Autore: Paola Gregori

La PMA nelle donne sottopeso presenta particolari difficoltà rispetto a quelle normopeso? E’ noto che un peso corporeo anormale, possa comportare alterazioni metaboliche ed endocrine, responsabili dell’aumento del rischio di sviluppare una serie di condizioni che compromettono la salute tra individui sottopeso e sovrappeso. Altrettanto evidenti sono le possibili ripercussioni sulla fertilità.

Sottopeso e concepimento, un rapporto da approfondire

Molti studi affermano chiaramente l’impatto negativo dell’eccesso di peso corporeo sul concepimento spontaneo e assistito, sia negli uomini che nelle donne, ma pochi si sono concentrati esclusivamente sulla popolazione sottopeso. Questo perché, come evidenziato da recenti statistiche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nelle società sviluppate l’eccesso di peso corporeo (sovrappeso o obesità) costituisce uno stato sempre più comune che coinvolge il 50%-70% della popolazione adulta.

Essere sottopeso è molto meno comune, con una prevalenza inferiore al 5%, ed è quindi meno preoccupante per la salute pubblica, da qui il numero inferiore di studi. Inoltre, essere sottopeso è spesso secondario ad altre condizioni, come l’anoressia nervosa o la bulimia, soprattutto nella popolazione giovane, e come tale spesso non è considerato una malattia in sé, ma piuttosto una caratteristica di altre patologie che richiedono un trattamento.

Tuttavia questa situazione può avere conseguenze nel campo della riproduzione umana, e soprattutto nella riproduzione assistita, pertanto è importante approfondire il rapporto tra concepimento, in particolare PMA, e sottopeso. Ad analizzare questo tema uno studio recentemente pubblicato su Fertility and sterility.

 

La fertilità nelle donne sottopeso

Per garantire il corretto funzionamento dell’asse ipotalamo-ipofisario-ovarico e, quindi, una normale ovulazione è necessario un indice di massa corporea (IMC) critico, questo può mancare nelle donne sottopeso.

Una riduzione del 10%-15% del peso corporeo normale è spesso associata alla cessazione delle mestruazioni, con l’anovulazione e l’amenorrea che porta all’infertilità. Infatti, nelle donne è stata descritta una curva a U rispetto all’IMC e al concepimento spontaneo, con entrambi gli estremi della curva più legati a problemi di fertilità, anche se più fortemente quando il peso corporeo è eccessivo.

 

La PMA nelle donne sottopeso: quale l’efficacia?

Sebbene la fertilità paia inferiore nelle donne sottopeso, l’uso di agenti di induzione dell’ovulazione può essere tuttavia sufficiente a fornire una soluzione alla sterilità. In questo modo si può ottenere un’ovulazione e una mestruazione corrette, poiché non sono state rilevate altre implicazioni per la qualità degli ovociti e la ricettività endometriale una volta raggiunta l’ovulazione. Infatti, le donne sottopeso che ricevono ovuli donati non sembrano avere risultati riproduttivi più scadenti rispetto alle loro controparti di peso normale.

Il risultato della FIVET nelle donne sottopeso è stato meno studiato rispetto alle pazienti sovrappeso e obese. Nonostante la mancanza di un chiaro consenso, attualmente si ritiene generalmente che i risultati siano simili a quelli delle donne di peso normale, tranne che per quanto riguarda le complicazioni ostetriche.

 

Importante la consulenza preconcezionale

La maggiore preoccupazione delle donne sottopeso che cercano di concepire è la pletora di complicazioni ostetriche legate a uno stato di denutrizione della madre e del feto, come descritto nelle pazienti con disturbi alimentari. Questi includono un aumento del rischio di:

  • ipermesi gravidica,
  • anemia,
  • aumento di peso alterato,
  • ritardo di crescita intrauterino,
  • parto pretermine,
  • parto cesareo,
  • basso peso alla nascita,
  • complicazioni postnatali
  • depressione post-partum
  • aumento del rischio di malattie croniche nella prole.

Un approccio ottimale in queste donne dovrebbe includere un’adeguata consulenza preconcezionale, indipendentemente dal fatto che il concepimento avvenga in modo naturale, attraverso l’induzione dell’ovulazione o la fecondazione in vitro (FIVET). La consulenza preconcezionale assume particolare importanza in caso di una diagnosi di condizione psicologica, come l’anoressia nervosa o la bulimia, o di qualsiasi altra malattia cronica che porta alla morte per fame della madre.

 

Conclusioni

Il messaggio è in qualche modo rassicurante: le donne sottopeso sottoposte a FIVET presentano risultati simili a quelli delle donne di peso normale. Sono auspicabili ulteriori e migliori studi, soprattutto di tipo randomizzato, per ottenere informazioni affidabili.

Tuttavia, non dovremmo ignorare le implicazioni della denutrizione materna per le complicazioni ostetriche e neonatali e per la salute della prole.

La conclusione principale da trarre dalla letteratura medica attuale è che le donne sottopeso debbano ricevere un’adeguata consulenza preconcezionale, indipendentemente dal fatto che la gravidanza sia spontanea o assistita, e soprattutto nei casi in cui vi siano condizioni psicologiche o sistemiche associate. Attualmente, sembra che, quando il suo stato nutrizionale è corretto, la futura madre e il bambino raggiungano risultati ottimali nell’esito riproduttivo dopo la FIVET, che non pare compromessa dal basso IMC.

Renzo Poli

Responsabile centro PMA III° livello “Diagnostica Pavanello”, Padova

 

Lo spermiogramma è l’esame fondamentale per lo studio del partner maschile nell’iter diagnostico della coppia infertile ma è caratterizzato da scarsa riproducibilità. Di conseguenza, spesso, presenta incerta attendibilità, anche perché molte delle caratteristiche funzionali che contribuiscono a definire la fertilità non sono ancora oggi ben conosciute.

Per ridurre questo gap e rendere lo spermiogramma maggiormente attendibile il laboratorio di andrologia può avvalersi dell’ausilio dello SCA, un software per l’analisi computerizzata del seme che che rientra nei metodi di indagine validati dall’Organizzazione mondiale della sanità (World Health Organization, WHO). Questo software permette di introdurre nell’analisi del seme altri parametri non diversamente valutabili con oggettività.

L’esame seminale così eseguito diventa strumento efficace di valutazione del trattamento terapeutico

 

L’infertilità, un problema comune e complesso

Alcuni numeri: si calcola che ogni anno 60.000-80.000 nuove coppie si trovino a dover affrontare problematiche di infertilità, le cui cause sono da ricondurre per un buon 40% a un deficit della componente maschile, mentre per un altro 20% circa alla sovrapposizione di fattori maschili e femminili.

L’esame del liquido seminale, o spermiogramma, è il caposaldo dell’attività del laboratorio di andrologia, dal momento che rappresenta il punto di partenza dello studio della capacità fecondante di un uomo. Da una sua corretta esecuzione si possono avere indicazioni per indagini più approfondite e specifiche e, addirittura, per interventi terapeutici.

Lo spermiogramma, tra gli esami di laboratorio, si distingue per il significato particolare che si associa ai “valori normali” dei vari parametri che misurano la qualità dello sperma. Infatti, “normalità” non implica necessariamente “fertilità”, dal momento che molte delle caratteristiche funzionali che contribuiscono a definire la fertilità non sono ancora oggi ben conosciute. Ecco perché si possono avere gravidanze con liquidi seminali definiti patologici, e non averne con eiaculati definiti normali.

A questo, poi, si deve aggiungere il contributo della componente femminile alla fertilità di coppia: una partner con un elevato potenziale di fertilità, infatti, può compensare deficit seminali considerevoli.

La complessità dello spermiogramma è cresciuta a tal punto da indurre l’Organizzazione mondiale della salute (World Health Organization) a promuovere alcune linee guida per la standardizzazione delle indagini per lo studio di base del liquido seminale e per la descrizione e interpretazione dei risultati ottenuti. Tali linee guida periodicamente vengono tenute al passo dei progressi nel settore, attraverso aggiornamenti successivi (1987, 1992, 2010).

 

L’esecuzione dello spermiogramma: le informazioni per il paziente

I parametri di standardizzazione:

  • il campione di liquido seminale deve essere raccolto dopo un’astinenza da eiaculazione compresa tra 2 e 5 giorni
  • Lavare bene le mani e i genitali prima di effettuare la raccolta nel contenitore sterile per le urine
  • Il campione viene raccolto in una stanza dedicata, vicino al laboratorio di andrologia, per limitare l’esposizione del liquido seminale agli insulti ambientali e rendere tempestiva l’analisi
  • Il campione va raccolto in maniera completa, facendo attenzione anche alla prima parte che è ricca di spermatozoi. Se il campione non è raccolto completamente andrà annotato nell’apposita scheda di autocertificazione.

 

L’analisi del campione
Esame macroscopico – aspetti chimico/fisici del liquido seminale
  • Liquefazione
  • Aspetto
  • Volume
  • Viscosità (o consistenza)
  • Ph

 

Esame microscopico – quantità e qualità degli spermatozoi
  • Concentrazione
  • Motilità
  • Morfologia

 

Elementi cellulari diversi dagli spermatozoi – quantità e qualità delle altre cellule del liquido seminale
  • Leucociti
  • Emazie
  • Cellule epiteliali
  • Cellule della spermatogenesi

 

Sistema SCA – Sperm Class Analyzer

Il Laboratorio andrologico del Centro di PMA può dunque avvalersi del sistema SCA (Sperm Class Analyzer), un software per l’analisi computerizzata degli spermatozoi che rientra nell’ambito tecnologico dei sistemi CASA (Computer Aided Sperm Analysis) associato a un sistema di rilevazione microscopica di ultima generazione. Questa combinazione agevola così la standardizzazione di un esame il cui esito è notoriamente operatore-dipendente.

 

Studio del movimento degli spermatozoi

Il sistema SCA effettua un rilevamento elettronico sequenziale di immagini digitalizzate attraverso il quale vengono calcolate la concentrazione nemaspermica e le percentuali di mobilità facendo particolare attenzione ai parametri cinetici di ogni singolo spermatozoo. Infatti vengono rilevate con la massima precisione (vedi immagini sotto riportate):

  • la velocità curvilinea (VCL)
  • la velocità media della traiettoria (VAP)
  • l’ampiezza dello spostamento laterale della testa (ALH)
  • la velocità lineare (VSL)
  • la frequenza dei battiti della coda (BCF).

 

Successivamente, dalle tre misure di velocità (VCL, VAP e VSL) vengono calcolati i rapporti di progressione della cellula, ovvero la linearità (LIN), rettilinearità (STR) e l’oscillazione (WOB).

Lo studio accurato di questi parametri cinetici permette l’individuazione di una sottopopolazione di spermatozoi adatti, in modo ideale, a penetrare il muco cervicale.

 

Studio della forma degli spermatozoi

Lo studio morfologico degli spermatozoi permette di calcolare la percentuale di forme tipiche e atipiche, nonché i dettagli delle alterazioni presenti. È opinione comune che la valutazione della morfologia spermatica sia vincolata all’interpretazione soggettiva dell’operatore, ed è ancora difficile ottenere un accordo generalizzato sul ruolo predittivo dei risultati ottenuti con uno spermiocitogramma standard.

Lo studio computerizzato aiuta a ottenere un risultato estremamente preciso, oggettivo, riproducibile e difficilmente influenzato dall’operatore.

 

L’analisi si basa sulla misurazione microscopica delle componenti fondamentali dello spermatozoo:

  • la testa (area, perimetro, lunghezza, larghezza, acrosoma, ellitticità, rotondità, elongazione, regolarità)
  • il collo o segmento intermedio (area, distanza, angolo, larghezza)
  • la coda (lunghezza, presenza di angolazioni e avvolgimenti)
  • la presenza del residuo citoplasmatico

 

Gli indici morfologici

La determinazione qualitativa e quantitativa delle alterazioni rilevate a questi livelli permette di calcolare accuratamente i cosiddetti indici morfologici, e in particolare:

  • Indice di teratozoospermia (TZI), che rappresenta il rapporto tra il totale delle anomalie rilevate e il numero di spermatozoi atipici.
  • Indice di deformità (SDI), che rappresenta il rapporto delle anomalie sul totale di spermatozoi analizzati.

Il valore dell’indice di teratozoospermia deve variare tra 1,00 (ogni spermatozoo atipico ha una sola anomalia) e 3,00 (ogni spermatozoo atipico ha anomalie della testa, del tratto intermedio e della coda). L’importanza diagnostica e prognostica di questo esame è dettata dall’evidenza che le alterazioni morfologiche degli spermatozoi sono direttamente connesse a condizioni patologiche sottostanti che possono interessare le vie seminali e la maturazione stessa degli spermatozoi. Inoltre, così come riportato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, un elevato TZI è associato a un basso tasso di fecondazione in coppie infertili non trattate, così come un SDI aumentato è considerato incompatibile con la fecondazione in vitro. Al termine dell’esame del liquido seminale, si può parlare di:

  • Oligozoospermia se il numero di spermatozoi è inferiore a 15 milioni/ml
  • Astenozoospermia se la motilità progressiva è inferiore al 32%
  • Teratozoospermia quando la percentuale di spermatozoi con morfologia tipica è inferiore al 4%
  • azoospermia quando non sono presenti spermatozoi nell’eiaculato e nel centrifugato

 

Test di capacitazione

La definizione più precisa di questa indagine è il “test di preparazione in vitro del liquido seminale”. Si tratta di un esame che riproduce in vitro le modificazioni (capacitazione) a cui va incontro lo spermatozoo mentre attraversa le vie genitali femminili che gli donano una particolare motilità e lo rendono idoneo a fecondare l’ovocita. Perciò tale test consente di selezionare tra tutta la popolazione di spermatozoi quelli con la motilità e morfologia migliori e di attivarne la capacitazione.

Esistono diverse procedure per ottenere tale selezione e in particolare:

  • Swim-up (migrazione ascendente)
  • Separazione su gradiente di densità

Il risultato del test di capacitazione è fondamentale per verificare direttamente quale sia la reale frazione di spermatozoi di un campione in grado di attivarsi e di partecipare al processo della fertilizzazione vero e proprio, in vivo e in vitro. Si tratta di un indicatore fondamentale del potenziale fertilizzante maschile ed è adiuvante nella scelta del tipo di tecnica di inseminazione da utilizzare in un ciclo PMA (Fivet convenzionale o ICSI).

In crescita la Home insemination: la fecondazione fai da te nella quale i donatori si trovano in rete.

Sicuramente un sistema più economico rispetto alla fecondazione assistita nella quale sono richiesti una clinica specializzata e personale medico e infermieristico competenti. Ma è efficace, e soprattutto è sicura?

Rivolgersi a un centro che si occupa di tecniche di procreazione assistita e intraprendere il percorso suggerito risulta ancora un processo complesso e costoso con un impegno di tempo, energie fisiche ed emotive e un costo economico dell’ordine di migliaia di euro.

Da qui l’aumentare della ricerca di scorciatoie, un potenziale pericolo, però, per la salute. Purtroppo quando si parla di home insemination vanno infatti sottolineati l’assenza di controlli e il fatto che a praticarla siano persone non esperte.

 

La fecondazione fai da te: assente ogni tutela
Stiamo assistendo alla diffusione di una nuova pratica: alcune coppie e single si affidano a quella che gli anglosassoni definiscono ‘home insemination’, ossia  la fecondazione ottenuta  con il seme fresco di un donatore, spesso contattato in Rete o in appositi gruppi sui social network. Anche se non esistono dati precisi sulle dimensioni  del fenomeno” spiega il Professor Salvatore Sansalone, Professore Aggregato di Andrologia all’Università di Tor Vergata.

“Online siti e gruppi incrociano domanda e offerta tra privati, una soluzione adottata da coppie in cui il partner maschile sia infertile, da donne single o da coppie di donne omosessuali che possono scegliere tra centinaia di  giovani uomini tra i 30 e i 40 anni. Una zona d’ombra anche dal punto di vista legale in cui nessuno è tutelato”. 

 

Come fare un bimbo ai tempi di internet

Ma come avviene la “home insemination”? In genere c’è prima un contatto via email e poi talvolta un incontro informale in cui il donatore che, a volte, non chiede alcun compenso, mostra le analisi del sangue. Se scatta la simpatia il donatore attende la chiamata della coppia o della donna che monitora l’ovulazione. Si incontrano spesso in un hotel dove lui dona in una provetta sterile il liquido seminale e lei provvede a iniettarlo, con una semplice siringa a cui sia stato tolto l’ago o con una pompetta, cercando di portare il contenuto il più vicino possibile al collo dell’utero e sperando che avvenga il concepimento. I protagonisti talvolta rimangono in contatto oppure si incontrano se la coppia vuole un secondo  figlio dallo stesso donatore. Non ci sono regole, è uno scambio tra privati. 

 

I pericoli sottovalutati

“Quando lo scambio avviene tra privati senza la mediazione di una struttura sanitaria” prosegue Sansalone “esiste un alto margine di rischio anche se il donatore si presenta con analisi recenti che dovrebbero certificarne la salute.

Stiamo assistendo a un aumento esponenziale di casi di malattie infettive, e spesso la documentazione dei donatori è limitata a pochi parametri, del tutto insufficienti a tutelare la salute della donna e dell’eventuale nascituro”.

 

Le analisi indispensabili

Quali sono le analisi che  non dovrebbero mancare? “HIV, HCV, HBsAg (antigene di superficie dell’epatite B), HBc- IgG (individua la presenza di anticorpi contro il virus dell’apatite B), VDRL  e TPHA (due test sierologico  per la sifilide),  Citomegalovirus IgG, Citomegalovirus IgM” spiega Sansalone. “Meglio piuttosto ricorrere all’acquisto di un campione in una apposita banca, che lo recapita a casa in un contenitore refrigerato, un manuale di istruzioni e il kit per l’inseminazione. Il costo varia a seconda della quantità di spermatozoi per millilitro che ovviamente ne aumentano la capacità fecondante”.

 

L’efficacia e la sicurezza della home insemination: le preoccupazioni degli specialisti

La home insemination è meno efficace di quanto si possa pensare, entrano infatti in gioco numerosi fattori. Nel complesso, la fecondazione fai da te è meno efficace e, soprattutto, meno sicura rispetto alle tecniche di PMA proposte dai centri medici specializzati.

“Il successo al primo tentativo è tutt’altro che ovvio” mette in guardia lo specialista, “possono essere necessari più incontri, anche perché in alcuni casi la quantità di eiaculato potrebbe essere insufficiente. I fattori che determinano il successo sono tanti: vanno dall’età e dalla salute della donna sino alla qualità degli spermatozoi del donatore.

La possibilità di una gravidanza non é  sovrapponibile a quella di un rapporto sessuale tradizionale anche se il liquido seminale viene depositato nella donna nel periodo finestra dell’ovulazione.

Manca poi il criterio di sicurezza garantito dai centri specializzati che eseguono lo spermiogramma per determinare le diverse caratteristiche del seme, la ‘capacitazione’ (o lavaggio) degli spermatozoi, ossia la selezione di quelli più mobili, ma anche  la possibilità di eseguire una stimolazione ovarica che triplicherebbe le percentuali di successo rispetto ai tentativi home made. Noi andrologi guardiamo con una certa preoccupazione a queste pratiche e dobbiamo ricordare che la procreazione con seme donato è a tutti gli effetti considerato un atto medico”. 

Renzo Poli

Responsabile centro PMA III° livello “Diagnostica Pavanello”, Padova

 

La sonoisterosalpingografiain “3D”e “4D”, e non l’isterosalpingografia, è attualmente il gold standard di primo livello per la valutazione del fattore tubarico e uterino nell’iter diagnostico della donna infertile.

 

Infertilità, patologia tubarica e altre anomalie

Il fenomeno dell’infertilità secondo le diverse stime disponibili riguarda almeno  il 15% delle coppie. Le cause dell’infertilità, sia femminile che maschile, sono numerose e di diversa natura.

Diversi studi riportano come la patologia tubarica interessi dal 30 al 50% delle pazienti sterili: danno tubarico può essere la conseguenza di malattia infiammatoria pelvica, endometriosi, pregressa chirurgia pelvica, appendicite, gravidanza tubarica e aborto settico.

Inoltre circa il 10% delle pazienti sterili presenta anomalie strutturali congenite o acquisite dell’utero, che possono essere anche causa di abortività ripetuta.

 

L’iter diagnostico della donna sterile e la sonoisterosalpingografia

L’iter diagnostico della paziente sterile deve comprendere la valutazione della pervietà tubarica e della morfologia della cavità uterina.

Sino al 2000 l’esame ambulatoriale tradizionalmente utilizzato è stato la isterosalpingografia (HSG) che ha tuttavia numerosi svantaggi:

  • la scarsa tollerabilità,
  • l’utilizzo di radiazioni ionizzanti (raggi X) e di un mezzo di contrasto iodato non esente da complicanze allergiche,
  • il mancato studio delle ovaie e del profilo esterno dell’utero.

Oggi invece l’approccio diagnostico della paziente infertile è basato sull’ecografia in “3 e 4D” e si avvale in particolare modo della sonoisterosalpingografia (Hysterosalpingo contrast sonography, HyCoSy), che permette un’accurata valutazione della morfologia della cavità uterina e della pervietà tubarica, associata allo studio della struttura dell’utero e delle ovaie attraverso il mezzo di contrasto ecografico (aria e soluzione salina.

Sono in commercio altri mezzi di contrasto (il cui costo a nostro parere non ne giustifica l’uso) che vengono iniettati nella cavità uterina e di cui se ne può osservare il passaggio attraverso le tube fino nella cavità peritoneale.

Tale tecnica si è dimostrata efficace e accurata e deve essere considerata l’esame diagnostico di primo livello.

Inoltre, comparata alla laparoscopia ed alla isterosalpingografia, la sonoisterosalpingografia:

  • è meno invasiva,
  • permette di annullare il rischio di reazioni allergiche
  • permette di evitare l’esposizione delle ovaie a radiazioni ionizzanti
  • viene eseguita dal ginecologo
  • è un esame rapido e ben tollerato dalla paziente.

I dati riportati in questi anni nelle pubblicazioni scientifiche mostrano una concordanza della sonoisterosalpingografia verso la laparoscopia con dye test di circa il 90%.

 

Gli svantaggi della sonoisterosalpingografia

Questa procedura presenta svantaggi:

  • come tutti gli esami ecografici è operatore-dipendente
  • fornisce informazioni limitate sulla morfologia delle tube e delle fimbrie nonché sulla presenza di aderenze peritubariche.

 

Quando eseguire la sonoisterosalpingografia

L’ esame è eseguito  nel periodo proliferativo iniziale per evitare interferenze con una gravidanza iniziale o che un endometrio molto spesso ostacoli la corretta valutazione della cavità uterina o il transito attraverso le tube.

 

Come si svolge la sonoisterosalpingografia

La metodica richiede l’utilizzo di un catetere apposito a due vie (Foley vescicale pediatrico) dotato di un palloncino di ancoraggio alla sua estremità distale. Lo specialista introduce il catetere preferibilmente nella cervice uterina oppure, nei casi di reiterate espulsioni, nella cavità uterina, e riempie il palloncino con 1,5 ml o 0,5ml  di soluzione fisiologica.

Quindi il catetere viene raccordato alla siringa di 50 cc.  riempita a metà con la soluzione fisiologica e a metà con aria.

La soluzione fisiologica iniettata in cavità uterina permette di visualizzare con le scansioni seriate in “3D” la mucosa endometriale in ogni sua parte e di valutare eventuali  patologie endocavitarie,  di utero e annessi. Lo specialista poi inietta aria in cavità uterina e osserva il passaggio dell’aria viene lungo i tratti delle salpingi di ambo i lati. Questo e viene amplificato dal color doppler che, in mani esperte, permette di valutare la diffusione nella pelvi.

L’esame può essere reiterato in successione più volte sino a quando si ritiene che le informazioni acquisite siano esaustive.

Al termine dell’indagine può essere presente una piccola raccolta di liquido a livello dello scavo del Douglas, espressione del passaggio della soluzione fisiologica dalla cavità uterina alla cavità peritoneale.

 

La sonoisterosalpingografia è dolorosa o dà effetti collaterali?

Il dolore pelvico simile al quello mestruale è il sintomo più comune, ed è presente con una frequenza variabile a seconda delle casistiche ma è di solito di scarsa intensità e si risolve spontaneamente in pochi minuti. Talvolta al termine dell’esame è presente una scapolalgia destra. La reazione vasovagale è una complicanza rara (1%) ma comune a ogni esame strumentale che preveda la manipolazione della cervice e soprattutto il passaggio di uno strumento attraverso il canale cervicale.

Molti studi hanno valutato che tale indagine per la valutazione della pervietà tubarica può determinare un passaggio di fluidi attraverso le tube potrebbe liberare le salpingi dalla presenza di minime aderenze o da muco addensato nel lume.

 

La sonoisterosalpingografia si propone come esame di primo livello e spesso risolutivo nello screening delle pazienti infertili grazie a diverse caratteristiche:

  • facilità di impiego,
  • ottima tollerabilità da parte della paziente,
  • buon rapporto costo beneficio,
  • sicurezza,
  • accuratezza,
  • informazioni accessorie fornite circa lo stato dell’endometrio, dell’utero e delle ovaie.

Sovrappeso e PMA: è noto da tempo che i chili di troppo minano la fertilità, ma la riproduzione assistita può venire in aiuto anche in questi casi, con alcuni accorgimenti.

Un recente studio ha infatti evidenziato che, nelle pazienti sovrappeso e obese, risulterebbe preferibile utilizzare il transfer da blastocisti congelata. Questo perché questa metodica, in tale categoria di persone, pare consentire maggiori probabilità di ottenere una gravidanza clinica, rispetto all’uso di blastocisti fresche.

A dimostrarlo i risultati di uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Fertility and Sterility.

 

Obesità e sovrappeso, un problema comune

In Italia il 46% della popolazione è sovrappeso (dati 1° Italian Obesity Barometer Report, IBDO Foundation). Non si tratta dunque di un problema marginale. Ad essere colpiti sia uomini che donne.

Rispetto alle pazienti normopeso, quelle obese hanno più probabilità di essere sterili e hanno meno probabilità di ottenere una gravidanza clinica con FIVET, forse a causa di un’associazione negativa tra obesità e ricettività endometriale.

È stato dimostrato che l’Embryo Transfer (ET) congelato migliora i risultati della FIV determinando maggiori ricettività endometriale e sincronia embrio-endometriale.

 

Lo studio

Lo studio ha voluto approfondire il rapporto tra sovrappeso e PMA, esaminando l’effetto dell’indice di massa corporea (BMI) sui tassi di gravidanza clinica nei cicli di ET freschi rispetto a quelli congelati.

I ricercatori hanno dunque condotto uno studio di coorte retrospettivo. Sono state confrontate donne di peso normale (BMI: 18,5-24,9 kg/m2), sovrappeso (BMI: 25,0-29,9 kg/m2) e obese (BMI superiori o uguali 30,0 kg/m2).

Lo studio ha preso in considerazione persone di età media, BMI e razza/etnicità simili. Sono stati presi in considerazione 527 cicli di trasferimento di blastocisti, di questi 247 (46,9%) sono stati freschi e 280 (53,1%) congelati. In particolare, oltre il 41% dei transfer sono stati effettuati in donne normopeso, circa 26% in quelle sovrappeso e circa il 32% in quelle obese.

 

I risultati

I risultati sottolineano un chiaro rapporto tra sovrappeso e PMA.

In particolare, nelle pazienti in sovrappeso, i tassi di impianto e di gravidanza clinica erano significativamente più alti nel caso di ET congelati. Anche nelle donne obese i tassi di gravidanza clinica sono risultati significativamente più alti con quest’ultima metodica.

Al contrario, nel gruppo di peso normale, dai dati non emerge alcuna differenza nei tassi di impianto o di gravidanza clinica tra la metodica che prevede la blastocisti fresca e quella con l’ET congelato.

Una curiosità, le pazienti in sovrappeso che hanno avuto un ET fresco hanno avuto un numero significativamente maggiore di gravidanze gemellari.

 

Bibliografia

Schointuch M et al. Clinical pregnancy outcomes of fresh versus frozen blastocyst transfers by body mass index. 2019;111(4):Se54–e55

Maurizio Bini
SSD Diagnosi e Terapia della sterilità e Crioconservazione
ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda. Cà Granda, Milano

 

Lo spindle transfer è una tecnica complessa, ancora in studio. I successi della PMA nelle pazienti di età avanzata sono molto scarsi. Parte della responsabilità è attribuibile alla scarsa efficienza energetica del citoplasma gametico. Il trasferimento dello spindle è un tentativo di miglioramento dell’efficienza delle procedure.

 

L’età e i limiti della PMA

Il tasso di successo delle metodiche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) decresce in modo sensibile già a partire dai 34 anni di età e diventa totalmente insoddisfacente a partire dai 40. La responsabilità maggiore è attribuibile all’invecchiamento ovocitario e in particolare a uno sfavorevole bilancio energetico citoplasmatico che determina inadeguato allineamento cromosomico a livello del fuso e asimmetrica segregazione del materiale genetico.

 

La “nascita” dello spindle transfer

Gli indirizzi terapeutici sono tutti volti al tentativo di ringiovanire gli ovociti mediante somministrazione farmacologica o con approcci più aggressivi che cercano di sostituire totalmente il citoplasma e gli organuli deputati al sostegno energetico. Il primo tentativo di ooplasmic transfer (OT) fu tentato già da Cohen nel 1977; si passò poi al germinal vesicle transfer (GVT,Zhang,1999) al pronuclear transfer (PNT,Tanaka 2009) e infine allo spindle transfer (ST,Yoshizawa 2009). La decisione di procedere in questa direzione è stata influenzata dalla scoperta che già normalmente le cellule si scambiano fra loro organelli citoplasmatici come accade per esempio fra astrociti e neuroni danneggiati dall’ictus.

 

Le complessità dello spindle transfer

Non tutti sono d’accordo sull’approccio invasivo dello spindle transfer, dato che le connessioni strette fra organuli citoplasmatici (mitocondri soprattutto) e nucleo sono più strette di quanto comunemente creduto (delle circa 1500 proteine che costituiscono un mitocondrio solo 13 sono prodotte dal DNA del mitocondrio stesso) e quindi l’interruzione del dialogo fra i due comparti con il trasferimento da una cellula all’altra potrebbe comportare conseguenze non ancora completamente valutate.

Così nel 2001 la Food and Drugs Administration americana ha bandito queste pratiche sul territorio americano e solo nel 2015 il Regno Unito le ha riammesse con la sola indicazione terapeutica di evitare la trasmissione delle gravi malattie mitocondriali. Queste patologie (finora ne sono state censite circa 260 di monosomiche) determinano gravi conseguenze, spesso mortali, soprattutto per inefficienza dei tessuti ad alto contenuto energetico come i muscoli il cuore e il cervello.

Per trasferire lo spindle cioè il fuso mitotico bisogna spettare che i cromosomi siano allineati. Il fuso, facilmente evidenziabile mediante fluorescenza, viene prelevato per aspirazione e trasferito in un altra cellula sana dalla quale è stato preventivamente asportato il nucleo.

Negli ultimi anni c’è stata una ripresa dell’argomento: il gruppo di Huang ha effettuato un trasferimento di questo tipo per evitare la trasmissione delle grave sindrome mitocondriale di Leigh in una donna con sfavorevolissimi precedenti ostetrici. La procedura è stata effettuata in Messico per superare il divieto statunitense ed è stato un successo parziale perché una minima parte del citoplasma originario viene trasferita insieme allo spindle. Quest’anno anche un gruppo misto spagnolo greco ha presentato alcuni successi con la metodica che rimane però ancora sotto osservazione prima di una diffusa condivisione su sicurezza ed efficacia.

 

Bibliografia
  1. Yoshizawa M.A.,Matsumoto M. Fukui E. Improvement in embryonic development and production of offspring by transferring meiosis-II chromosomes of senescent mouse oocytes into cytoplast of young moue oocytes. J.Assist.Reprod Genet,2009.26,35-39
  2. ZhangJ.,Liu H.,luo S.,Huang T., et al. Live birth derived from oocyte spindle transfer to prevent mitochondrial disease. Reprod Biomed Online,2017,34(4),361-368

 

Dottor Maurizio Bini 
SSD Diagnosi e Terapia della sterilità e Crioconservazione 
ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda. Cà Granda, Milano 

Il coenzima Q10 è un importante micronutriente che regola l’energia intracellulare. Recentemente ne è stato proposto l’utilizzo per il miglioramento della qualità dei gameti prima delle tecniche di Procreazione Medicalmente assistita. 

Il coenzima Q10 (coQ10), conosciuto anche come ubiquinone, è una sostanza similvitaminica fondamentale per la regolazione dell’energia intracellulare.  

 

Come fare scorta di coenzima Q10 

Il coenzima Q10 è presente nella dieta, soprattutto nei pesci grassi come tonno e salmone, nel fegato e nei cereali integrali 

Va ricordato che è parzialmente inattivato dalla friggitura e che potenzia il suo effetto se somministrato con vitamina E. Essendo molecola liposolubile è meglio assorbita se assunta con alimenti ricchi di grassi anche se può essere resa idrosolubile mediante emulsificazione 

La sintesi endogena è anche possibile. 

 

Quando è possibile il deficit? 

Il coenzima Q10 decresce con l’età e con alcune malattie croniche. È nota anche una grave malattia congenita di deficit di Q10 totale o parziale. 

 

L’azione del coenzima10 

La sua azione prevalente avviene a livello del trasporto degli elettroni e quindi sul potenziale della membrana interna mitocondriale. Il mantenimento di tale potenziale è indispensabile nella produzione dell’ATP, cioè della più comune fonte di energia per la cellula.  

Altri effetti sono stati rilevati a livello della catena ossidativa (perché il Q10 aumenta la produzione degli enzimi antiossidanti) e della funzione anti adipogenica (cosa che ha portato al suo utilizzo quando è necessario un controllo ponderale e della funzione antiinfiammatoria) 

L’attività di stimolo energetico è però la più studiata, soprattutto in campo neurologico, dove si stanno tentando vari approcci di somministrazione, soprattutto per le malattie degenerative.

Recentemente l’utilizzo si è esteso anche in campo riproduttivo nel tentativo di migliorare la qualità gametica di soggetti con età avanzata o che abbiano storie ripetute di fallimento terapeutico 

L’approccio farmacologico si inserisce in una tendenza evidente degli indirizzi scientifici di settore verso modalità meno aggressive di quelle comunemente usate dalla scienza occidentale. Il tentativo è quello di derivare le conoscenze che indirizzano verso la scelta del gamete da utilizzare o dell’embrione da trasferire, senza ricorrere a biopsie e prelievi invasivi del materiale biologico che spesso rischiano di danneggiarlo.

Soprattutto il gamete femminile, bloccato per lunghi periodi in diplotene, richiede un bilancio energetico ottimale.

Proprio sul tentativo di miglioramento del potenziale di questa cellula si sono concentrati gli studi con somministrazioni trimestrali di Q10 da 100 ai 400 mg/die (il prodotto si è dimostrato non tossico fino a dosi di 1200 mg/die).

Gli studi in vitro e quelli sugli animali sono stati molto incoraggianti con un evidente miglioramento del bilancio energetico.

Gli studi clinici sull’uomo sono in corso, e interessano principalmente pazienti con policistosi ovarica note per l’ampia produzione di gameti di bassa qualità. In questi soggetti l’effetto della somministrazione avviene soprattutto attraverso la riduzione della sensibilità insulinica e un miglior controllo degli assetti glicemici.

Pur essendo già commercializzata con dosi dai 30 ai 100 mg /die, la sostanza dovrebbe essere assunta solo con indicazione medica sia per i non ancora completamente verificati effetti sulla gravidanza sia per la possibile interferenza con altri farmaci (anticoagulanti, ipertensivi e statine soprattutto). 

 

Bibliografia 

1) Saboori S., Rad S.Y., Mardani M. et al. Effect of Q10 supplementation on body weight and body mass index: A systematic review and meta-analysis of randomized controlled clinical trials.. 2019;(13):1179-1185 

2) Ben-Meir A., Burstein E., Borrego-Alvarez A., et al. Coenzime Q10 restores oocyte mitochondrial function and fertility during reproductive aging. Aging Cell. 2015;14(5):887-895 

3)Ben Meir A., Kim K., McQuaid R., et al. Co-Enzyme Q10 supplementation rescues cumulus cells dysfunction in a maternal Aging Model. Antioxidants. 2019;8 (58):1-10 

Maurizio Bini
SSD Diagnosi e Terapia della sterilità e Crioconservazione
ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda. Cà Granda, Milano

 

I mitocondri svolgono un ruolo di primaria importanza nelle cellule e in particolare nei gameti, tra di loro, una relazione che ha radici molto lontane nel tempo. I mitocondri sono organelli intracitoplasmatici interessati prevalentemente nella produzione energetica. I gameti sono cellule particolari nelle quali i mitocondri assumono conformazioni e funzioni specifiche.

 

L’origine dei mitocondri

Nel 1967, dopo 11 rifiuti da parte delle riviste scientifiche, la biologa Lynn Margulis riuscì a pubblicare su “Journal of Theoretical Biology” l’articolo che supporta la teoria della genesi endosimbiotica dei mitocondri. La teoria non era nuova risalendo agli anni ’20 ma per decenni le ipotesi sull’origine interna (from within) e quella sull’origine esterna (from without) si erano combattute senza un vero vincitore. Dopo quell’articolo la guerra fu dichiarata conclusa con la vittoria di coloro che sostenevano che i mitocondri, i plastidi fotosintetici e i flagelli fossero cellule procariote autonome ospitate nelle grandi cellule eucariote. I flagelli si persero per strada: non ospitando acidi nucleici fu difficile sostenere la loro originaria autonomia. Le evidenze per mitocondri e plastidi invece si accumularono e oggi è quasi universalmente accettato che derivino rispettivamente da alfaProteobatteri e Cyanobatteri. Per i mitocondri, i primi a essere coinvolti, all’inizio si trattò di collaborazione esterna consentendo a cellule eucariote anaerobie di sopravvivere nel nuovo ambiente evoluto con percentuali di ossigeno crescente e solo successivamente l’endosimbiosi portò i vantaggi diretti della protezione e dello sfruttamento del ben più ricco genoma nucleare. A tutt’oggi, in questi indispensabili organelli citoplasmatici, è stata rilevata una catena di DNA che conta 16.569 basi corrispondenti a 27 geni che codificano 13 proteine (quasi tutte interessate nel ciclo della produzione energetica), 22tRNA e 2 rRNA. Dato che ogni mitocondrio è costituito da più di 1000 proteine si evince che gli scambi col DNA nucleare si siano ormai consolidati in modo definitivo.

 

I mitocondri nei gameti maschili

I gameti hanno caratteristiche particolari e uniche per quanto riguarda la componente mitocondriale. Il gamete maschile è la cellula che maggiormente si avvicina al prototipo originale per la sottolineatura dell’apparente collaborazione esterna. Per quanto in fase di maturazione i mitocondri abbiano anche la funzione di favorire i complessi meccanismi della compattazione cromatinica, nella cellula matura risultano separati dalla zona nucleare e dislocati in altro settore cellulare (tratto intermedio) con la preminente ed evidente funzione energetica di garantire il movimento.

 

I mitocondri nei gameti femminili

Anche il grande gamete femminile (la cellula più grossa del corpo umano se si escludono alcuni neuroni) presenta particolarità: innanzitutto è la cellula che contiene il maggior numero di mitocondri (circa 100.000 secondo le stime) e in secondo luogo questo pool immenso è quasi totalmente inattivato. Bisogna ricordate che gli ovociti sono bloccati in diplotene in attesa del reclutamento (che può avvenire anche molti decenni dopo) e quindi necessitano di basso tenore energetico per evitare l’attivazione prematura. Gli ovociti ricevono il carico energetico per la sopravvivenza e lo sviluppo iniziale quindi prevalentemente dall’esterno, dalle cellule della granulosa e del cumulo che funzionano come batterie esterne. Questa scarsa attivazione, dimostrata anche dalla morfologia più arrotondata e dalla scarsa frequenza delle creste nella membrana interna degli organuli, persiste anche dopo la fertilizzazione e le prime divisioni cellulari essendo l’energia mitocondriale significativamente coinvolta solo nelle fasi della creazione del fuso e allineamento cromosomico. Solo alla fase di blastocisti quando interverranno i complessi meccanismi di differenziazione cellulare si assisterà a una significativa ripresa dell’attività e della proliferazione mitocondriale

 

Bibliografia

Gray MW. Lynn Marguulis and the endosymbiotic hypothesis:50 years later. Molecular Biology of the Cell. 2017;28:1285-1287

Maurizio Bini
SSD Diagnosi e Terapia della sterilità e Crioconservazione
ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda. Cà Granda, Milano

 

Le malattie mitocondriali monosomiche censite sono circa 260 e determinano la nascita di un bambino affetto ogni 5000 nati; si stima che un individuo ogni 200 sia portatore di una mutazione in questo settore, ma la scienza sta facendo passi avanti con tecniche quali pronuclear transfer e AUGMENT. La sintomatologia è estremamente grave dato che i tessuti interessati sono quelli ad alto consumo energetico come muscoli cuore e cervello.

I portatori vengono individuati in genere in relazione a uno o più eventi avversi capitati nella famiglia. In ogni caso, purtroppo, le possibilità di intervento sono scarse e in caso di pianificazione di una nuova gravidanza viene suggerita la fecondazione da donazione con completa sostituzione del DNA nucleare e di quello mitocondriale affetto.

Dato che però il DNA nucleare risulta integro tentativi sono stati fatti di sostituire il solo DNA mitocondriale trasferendo post fertilizzazione il nucleo sano di una cellula riproduttiva del soggetto portatore in una cellula di un altro soggetto integra sul piano mitocondriale e precedentemente denucleata.

Nelle malattie mitocondriali, la trasmissione mitocondriale avviene solo per via materna (anche se alcune segnalazioni recenti del gruppo di Huang sembrano scalfire questa assoluta certezza biologica). Di conseguenza, i tentativi di sostituzione si sono concentrati sul solo gamete femminile o sull’embrione precoce.

 

Malattie mitocondriali: il pronuclear transfer

La metodica, il pronuclear transfer, per quanto da tempo suggerita anche in campo umano (Craven, 2010) è ben lungi dall’essere universalmente accettata.

Questo per un duplice motivo:

  • il trasferimento pronucleare comporta sempre un parziale trasferimento di citoplasma malato e quindi non vi può essere la certezza assoluta preventiva della non affezione del nato,
  • i rapporti fra nucleo e mitocondri sono strettissimi e non sempre mantenuti col passaggio da una cellula all’altra.

Questo spiega perché al momento questo tipo di interventi siano stati autorizzati solo nel Regno Unito e per le sole malattie mitocondriali gravi. La procedura è stata estesa recentemente anche alla tecnica di ringiovanimento gametico sostituendo i mitocondri di una cellula riproduttiva proveniente da una donna anziana con quelli provenienti da una analoga cellula di una donna più giovane ma in questo campo le polemiche e le opposizioni sono ancora più accese nonostante qualche recente successo segnalato.

 

Malattie mitocondriali: AUGMENT

Sempre nel tentativo di migliorare l’efficienza energetica cellulare è stato proposto e commercializzato anche un sistema chiamato AUGMENT, teso a iniettare all’interno dell’ovocita (insieme allo spermatozoo durante la procedura di ICSI) anche un pool mitocondriale estratto da ovociti immaturi della corticale ovarica della stessa donna.

Le casistiche maggiori provengono dalla Turchia e dal Canada ma le evidenze scientifiche sono così scarse che recentemente il prodotto è stato ritirato in attesa di ulteriori conferme sperimentali prima della riimmissione sul mercato per uso clinico diretto sulle pazienti.

Questo anche perché il prelievo del tessuto ovarico, oltre a essere una tecnica estremamente invasiva, corre il rischio di danneggiare l’organo e di ridurre la possibilità di reclutamento in successive stimolazioni. La non efficacia dimostrata si associa quindi anche a un danno potenziale diretto.

 

Bibliografia

1) Craven L, TuppenHA, Greggains GD et al. Pronuclear transfer in human embryos to prevent transmission of mitocondrial DNA disease. Nature 2010;465:82-85

2) Luo S, Valencia A, Zhang J, Huang T, et al. Biparental inheritence of Mitochondrial DNA in humans. Proc Natl Acad Sci USA. 2018;115(51):13039-13044