Mese: Dicembre 2023

Durante la stimolazione ovarica per tecniche di PMA di I e II livello è ormai raro che si verifichi una situazione di iperstimolazione. Quali sono le nuove strategie per le pazienti poor responder?

Ne parliamo con il Dr. Carlo Torrisi, ginecologo, responsabile clinico e Direttore Sanitario del Centro di Medicina della Riproduzione e Infertilità di Catania.

Raramente le pazienti che si rivolgono ai centri di PMA sono giovani e solo occasionalmente c’è rischio di iperstimolazione nelle pazienti in cui c’è una tendenza a un’inversione delle FSH-LH.

Purtroppo, il fatto che spesso le donne si presentano in età avanzata, dopo i 37 anni, comporta di dover gestire situazioni con AMH basso, bassa conta dei follicoli antrali, ripetuti fallimenti. Sempre di più si sta cercando di trovare dei protocolli alternativi per poter ovviare a queste scarse risposte.

Doppia stimolazione in due cicli successivi

Anche per mia esperienza clinica una doppia stimolazione in due cicli successivi può portare a un aumento ovocitario soprattutto nel secondo ciclo. Sappiamo che agli ovociti servono 2 – 3 mesi per essere sensibili all’azione dell’FSH nel ciclo successivo e possono avere più chance di arrivare a maturazione. Infatti, quando nel primo ciclo e stimolazione recuperiamo solo 1 – 2 ovociti, nel ciclo successivo abbiamo dei recuperi sicuramente più importanti.

Doppia stimolazione e congelamento

Una seconda alternativa è la doppia stimolazione, per cui le pazienti vengono stimolate con alte dosi di gonadotropine. Dopo aver indotto l’ovulazione con l’analogo del GNRH sfruttando l’effetto flare-up, 2-3 giorni dopo viene iniziata la stimolazione. Seguono due pickup ovocitari nell’arco di uno stesso ciclo: l’obiettivo è di congelare tutto, perché il l’endometrio non è più sincronizzato.

FSH sincronizzato

Può essere utile anche l’utilizzo di clomifene associato alle gonadotropine. È un protocollo che utilizzo molto spesso che ho denominato FSH sincronizzato, perché ha l’obiettivo di sincronizzare la crescita follicolare. Spesso, infatti, le pazienti poor responder in cui viene iniziata la stimolazione dal 2° – 3° giorno del ciclo hanno un’ovulazione prematura in 7° – 8° giornata e un’ecografia in 2° giornata mostrerà almeno un follicolo a 10-11 mm. Quindi, nel momento in cui si inizia la stimolazione ovarica ci sarà un follicolo pronto già dopo 3 – 4 giorni e gli altri che arrancheranno. Quindi si utilizza o una pillola anticoncezionale nel ciclo precedente o dell’estradiolo valerato a partire dal giorno 2 – 3 fino al primo giorno del ciclo successivo, con l’obiettivo di limitare e abbassare i livelli di FSH nella fase premestruale cercando di sincronizzare il più possibile la crescita follicolare. Questo ci porta a un’armonizzazione della crescita follicolare e a una risposta più adeguata.

I protocolli sperimentali

Vi sono anche protocolli sperimentali che non hanno percentuali di successo dimostrabili. Ad esempio, l’utilizzo del DEA, il deidroepiandrosterone solfato che, essendo un androgeno, pare riattivi una percentuale di ovociti nascosti. Oppure, può essere utile utilizzare del testosterone in gel 5 microgrammi per due mesi prima dell’inizio della stimolazione. Si mira ad aumentare gli androgeni che poi possono essere convertiti in estrogeni per aumentare la sensibilità dei follicoli antrali alle molecole di FSH.

Infine, l’utilizzo di una stimolazione che possa partire con l’utilizzo di LH nella prima settimana di stimolazione e poi il passaggio all’aggiunta di FSH ricombinante o menotropina nella seconda fase, anche l’utilizzo di interleuchine e possono per durante la stimolazione pare possano avere un’azione favorevole.

Si tratta di protocolli non ancora consolidati perciò non danno alcuna certezza. In ogni caso, la presenza di così tante variabili difficilmente ci fa dire qual è la strada giusta per ottimizzare una stimolazione.

 

Non sempre il liquido seminale disponibile è sufficiente per una procedura di PMA. Quando il volume è insufficiente – inferiore a 1ml – o con un ph alterato questo porta alla azoospermia, ovvero l’assenza di spermatozoi.

Ce ne parla il Dr. Carlo Torrisi, ginecologo, responsabile clinico e Direttore Sanitario del Centro di Medicina della Riproduzione e Infertilità di Catania.

Azoospermia escretoria: PESA

L’azoospermia, l’assenza di spermatozoi, può essere escretoria o secretoria.

La azoospermia escretoria è essenzialmente legata a una mancanza di comunicazione tra il testicolo, l’epididimo, i vasi deferenti e il dotto eiaculatorio esterno. Questo è tipico della sindrome CBAD con assenza di spermatozoi, agenesia bilaterale dei vasi deferenti – che può anche essere monolaterale – e che in genere è associata anche ad assenza della coda dell’epididimo, assenza delle vescicole seminali, spesso anche alla presenza di parametri positivi per mutazioni (ad esempio per la fibrosi cistica, l’agenesia renale eccetera) quindi è una sindrome ehm in cui ci sono più situazioni, che può essere sospettata in primis con la presenza di scarso volume del liquido seminale e, ovviamente, assenza di spermatozoi.

La visita andrologica è molto importante: se la palpazione sopra il testicolo non rileva i vasi deferenti, è molto probabile che si rilevino le alterazioni sopra citate. Queste situazioni di scarso volume del liquido spermatico portano ad intervenire con un PESA.

La tecnica PESA prevede l’aspirazione del liquido seminale che in genere viene prodotto regolarmente dal testicolo e si accumula nella testa dell’epididimo. Quest’ultima, se il medico ha esperienza, può essere raggiunta anche per via percutanea.

In queste situazioni in cui il testicolo funziona, l’FSH dell’uomo è normale perché ci indica una produzione normale di spermatozoi.

Azoospermia secretoria: TESA o TESE

La azoospermia secretoria in genere è legata a una assenza o comunque a un danno importante della linea spermatogenetica e questo porta anche a un ipogonadismo ipogonadotropo, cioè a un aumento dei valori di FSH dell’uomo.

In questa situazione si deve intervenire con una TESA (testicular sperma aspiration) o con una TESE (testicular sperma extraction), cioè con una aspirazione a livello del didimo o addirittura a un prelievo bioptico. La speranza è di trovare rari spermatozoi, che ovviamente spesso sono malformati e non sempre danno origine ad embrioni.

Nella criptozoospermia i pazienti presentano un danno a uno o a entrambi i testicoli. Occasionalmente compaiono degli spermatozoi (con una conta di almeno 5-10mila).

Questa condizione porta di solito al congelamento degli spermatozoi, affinché si presentino nelle condizioni migliori il giorno del prelievo ovocitario.

 

Con il Dr. Carlo Torrisi, ginecologo, responsabile clinico e Direttore Sanitario del Centro di Medicina della Riproduzione e Infertilità di Catania.

Quando si procede a una stimolazione ovarica per tecniche di PMA, soprattutto di II livello, il primo obiettivo è quello di azzerare i livelli di progesterone. Quindi, quando noi diamo a partire dalla fase luteale gli analoghi del GNRH “short protocol” oppure “daily” prima di iniziare la stimolazione l’estradiolo e il progesterone devono essere bassi. Solo in seguito si può iniziare la stimolazione.

Il monitoraggio dell’estradiolo, prodotto dalle cellule della granulosa, serve per controllare la crescita regolare dei follicoli. Spesso accade che a un certo punto della stimolazione – al 7°- 8° giorno – il progesterone, che deve mantenersi al di sotto di 1,4 nanogrammi per ml invece tende a salire. Questo si verifica soprattutto quando si interviene con stimolazioni molto importanti.

La risalita del progesterone

La risalita del progesterone al di sopra di 1,4 nanogrammi per ml porta a delle strategie che servono a ridurre questi livelli. L’obiettivo è evitare una precoce luteinizzazione e una precoce trasformazione secretiva dell’endometrio, che creerebbero dei problemi di impianto. In questo caso l’obiettivo è di ridurre la dose di gonadotropine praticate e questo in genere porta a un abbassamento dei livelli del progesterone. Spesso è un problema di laboratorio: come accade per lo spermiogramma, anche in questo caso la scelta di un laboratorio specializzato è fondamentale.

Ovviamente si cerca di evitare la situazione, perciò molto spesso sui pazienti che hanno la tendenza alla risalita prematura del progesterone si può intervenire in altri modi. Ad esempio, il secondo – terzo giorno del ciclo prima di iniziare la stimolazione per evitare la presenza di un corpo luteo del ciclo precedente si può intervenire dando per 2-3 giorni analoghi antagonisti del GNRH. Questo determina una luteolisi del corpo luteo del ciclo precedente, il che porta a un calo del progesterone. Oppure, in alcuni casi si utilizza la menotropina.

Sembrerebbe, anche per mia esperienza clinica, che quando si utilizzano le menotropine al posto dell’FSH ricombinante, durante la stimolazione ci sarà una minore percentuale di pazienti con risalita del progesterone in fase finale di stimolazione.

Il Freezing-all

Nel caso in cui questa situazione non possa essere risolta si procede al “freezing all”.

Dopo la stimolazione si effettua normalmente il prelievo ovocitario, seguito dal congelamento delle blastocisti ottenute. A seguire si procede con il trasferimento, che avverrà in un ciclo naturale successivo in cui non sia necessaria una stimolazione ovarica.

 

Quello verso l’ovodonazione è un percorso psicologicamente impegnativo e la relazione con la coppia va gestita in modo accurato, a partire dalla selezione, che deve considerare non solo gli aspetti uterini ma anche lo stato di salute generale.

Ce ne parla il Dr. Carlo Torrisi, ginecologo, responsabile clinico e Direttore Sanitario del Centro di Medicina della Riproduzione e Infertilità di Catania.

L’ovodonazione è la situazione a cui si arriva allorché la coppia insomma ha già esaurito i tentativi di procreare con i propri ovociti. Questo può accadere:

  • per un esaurimento ovarico, precoce o tardivo
  • per ripetuti fallimenti delle tecniche
  • per stimolazioni molto importanti con recupero di pochissimi ovociti
  • per arresto del clivaggio o arresto della divisione cellulare

In tutti questi casi spesso si arriva a non poter effettuare il transfer e comunque a non ottenere una gravidanza.

La Terapia

Anche in vista dell’ovodonazione è prevista una terapia.

Molto spesso vi sono pazienti con uteri fibromatosi, ma vanno valutate, ad esempio, anche eventuali anomalie epatiche, o a livello carotideo, ed escludere che vi siano patologie a livello mammario. Questo perché le terapie portano all’utilizzo di alte dosi di estrogeni. I protocolli per programmare cicli di ovodonazione consistono essenzialmente in cicli spontanei in cui si sfrutta l’ovulazione della paziente e l’induzione, appunto, dell’ovulazione. Questo per far sì che tutto sia il più naturale possibile.

In alcuni casi si procede con una fase di trattamento con estroprogestinico o con analoghi del GnRH (Gonadotropin Releasing Hormone, ormone di rilascio delle gonadotropine) che servirà ad azzerare completamente la funzione ovarica. A questa fase segue l’utilizzo di estrogeni, che possono essere somministrati per via orale, per via transdermica in formulazione gel. Nella mia esperienza l’estradiolo valerato, che generalmente viene prescritto in compresse, quando viene somministrato per via vaginale ha un’azione e degli spesso endometriale molto importante

L’obiettivo è quello di arrivare ad avere uno spessore endometriale di almeno di 8-9 mm per poter avere delle chance importanti di gravidanza. È importante somministrare il progesterone per un certo numero di giorni, che devono corrispondere allo stato del trasferimento della l’eventuale blastocisti.

Criteri di esclusione

I criteri di esclusione sono essenzialmente legati a un mancato ispessimento dell’endometrio, cosa che avviene quando l’endometrio si arresta a meno di 7 mm. A quel punto si cerca di ovviare a dei protocolli di stimolazione piuttosto empirici che consistono o nella somministrazione di gonadotropina corionica dal 7° al 14° giorno, vi sono degli studi in corso.

In caso non si vada mai oltre i 7 mm, è riportato in letteratura che vi siano delle gravidanze con endometrio anche di 5 – 6 – 7 mm.

 

La Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), grazie all’evoluzione della ricerca scientifica, dispone di una serie di indagini diagnostiche che consentono di identificare alcune caratteristiche dell’embrione prima del trasferimento in utero.

Ne parliamo con la Dottoressa Federica Esposito, ginecologa presso Unità Operativa Semplice Dipartimentale (UOSD) Procreazione Medicalmente Assistita dell’Azienda Ospedale Università di Padova.

Cos’ è la PGT?

La Diagnosi Genetica Preimpianto (PGT) è una indagine clinica diagnostica sull’embrione per individuare malattie genetiche. Risulta essere la forma più precoce di diagnosi prenatale, perché permette di conoscere la condizione genetica dell’embrione prima del suo trasferimento in utero.

A differenza delle altre tecniche di diagnosi prenatale invasiva (villocentesi e amniocentesi), la PGT evita il ricorso all’interruzione di gravidanza in caso l’analisi genetica risulti alterata.

Come si effettua la PGT?

La PGT viene eseguita nell’ambito di un percorso di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), omologa o eterologa, su embrioni al 5°-7° giorno di sviluppo in vitro (stadio di blastocisti). La biopsia viene eseguita mediante due tappe fondamentali: per primo l’apertura della zona pellucida, successivamente il prelievo di un piccolo numero di cellule. (8-10)

Queste cellule vengono prelevate dal trofoblasto, ovvero da quella porzione dell’embrione che poi diventerà placenta, senza mai ledere l’embrioblasto, ovvero le cellule che andranno poi a costituire il feto.

La PGT è quindi praticamente sovrapponibile ad una villocentesi, solo che viene eseguita prima dell’impianto dell’embrione in utero.

Per la biopsia, l’embrioblasto viene posizionato ad ore 7-11 in modo che sia chiaramente visibile e distante dal punto di apertura della zona pellucida. In questo modo, si evita qualsiasi possibile rischio all’embrioblasto, ovvero le cellule che daranno vita al feto.

Che tipologie di esame possono essere effettuate?

PGT-M (diagnosi preimpianto per malattie monogenetiche)

La PGT-M viene eseguita in quelle coppie portatrici di malattie monogeniche, ovvero, causate da alterazioni di un singolo gene, come per esempio la fibrosi cistica, la talassemia, la distrofia muscolare, etc…

L’elenco delle patologie diagnosticabili con la PGT-M è virtualmente infinito, dato che è sufficiente conoscere la base molecolare della malattia per eseguire una valutazione di fattibilità dell’analisi. Gli embrioni risultati non affetti dalla malattia genetica vengono ulteriormente analizzati per verificare la normalità del numero dei cromosomi (cariotipo molecolare).

PGT-SR (diagnosi preimpianto per le traslocazioni)

La PGT-SR viene eseguita in quelle coppie portatrici di anomalie cromosomiche strutturali (per es. traslocazioni o inversioni) o variazioni del numero di copie (delezioni/duplicazioni genomiche). Anche in questo caso viene eseguita una valutazione di fattibilità dell’analisi.

L’analisi verifica la normalità di tutti e 46 i cromosomi, non solo di quello/quelli coinvolti nell’alterazione presente nel partner affetto della coppia.

PGT-A (diagnosi preimpianto per aneuploidie cromosomiche)

La PGT-A viene consigliata alle coppie che si trovano in una di queste condizioni:

  • età materna avanzata (>38 anni)
  • ripetuti falliti impianti di PMA
  • ripetuti aborti spontanei
  • ripetute interruzioni di gravidanza per feto con anomalia cromosomica
  • fattore maschile severo.

Questa tecnica analizza il numero dei cromosomi dell’embrione al fine di individuare quello con cromosomi normali e dunque con le migliori chances di impiantarsi ed arrivare a termine di gravidanza.

I principali vantaggi della PGT-A sono:

  • riduzione del time-to-pregnancy (tempo necessario per ottenere una gravidanza),
  • riduzione degli aborti spontanei/falliti impianti,
  • aumento del singolo embrio-transfer con conseguente riduzione delle gravidanze gemellari.

Qual è l’accuratezza diagnostica?

La PGT ha una sensibilità ed un’accuratezza estremamente elevata (98-99% per la PGT-M e la PGT-SR; 96-98% per la PGT-A), e molte coppie scelgono dunque solo questa tecnica come forma di diagnosi prenatale invasiva.

In ogni caso, è sempre possibile per la coppia richiedere conferma del risultato della PGT durante la gravidanza, mediante l’esecuzione di una amniocentesi. Non avrebbe senso eseguire una villocentesi, in quanto abbiamo detto che la PGT corrisponde ad una forma precocissima di villocentesi, come poco senso avrebbe eseguire un NIPT (Test Prenatale Non Invasivo).

Management degli embrioni a mosaico

A Volte, durante l’esito di una diagnosi preimpianto, una percentuale di cellule del trofoblasto risultano avere delle anomalie cromosomiche. Un tempo questi embrioni venivano scartati, esattamente come quelli che presentavano tutte le cellule anomale. Ora, invece, dopo un case report su un trasferimento di embrione a mosaico con gravidanza evolutiva e bambino del tutto sano, quasi tutti i centri hanno iniziato a provare il trasferimento degli embrioni a mosaico.

Inoltre, dalla letteratura scientifica emerge, che se viene trasferito un embrione a mosaico con almeno il 50% di cellule sane, il nascituro non riporta anomalie cromosomiche. Ciò che emerge è una lieve riduzione della percentuale di impianti e un lieve aumento di aborti spontanei.

Fin da quando è stato pubblicato il primo studio che ha riportato una gravidanza evolutiva dopo il transfer di un embrione a mosaico, altri gruppi hanno studiato i tassi di successo dopo trasferimento di embrioni a mosaico. Questi studi hanno dimostrato che il trasferimento di embrioni con alterazioni a mosaico portava a gravidanze evolutive e con bambini sani; la maggior parte degli studi riportava però un decremento dei tassi di impianto e spesso un aumento dei tassi di aborto spontaneo.

Al momento attuale, il transfer di un embrione a mosaico può essere eseguito dopo un accurato counselling con la coppia e discusse le differenti alternative.

Diversi studi hanno cercato di stabilire un cut-off di mosaico per cui possa essere consigliato alla coppia il transfer di quell’embrione. La maggior parte degli studi concordano con un cut-off del 50%, che differenzia embrioni con un alto tasso di mosaico e embrioni con un basso tasso di mosaico, dove non ci sono differenze nei tassi di successo e nei tassi di aborto.

Quali sono i vantaggi della PGT?

La Diagnosi Genetica Preimpianto mostra dei vantaggi certi per quanto riguarda PGT-M e PGT-SR; per quanto riguarda la PGT-A i reali vantaggi si apprezzano in categorie selezionate di pazienti: sicuramente in chi ha avuto multipli fallimenti di impianto e in chi, nonostante un cariotipo della coppia normale, ha già sperimentato multipli aborti spontanei.

L’altra categoria in cui la PGT-A mostra i suoi vantaggi sono le donne con età avanzata.

Alcuni studi hanno mostrato come in pazienti con un’età inferiore a 35 anni non vi siano sostanziali differenze se trasferisco l’embrione con o senza diagnosi preimpianto. Diversamente, in pazienti con età superiore ai 35 anni e in particolare in quelle con età superiore ai 38 anni i tassi di impianto si modificano considerevolmente con o senza PGT-A. In donne tra i 38-40 anni si passa da tassi del 32,9% a tassi del 61,1 %; per donne tra 41-42 anni da tassi del 20,7% a tassi del 60,2% e in donne con età superiore ai 42 anni dal 7,8% al 53,7% senza e con PGT-A.

Chi può usufruire della PGT?

Secondo la legge 40 del 2004, possono accedere alla procreazione assistita solo le coppie infertili o sterili (art.4). Il testo, modificato dalla sentenza 96/2015 della Corte costituzionale, ha aperto la possibilità di accedere a questa tecnica anche alle coppie portatrici di patologie genetiche che potrebbero dover ricorrere a un’interruzione di gravidanza.

Dal 2015 grazie alla suddetta sentenza 96/15 della Corte Costituzionale, emessa a seguito di un procedimento presso il Tribunale di Roma per due coppie con l’Associazione Luca Coscioni, anche le coppie fertili con patologie genetiche possono accedere alla fecondazione assistita.

Quali sono i costi della PGT?

L’approvazione del Decreto Tariffe del giugno 2023 rende finalmente operativi i LEA, Livelli Essenziali di Assistenza nei quali erano entrate, nel 2017, le tecniche di PMA. Da gennaio 2024, dunque, avremo un nomenclatore tariffario nazionale sulla PMA.

Purtroppo al momento la PGT non è prevista dai LEA, nonostante da anni le principali associazioni del settore della medicina della riproduzione e della genetica ne abbiamo sollecitato l’inserimento. In alcune Regioni (Toscana, Emilia Romagna, Provincia Autonoma di Trento, Sardegna) la PGT è stata inserita nei LEA regionali, ed è dunque possibile eseguire questa tecnica non solo in Centri PMA privati/convenzionati ma anche pubblici.

Il costo varia da zero (centri pubblici che accettano l’esenzione per specifica malattia rara) a poche centinaia di euro di ticket, fino ad alcune migliaia di euro nei centri PMA privati/convenzionati.

Il progesterone è un ormone che ha un ruolo specifico e fondamentale nella regolazione del ciclo endometriale, nell’impianto dell’embrione e nella progressione della gravidanza. Per le pazienti che stanno svolgendo un percorso di PMA e si preparano al transfer dell’embrione in utero, è necessario che i livelli di progesterone siano adeguati a preparare ed ottimizzare l’endometrio.

Ce ne parla il Dottor Paolo Giardina, specialista in ginecologia e ostetricia presso l’Unità Clinica di Ginecologia Ostetricia e Medicina della Riproduzione dell’I.R.C.C.S. Ospedale San Raffaele di Milano.

Cos’è il Progesterone?

Il Progesterone è un ormone steroideo, derivato dal colesterolo e prodotto dalla corticale surrenalica e dall’ovaio. Esso è fondamentale nella regolazione del ciclo endometriale e, successivamente, nell’impianto  dell’embrione e nella progressione della gravidanza.

Viene utilizzato in molteplici ambiti della Ginecologia e dell’Ostetricia: contraccezione, terapia ormonale sostitutiva in menopausa, supporto del I trimestre di gravidanza e prevenzione dell’aborto spontaneo, prevenzione del rischio di parto pretermine, trattamento delle iperplasie endometriali.

Cosa succede durante il ciclo endometriale?

L’endometrio è un tessuto dinamico che, in risposta all’ambiente steroideo prevalente, estrogenico o progestinico, va incontro a caratteristiche modificazioni cicliche con frequenza mensile.

Estrogeni e progesterone regolano l’espressione di una cascata di fattori locali cruciali per il verificarsi della mestruazione nel ciclo mestruale e per l’impianto dell’embrione nel ciclo fertile. Essi vengono prodotti dall’ovaio, pertanto il ciclo endometriale è strettamente correlato al ciclo ovarico.

All’inizio del ciclo, grazie allo stimolo dell’ormone FSH, prodotto dall’ipofisi, all’interno dell’ovaio inizia a crescere un unico follicolo, chiamato dominante, che inizia a produrre progressivamente estrogeni, i quali hanno attività trofica sull’endometrio, che inizia a crescere.

In media al 14° giorno del ciclo avviene l’ovulazione: il follicolo si rompe, rilasciando l’ovocita. Il follicolo residuo viene chiamato corpo luteo, il quale è a tutti gli effetti una ghiandola endocrina, che produce Progesterone. La fase del ciclo mestruale conseguente alla formazione del corpo luteo viene chiamata “fase luteale”.

L’aumento di progesterone crea delle modificazioni strutturali e vascolari sull’endometrio, che lo rendono consono all’eventuale impianto dell’embrione nel ciclo fertile e che determinano quella che viene chiamata finestra di impianto endometriale.

  • In caso di impianto dell’embrione e di gravidanza evolutiva, il ruolo del corpo luteo nella produzione di progesterone sarà svolto dalla placenta, che si formerà completamente solo alla fine del I trimestre di gravidanza.
  • In caso di mancato impianto, il corpo luteo viene riassorbito e il successivo calo del progesterone provoca un processo infiammatorio a livello dell’endometrio, che si sfalda, dando luogo alla mestruazione.

Paolo-Giardina-Progesterone

 

Perché aggiungere il Progesterone nella fase luteale dello stimolo in PMA?

La fase luteale è la fase post-ovulatoria, in cui il corpo luteo neoformato inizia a produrre Progesterone, per indurre i cambiamenti endometriali necessari ad accogliere l’embrione e favorirne l’impianto.

Nel momento in cui le pazienti che stanno svolgendo un percorso di PMA si preparano al transfer dell’embrione in utero, è necessario che i livelli di progesterone siano adeguati a preparare ed ottimizzare l’endometrio.

Tuttavia, la stimolazione ormonale dei follicoli antrali, l’induzione farmacologica dell’ovulazione multipla e il pick-up ovocitario in corso di fecondazione in vitro possono alterare la fase luteale e quindi la produzione di progesterone.

Pertanto, nella maggior parte dei Centri di fecondazione Assistita si raccomanda l’assunzione di Progesterone nella settimana antecedente al transfer embrionario, come supporto della fase luteale.

Il progesterone può essere assunto sia per via orale, sia per via vaginale (creme o ovuli), sia per via intramuscolare o sottocutaneo.

Solitamente il giorno del trasferimento embrionario viene fatto un prelievo ematico per saggiare i livelli sierici di progesterone ed estrogeni, al fine di regolare la somministrazione ormonale in caso di deficit di uno dei due o di entrambi.

In caso di positività delle beta-HCG e di gravidanza evolutiva, il supporto progestinico deve essere continuato almeno fino alla 8°-10° settimana di gestazione, quando la produzione di progesterone da parte della placenta sarà sufficiente.

Frozen Embryo Transfer

Nei cicli di trasferimento di un embrione o di una blastocisti precedentemente crioconservati, si può procedere alla preparazione endometriale o su ciclo naturale o su ciclo medicato.

Il ciclo naturale viene proposto alle pazienti che solitamente hanno cicli regolari con ovulazione tutti i mesi. In queste pazienti vengono sfruttati gli estrogeni e il progesterone prodotti dal ciclo ovarico naturale, senza supplemento esterno.

Nel ciclo medicato invece, proposto nelle fecondazioni da ovodonazione oppure nelle pazienti con cicli anovulatori, il ciclo ovarico viene sostituito da un supplemento ormonale esterno, che mima quella che sarebbe stata la produzione ormonale dell’ovaio.

In questi casi il progesterone non funge da supporto del corpo luteo, che non viene prodotto, ma da vera e propria terapia sostitutiva della fase luteale.

Il progesterone in gravidanza

Come sottolineato, il progesterone è un ormone fondamentale non solo per l’impianto di una gravidanza, ma anche per la sua evoluzione.

Nelle fasi di impianto, sistema immunitario materno riconosce il feto come estraneo e tenta di rigettarlo.

È stato dimostrato come il progesterone svolga un ruolo immunomodulatore sul feto da parte della madre, prevenendo questa evenienza e pertanto, il rischio di fallimento di impianto o di aborto spontaneo.

Il progesterone risulta importante anche nelle fasi successive della gravidanza, avendo un ruolo miorilassante e antinfiammatorio, che permettono di prevenire l’eventuale insorgenza di contrazioni uterine premature e la rottura prematura delle membrane amnio-coriali, prevenendo il rischio di aborto del II trimestre e di parto pretermine.

Lo spermiogramma sembra apparentemente un esame banale, invece va fatto con molta attenzione e professionalità, da laboratori specializzati.

Ne parliamo con il Dr. Carlo Torrisi, ginecologo, responsabile clinico e Direttore Sanitario del Centro di Medicina della Riproduzione e Infertilità di Catania.

Gli spermiogrammi sono tutti uguali?

Molte volte la coppia porta degli esami di dubbia interpretazione perché vengono eseguiti in laboratori che non sono abituati a eseguire esami di questo tipo. Spesso, quindi, i valori di riferimento che sono completamente errati, ad esempio alcuni spermiogrammi indicano che la morfologia è normale quando si supera il 90%, questo deve farci escludere l’attendibilità dell’esame.

I parametri da considerare

I parametri da considerare sono essenzialmente:

  • il volume, che deve essere compreso tra 2 e 4 mm. Una riduzione del volume al di sotto di 1 mm di 1 ml in genere indica una possibile ostruzione o sub-ostruzione o assenza dei deferenti; un eccesso di volume invece può indicare un sospetto di prostatite
  • il PH, che in genere si mantiene tra 7,4 e 7,8. Una variazione dell’acidità o dell’alcalinità può indicare la presenza di un’infezione o l’assenza delle vescicole seminali
  • la viscosità che, quando è aumentata è spesso segno di anomalie prostatiche, di flogosi eccetera
  • il numero di spermatozoi, che viene considerato normale se è superiore a 20 milioni per ml. In caso contrario si parla di oligospermia quando il numero è inferiore
  • la motilità, della quale solitamente si considerano i valori alla prima e alla seconda ora. È importante anche considerare la motilità progressiva la motilità in loco che, spesso, dipendono dalle alterazioni strutturali dello spermatozoo stesso. L’astenospermia è un’anomalia della motilità degli spermatozoi
  • la morfologia, che la WHO World Health Organization definisce ottimale quando è superiore al 14%. Kruger, invece, secondo stricta criteria, indica esattamente quanti devono essere gli spermatozoi perfetti. Una morfologia Kruger del 4% ci indica già un esame che va abbastanza bene per cui possiamo considerarlo normale. La teratospermia è un’anomalia della morfologia
  • la quantità di cellule rotonde, che in genere sono oltre 2 milioni che indicano un sospetto di infezione. In questi casi si esegue una spermiocoltura

Il test di capacitazione

I parametri indicati sopra sono fondamentali, ma lo spermiogramma non è completo senza il test di capacitazione.

Questo test, che si esegue solo in laboratori specialistici, porta a una selezione degli spermatozoi migliori secondo gradienti di densità, secondo varie tecniche di selezione. Il risultato fiale indicherà gli spermatozoi mobili progressivi:

  • quando questo numero è al di sotto di 2-3 milioni l’indicazione spesso è soltanto PMA di II livello, quindi FIVET o ICSI;
  • quando il valore è compreso fra 3 e 6-7 milioni si può intervenire con una inseminazione;
  • quando il valore supera i 7-8 milioni si parla di normospermia e si può quindi indirizzare la coppia semplicemente verso dei rapporti programmati.

 

Una delle problematiche più frequenti nell’ambito dell’infertilità è quella degli aborti ripetuti.

Ne parliamo con il Dr. Carlo Torrisi, ginecologo, responsabile clinico e Direttore Sanitario del Centro di Medicina della Riproduzione e Infertilità di Catania.

Gli aborti ripetuti

Molti non considerano gli aborti ripetuti come una forma di infertilità, soprattutto se la fecondazione avviene spontaneamente. In realtà, paradossalmente sarebbe meglio che il concepimento non avvenisse, rispetto a un ripetersi di aborti e questo è un concetto che si fa fatica a far capire alle coppie. Nella vita di una donna l’aborto spontaneo non è un evento raro e dal punto di vista clinico non è preoccupante. Spesso si tratta di una selezione naturale, dell’eliminazione di un embrione che non ha possibilità di crescere. L’aborto spontaneo non è colpa di nessuno, anche se talvolta si crede che sia da imputare a qualcosa che la donna ha fatto o non ha fatto.

Aborto o gravidanza biochimica?

Va detto che molto spesso gli aborti ripetuti sono semplicemente delle gravidanze biochimiche, un test positivo, un valore Beta che non supera il 1000 e risulta tale ed è evidenziato soltanto perché la coppia interviene subito, dopo un solo giorno di ritardo del ciclo, con un Beta HCG.

I veri aborti sono veramente pochi e dobbiamo comunque distinguere l’aborto con l’evidenziazione della camera, se si evidenzia l’embrione, se si evidenzia il battito.

L’età avanzata della donna è la causa più frequente di aborto

La causa più frequente di aborto è l’età della donna: sappiamo infatti che dopo i 38 anni la percentuale di anomalie ovocitarie e cromosomiche è importante.

Quando si interviene con una tecnica di PMA può essere d’aiuto svolgere una diagnosi preimpianto, per identificare le blastocisti sane ed evitare quelle malate. Infatti, spesso si verificano delle anomalie cromosomiche nel cariotipo (microdelezioni, inversioni, traslocazioni non bilanciate) che possono alterare il meccanismo di divisione cellulare e bloccare l’evoluzione della gravidanza fino a mediamente 7-8 settimane.

Vanno considerate anche eventuali alterazioni del DNA spermatico: un aumento della sua frammentazione può essere corresponsabile della poliabortività.

Un’altra situazione frequente emersa in questi anni è quella delle anomalie della trombofilia. Spesso vengono identificate in blocco, in realtà bisogna fare una distinzione. Da un lato, le anomalie maggiori sono anomalie in etero-omozigosi del fattore 2 o del fattore 5: soltanto in questi casi, e non nelle decine di altre anomalie e mutazioni della coagulazione, si può parlare di trombofilia. Oppure si può verificare un’anomalia dell’MHTFR, soprattutto in omozigosi, che porta conseguentemente alla risalita dell’omocisteina. L’omocisteina è un aminoacido tossico che può alterare la vascolarizzazione della placenta e portare a delle complicanze della gravidanza anche in età tardiva, con aumento dei rischi di gestosi di ipertensione gravitica.

La terapia

In queste situazioni bisogna iniziare il trattamento con l’aspirinetta, con l’eparina con il cortisone in epoca addirittura premestruale e assumere l’acido folico. L’acido folico già metilato è l’unico che può in qualche modo ovviare alla risalita dell’omocisteina. Nel momento in cui si individuano il follicolo o più follicoli, l’intervento della gonadotropina e l’utilizzo di progesterone ad altissime dosi – spesso associato a magnesio – sicuramente contribuisce a risolvere buona parte delle anomalie.