Autore: Laura Faravelli

La Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), grazie all’evoluzione della ricerca scientifica, dispone di una serie di indagini diagnostiche che consentono di identificare alcune caratteristiche dell’embrione prima del trasferimento in utero.

Ne parliamo con la Dottoressa Federica Esposito, ginecologa presso Unità Operativa Semplice Dipartimentale (UOSD) Procreazione Medicalmente Assistita dell’Azienda Ospedale Università di Padova.

Cos’ è la PGT?

La Diagnosi Genetica Preimpianto (PGT) è una indagine clinica diagnostica sull’embrione per individuare malattie genetiche. Risulta essere la forma più precoce di diagnosi prenatale, perché permette di conoscere la condizione genetica dell’embrione prima del suo trasferimento in utero.

A differenza delle altre tecniche di diagnosi prenatale invasiva (villocentesi e amniocentesi), la PGT evita il ricorso all’interruzione di gravidanza in caso l’analisi genetica risulti alterata.

Come si effettua la PGT?

La PGT viene eseguita nell’ambito di un percorso di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), omologa o eterologa, su embrioni al 5°-7° giorno di sviluppo in vitro (stadio di blastocisti). La biopsia viene eseguita mediante due tappe fondamentali: per primo l’apertura della zona pellucida, successivamente il prelievo di un piccolo numero di cellule. (8-10)

Queste cellule vengono prelevate dal trofoblasto, ovvero da quella porzione dell’embrione che poi diventerà placenta, senza mai ledere l’embrioblasto, ovvero le cellule che andranno poi a costituire il feto.

La PGT è quindi praticamente sovrapponibile ad una villocentesi, solo che viene eseguita prima dell’impianto dell’embrione in utero.

Per la biopsia, l’embrioblasto viene posizionato ad ore 7-11 in modo che sia chiaramente visibile e distante dal punto di apertura della zona pellucida. In questo modo, si evita qualsiasi possibile rischio all’embrioblasto, ovvero le cellule che daranno vita al feto.

Che tipologie di esame possono essere effettuate?

PGT-M (diagnosi preimpianto per malattie monogenetiche)

La PGT-M viene eseguita in quelle coppie portatrici di malattie monogeniche, ovvero, causate da alterazioni di un singolo gene, come per esempio la fibrosi cistica, la talassemia, la distrofia muscolare, etc…

L’elenco delle patologie diagnosticabili con la PGT-M è virtualmente infinito, dato che è sufficiente conoscere la base molecolare della malattia per eseguire una valutazione di fattibilità dell’analisi. Gli embrioni risultati non affetti dalla malattia genetica vengono ulteriormente analizzati per verificare la normalità del numero dei cromosomi (cariotipo molecolare).

PGT-SR (diagnosi preimpianto per le traslocazioni)

La PGT-SR viene eseguita in quelle coppie portatrici di anomalie cromosomiche strutturali (per es. traslocazioni o inversioni) o variazioni del numero di copie (delezioni/duplicazioni genomiche). Anche in questo caso viene eseguita una valutazione di fattibilità dell’analisi.

L’analisi verifica la normalità di tutti e 46 i cromosomi, non solo di quello/quelli coinvolti nell’alterazione presente nel partner affetto della coppia.

PGT-A (diagnosi preimpianto per aneuploidie cromosomiche)

La PGT-A viene consigliata alle coppie che si trovano in una di queste condizioni:

  • età materna avanzata (>38 anni)
  • ripetuti falliti impianti di PMA
  • ripetuti aborti spontanei
  • ripetute interruzioni di gravidanza per feto con anomalia cromosomica
  • fattore maschile severo.

Questa tecnica analizza il numero dei cromosomi dell’embrione al fine di individuare quello con cromosomi normali e dunque con le migliori chances di impiantarsi ed arrivare a termine di gravidanza.

I principali vantaggi della PGT-A sono:

  • riduzione del time-to-pregnancy (tempo necessario per ottenere una gravidanza),
  • riduzione degli aborti spontanei/falliti impianti,
  • aumento del singolo embrio-transfer con conseguente riduzione delle gravidanze gemellari.

Qual è l’accuratezza diagnostica?

La PGT ha una sensibilità ed un’accuratezza estremamente elevata (98-99% per la PGT-M e la PGT-SR; 96-98% per la PGT-A), e molte coppie scelgono dunque solo questa tecnica come forma di diagnosi prenatale invasiva.

In ogni caso, è sempre possibile per la coppia richiedere conferma del risultato della PGT durante la gravidanza, mediante l’esecuzione di una amniocentesi. Non avrebbe senso eseguire una villocentesi, in quanto abbiamo detto che la PGT corrisponde ad una forma precocissima di villocentesi, come poco senso avrebbe eseguire un NIPT (Test Prenatale Non Invasivo).

Management degli embrioni a mosaico

A Volte, durante l’esito di una diagnosi preimpianto, una percentuale di cellule del trofoblasto risultano avere delle anomalie cromosomiche. Un tempo questi embrioni venivano scartati, esattamente come quelli che presentavano tutte le cellule anomale. Ora, invece, dopo un case report su un trasferimento di embrione a mosaico con gravidanza evolutiva e bambino del tutto sano, quasi tutti i centri hanno iniziato a provare il trasferimento degli embrioni a mosaico.

Inoltre, dalla letteratura scientifica emerge, che se viene trasferito un embrione a mosaico con almeno il 50% di cellule sane, il nascituro non riporta anomalie cromosomiche. Ciò che emerge è una lieve riduzione della percentuale di impianti e un lieve aumento di aborti spontanei.

Fin da quando è stato pubblicato il primo studio che ha riportato una gravidanza evolutiva dopo il transfer di un embrione a mosaico, altri gruppi hanno studiato i tassi di successo dopo trasferimento di embrioni a mosaico. Questi studi hanno dimostrato che il trasferimento di embrioni con alterazioni a mosaico portava a gravidanze evolutive e con bambini sani; la maggior parte degli studi riportava però un decremento dei tassi di impianto e spesso un aumento dei tassi di aborto spontaneo.

Al momento attuale, il transfer di un embrione a mosaico può essere eseguito dopo un accurato counselling con la coppia e discusse le differenti alternative.

Diversi studi hanno cercato di stabilire un cut-off di mosaico per cui possa essere consigliato alla coppia il transfer di quell’embrione. La maggior parte degli studi concordano con un cut-off del 50%, che differenzia embrioni con un alto tasso di mosaico e embrioni con un basso tasso di mosaico, dove non ci sono differenze nei tassi di successo e nei tassi di aborto.

Quali sono i vantaggi della PGT?

La Diagnosi Genetica Preimpianto mostra dei vantaggi certi per quanto riguarda PGT-M e PGT-SR; per quanto riguarda la PGT-A i reali vantaggi si apprezzano in categorie selezionate di pazienti: sicuramente in chi ha avuto multipli fallimenti di impianto e in chi, nonostante un cariotipo della coppia normale, ha già sperimentato multipli aborti spontanei.

L’altra categoria in cui la PGT-A mostra i suoi vantaggi sono le donne con età avanzata.

Alcuni studi hanno mostrato come in pazienti con un’età inferiore a 35 anni non vi siano sostanziali differenze se trasferisco l’embrione con o senza diagnosi preimpianto. Diversamente, in pazienti con età superiore ai 35 anni e in particolare in quelle con età superiore ai 38 anni i tassi di impianto si modificano considerevolmente con o senza PGT-A. In donne tra i 38-40 anni si passa da tassi del 32,9% a tassi del 61,1 %; per donne tra 41-42 anni da tassi del 20,7% a tassi del 60,2% e in donne con età superiore ai 42 anni dal 7,8% al 53,7% senza e con PGT-A.

Chi può usufruire della PGT?

Secondo la legge 40 del 2004, possono accedere alla procreazione assistita solo le coppie infertili o sterili (art.4). Il testo, modificato dalla sentenza 96/2015 della Corte costituzionale, ha aperto la possibilità di accedere a questa tecnica anche alle coppie portatrici di patologie genetiche che potrebbero dover ricorrere a un’interruzione di gravidanza.

Dal 2015 grazie alla suddetta sentenza 96/15 della Corte Costituzionale, emessa a seguito di un procedimento presso il Tribunale di Roma per due coppie con l’Associazione Luca Coscioni, anche le coppie fertili con patologie genetiche possono accedere alla fecondazione assistita.

Quali sono i costi della PGT?

L’approvazione del Decreto Tariffe del giugno 2023 rende finalmente operativi i LEA, Livelli Essenziali di Assistenza nei quali erano entrate, nel 2017, le tecniche di PMA. Da gennaio 2024, dunque, avremo un nomenclatore tariffario nazionale sulla PMA.

Purtroppo al momento la PGT non è prevista dai LEA, nonostante da anni le principali associazioni del settore della medicina della riproduzione e della genetica ne abbiamo sollecitato l’inserimento. In alcune Regioni (Toscana, Emilia Romagna, Provincia Autonoma di Trento, Sardegna) la PGT è stata inserita nei LEA regionali, ed è dunque possibile eseguire questa tecnica non solo in Centri PMA privati/convenzionati ma anche pubblici.

Il costo varia da zero (centri pubblici che accettano l’esenzione per specifica malattia rara) a poche centinaia di euro di ticket, fino ad alcune migliaia di euro nei centri PMA privati/convenzionati.

Il progesterone è un ormone che ha un ruolo specifico e fondamentale nella regolazione del ciclo endometriale, nell’impianto dell’embrione e nella progressione della gravidanza. Per le pazienti che stanno svolgendo un percorso di PMA e si preparano al transfer dell’embrione in utero, è necessario che i livelli di progesterone siano adeguati a preparare ed ottimizzare l’endometrio.

Ce ne parla il Dottor Paolo Giardina, specialista in ginecologia e ostetricia presso l’Unità Clinica di Ginecologia Ostetricia e Medicina della Riproduzione dell’I.R.C.C.S. Ospedale San Raffaele di Milano.

Cos’è il Progesterone?

Il Progesterone è un ormone steroideo, derivato dal colesterolo e prodotto dalla corticale surrenalica e dall’ovaio. Esso è fondamentale nella regolazione del ciclo endometriale e, successivamente, nell’impianto  dell’embrione e nella progressione della gravidanza.

Viene utilizzato in molteplici ambiti della Ginecologia e dell’Ostetricia: contraccezione, terapia ormonale sostitutiva in menopausa, supporto del I trimestre di gravidanza e prevenzione dell’aborto spontaneo, prevenzione del rischio di parto pretermine, trattamento delle iperplasie endometriali.

Cosa succede durante il ciclo endometriale?

L’endometrio è un tessuto dinamico che, in risposta all’ambiente steroideo prevalente, estrogenico o progestinico, va incontro a caratteristiche modificazioni cicliche con frequenza mensile.

Estrogeni e progesterone regolano l’espressione di una cascata di fattori locali cruciali per il verificarsi della mestruazione nel ciclo mestruale e per l’impianto dell’embrione nel ciclo fertile. Essi vengono prodotti dall’ovaio, pertanto il ciclo endometriale è strettamente correlato al ciclo ovarico.

All’inizio del ciclo, grazie allo stimolo dell’ormone FSH, prodotto dall’ipofisi, all’interno dell’ovaio inizia a crescere un unico follicolo, chiamato dominante, che inizia a produrre progressivamente estrogeni, i quali hanno attività trofica sull’endometrio, che inizia a crescere.

In media al 14° giorno del ciclo avviene l’ovulazione: il follicolo si rompe, rilasciando l’ovocita. Il follicolo residuo viene chiamato corpo luteo, il quale è a tutti gli effetti una ghiandola endocrina, che produce Progesterone. La fase del ciclo mestruale conseguente alla formazione del corpo luteo viene chiamata “fase luteale”.

L’aumento di progesterone crea delle modificazioni strutturali e vascolari sull’endometrio, che lo rendono consono all’eventuale impianto dell’embrione nel ciclo fertile e che determinano quella che viene chiamata finestra di impianto endometriale.

  • In caso di impianto dell’embrione e di gravidanza evolutiva, il ruolo del corpo luteo nella produzione di progesterone sarà svolto dalla placenta, che si formerà completamente solo alla fine del I trimestre di gravidanza.
  • In caso di mancato impianto, il corpo luteo viene riassorbito e il successivo calo del progesterone provoca un processo infiammatorio a livello dell’endometrio, che si sfalda, dando luogo alla mestruazione.

Paolo-Giardina-Progesterone

 

Perché aggiungere il Progesterone nella fase luteale dello stimolo in PMA?

La fase luteale è la fase post-ovulatoria, in cui il corpo luteo neoformato inizia a produrre Progesterone, per indurre i cambiamenti endometriali necessari ad accogliere l’embrione e favorirne l’impianto.

Nel momento in cui le pazienti che stanno svolgendo un percorso di PMA si preparano al transfer dell’embrione in utero, è necessario che i livelli di progesterone siano adeguati a preparare ed ottimizzare l’endometrio.

Tuttavia, la stimolazione ormonale dei follicoli antrali, l’induzione farmacologica dell’ovulazione multipla e il pick-up ovocitario in corso di fecondazione in vitro possono alterare la fase luteale e quindi la produzione di progesterone.

Pertanto, nella maggior parte dei Centri di fecondazione Assistita si raccomanda l’assunzione di Progesterone nella settimana antecedente al transfer embrionario, come supporto della fase luteale.

Il progesterone può essere assunto sia per via orale, sia per via vaginale (creme o ovuli), sia per via intramuscolare o sottocutaneo.

Solitamente il giorno del trasferimento embrionario viene fatto un prelievo ematico per saggiare i livelli sierici di progesterone ed estrogeni, al fine di regolare la somministrazione ormonale in caso di deficit di uno dei due o di entrambi.

In caso di positività delle beta-HCG e di gravidanza evolutiva, il supporto progestinico deve essere continuato almeno fino alla 8°-10° settimana di gestazione, quando la produzione di progesterone da parte della placenta sarà sufficiente.

Frozen Embryo Transfer

Nei cicli di trasferimento di un embrione o di una blastocisti precedentemente crioconservati, si può procedere alla preparazione endometriale o su ciclo naturale o su ciclo medicato.

Il ciclo naturale viene proposto alle pazienti che solitamente hanno cicli regolari con ovulazione tutti i mesi. In queste pazienti vengono sfruttati gli estrogeni e il progesterone prodotti dal ciclo ovarico naturale, senza supplemento esterno.

Nel ciclo medicato invece, proposto nelle fecondazioni da ovodonazione oppure nelle pazienti con cicli anovulatori, il ciclo ovarico viene sostituito da un supplemento ormonale esterno, che mima quella che sarebbe stata la produzione ormonale dell’ovaio.

In questi casi il progesterone non funge da supporto del corpo luteo, che non viene prodotto, ma da vera e propria terapia sostitutiva della fase luteale.

Il progesterone in gravidanza

Come sottolineato, il progesterone è un ormone fondamentale non solo per l’impianto di una gravidanza, ma anche per la sua evoluzione.

Nelle fasi di impianto, sistema immunitario materno riconosce il feto come estraneo e tenta di rigettarlo.

È stato dimostrato come il progesterone svolga un ruolo immunomodulatore sul feto da parte della madre, prevenendo questa evenienza e pertanto, il rischio di fallimento di impianto o di aborto spontaneo.

Il progesterone risulta importante anche nelle fasi successive della gravidanza, avendo un ruolo miorilassante e antinfiammatorio, che permettono di prevenire l’eventuale insorgenza di contrazioni uterine premature e la rottura prematura delle membrane amnio-coriali, prevenendo il rischio di aborto del II trimestre e di parto pretermine.

Lo spermiogramma sembra apparentemente un esame banale, invece va fatto con molta attenzione e professionalità, da laboratori specializzati.

Ne parliamo con il Dr. Carlo Torrisi, ginecologo, responsabile clinico e Direttore Sanitario del Centro di Medicina della Riproduzione e Infertilità di Catania.

Gli spermiogrammi sono tutti uguali?

Molte volte la coppia porta degli esami di dubbia interpretazione perché vengono eseguiti in laboratori che non sono abituati a eseguire esami di questo tipo. Spesso, quindi, i valori di riferimento che sono completamente errati, ad esempio alcuni spermiogrammi indicano che la morfologia è normale quando si supera il 90%, questo deve farci escludere l’attendibilità dell’esame.

I parametri da considerare

I parametri da considerare sono essenzialmente:

  • il volume, che deve essere compreso tra 2 e 4 mm. Una riduzione del volume al di sotto di 1 mm di 1 ml in genere indica una possibile ostruzione o sub-ostruzione o assenza dei deferenti; un eccesso di volume invece può indicare un sospetto di prostatite
  • il PH, che in genere si mantiene tra 7,4 e 7,8. Una variazione dell’acidità o dell’alcalinità può indicare la presenza di un’infezione o l’assenza delle vescicole seminali
  • la viscosità che, quando è aumentata è spesso segno di anomalie prostatiche, di flogosi eccetera
  • il numero di spermatozoi, che viene considerato normale se è superiore a 20 milioni per ml. In caso contrario si parla di oligospermia quando il numero è inferiore
  • la motilità, della quale solitamente si considerano i valori alla prima e alla seconda ora. È importante anche considerare la motilità progressiva la motilità in loco che, spesso, dipendono dalle alterazioni strutturali dello spermatozoo stesso. L’astenospermia è un’anomalia della motilità degli spermatozoi
  • la morfologia, che la WHO World Health Organization definisce ottimale quando è superiore al 14%. Kruger, invece, secondo stricta criteria, indica esattamente quanti devono essere gli spermatozoi perfetti. Una morfologia Kruger del 4% ci indica già un esame che va abbastanza bene per cui possiamo considerarlo normale. La teratospermia è un’anomalia della morfologia
  • la quantità di cellule rotonde, che in genere sono oltre 2 milioni che indicano un sospetto di infezione. In questi casi si esegue una spermiocoltura

Il test di capacitazione

I parametri indicati sopra sono fondamentali, ma lo spermiogramma non è completo senza il test di capacitazione.

Questo test, che si esegue solo in laboratori specialistici, porta a una selezione degli spermatozoi migliori secondo gradienti di densità, secondo varie tecniche di selezione. Il risultato fiale indicherà gli spermatozoi mobili progressivi:

  • quando questo numero è al di sotto di 2-3 milioni l’indicazione spesso è soltanto PMA di II livello, quindi FIVET o ICSI;
  • quando il valore è compreso fra 3 e 6-7 milioni si può intervenire con una inseminazione;
  • quando il valore supera i 7-8 milioni si parla di normospermia e si può quindi indirizzare la coppia semplicemente verso dei rapporti programmati.

 

Una delle problematiche più frequenti nell’ambito dell’infertilità è quella degli aborti ripetuti.

Ne parliamo con il Dr. Carlo Torrisi, ginecologo, responsabile clinico e Direttore Sanitario del Centro di Medicina della Riproduzione e Infertilità di Catania.

Gli aborti ripetuti

Molti non considerano gli aborti ripetuti come una forma di infertilità, soprattutto se la fecondazione avviene spontaneamente. In realtà, paradossalmente sarebbe meglio che il concepimento non avvenisse, rispetto a un ripetersi di aborti e questo è un concetto che si fa fatica a far capire alle coppie. Nella vita di una donna l’aborto spontaneo non è un evento raro e dal punto di vista clinico non è preoccupante. Spesso si tratta di una selezione naturale, dell’eliminazione di un embrione che non ha possibilità di crescere. L’aborto spontaneo non è colpa di nessuno, anche se talvolta si crede che sia da imputare a qualcosa che la donna ha fatto o non ha fatto.

Aborto o gravidanza biochimica?

Va detto che molto spesso gli aborti ripetuti sono semplicemente delle gravidanze biochimiche, un test positivo, un valore Beta che non supera il 1000 e risulta tale ed è evidenziato soltanto perché la coppia interviene subito, dopo un solo giorno di ritardo del ciclo, con un Beta HCG.

I veri aborti sono veramente pochi e dobbiamo comunque distinguere l’aborto con l’evidenziazione della camera, se si evidenzia l’embrione, se si evidenzia il battito.

L’età avanzata della donna è la causa più frequente di aborto

La causa più frequente di aborto è l’età della donna: sappiamo infatti che dopo i 38 anni la percentuale di anomalie ovocitarie e cromosomiche è importante.

Quando si interviene con una tecnica di PMA può essere d’aiuto svolgere una diagnosi preimpianto, per identificare le blastocisti sane ed evitare quelle malate. Infatti, spesso si verificano delle anomalie cromosomiche nel cariotipo (microdelezioni, inversioni, traslocazioni non bilanciate) che possono alterare il meccanismo di divisione cellulare e bloccare l’evoluzione della gravidanza fino a mediamente 7-8 settimane.

Vanno considerate anche eventuali alterazioni del DNA spermatico: un aumento della sua frammentazione può essere corresponsabile della poliabortività.

Un’altra situazione frequente emersa in questi anni è quella delle anomalie della trombofilia. Spesso vengono identificate in blocco, in realtà bisogna fare una distinzione. Da un lato, le anomalie maggiori sono anomalie in etero-omozigosi del fattore 2 o del fattore 5: soltanto in questi casi, e non nelle decine di altre anomalie e mutazioni della coagulazione, si può parlare di trombofilia. Oppure si può verificare un’anomalia dell’MHTFR, soprattutto in omozigosi, che porta conseguentemente alla risalita dell’omocisteina. L’omocisteina è un aminoacido tossico che può alterare la vascolarizzazione della placenta e portare a delle complicanze della gravidanza anche in età tardiva, con aumento dei rischi di gestosi di ipertensione gravitica.

La terapia

In queste situazioni bisogna iniziare il trattamento con l’aspirinetta, con l’eparina con il cortisone in epoca addirittura premestruale e assumere l’acido folico. L’acido folico già metilato è l’unico che può in qualche modo ovviare alla risalita dell’omocisteina. Nel momento in cui si individuano il follicolo o più follicoli, l’intervento della gonadotropina e l’utilizzo di progesterone ad altissime dosi – spesso associato a magnesio – sicuramente contribuisce a risolvere buona parte delle anomalie.

Quando una coppia si rivolge a un centro di Procreazione Medicalmente Assistita deve sottoporsi a un’accurata anamnesi per indagare quali siano le cause di infertilità. Tali cause possono essere sia maschili che femminili.

Ce ne parla il Dottor Carlo Torrisi, ginecologo, responsabile clinico e Direttore Sanitario del Centro di Medicina della Riproduzione e Infertilità di Catania.

Quali sono le cause di infertilità femminili?

Le cause di infertilità femminili si distinguono in:

  • cause flogistiche, ad esempio, esiti di gravidanza extrauterina che portano a danni tubarici che, a loro volta, creano un ostacolo – in parte o completamente – alla risalita degli spermatozoi e al raggiungimento degli ovociti. Questa è stata la prima vera indicazione a tecniche di PMA.
  • cause legate alle conseguenze di endometriosi. L’endometriosi come sappiamo può colpire le ovaie con riduzione della riserva ovarica, può colpire le tube con alterazione del transito E comunque diciamo crea una uno stato di diminuita riserva ovarica. Una delle conseguenze è la POF, Premature Ovarian Failure. Si riscontrano una riduzione dei valori di MH, il dosaggio ormonale che consente di valutare la riserva ovarica, o un aumento dell’FSH, che porta a una riduzione della qualità e del numero degli ovociti.
  • cause di infertilità legate al sistema immunitario. Alterazioni del sistema della coagulazione o malattie autoimmuni quali la sclerosi multipla o l’artrite reumatoide possono aumentare le percentuali di aborti inspiegati e poliabortività.

Va ricordata anche l’infertilità idiopatica, ovvero senza una causa ben identificata. L’infertilità idiopatica in realtà è tale finché restiamo all’esterno della coppia. Nel momento in cui facciamo un pick-up ovocitario ci rendiamo conto che l’infertilità è data da una cattiva qualità ovocitaria, dalla diminuzione dei recettori, una insufficiente risposta alla stimolazione con FSH o a carenza di fattori di crescita, interleuchina eccetera e che possono comunque e dare problematiche difficilmente spiegabili.

Quali sono e cause di infertilità maschile?

Per quanto riguarda le cause di infertilità maschile dobbiamo distinguere:

  • un ipogonadismo ipogonadotropo, cioè con livelli di FSH molto bassi e una riduzione del volume testicolare in genere. Queste sono anomalie congenite, e c’è la possibilità di intervenire utilizzando FSH esogeno
  • un ipogonadismo ipergonadotropo, che crea dei danni testicolari conseguenti a cause iatrogene, quindi caldo, freddo, fattori tossici, idrocarburi eccetera
  • varicocele non diagnosticato tempestivamente
  • criptorchidismo, cioè una mancata discesa del testicolo. Questo in genere non è possibile curare terapeuticamente
  • Sertoli Cell-Only Syndrome è una situazione in cui manca la linea spermatogenetica

A queste vanno aggiunte le infertilità che provocano azoospermia, tra le quali la più frequente è l’aplasia congenita bilaterale dei vasi deferenti (CBAVD, Congenital Bilateral Absence of the Vas Deference). In questo caso i vasi deferenti sono assenti, perciò manca la connessione tra il tra il testicolo e l’esterno. In questo caso, tecniche di PMA come PESA, TESE e TESA possono risolvere, o quantomeno ovviare, a questa problematica.

Con il Dr. Carlo Torrisi, ginecologo, responsabile clinico e Direttore Sanitario del Centro di Medicina della Riproduzione e Infertilità di Catania.

Quando ci troviamo a gestire pazienti poor responder, con ripetuti fallimenti di impianto, dire alla coppia che è ora di fermarsi con le tecniche omologhe e suggerire l’eterologa è sempre un passaggio difficile. È un momento che implica un carico emotivo molto pesante che non sempre le coppie sono pronte ad affrontare e ad accettare.

Gli elementi da valutare

Oltre al supporto dello psicologo, il ginecologo deve portare alla coppia degli elementi da valutare e sui quali riflettere.

  • prima fra tutte il fallimento di più di 3-4 cicli di PMA di II livello. Deve trattarsi di cicli effettuati nello stesso Centro, anche solo per omogeneità nelle procedure, nell’approccio clinico, nella documentazione
  • la necessità di utilizzare alte dosi di gonadotropine. Mediamente occorrono circa 250 unità per follicolo e per ovocita; quando le dosi di gonadotropine utilizzate superano le 1000-1500 unità per ottenere un follicolo – che non sempre ha un ovocita all’interno – questa è un’indicazione allo stop. In questi casi evidentemente la riserva ovarica è talmente bassa che non c’è alcuna tecnica o preparazione che possa portare al miglioramento della situazione neanche con l’utilizzo delle preparazioni, con DEA, testosterone eccetera.
  • La qualità degli ovociti eventualmente recuperati. Quando gli ovociti sono sempre di cattiva qualità o almeno in 2-3 cicli il problema sta negli ovociti stessi. Può esserci una carenza di recettori, un difetto nel meccanismo delle divisioni meiotica e mitotica che si arresta, spesso per anomalie cromosomiche misconosciute; oppure per alterazioni o traslocazioni cromosomiche anche minime ma che portano a queste situazioni.

La classificazione degli ovociti

Solitamente si classificano gli ovociti con dei parametri A B C a seconda del numero e della quantità, di unità utilizzate, il numero di follicoli e il numero di dosi di estradiolo somministrate. A seconda che i parametri siano tripla A o tripla C ci si orienta verso l’interruzione della stimolazione.

In parallelo si procede con le valutazioni in laboratorio: il numero totale di ovociti, il numero di ovociti maturi, il numero di ovociti fertilizzati e gli embrioni ottenuti, la loro qualità e frammentazione. Anche in questo caso si valuta con i parametri tripla A o tripla C e, in base alla personale esperienza del clinico del biologo, si decide cosa suggerire alla coppia.

Non sempre la coppia accetta la situazione e il suggerimento di valutare la PMA eterologa. Spesso cambia Centro, cerca disperatamente di provarci in altre strutture. L’importante è che la coppia sia uscita dal nostro Centro con la consapevolezza di essere stata informata nel modo corretto.

Calano ancora le nascite in Italia, dove si registra un altro record negativo nei primi sei mesi del 2022.

I nuovi nati sono stati 393mila, in calo dell’1,7% rispetto al 2021. Il Rapporto Istat ‘Natalità e fecondità della popolazione residente – Anno 2022’ conferma il trend discendente italiano, che vede il tasso di fecondità (numero di figli per donna) passare dall’1,25 del 2021 a 1,24.
Inoltre, in base ai primi dati provvisori relativi all’anno in corso, a gennaio-giugno 2023 le nascite sono state circa 3.500 in meno rispetto allo stesso periodo del 2022.
La fecondità stimata è pari a 1,22 figli per donna, molto al di sotto della soglia di sostituzione della popolazione, necessaria a compensare le morti, pari a 2,1. Dal 2010, quando si è toccato il massimo relativo degli ultimi vent’anni a 1,44 figli per donna, il trend è sempre stato in discesa. La riduzione medio-annua registrata è di circa 13mila unità – pari al 2,7% e ad oggi si rilevano oltre 183mila nascite in meno rispetto al 2008, ovvero un calo del 31,8%.

Le cause

Tra i motivi per il calo delle nascite segnalati dall’Istat c’è il fatto che la popolazione femminile in età riproduttiva (tra i 15 e 49 anni, secondo convenzione) è meno numerosa di prima. Infatti, in questa fascia di popolazione le donne scontano l’effetto del ‘baby-bust’, la fase di continua riduzione della fecondità del ventennio 1976-1995, che ha portato al minimo storico di 1,19 figli per donna nel 1995.

Ci sono poi motivi economici:

• l’allungarsi dei tempi di formazione
• le difficoltà a trovare un lavoro stabile
• la bassa crescita economica
• il problema della casa

Se a inizio millennio questi fattori incidevano soprattutto nella decisione di ‘mettere in cantiere’ un secondo figlio, oggi frenano a monte la decisione di fare il primo. Tuttavia, nel 2022 quasi un nato su due è primogenito (il 48,9% del totale dei nati, 6mila in più, il +3,2% sul 2021). I figli successivi al primo diminuiscono invece del 6,1% nell’ultimo anno.

Un altro fattore importante è l’attenuarsi dell’apporto fornito dalla popolazione straniera. In ogni caso, la diminuzione dei nati è attribuibile per la quasi totalità al calo delle nascite da coppie di genitori entrambi italiani (311.117 nel 2022, quasi 169mila in meno rispetto al 2008).

Le differenze geografiche

A livello geografico, nel Nord, dove il numero dei nati negli anni Duemila era aumentato, i livelli di fecondità continuano a scendere, mentre il Mezzogiorno registra un lieve aumento, dovuto a un recupero rispetto al periodo pandemico.
Nello specifico:

• il Centro presenta la fecondità più bassa, pari a 1,16 figli per donna, in calo rispetto al 2021 (1,19)
• il Nord-est registra la fecondità più alta, 1,29 figli per donna
• il Nord-ovest si attesta a 1,24 figli per donna
• il Nord nel suo complesso ha una fecondità pari a 1,26 (1,28 nel 2021)
• il Mezzogiorno rileva un livello di fecondità di 1,26 figli per donna (1,25 nel 2021)
• la Provincia autonoma di Bolzano/Bozen hail massimo valore di fecondità (1,65), seguita dalla Provincia autonoma di Trento con 1,37
• al Sud i valori massimi sono in Sicilia (1,35) e in Campania (1,33)
• la Sardegna ha il record negativo (0,95), in ulteriore calo sul 2021 (0,99).

Le nascite da genitori stranieri diminuiscono

Il tasso di fecondità nel 2022 accorpa il ‘contributo’ italiano e quello straniero. Per le sole donne italiane infatti la cifra si ferma a 1,18 – era 1,33 nel 2010 – mentre per le straniere è pari a 1,87. Se consideriamo che nel 2006 la fecondità delle straniere era pari a 2,79 figli per donna, è evidente che negli ultimi anni si è attenuato l’apporto della popolazione ‘non italiana’ alle nascite, a causa dei processi di integrazione e dell’adeguamento agli stili di vita del Paese.

In base ai dati Istat, i nati da genitori in cui almeno uno dei due sia straniero continuano a diminuire nel 2022, attestandosi al 20,9% del totale dei nati. I nati da genitori entrambi stranieri sono 53.079 (26.815 in meno sul 2012), il 13,5% del totale.

Aumentano i figli nati fuori dal matrimonio

Un altro elemento su cui si sofferma il report dell’Istat è l’aumento dei figli nati fuori dal matrimonio, dovuto al cambio di valori culturali per cui per le coppie più giovani il matrimonio non è più come una volta un passaggio obbligato. Lo conferma sempre l’Istat, i cui dati parlano di una diminuzione delle unioni, specialmente religiose: -2% rispetto al 2019.

Dall’inizio del millennio, sottolinea l’Istat, la quota di nati fuori dal matrimonio è costantemente aumentata, guadagnando 33 punti percentuali.
I figli ‘more uxorio’ sono 163.317 (+3,5mila sul 2021, quasi 50mila in più sul 2008), pari al 41,5% del totale, di cui il 35% con genitori che non sono mai stati coniugati e il 6,5% da coppie in cui almeno un genitore proviene da una precedente esperienza matrimoniale.

FONTE: ADNKRONOS

Insicurezza e fragilità bloccano molti giovani della Generazione Z, al punto da frenare le relazioni e l’attività sessuale. Il sesso virtuale verrebbe preferito da 1 giovane su 3 con età compresa tra i 16 e i 35 anni.

L’indagine SIA

È quanto emerge dall’indagine promossa dalla Società Italiana di Andrologia (SIA) nell’ambito della campagna di sensibilizzazione e prevenzione andrologica, che ha visto coinvolti, tra gli altri, l’Esercito Italiano, la Croce Rossa Italiana (CRI), ed è stata condotta dall’Università IULM di Milano, su un campione di 500 giovani maschi, dai 16 ai 35 anni e i loro partner.

Obiettivo della ricerca è esplorare, tramite un questionario, i cambiamenti delle abitudini sessuali dopo la pandemia, la virtualizzazione dei rapporti di coppia, lo stato attuale della prevenzione andrologica per aumentare la consapevolezza dei giovani anche attraverso materiali e spot pubblicati su tutti i social della SIA e sul sito.

“I risultati preliminari dell’indagine mostrano che il rapporto della Generazione Z con il sesso è complicato e contraddittorio – dichiara Alessandro Palmieri, Presidente SIA e Professore di Urologia alla Università Federico II di Napoli -. La sessualità negli under 35 appare sempre più sganciata dalla componente relazionale e riproduttiva, e questo si riflette sulla scarsa soddisfazione nei rapporti reali, 50% del campione, e sul ricorso al sesso solo virtuale per un ragazzo su tre.

Il fenomeno della denatalità

Questa tendenza alimenta silenziosamente il fenomeno della denatalità con ripercussioni gravi quindi anche sulla società stessa per l’instaurarsi da una sessualità mediata dai social e da Internet, con un grande assente: il contatto fisico. Ciò comporta anche una ricaduta sui disturbi della sfera sessuale. Già da parecchi anni ci troviamo di fronte a un incremento di problematiche che interessano i giovani, che la pandemia ha contribuito a esacerbare a causa dell’isolamento. Moltissimi ragazzi lamentano disfunzione erettile ascrivibile alla virtualizzazione del rapporto, all’eccesso di pornografia e di autoerotismo. Così un ragazzo che si approccia alla sessualità può essere intimidito o intimorito, sentendosi inadeguato”. Preoccupa infatti che l’11% dei giovani dichiara di utilizzare quasi esclusivamente il mondo online per trovare partner sessuali e il 30% utilizza chat erotiche e siti pornografici quotidianamente.

Solo 2 giovani su 10 ha fatto una visita andrologica

“Questa difficoltà – prosegue l’esperto – fa sì che i giovani, prima di rivolgersi allo specialista, cerchino informazioni online sui loro problemi. Mentre il 68% dichiari di sapere chi è l’andrologo, il 58% ritenga importantissimo fare visite preventive, poi di fatto il 74% dei giovani risponde che non ha mai fatto una visita andrologica e l’83,9% dichiara di non effettuare controlli regolari”.

A questo si aggiunge che la passione cede il passo non solo al sesso virtuale, al porno e all’autoerotismo, ma anche alla “pace dei sensi”, con comportamenti sessuali come l’astinenza sempre più diffusi fra i giovani. Si stima infatti che siano oltre 1,6 milioni i 18-35enni che mai nella vita hanno fatto sesso e circa 220mila le coppie stabili 18-35 anni che hanno rinunciato o quasi al sesso.

“In un contesto caratterizzato da alterazioni della sessualità, che vanno dal ricorso frequente ai rapporti intimi virtuali all’astinenza vera e propria, diventa davvero difficile immaginare o prevedere miglioramenti sulla natalità futura in Italia, già oggi ai minimi storici”, sottolinea Palmieri. Sul fronte della conoscenza delle malattie a trasmissione sessuale si riscontra un forte gap tra quello che i giovani vorrebbero fare e quello che in effetti fanno.

Pochi giovani parlano con il medico

I dati emersi in presenza di queste malattie dicono che solo l’8% dei giovani ne ha parlato con il medico o il 12% a casa, a fronte di un 70% circa che invece ha cercato informazioni autonomamente online o ha avuto informazioni a scuola/università. A mancare non è solo la comunicazione con il medico, i genitori e la scuola, ma anche quella con il partner. Solo l’8,1% dei maschi ha parlato liberamente di malattie a trasmissione sessuale con il partner.

Di contro le risposte al questionario dei partner mostrano che il 38,1% di essi dichiara di voler parlare con il maschio in caso di dubbi riguardanti le malattie sessuali. Interessante il fatto che il 74% dei partner dichiara di parlare di sesso liberamente a fronte del 63% dei maschi. “L’identikit della Generazione Z emerso dalla nostra indagine dimostra chiaramente l’importanza di campagne di informazione e sensibilizzazione sulla salute sessuale maschile nei giovani – conclude Palmieri -. Con la nostra campagna di sensibilizzazione vogliamo arrivare a questa fascia di popolazione maschile al fine di aumentare la consapevolezza dell’importanza della prevenzione andrologica per una vita sessuale sana e soddisfacente”.

FONTE: Agenzia AGI