camminare è estremamente naturale e salutare per il corpo.
Nel complesso, raccomanda il Ministero della Salute, le future mamme dovrebbero praticare almeno 150 minuti di attività fisica a intensità moderata ogni settimana (o 30 minuti per 5 giorni), cominciando gradualmente.
La fertilità femminile subisce una riduzione significativa a causa dell’età. Dopo i 35anni le possibilità di concepimento spontaneo diminuiscono e aumenta il rischio di aborto. Purtroppo, le tecniche di fecondazione in vitro non garantiscono il successo riproduttivo, anche se lo facilitano, con efficacia diversa a seconda della metodica e dell’età della donna.
Età femminile e invecchiamento riproduttivo
Attualmente in Europa l’età materna media alla prima gravidanza si avvicina a 30 anni e molte donne partoriscono il primo figlio a 35 anni o più. Si tratta di dati allarmanti, se si pensa che nella donna il declino della fertilità inizia a 25-30 anni e diventa significativo dopo i 35anni. L’età media femminile al momento dell’ultima gravidanza è 40-41anni.
La fertilità femminile dipende dalla riserva ovarica, che rappresenta il numero delle cellule uovo presenti in entrambe le ovaie in un dato momento. La riserva ovarica nel corso della vita della donna va incontro a un progressivo declino fino a esaurirsi con la menopausa. Tuttavia già 5-10 anni prima della menopausa, quando la riserva ovarica è ormai severamente compromessa, iniziano la subfertilità e poi l’infertilità.
La riduzione del numero degli ovociti va di pari passo con il deterioramento della loro qualità: questo aumenta il rischio di anomalie genetiche all’interno degli ovociti e, di conseguenza, degli embrioni. Basti pensare che il rischio di trisomia 21 (sindrome di Down) arriva a 1 su 106 nelle donne di 40anni, 1 su 30 nelle donne di 45anni. Inoltre, le anomalie genetiche sono la più frequente causa di aborto.
Se è vero che la riserva ovarica decresce progressivamente in tutte le donne, esiste però una certa variabilità tra donne di pari età. Una riserva ovarica molto ridotta in alcuni casi può essere esito di un danno, causato per esempio da chirurgia ovarica o chemio- e radioterapie, ma nella maggior parte dei casi una riserva ovarica ridotta è solo una variante fisiologica.
La riserva ovarica è misurabile grazie a indicatori (markers) ormonali ed ecografici. Quelli usati più comunemente nella pratica clinica sono gli ormoni FSH e AMH, misurabili nel sangue, e la misurazione ecografica dei follicoli antrali presenti nelle ovaie (AFC), che viene effettuata tramite una normale ecografia ginecologica.
I tre maggiori fattori che influenzano la probabilità di gravidanza spontanea sono:
l’età femminile, di cui si è già parlato
il tempo di ricerca della gravidanza – La probabilità di avere un concepimento spontaneo si riduce tanto più quanto più si allunga l’intervallo di tempo di ricerca della gravidanza: dopo 48 mesi, il 5% delle coppie è definitivamente infertile, con possibilità di gravidanza spontanea vicino allo zero.
la presenza di uno o più fattori di infertilità. – Tra i fattori di infertilità, quelli più sfavorevoli per il concepimento spontaneo sembrano la patologia tubarica e il fattore maschile.
Nel mondo occidentale, la continua tendenza a posticipare l’età in cui la donna ricerca la prima gravidanza, tendenza che ha il suo fondamento in motivi sociali ed economici, ha portato a un crescente bisogno di consultazioni mediche finalizzate alla diagnosi e al trattamento dell’infertilità.
Purtroppo la maggior parte delle donne non è consapevole del fatto che posticipare le nascite aumenta il rischio di infertilità. Inoltre, numerose donne credono erroneamente che il trattamento dell’infertilità con la procreazione medicalmente assistita (PMA) e le tecniche di fecondazione in vitro (IVF) possa garantire il successo riproduttivo.
In realtà, la PMA offre pochissimo aiuto nelle donne di età avanzata. Il registro nazionale italiano per la PMA relativo all’anno 2016 mostra che le possibilità di gravidanza dopo il primo ciclo IVF calano progressivamente con l’aumentare dell’età della donna, passando dal 24% per le pazienti di età <35anni al 4,5% per le pazienti di età ≥43 anni. Inoltre, con l’aumento dell’età femminile aumenta drammaticamente la percentuale di gravidanze con esito negativo (aborti spontanei, aborti terapeutici, gravidanze extrauterine, morti fetali endouterine), che arriva al 53% nelle pazienti di età ≥43 anni.
Il motivo dell’insuccesso riproduttivo sta nella riduzione della riserva ovarica. L’utero invecchia molto meno delle ovaie. Quando la riserva ovarica è fortemente ridotta, è molto difficile recuperare dalle ovaie un numero sufficiente di uova di buona qualità, anche se si stimolano le ovaie con una terapia ormonale ad alti dosaggi. Recuperando pochi ovociti, è improbabile ottenere con la fecondazione in vitro embrioni di buona qualità che possano essere trasferiti in utero. Di conseguenza, nelle donne di età avanzata una grande quantità di cicli IVF viene cancellata.
Qualora si riesca a effettuare il trasferimento degli embrioni, le possibilità di ottenere una gravidanza evolutiva sono comunque basse. Infatti, con l’aumento dell’età femminile, aumenta la percentuale di embrioni con anomalie genetiche, che andranno incontro a mancato impianto o aborto.
Per concludere, non è consigliabile posticipare l’inizio della ricerca della gravidanza a un età troppo avanzata e, nel momento in cui emergono difficoltà riproduttive, è bene rivolgersi immediatamente a uno specialista di medicina della riproduzione. Il passare del tempo è infatti deleterio sulle possibilità di successo, anche ricorrendo alle tecniche di PMA.
Dott. ri Giulini S. e Grisendi V.
Centro di Medicina della Riproduzione, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche materno-infantili e dell’adulto, Struttura complessa di Ostetricia e Ginecologia, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Policlinico di Modena
Le varie tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) hanno avuto uno sviluppo molto importante negli ultimi anni, soprattutto nell’ambito di laboratorio, coltura embrionale prolungata, sviluppo e metodo di scelta degli embrioni e delle blastocisti.
Ancora sono da stabilire i fattori che regolano il momento ottimale nel quale può avvenire l’impianto e i meccanismi endometriali che favoriscono la gravidanza. Sappiamo però che la cavità uterina gioca un ruolo molto importante nell’esito finale della gravidanza. E sicuramente l’attenzione nella valutazione della cavità uterina prima delle tecniche di procreazione medicalmente assistita guadagna sempre più spazio nelle cliniche di infertilità.
L’utilizzo dell’isteroscopia diagnostica come metodo di screening di base nella popolazione infertile deve essere ancora stabilito. Negli ultimi anni la tecnica si è diffusa ampiamente nell’ambito ginecologico in generale ma soprattutto nei centri di procreazione medicalmente assistita – PMA. L’evoluzione tecnologica, la standardizzazione della tecnica, la minima invasività, l’aumento della sicurezza, suggerisce che l’uso di questa tecnica ha un ruolo fondamentale nella investigazione della cavità uterina delle pazienti infertili e soprattutto in quelle con fallimenti di impianto e in casi di aborti ricorrenti. Se possibile, al momento della diagnosi della patologia uterina, queste patologie possono essere trattate nella stessa seduta, con un minimo fastidio per la paziente, anche in situazione ambulatoriale. L’isteroscopia di “screening” dovrebbe essere comunque eseguita prima di decidere di includere le pazienti in un programma di Fecondazione in Vitro (FIV). Ciò allo scopo di ridurre al minimo qualsiasi influenza negativa che una patologia uterina potrebbe avere sull’esito della FIV.
Graffio o “scratching” endometriale o “endometrial injury”:
Questa tecnica ha l’obiettivo di migliorare la recettività endometriale e di conseguenza ottenere un maggior tasso di impianto degli embrioni dopo un ciclo di FIV.
Consiste nel “graffiare” la parete interna uterina, l’endometrio. Potdar N et al 2012 e Nastri CO et al 2015, hanno dimostrato che l’eseguire lo scratching o graffio endometriale nel ciclo precedente al trattamento di FIV migliora il tasso di gravidanza e di nascita in pazienti con precedente fallimento di impianto. Questo è stato confermato anche da uno studio successivo (Siristatidis C et al 2017).
Più incerti i risultati di un’ultima metanalisi (Van Hoogenhuijze NE et al. 2019) sullo “scratching” endometriale prima del ciclo di FIV, secondo i quali non è certo che il graffio effettivamente migliori l’outcome riproduttivo. Saranno necessari altri studi controllati randomizzati per definire l’effettivo beneficio della tecnica e la tipologia di pazienti per i quali è da consigliare.
Dott.ssa Cristiana Allodi Quartim Barbosa
Medico ginecologo del centro Procreazione assistita Demetra – Firenze
L’isteroscopia diagnostica aiuta a contrastare l’infertilità e a salvaguardare la salute intima.
Infatti, permette di correggere le patologie uterine evidenziabili dall’ecografia transvaginale come i polipi endometriali e cervicali, l’iperplasia endometriale o l’ispessimento endometriale e i fibromi sottomucosi. Inoltre, è capace di diagnosticare patologie oscure all’ecografia come l’endometrite cronica e le aderenze intracavitarie.
I polipi endometriali
I polipi endometriali sono patologie benigne uterine caratterizzate dalla crescita delle ghiandole endometriali. Sono molto frequenti nella popolazione femminile con prevalenza tra 7,8 a 34,9% delle pazienti con un aumento dopo la menopausa. Nelle pazienti infertili arrivano a rappresentare il 32% delle patologie endocavitarie. Innumerevoli autori concordano sul fatto che la presenza dei polipi endometriali nella cavità uterina possono eventualmente interferire con la fertilità. Normalmente non portano sintomi ma possono anche portare a irregolarità mestruale, perdite al di fuori del flusso oppure aumento del flusso mestruale. I meccanismi attraverso i quali i polipi endometriali potrebbero interferire con la fertilità non sono ancora ben chiari. Alcuni suggeriscono un effetto meccanico, per la diminuzione del volume intracavitario. Tanti autori postulano infine un aumento del tasso di gravidanza dopo la rimozione del polipo soprattutto prima del trattamento di FIV.
I fibromi uterini
I fibromi o miomi uterini sono patologie benigne dell’utero composti da muscolo liscio. Possono essere asintomatici, oppure manifestarsi con dolore o aumento delle perdite mestruali. In letteratura ci sono tanti lavori che suggeriscono l’impatto negativo di queste patologie nelle pazienti infertili. Nel 2009 Pritts et al. hanno dimostrato che la presenza dei fibromi intracavitari comportano la diminuzione del tasso di gravidanza, impianto e nascita, inoltre aumentano il tasso di aborti. Nel 2010 Sunkara et al. hanno condotto una revisione bibliografica nella quale hanno valutato 6.087 cicli di FIV e hanno dimostrato che la presenza di fibromi che non alterano l’anatomia della cavità uterina possono comunque causare una diminuzione del tasso di gravidanza, impianto e nascita, penalizzando i risultati della FIV nelle pazienti che li hanno rispetto a quelle che ne sono prive. Una revisione bibliografica (Bosteels et al. 2015) suggerisce che vi sia un beneficio della rimozione dei fibromi, e che questo intervento aumenti la probabilità di gravidanza in pazienti che non hanno altre cause di infertilità.
Le malformazioni uterine
In alcune patologie uterine, come per le malformazioni uterine, l’ecografia transvaginale in 3D è lo strumento “gold standard” per la diagnosi e ha permesso un linguaggio universale per definirle ed eventualmente promuovere le sue correzioni, se possibili, tramite isteroscopia operativa. Soprattutto nei casi di fallimenti pregressi di tentativi di gravidanza, la correzione delle malformazioni uterine potrebbe avere un ruolo importante.
Dott.ssa Cristiana Allodi Quartim Barbosa
Medico ginecologo del centro Procreazione assistita Demetra – Firenze
L’Isteroscopia consiste in un’indagine endoscopica minimamente invasiva nella quale si introduce un’ottica collegata a una telecamera che passa all’interno della vagina senza l’utilizzo dello speculum (vaginoscopia), attraverso il canale cervicale, e che permette infine di visualizzare la cavità uterina. Soprattutto nelle pazienti che hanno il sospetto di una patologia all’ecografia: polipi, fibromi, malformazioni uterine oppure patologie nascoste (non visibili dall’ecografia transvaginale) come l’endometrite cronica o le aderenze uterine.
Questo esame può essere di grande importanza come indagine preliminare prima di un ciclo di procreazione medicalmente assistita; sia per la diagnosi che per l’eventuale correzione di suddette patologie. L’isterescopia è particolarmente utile soprattutto dopo uno o più fallimenti di impianto, oppure in caso di più aborti.
I vantaggi dell’isterescopia
L’isteroscopia diagnostica permette:
Importante metodo di screening delle copie infertili
Scarsa invasività e sicurezza della procedura
Visione diretta della cavità uterina
Risoluzione di patologie interne alle cavità, come quella uterina
Migliorare l’outcome riproduttivo
Possibilità di eseguirla in tempi brevi e a costi accessibili
La procedura è ben tollerata
Per quanto riguarda il dolore o fastidio delle pazienti, l’isteroscopia è una procedura diagnostica semplice, di breve durata e tollerata bene dalla maggioranza delle pazienti. Il metodo “See and Treat” permette, in mani esperte, di eseguire sia la diagnosi che la risoluzione nello stesso atto diagnostico/chirurgico. Sebbene, un centro di procreazione medicalmente assistita, dovrebbe avere a disposizione il personale adeguato pronto a intervenire nel caso di dolore o reazioni vagali delle pazienti. Cresce comunque il concetto che la paziente deve poter eseguire la procedura senza sentire male o avere importanti reazioni fisiche.
Conclusioni
L’isteroscopia diagnostica è una tecnica minimamente invasiva, può essere eseguita ambulatorialmente senza anestesia, così che i vantaggi della diagnosi e trattamenti superino ampiamente i costi della procedura. È un utile strumento di appoggio per la corretta diagnosi e per la correzione di patologie uterine soprattutto nelle pazienti infertili e che necessitano delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, con l’intento di migliorare l’outcome riproduttivo e la qualità di vita delle nostre pazienti.
Dott.ssa Cristiana Allodi Quartim Barbosa
Medico ginecologo del centro Procreazione assistita Demetra – Firenze
L’endometrite cronica è una condizione infiammatoria persistente della mucosa endometriale, sempre più di frequente si è riscontrato che è associata ad infertilità: la diagnosi è complessa ma l’isterescopia può rappresentare un valido aiuto.
L’endometrite cronica si presenta quasi sempre come patologia asintomatica. Potrebbe manifestarsi con sintomi come sanguinamento uterino anomalo, spotting o leggere perdite di sangue, dolore pelvico, rapporti sessuali dolorosi, perdite vaginali o leucorrea. L’endometrite cronica è caratterizzata per la presenza di plasmacelulle (CD138) nello stroma endometriale, che normalmente non si incontrano in questo tessuto. Queste alterazioni del tessuto endometriale potrebbero modificare il microambiente uterino e alterare di conseguenza la recettività endometriale.
Cause
L’endometrite cronica può insorgere per cause esterne, come la presenza di:
IUD (dispositivo intra uterino),
patologie come polipi, fibromi, tessuto placentario ritenuto, aborto incompleto,
radioterapia
infezioni micotiche o, più frequentemente, quelle batteriche.
In particolare, le infezioni batteriche sono le cause più frequenti di questa patologia.
L’utero non è una cavità sterile. L’endometrio è soggetto a esposizione batterica per via ascendente durante le diverse fase del ciclo, il periodo mestruale e la gravidanza. Anche il seme maschile può veicolare i batteri, durante i rapporti sessuali. Sicuramente esiste un equilibrio tra la presenza di questi agenti e il microambiente uterino che non necessariamente determina la presenza della patologia infiammatoria cronica (Romero et al 2004 e 2015).
Una malattia poco nota
L’endometrite cronica è una patologia nascosta: è ancora poco conosciuta e, soprattutto, priva di linee guida per il suo management.
Negli ultimi anni sono aumentate le evidenze scientifiche che associano l’endometrite cronica ai problemi della procreazione. La prevalenza di questa malattia è molto variabile e va dallo 0,5 al 15% nella popolazione in generale; pare invece molto più frequente in quella infertile dove la percentuale sale dal 12 al 46% (Takebayashi et al, Plos One 2014). In particolare, si trova nel 28% delle pazienti con infertilità senza causa nota, nel 30% delle pazienti con fallimento di impianto ripetuto e nel 13% degli aborti ricorrenti (Kitaya et al, 2018). Ciononostante, normalmente è sottovalutata nella popolazione infertili.
Cosa fare?
La diagnosi di endometrite cronica è complessa visto che è una malattia spesso silente. Inoltre, le tre principali modalità di diagnosi sono estremamente variabili e soggettive. La visita ginecologica bimanuale e l’ecografia transvaginale non permettono di riconoscerla correttamente. Al momento, per la diagnosi si ricorre all’esame istologico (Park 2016 e Kannar 2012). L’isteroscopia potrebbe rappresentare il metodo di scelta per la ricerca e l’eventuale conferma macroscopica e istologica della patologia, dato che permette la sua visualizzazione e biopsia mirata (Groth JV et al, 2018).
La terapia antibiotica può curare l’endometrite cronica nella maggioranza dei casi, fino all’80% dei casi dopo un solo ciclo di cura (Vitagliano et al 2018 e Kasius et al 2011). Gli ottimi risultati terapeutici dovrebbero indurre a indagare, nei casi sospetti, la presenza di questa patologia, anche perché risolvere questo problema permette l’aumento del tasso di gravidanza clinica e di nascita.
Dott.ssa Cristiana Allodi Quartim Barbosa
Medico ginecologo del centro Procreazione assistita Demetra – Firenze
Le aderenze uterine (o sinechie) rappresentano una patologia acquisita, caratterizzata dalla formazione di tessuto cicatriziale, aderenze, tra le pareti uterine che si accollano l’una all’altra in un modo più tenue oppure più tenace: l’isterescopia può rappresentare un valido aiuto nella diagnosi e cura.
Le aderenze endocavitaria sono una delle cause di non crescita endometriale, scarso flusso sanguigno portando anche all’assenza completa del ciclo mestruale nei casi gravi. Non sono diagnosticabili con la normale ecografia transvaginale. L’isteroscopia diagnostica e soprattutto quella operativa per lisi di aderenze potrebbe rappresentare una possibilità per ripristinare l’anatomia regolare della cavità uterina.
Andrebbe eseguita nelle pazienti sottoposte a più raschiamenti uterini post aborto oppure nelle pazienti che sono state operate con apertura della cavità uterina come nei casi di miomectomia multipla. La sindrome aderenziale grave è conosciuta come sindrome di Asherman.
La difficoltà della diagnosi
Non tutte le patologie della cavità uterina sono diagnosticabili con l’ecografia transvaginale prima di un trattamento di procreazione medicalmente assistita (PMA): alcune, come le aderenze uterine, sono “oscure” e per individuarle è fondamentale ricorrere all’isteroscopia diagnostica un ruolo fondamentale per la sua diagnosi.
L’Isteroscopia consiste in un’indagine endoscopica poco invasiva nella quale si introduce un’ottica collegata a una telecamera che, passando all’interno della vagina e del canale cervicale, permette di visualizzare la cavità uterina. È particolarmente utile per diagnosticare patologie che non sono visibili con l’ecografia, nemmeno quella transvaginale. È un esame preliminare importante prima di un ciclo di PMA, soprattutto dopo uno o più fallimenti di impianto, oppure in caso di aborto ricorrente, qualora si sospetti la presenza di aderenze uterine, sia per la diagnosi sia per l’eventuale correzione.
Dr.ssa Cristiana Allodi Quartim Barbosa
Medico ginecologo del centro Procreazione assistita Demetra – Firenze
I fibromi sono i tumori ginecologici benigni più comuni nelle donne e il loro impatto sulla riproduzione e sull’infertilità è poco conosciuto. Nelle donne infertili, un’adeguata valutazione e classificazione dei fibromi, in particolare quelli che coinvolgono la cavità endometriale, è essenziale per stabilire la migliore strategia terapeutica.
Il fibroma uterino chiamato anche mioma, fibromioma o leiomioma è una formazione solida a carico della parete dell’utero: si tratta di un tumore benigno che origina dal tessuto muscolare e fibroso dell’utero. I fibromi sono generalmente ormono-dipendenti cioè crescono lentamente sotto lo stimolo degli ormoni femminili e dopo la menopausa tendono a regredire spontaneamente. È stato calcolato che circa il 20-50% delle donne in età riproduttiva ha un fibromioma uterino anche se la sua comparsa si verifica il più delle volte verso la fine della vita riproduttiva. Non sono stati individuati fattori ereditari mentre sono state osservate differenze razziali con predominanza rilevante della presenza di miomi nelle donne di colore. Le pazienti con fibromiomi uterini sono quelle che hanno portato a termine un minor numero di gravidanze e hanno meno figli rispetto alle coetanee ma non è del tutto chiaro se i fibromi siano la causa o la conseguenza della loro scarsa prolificità.
La diagnosi è semplice: la visita ginecologica può dare già indicazione ma è l’ecografia transvaginale che permette di valutare la presenza, il numero, la dimensione e la posizione dei fibromi. A volte, l’ecografia transvaginale 3D e la risonanza magnetica possono aggiungere accuratezza e precisione nella diagnosi. I fibromi si distinguono in base alla loro localizzazione in sottosierosi, nella parte più esterna dell’utero, intramurali, nello spessore della cavità uterina, sottomucosi, al di sotto dell’endometrio sporgenti nella cavità uterina, peduncolati, esterni all’utero o collegati a esso da un peduncolo.
Non è ancora chiara la relazione tra fibromi e infertilità ma è probabile che vi sia un impedimento di natura meccanica per occlusione dei corni uterini o per distorsione della cavità uterina. Inoltre, alterazioni del flusso ematico locale e un aumento del legame degli steroidi sul fibromioma a discapito del miometrio, possono dar luogo a fattori sfavorevoli locali che ne impediscono l’impianto. Allo stato attuale non è quindi chiaro il legame tra la presenza di fibromi uterini e l’infertilità ma i fibromi rappresentano sempre una grande preoccupazione sia per il medico che per la paziente.
La sede del mioma è molto importante perché incide in maniera diversa sulla fertilità. I miomi intramurali, adiacenti alla porzione intrauterina della tuba, possono portare alla chiusura di quest’ultima. I miomi sottomucosi alterano la forma dell’utero e soprattutto se sono molto protrudenti all’interno della cavità possono impedire l’impianto dell’uovo fecondato oppure essere causa di aborto dal momento che vengono a formare una zona fibrosa scarsamente vascolarizzata che non consente la sopravvivenza dell’embrione. I miomi intracavitari, cioè quelli che occupano la cavità uterina, possono impedire la progressione degli spermatozoi e anche l’impianto dell’embrione una volta avvenuta la fecondazione. I miomi sottosierosi e i peduncolati non sembrano influire negativamente sull’incidenza della gravidanza. Comunque, ai fini riproduttivi, il trattamento dovrebbe basarsi sulle seguenti considerazioni:
asportazione per via isteroscopica di miomi intracavitari e sottomucosi,
asportazione di miomi intramurali con dimensioni superiori ai 5 cm, soprattutto se alterano la forma della cavità uterina,
non intervenire assolutamente per nodi multipli di mioma intramurali a meno che non deformino sensibilmente la cavità uterina.
La personalizzazione del trattamento è comunque fondamentale per arrivare alla migliore strategia terapeutica.
Dott.Maurizio Cignitti
Responsabile Centro Medicina della Riproduzione Osp. Salesi Ancona
Bibliografia
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Munro MG et al, FIGO Working Group on Menstrual Disorders. FIGO classification system (PALM-COEIN) for causes of abnormal uterine bleeding in nongravid women of reproductive age. Int J Gynaecol Obstet. 2011;113(1):3-13
Purohit P, Vigneswaran K. Fibroids and Infertility. Curr Obstet Gynecol Rep (2016) 5:81–88
Wise LA, Laughlin-Tommaso SK. Epidemiology of Uterine Fibroids: From Menarche to Menopause. Clin Obstet Gynecol. 2016;59(1):2