Mese: Ottobre 2022

L’infertilità, definita come l’assenza di concepimento spontaneo dopo 1 anno di rapporti non protetti, colpisce il 15-20% delle coppie e fattori maschili sono presenti in circa la metà di questi casi. Quando non si riesce a trovare la causa delle difficoltà di concepimento si parla di infertilità maschile idiopatica.

Abbiamo chiesto al Dr. Emanuele Ferrante, Endocrinologo, di spiegare cosa è l’infertilità idiopatica maschile e cosa si può fare.

Lo studio del maschio infertile

Lo studio del maschio infertile prevede l’esecuzione di numerosi esami (vedi anche gli Articoli: “Infertilità di coppia: gli esami per l’uomo”; “Infertilità maschile: possibili cause e ruolo della prevenzione”; “Infertilità maschile: le terapie”), che vengono prescritti allo scopo di riconoscere e potenzialmente risolvere le cause che conducono ad una ridotta qualità e/o quantità del liquido seminale.
Secondo il manuale della WHO (World Health Organization) del 2021, i limiti inferiori di riferimento per i parametri dell’esame del liquido seminale sono i seguenti:

  • Volume: 1.4 ml
  • Concentrazione/ml: 16×106
  • Numero/eiaculato: 39×106
  • Motilità progressiva: 30%
  • Motilità totale: 42%
  • Forme tipiche: 4%
  • Test di vitalità: 54%
L‘infertilità maschile idiopatica

Anche dopo esecuzione di tutti gli esami necessari, in una significativa quota di maschi non si riesce a trovare la causa dell’infertilità: in questi casi si parla di infertilità maschile idiopatica. A livello puramente ormonale, questo si traduce nella presenza agli esami ematici di normali livelli di testosterone e di gonadotropine (LH e FSH), gli ormoni glicoproteici prodotti dalla ghiandola ipofisi e che regolano il funzionamento del testicolo. In particolare, nel caso dell’FSH, il valore è considerato normale se inferiore a 8 IU/L.

Le possibili strategie terapeutiche

Negli ultimi anni, sulle possibili strategie terapeutiche di questa condizione è stato posto molta attenzione.

È ormai chiaro che lo stile di vita gioca un ruolo fondamentale nella salute maschile, sia generale che sessuale. Bisogna quindi correggere alcune abitudini (ridurre il consumo di alcol, ridurre l’indice di massa corporea in caso di sovrappeso/obesità, aumentare l’attività fisica e cessare il fumo) che possono ridurre il potenziale di fertilità del maschio.

Le più recenti linee guida suggeriscono inoltre, in maschi che presentano una oligozoospermia (ridotto numero di spermatozoi) e/o una astenozoospermia (ridotta motilità degli spermatozoi) idiopatica, l’utilizzo di una terapia con FSH. Molti studi hanno mostrato che questa terapia, utilizzata solitamente alla dose di 150U da somministrare sottocute 3 volte alla settimana per 3-4 mesi, è in grado di migliorare in modo significativo il numero e la motilità degli spermatozoi, determinando così – cosa più importante – un aumento sia del tasso di gravidanza spontanea che del tasso di gravidanza ottenuto mediante tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA). Tuttavia, servono dati più precisi per determinare quale siano il dosaggio e la durata di terapia più efficaci nel migliorare il potenziale fertile.

Molta più incertezza esiste in merito all’utilizzo degli integratori a base di antiossidanti, che possono essere presi in considerazione in caso di pazienti con infertilità idiopatica ed elevato danno da stress ossidativo (che può essere stimato mediante il test di frammentazione del DNA spermatico). Questa incertezza nasce dalla diversa composizione dei molti integratori presenti in commercio e dall’alto grado di eterogeneità dei dati pubblicati in letteratura.

Il counseling è fondamentale

In ogni caso, è fondamentale che vi sia una collaborazione attiva tra tutte le figure professionali coinvolte (ginecologo, endocrinologo, uro-andrologo…) al fine di ottimizzare le tempistiche dei diversi interventi terapeutici e delle eventuali tecniche di PMA, dato che nelle problematiche relative alla fertilità di coppia il fattore tempo riveste un ruolo cruciale.

 

Bibliografia di riferimento

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WHO Laboratory Manual for the Examination and Processing of Human Semen, Sixth ed. 2021

Una volta eseguita correttamente la diagnosi di ipogonadismo (vedi l’articolo: “Ipogonadismo nel maschio: diagnosi e principali cause”), il passo successivo riguarda la decisione in merito all’inizio di una terapia sostitutiva, che ha lo scopo di migliorare i segni e i sintomi legati alla carenza ormonale.
I dubbi e le preoccupazioni dei pazienti in merito a questo argomento sono molti: facciamo il punto con il Dr. Emanuele Ferrante, Endocrinologo.

Quale terapia?

Solo nei casi in cui ci sia desiderio da parte del paziente di mantenere la fertilità, si opterà per una terapia a base di gonadotropine (vedi articolo “Infertilità maschile: le terapie”).

Nella maggior parte dei casi, la terapia si basa invece sulla somministrazione di testosterone, ossia l’ormone prodotto dal testicolo sotto stimolo delle gonadotropine (LH e FSH) rilasciate dall’ipofisi.

Prima di cominciare una terapia a base di testosterone, andranno tenuti in considerazione e presentati con chiarezza al paziente quelli che sono i possibili benefici e i rischi connessi alla terapia sostitutiva.

Cosa raccomandano le Linee Guida

Secondo le attuali linee guida, è opportuno valutare e riconoscere quelle condizioni che rappresentano una controindicazione alla terapia con testosterone:

  • Tumore della prostata e della mammella: la presenza di una patologia neoplastica già in atto al momento della diagnosi preclude la possibilità di iniziare la terapia con testosterone. In tutti gli altri casi, è opportuna una valutazione basale [esplorazione rettale, palpazione della mammella, dosaggio del PSA (antigene prostatico specifico)] prima di iniziare la terapia per escludere la presenza di fattori di rischio significativi (noduli palpabili, elevati valori di PSA) che richiedono ulteriori approfondimenti.
  • Elevazione dell’ematocrito: l’ematocrito è un esame del sangue che misura la percentuale del volume sanguigno occupata dai globuli rossi e può essere facilmente valutato con un prelievo del sangue (emocromo). La terapia sostitutiva con testosterone è controindicata quando elevati livelli di ematocrito (compresi tra il 50 e il 54%) sono presenti prima dell’inizio della terapia stessa e non deve essere proseguita se i livelli di ematocrito salgono oltre il 54%.
  • Insufficienza cardiaca: la terapia non va iniziata in presenza di una insufficienza cardiaca cronica di grado severo o in caso di infarto del miocardio avvenuto nei 6 mesi precedenti.
  • Sintomi da ostruzione delle basse vie urinarie: in modo analogo, in presenza di sintomi severi ostruttivi delle basse vie urinarie (disturbi del riempimento e dello svuotamento vescicale, disturbi post-minzionali) la terapia è controindicata dalla maggior parte delle linee guida, sebbene non sia dimostrato che la somministrazione di testosterone peggiori questi sintomi.
  • Sindrome delle apnee notturne: la terapia non deve essere iniziata in presenza di sindrome delle apnee notturne di grado severo non in trattamento.
Le terapie utilizzate in Italia

Eseguite le valutazioni basali ed esclusa la presenza di controindicazioni, è quindi possibile iniziare la terapia sostitutiva. In Italia si utilizzano preparati iniettabili intramuscolo a breve o lunga durata d’azione (fiale, da somministrare ogni 2-4 settimane oppure ogni 10-14 settimane, rispettivamente), oppure formulazioni in gel da applicare per via transdermica tutti i giorni, preferibilmente al mattino.

Rispetto ai preparati iniettabili a breve durata d’azione, con i quali i livelli di testosterone risultano molto variabili nelle diverse settimane successive all’esecuzione della terapia, le altre formulazioni garantiscono livelli più stabili del testosterone nel sangue.

I parametri da monitorare nel corso della terapia

Dopo l’inizio della terapia, è ovviamente necessario monitorare i livelli di testosterone totale nel sangue, con modalità che differiscono a seconda della preparazione farmaceutica scelta (in linea generale, al termine del periodo di intervallo tra due fiale oppure 2-4 ore dopo l’applicazione del gel).

Insieme ai livelli di testosterone, bisogna periodicamente raccogliere alcuni parametri già descritti in precedenza (livelli di ematocrito dopo 3, 6, 12 mesi dall’inizio della terapia e quindi ogni 12 mesi; PSA ed esplorazione rettale tra i 3 e i 12 mesi dall’inizio della terapia, quindi secondo linee guida per lo screening della popolazione maschile) per verificare l’eventuale comparsa di effetti collaterali che rappresentano una controindicazione alla prosecuzione del trattamento.

Profilo di sicurezza ed efficacia della terapia sostitutiva

Se correttamente prescritta e monitorata, la terapia sostitutiva con testosterone è sicura ed efficace e si è dimostrata in grado di migliorare i segni/sintomi tipici della carenza ormonale, sia dal punto di vista sessuale che dal punto di vista fisico e psicologico. La comparsa dei benefici varia da poche settimane (miglioramento del desiderio sessuale) a molti mesi (miglioramento della disfunzione erettile e della composizione corporea, aumento della densità minerale ossea), motivo per il quale la risposta alla terapia va valutata con tempistiche appropriate e con un’ottica di lungo periodo.

 

Bibliografia di riferimento

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