Sembra che alla base dell’infertilità maschile possa esserci la mancanza di un gene. E’ quanto emerge da uno studio realizzato dal team di ricercatori guidato dalla dottoressa Kexin Zhang del dipartimento di Chimica e Biologia Molecolare presso l’Università di Gothenburg.
La proteina MC2
I ricercatori hanno identificato nei topi una nuova proteina, che hanno chiamato MC2, che gioca un ruolo cruciale nella formazione degli spermatozoi con capacità di “nuotare”. Questa proteina è necessaria per creare una connessione funzionale tra la testa e la coda dello spermatozoo.
“La connessione si trova nel collo della testa dello spermatozoo – ha dichiarato Kexin Zhang – e facilita il movimento e la funzione coordinata, mentre lo spermatozoo nuota verso l’ovulo“. “La coda e la testa si creano perfettamente senza questo collegamento, ma senza alcun risultato, perché non riescono a raggiungere il loro obiettivo”. Gli esperimenti su topi hanno indicato che la produzione della proteina ‘MC2’ era controllata da un gene specifico nel genoma. Quando il gene è stato rimosso con le forbici genetiche, i ricercatori hanno osservato che gli esemplari murini hanno smesso di produrre la proteina, divenendo completamente sterili.
Fattori genetici e infertilità
È già noto che i fattori genetici sono responsabili di circa il 15-30% dell’infertilità negli uomini. Il gene non si trova sul cromosoma sessuale e non ha avuto alcun impatto sulla capacità delle femmine di produrre prole.
“La mia ricerca ha contribuito a migliorare la comprensione delle cause dell’infertilità dovuta all’assenza della testa dello spermatozoo, nota come sindrome degli spermatozoi acefali”, ha sottolineato Zhang. “La causa alla base di questa diagnosi era finora sconosciuta”.
La scoperta della proteina ‘MC2’ fornisce nuove conoscenze sulla struttura molecolare delle cellule spermatiche che, poi, si sviluppano in spermatozoi. I ricercatori potranno studiare ulteriormente queste conoscenze. “Si stima che circa il 15% di tutte le coppie eterosessuali abbia problemi ad avere figli”.
“L’uomo è responsabile dei problemi in circa la metà di questi casi”, ha continuato Zhang. “Spero che la nostra ricerca porti a nuovi metodi diagnostici e a nuovi trattamenti per l’infertilità maschile”, ha spiegato, per poi aggiungere: “Potrebbe anche essere possibile creare un contraccettivo maschile disattivando questo gene”.
Fonti:
Le tecniche di PGT (Preimplantation Genetic Testing, Diagnosi Genetica Preimpianto) devono essere utilizzate seguendo dei criteri condivisi dalla comunità scientifica e contenuti nelle Linee Guida Internazionali (ad esempio, quelle della ESHRE, European Society of Human Reproduction and Embryology).
Ne parliamo con il Dottor Antonio Mangiacasale, ginecologo, Responsabile Clinico del CRA – Centro Riproduzione Assistita di Catania.
Le indicazioni alla PGT-A
Senza dubbio la PGT-A è un’indagine molto utile e con un alto profilo di sicurezza. A differenza della PGT-M e della PGT-SR, indicate in coppie e pazienti portartici di patologie o anomalie cromosomiche, la PGT-A non è riferita ad alcuna patologia specifica. Questo non deve indurre a utilizzarla indistintamente su tutte le donne che si affidano alla procreazione medicalmente assistita, va comunque impiegata secondo delle indicazioni ben precise.
La diagnosi preimpianto è comunque un’indagine invasiva per l’embrione, seppure a basso rischio; quindi, il suo utilizzo non va generalizzato. Le Linee Guida ESHRE puntualizzano quali siano le categorie di pazienti per le quali è indicato l’utilizzo della PGT-A.
Pensiamo ad esempio alle pazienti over 38, nelle quali il rischio di aneuploidie è aumentato per l’abbassamento fisiologico della qualità ovocitaria; o alle pazienti con ripetuti fallimenti o con aborto ricorrente; o ancora a uomini con una situazione seminale gravemente compromessa, che aumenta il rischio di aneuploidie.
La Diagnosi Genetica Preimpianto è una tecnica di diagnosi prenatale che viene eseguita sull’embrione prima del suo trasferimento in utero.
Ne parliamo con il Dottor Antonio Mangiacasale, ginecologo, Responsabile Clinico del CRA – Centro Riproduzione Assistita di Catania.
La diagnosi preimpianto è un’indagine genetica che viene effettuata sugli embrioni prima di essere trasferiti in utero. Consiste nel prelevare alcune cellule dell’embrione, solitamente 8-10, dallo strato più superficiale della blastocisti, il trofoectoderma, e sottoporle ad indagine genetica.
I diversi tipi di indagine
Ci sono diversi tipi di indagine da poter fare. La diagnosi impianto si divide in PGT-A PGT-M e PGT-SR.
- La PGT-A è lo studio delle aneuploidie e consente di analizzare le anomalie di numero dei cromosomi che si verificano, ad esempio, nella Sindrome di Down
- La PGT-M indaga le anomalie di singoli Loci genetici, ad esempio per lo studio delle talassemie. Quando in una coppia entrambi i partner sono portatori sani di Beta-talassemia, per essere sicuri che il bimbo non sia affetto dalla malattia viene effettuata questo tipo di indagine genetica
- La PGT-SR studia le anomalie di struttura dei cromosomi, per esempio le traslocazioni. Trova indicazioni, ad esempio, nelle coppie che hanno un’alterazione nel cariotipo quindi nella propria mappa cromosomica. Tale alterazione a loro non dà nessuna patologia, ma aumenta il rischio di errore poi nel ricombinarsi e nel formare l’embrione
La PGT-A è la diagnosi preimpianto più conosciuta e più utilizzata. Sono tecniche molto sicure, nonostante possano sembrare invasive per l’embrione: in realtà le cellule da analizzare vengono prelevate in una parte ben precisa del trofoectoderma dove non si arrecano danni all’embrione.
L’alto numero di transfer eseguiti e di gravidanze andate a buon fine dimostrano che l’embrione conserva la sua vitalità e non subisce danni. La probabilità di errore è minimo ed è insito nella tecnica stessa.
I mosaicismi
Può accadere che nel tessuto prelevato dall’embrione per l’analisi genetica coesistano sia alcune cellule con un corredo cromosomico normale sia altre con un corredo cromosomico aneuploide. In questo caso siamo di fronte a un mosaicismo. Questo si verifica perché nel trofoectoderma – la parte di tessuto da cui vengono prelevate le cellule da analizzare, che andrà a formare la placenta – è più facile che questi errori si verifichino.
La presenza di un mosaicismo non esclude che quell’embrione sia sano. In questi casi è molto importante fare un counseling accurato con la coppia e decidere insieme se trasferire ugualmente o meno quell’embrione. Questo probabilmente è il nodo più controverso della tecnica.