Mese: Giugno 2024

Come abbiamo visto in un articolo precedente, la preparazione dell’endometrio è fondamentale per l’avvio della gravidanza, anche quando si ricorre alla fecondazione assistita.

Nei percorsi di PMA si ricorre sempre più spesso alla procedura chiamata “Freeze-all”. Come funziona? Lo scopriamo insieme alla Dottoressa Silvia Guarnieri, ginecologa, responsabile del Centro di Fecondazione Assistita del Presidio Ospedaliero di Sacile di AS FO, Azienda Sanitaria Friuli Occidentale.

Ciclo segmentato, spontaneo modificato e medicato

A seguito alla stimolazione ormonale, non sempre si esegue immediatamente il transfer: ad esempio, nei casi in cui ci sia un rischio di iperstimolazione ovarica in cui i livelli di progesterone siano troppo elevati, o quando l’endometrio non risulti ecograficamente idoneo per l’impianto.

In questi casi si preferisce preparare sia gli ovociti al trasferimento in utero sia, contemporaneamente, l’utero ad accogliere gli ovociti, per aumentare le probabilità di impianto.

Ciclo segmentato

Parliamo, quindi, di ciclo segmentato. In una prima fase, gli ovociti vengono prelevati e fecondati. Si formano gli embrioni, li si porta allo stadio di blastocisti e queste vengono congelate (procedura freeze-all). Successivamente, si programma il trasferimento in utero.

Il trasferimento dell’embrione (o della blastocisti) è preceduto da una fase di preparazione endometriale. La preparazione endometriale può avvenire mediante ciclo spontaneo: si segue l’ovulazione della paziente mediante controlli ecografici – ed eventualmente mediante i test di ovulazione – per vedere il picco dell’LH; da quel momento si programma il transfer tra i 5 e 7 giorni dopo il l’avvenuta ovulazione.

Ciclo spontaneo modificato

Un’altra strategia è quella di utilizzare il ciclo spontaneo modificato: si segue l’ovulazione spontanea della paziente mediante ecografia; nel momento in cui il follicolo raggiunge le dimensioni idonee – in genere sopra i 16-17 mm – viene indotta l’ovulazione mediante la somministrazione di HCG e viene iniziata la supplementazione con il progesterone. Questo processo avviene a distanza dei 5-7 giorni, a seconda di quando è stata congelata la blastocisti. Si procede poi al trasferimento dell’embrione.

Ciclo medicato

Il terzo metodo per preparare l’endometrio è il ciclo medicato. Questa procedura prevede di bloccare l’ovulazione naturale della paziente e “guidarla” artificialmente attraverso l’utilizzo di farmaci.

All’inizio si somministra dell’estrogeno – in genere per via orale, transcutanea o per via vaginale e si valuta la crescita dell’endometrio con l’ecografia. Quando l’endometrio ha raggiunto lo spessore ideale, si inizia la somministrazione di progesterone. Anche in questo caso, dopo i 5-7 giorni – in base allo stadio delle blastocisti congelate – si procede al trasferimento dell’embrione. La supplementazione con progesterone può avvenire per via vaginale, iniettiva – sia sottocutanea sia intramuscolare – o per via orale. In caso di gravidanza, la supplementazione luteale a supporto dell’endometrio continua in genere fino alla 12ma settimana.

Abbiamo visto in un articolo precedente che la fase che viene chiamata “finestra di impianto” è cruciale, perché è quella in cui l’endometrio è nelle condizioni migliori per ricevere l’embrione.
Valutare la recettività dell’endometrio, e quindi identificare la finestra di impianto, è un momento fondamentale nella procreazione medicalmente assistita.
Quali sono i modi e gli strumenti con cui il medico può valutare se è il momento giusto per il transfer?

Ce ne parla la Dottoressa Silvia Guarnieri, ginecologa, responsabile del Centro di Fecondazione Assistita del Presidio Ospedaliero di Sacile di AS FO, Azienda Sanitaria Friuli Occidentale.

Le indagini per valutare la recettività dell’endometrio

Per valutare la recettività dell’endometrio dobbiamo studiarlo, e definire lo stato in cui si trova. Ciò è possibile attraverso alcuni esami diagnostici e le linee guida internazionali indicano i seguenti:

  • L’ecografia transvaginale è un esame di primo livello che consente di analizzare l’aspetto dell’endometrio e di identificare la presenza di eventuali patologie. Ad esempio, permette di individuare polipi endometriali o miomi sottomucosi, che possono interferire con l’impianto
  • In caso di dubbi sulla presenza di patologie endometriali, si ricorre all’ecografia tridimensionale, per avere una migliore definizione della cavità endometriale ed evidenziare eventuali anomalie e malformazioni uterine (per esempio gli uteri setti o gli uteri bicorni)
  • L’isteroscopia è lo step successivo nelle indagini per lo studio dell’endometrio. È un esame che consente non solo di vedere se nella cavità endometriale vi sono eventuali patologie, ma anche di intervenire nella risoluzione di queste problematiche. Infatti, l’isteroscopia è un esame che può essere sia diagnostico sia chirurgico perché, mediante l’isteroscopio operativo, consente di rimuovere eventuali polipi e correggere alcune anomalie o malformazioni uterine.

L’esame istologico

Inoltre, durante l’isteroscopia si possono eseguire delle biopsie per l’esame istologico del tessuto endometriale. In particolare, nelle pazienti soggette a ripetuti fallimenti di impianto, l’isteroscopia permette di andare a ricercare le plasmacellule. Questi elementi cellulari sono presenti tipicamente nell’endometrite cronica, una patologia associata a una riduzione delle percentuali di gravidanza.
Anche in questo caso l’isteroscopia può svolgere una funzione sia diagnostica sia terapeutica.

Altri esami

Ci sono altri esami che possono essere fatti a livello endometriale, nonostante le linee guida internazionali non ritengano che siano da utilizzare routinariamente nella pratica clinica.

Si tratta del test di recettività endometriale e del test di valutazione del microbiota endometriale.

Anche nel caso del test della recettività endometriale si preleva del tessuto, che viene analizzato, in genere con una tecnologia genomica. Questo test consente di capire se è in corso la fase di migliore recettività dell’endometrio.

Lo studio del microbiota, invece, consente di verificare se a livello endometriale sono presenti degli organismi patogeni. In caso affermativo, ci può indirizzare verso la migliore terapia a cui sottoporre la paziente prima di effettuare un eventuale trasferimento embrionario.

Preservare la fertilità sia femminile sia maschile oggi è possibile, grazie a procedure innovative. Sembra semplice, ma in realtà si tratta di procedure delicate, gestite da professionisti estremamente qualificati nell’ambito della medicina della riproduzione. Il percorso terapeutico per poter prelevare gli ovociti della donna, ad esempio, prevede alcuni step.

Ne abbiamo parlato con la Prof.ssa Alessandra Andrisani, MD PhD, ObGyn.

La preservazione della fertilità

La preservazione della fertilità è una procedura medica innovativa. É disponibile grazie alle recenti acquisizioni ed ai miglioramenti di competenze nel campo delle tecniche di crioconservazione di materiale biologico. Grazie a questa tecnologia, attualmente è possibile crioconservare i gameti (ovociti e spermatozoi) ed il tessuto gonadico. Il fine è di aumentare la probabilità di ottenere una gravidanza ed esaudire il proprio desiderio di genitorialità nel momento in cui dovessero esservi delle difficoltà ad ottenerla spontaneamente.

Oncofertility e Social freezing

Come la scienza e la medicina possono aiutare le persone a preservare la loro fertilità? Attraverso la “oncofertility” ed il “social freezing”.

Con il termine oncofertility, si intendono le procedure terapeutiche di preservazione della fertilità in donne che sono affette da patologie oncologiche. In senso lato, di tutte le persone affette da quelle patologie che, di per sé o a causa delle cure previste per il loro trattamento, hanno effetti negativi diretti o indiretti sulla fertilità.

Tra le terapie più frequentemente responsabili di danno alla fertilità vi sono: chemioterapia, chirurgia e radioterapia.

Non va dimenticato il tempo necessario per la cura, che comporta un invecchiamento del paziente nell’attesa della completa guarigione.

  • Gli ovociti sono molto sensibili all’azione di alcuni chemioterapici e possono subirne, in relazione al tipo, alla dose e al tempo di utilizzo, una riduzione o perdita irreversibile. Nei casi più gravi, infatti, quando l’entità del danno è a carico di tutte le cellule dell’ovaio, si può instaurare una condizione di “insufficienza prematura della funzione dell’ovaio”. Questa condizione, iatrogena, è caratterizzata da una mancanza di ovociti indispensabili per la riproduzione, con un danno grave, se non irreversibile, sulla fertilità
  • Similmente, la terapia chirurgica per patologie delle ovaie può danneggiarne la funzione, inducendo una drastica riduzione del tessuto sano
  • Infine, anche la radioterapia può danneggiare gravemente e irrimediabilmente la funzione ovarica quando coinvolge la regione della pelvi, dove sono alloggiati gli organi genitali femminili.

Tutti i precedenti trattamenti possono, quindi, comportare una menopausa precoce e, di conseguenza, infertilità.

Quando si parla di “social freezing”, invece, si fa riferimento ad una tecnica di “prevenzione dell’infertilità età-correlata”. Vi si sottopongono in particolare donne che per motivi personali (studio, lavoro, assenza di un partner) vogliono preservare la fertilità e ricercare una gravidanza più avanti nel tempo, quando fisiologicamente sarebbe meno probabile ottenerla.

Crioconservazione degli ovociti: la procedura

La crioconservazione ovocitaria è attualmente la tecnica più utilizzata sia per l’oncofertilità che per il social freezing nella popolazione femminile.

In Italia, in caso di malattia oncologica, viene proposta a tutte le pazienti con un’adeguata riserva follicolare che hanno la possibilità di posticipare il trattamento chemioterapico di 2-3 settimane.

Per poter prelevare gli ovociti della donna, il percorso terapeutico prevede i seguenti step:

  • Stimolazione ovarica controllata alla paziente vengono prescritti farmaci che stimolano la crescita dei follicoli ovarici, allo scopo di ottenere più ovociti possibili e di controllare il momento dell’ovulazione. In particolare, la somministrazione dei farmaci avviene giornalmente e la donna andrà incontro ad una serrata valutazione clinica, ecografica e ormonale. Questa fase dura generalmente 10-15 giorni.
  • Prelievo degli ovociti (Pick-up ovocitario) – tutti i follicoli ovarici cresciuti durante la stimolazione ormonale vengono punti e aspirati con un ago per via trans-vaginale sotto controllo ecografico. All’interno del liquido prelevato dai follicoli si trovano gli ovociti, e il biologo li ricercherà al microscopio. L’intervento chirurgico dura circa 15-20 minuti ed è effettuato in sedazione.
  • Crioconservazione ovocitario – prima della crioconservazione, gli ovociti in adeguata fase di maturazione vengono identificati tramite decoronazione (ovvero rimozione della zona pellucida esterna). Essi verranno poi crioconservati mediante tecnica di vitrificazione con azoto liquido. Riguardo la procedura di crioconservazione, le ultime evidenze supportano l’idea che non vi siano sostanziali differenze tra la qualità degli ovociti crioconservati e quelli freschi. Tuttavia, i dati in letteratura scientifica non sono ancora risolutivi.
  • Scongelamento ovocitario – nel caso in cui la donna decida di utilizzare i propri ovociti per ottenere una gravidanza in un secondo momento, essi verranno scongelati e fecondati in laboratorio con il seme del partner secondo la tecnica di microiniezione dello spermatozoo (ICSI). Attenzione va data al fatto che non tutti gli ovociti crioconservati risultano poi vitali al momento dello scongelamento e, in alcuni casi estremi, tutti gli ovociti scongelati possono non essere vitali.
  • Trasferimento embrionario – nel caso in cui tutti i processi precedenti abbiano portato alla creazione di almeno un embrione vitale, è possibile giungere infine al transfer dell’embrione. Tale procedura è ambulatoriale e prevede unicamente una adeguata preparazione endometriale (in ciclo spontaneo o medicato). Il tasso di successo è dipendente da numerose variabili, ma per una donna di 30 anni, in assenza di fattori genetici o maschili noti, si può attestare intorno al 30%.
Probabilità di successo della crioconservazione degli ovociti

La probabilità di successo di un ciclo di preservazione della fertilità è essenzialmente collegata alla riserva ovarica e, quindi, alla eventuale risposta alla stimolazione ovarica controllata. Ovvero, quanto più le ovaie risponderanno alla stimolazione con la crescita di follicoli, quanti più ovociti verranno potenzialmente crioconservati. E quanti più ovociti la donna avrà, tanto più alta sarà la probabilità di ottenere una gravidanza in futuro.

Generalmente si ritiene che il tentativo di preservazione della fertilità sia andato a buon fine se si congelano almeno 10 ovociti. Tale probabilità, ovviamente, si riduce progressivamente con la riduzione del numero di ovociti recuperati.

La crioconservazione del tessuto ovarico

In alternativa, è possibile ricorrere alla crioconservazione di tessuto ovarico.

La tecnica

La tecnica di crioconservazione di tessuto ovarico non è più considerata sperimentale dall’American Society of Reproductive Medicine nell’ambito adulto dal 2019. Nella popolazione pediatrica, invece, i dati di efficacia sono ancora limitati.  Questa tecnica rappresenta l’unica opzione di preservazione della fertilità, sia per le pazienti prepubere sia per tutte le pazienti in cui non sia possibile la stimolazione follicolare (per controindicazioni mediche o mancanza di tempo).

La crioconservazione di tessuto ovarico richiede, in tempi diversi, due interventi chirurgici (espianto e reimpianto di tessuto ovarico), preferibilmente effettuati tramite chirurgia laparoscopica.

Il reimpianto del tessuto ovarico

Comunemente il reimpianto di tessuto ovarico può essere eseguito per promuovere la fertilità quando le pazienti sono pronte a concepire. Il reimpianto può essere ortotopico (si crea chirurgicamente una piccola tasca dove alloggiare il tessuto reimpiantato all’interno dell’ovaio) o eterotopico (più frequentemente a livello dell’avambraccio). In generale, è stato osservato che, dopo il reimpianto, la funzione ovarica riprende tra i 60 e i 240 giorni e può durare fino a 7 anni.

Potenzialmente, il reimpianto ortotopico potrebbe consentire anche la ripresa della funzionalità ovarica e l’insorgenza di una gravidanza spontanea, senza ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.

Esiste una legittima preoccupazione per quanto riguarda la potenziale reintroduzione di cellule tumorali in seguito a trapianto di tessuto ovarico in pazienti oncologiche. Per le conoscenze attuali, relativamente al rischio di contaminazione è possibile solo stratificare le neoplasie come ad alto, medio o basso rischio di colonizzazione del tessuto ovarico da parte delle cellule neoplastiche e quindi è possibile dare solo un’indicazione generica sulla sicurezza del reimpianto del tessuto ovarico.

Quella dell’impianto dell’embrione in utero è una fase cruciale per l’inizio della gravidanza, ovviamente anche quando si ricorre alla fecondazione assistita. Protagonista indiscusso di questa fase è senza dubbio l’embrione ma anche l’endometrio che lo accoglie ha un ruolo che è tutt’altro che di second’ordine.

Vediamo insieme cos’è l’endometrio e qual è il suo ruolo nella delicata fase dell’impianto dell’embrione, insieme alla Dottoressa Silvia Guarnieri, ginecologa, responsabile del Centro di Fecondazione Assistita del Presidio Ospedaliero di Sacile di AS FO, Azienda Sanitaria Friuli Occidentale.

Cos’è l’endometrio

L’endometrio è il tessuto che ricopre l’interno dell’utero ed è proprio su di esso che l’embrione si va a impiantare. È costituito da uno strato funzionale che si disgrega ogni mese con la mestruazione e si ricostituisce poi di conseguenza, preparandosi ogni volta ad accogliere un ovocita fecondato per dare avvio alla gravidanza.

Il ruolo degli ormoni

L’endometrio è regolato ciclicamente dagli ormoni, in particolare gli estrogeni e il progesterone.

Gli estrogeni regolano la prima parte, quella proliferativa, che determina la crescita dell’endometrio con lo sviluppo delle ghiandole, la proliferazione e differenziazione delle cellule epiteliali e l’angiogenesi, cioè con la creazione di nuovi vasi.
Il progesterone, invece, regola la proliferazione delle cellule stomali e, ulteriormente, la crescita delle ghiandole.

La fase di adesione della blastocisti

La blastocisti entra nell’utero attraverso le tube attraverso gli osti tubarici e rotola sull’endometrio. A questa fase segue una fase di apposizione e di adesione della blastocisti all’endometrio e successivamente segue una fase di invasione e penetrazione dell’embrione nello stato endometriale.

La finestra di impianto

Solo quando embrione ed endometrio sono perfettamente sincronizzati avviene l’impianto e si parla infatti di questa fase come di “finestra di impianto”. Convenzionalmente avviene tra il 19mo e il 23mo giorno del ciclo e nei cicli di fecondazione assistita è fondamentale riuscire a pianificare il transfer dell’embrione nel momento in cui la finestra di impianto è attiva.
Solo in questo modo può avvenire l’impianto dell’embrione, solo in questo breve lasso di tempo ci sarà l’avvio della gravidanza.