Intraprendere la fecondazione eterologa: luci e ombre di un “salvagente” delle gravidanze fino a poco fa ritenute impossibili
Intraprendere la fecondazione eterologa rappresenta una possibilità per la coppia con diagnosi di sterilità. La legge 40/2004 in materia di Procreazione medicalmente assistita (Pma) prevedeva, fino a due anni fa, l’utilizzo esclusivo di tecniche di tipo omologo (quelle cioè che utilizzano seme e ovociti della stessa coppia).
9 aprile 2014, una data storica: via libera della Consulta a intraprendere la fecondazione eterologa in Italia
Il 9 aprile 2014 la Corte Costituzionale ha dato il via libera ad intraprendere la fecondazione eterologa in Italia, attraverso una modifica (sentenza 162) delle linee guida previste in materia di Pma: quando uno dei due partner è sterile, è possibile arrivare a una gravidanza attraverso l’utilizzo di un gamete, un ovulo o uno spermatozoo, di una terza persona, cioè il donatore.
L’accesso alla fecondazione eterologa è stato inserito dalle varie regioni nei Lea (Livelli essenziali di assistenza) e prevede per la coppia il pagamento di un ticket. Il permesso legislativo di accedere alla fecondazione eterologa apre un nuovo scenario emotivo per le coppie. Se fino a qualche anno fa, per una coppia impossibilita a procreare, la legge prevedeva come unico diritto alla genitorialità l’adozione e/o l’affidamento (Legge 149/2001), questo ampliamento di orizzonti sconvolge, in un certo senso, la psicologia della coppia sterile.
I dubbi sulla difficile scelta d’intraprendere la fecondazione eterologa
A questo punto dobbiamo chiederci: quali fasi emotive precedono la scelta del percorso da intraprendere? Che differenze ci sono sul piano emotivo tra adottare un bambino oppure procreare un figlio decidendo di intraprendere la fecondazione eterologa? Quali vissuti si generano nella coppia? Come viene vissuta la scelta di intraprendere la fecondazione eterologa da una coppia con problemi oncologici? Cercherò di rispondere ai vari interrogativi, partendo dal concetto di sterilità, pur nella consapevolezza che, in Italia, esistono poche ricerche scientifiche sull’argomento “eterologa”, quindi ancora pochissimi risultati utili a orientare le risposte su un’evidenza scientifica.
Distinguiamo tra diagnosi di sterilità e d’infertilità: quali conseguenze psicologiche
La diagnosi di sterilità differisce innanzitutto profondamente da quella d’infertilità.
Una coppia infertile è una coppia che non è stata in grado di concepire dopo 12/18 mesi di rapporti sessuali intenzionalmente fecondi (2-3giorni/settimana) le cui cause sono ancora da individuare. La coppia sterile è una coppia nella quale esistono delle cause accertate che riguardano uno o entrambi i coniugi, per cui esiste una condizione fisica permanente che non rende possibile la procreazione. Esiste una diagnosi d’incapacità biologica da parte della coppia di contribuire al concepimento. In Italia sono circa il 20% le coppie che arrivano a un centro di PMA dove viene fatta una diagnosi di reale sterilità. Alla diagnosi segue un periodo turbolento per la coppia in cui si alternano solitamente tre fasi: accettare di non potere, accettare di dover chiedere aiuto e “ristrutturare” la propria identità personale e di coppia.
La dura fase di accettazione è il primo passo per chiedere aiuto e ridefinire la propria identità
La prima fase ha a che fare con l’elaborazione della perdita del progetto di genitorialità. La coppia vive la frustrazione di non essere capace di progredire nel proprio ciclo vitale. La coppia sterile perde improvvisamente la prospettiva di poter evolversi da coppia coniugale a coppia genitoriale e vede svanire un progetto che era solitamente “il progetto” della propria vita: quello di avere un figlio. Come succede quando viviamo un lutto importante, la reazione emotiva rispetto a una perdita è caratterizzata da varie fasi che passano dal senso d’incredulità alla disperazione, dalla rabbia alla rassegnazione e quindi alla consapevolezza che le cose sono immutabili ed è necessario accettarle per quello che sono. Accettare di non potere è un passo necessario per poter chiedere aiuto. La coppia ha bisogno che qualcuno la guidi nella fase di ristrutturazione della propria identità.
Riuscire a superare il vissuto di fallimento e il senso d’inferiorità rispetto all’altro (partner) o agli altri (coppie fertili), sentendosi ancora uomo o donna nonostante la propria sterilità, è fondamentale per poter rinnovare il proprio progetto iniziale verso nuove prospettive. A questo punto la coppia sterile può decidere di adottare, d’intraprendere la fecondazione eterologa oppure di rimanere soltanto coppia per sempre.
Intraprendere la fecondazione eterologa offre alla coppia l’opportunità di vivere la gravidanza
Decidersi a intraprendere la fecondazione eterologa, permette alla coppia di riparare la diagnosi di sterilità attraverso una procreazione non solo affettiva, come avviene nell’adozione, ma anche biologica.
L’eterologa permette, infatti, alla coppia di viversi l’esperienza della gravidanza, di seguire la crescita del proprio bambino fin dai primi momenti della vita prenatale, a partire dal risultato, tanto atteso del test di gravidanza, fino al suo monitoraggio attraverso le visite ecografiche. Tuttavia, il donatore o la donatrice alterano la normalità del processo di procreazione a tal punto da generare talvolta, nell’uomo e nella donna “riceventi”, sentimenti ambivalenti molto simili a quelli vissuti dalla coppia adottiva. Il sentimento di gratitudine si alterna a fantasie che percepiscono il donatore come una figura potente, giovane e fertile. Ne consegue, per il ricevente, un senso d’inferiorità e un vissuto di esclusione. L’uomo e la donna possono vivere tali emozioni in modo differente a seconda del ruolo che rivestono in tale processo.
La donna, anche quando si vive come la causa della sterilità di coppia, attraverso la scelta d’intraprendere la fecondazione eterologa ha la possibilità di superare il vissuto del fallimento procreativo, identificandosi con un corpo capace di ospitare, contenere e alimentare. La funzione materna, pur castrata della sua capacità generativa iniziale, si riinserisce immediatamente nel percorso procreativo, attraverso la funzione contenitiva e nutritiva dell’utero ospitante.
L’ovodonazione per l’uomo può essere vissuta come minaccia alla propria paternità
Nel caso dell’ovodonazione la donna può respingere così l’insidia dell’intruso. Quando è l’uomo ad avere una diagnosi di sterilità, ricorrere a un donatore può rappresentare una minaccia per la propria identità maschile all’interno della coppia. L’esclusione della sessualità genitale o l’intrusione in essa di elementi estranei tende a deresponsabilizzare l’atto creativo, evocando nell’uomo più spesso che nella donna, fantasmi di onnipotenza” (Passarelli C, 2002) e di persecuzione. Un po’ similarmente a quanto avviene per la coppia adottiva, si sviluppano fantasie sul genitore biologico che può essere vissuto come una minaccia alla propria paternità e il partner, poiché genitore biologico, può venire vissuto in vantaggio rispetto al nascituro.
In questi termini, la coppia adottiva vive un vantaggio: entrambi i partner sono estranei alla storia iniziale del bambino, per cui il vissuto di esclusione accomuna e unisce i genitori adottivi, anziché dividerli.
Nei pazienti oncologici intraprendere la fecondazione eterologa è una conquista importante
La situazione è diversa quando a intraprendere la fecondazione eterologa è una coppia con problemi oncologici. La preservazione della fertilità nei pazienti oncologici, attraverso la conservazione degli ovociti, o del liquido seminale, prima di effettuare il trattamento chemioterapico, è una conquista importante della medicina degli ultimi anni. Tuttavia non è sempre una scelta percorribile a causa delle varie difficoltà che la malattia oncologica comporta. Per esempio, sebbene nell’uomo la preservazione dei gameti, non implichi un ritardo nell’inizio del trattamento antitumorale, alcuni pazienti non hanno il tempo per eseguire raccolte plurime, limitando così i campioni di eiaculato disponibili.
Inoltre la crioconservazione riduce la qualità del liquido seminale per cui è possibile che non ci siano spermatozoi utilizzabili dopo scongelamento. Tra le tecniche di crioconservazione per la donna, l’unica che abbia dimostrato risultati riproducibili, oltre alla crioconservazione degli embrioni vietata in Italia dalla legge 40/2004, è la crioconservazione di ovociti maturi, tecnica che richiede dei tempi non sempre disponibili. Intraprendere la fecondazione eterologa, quindi tramite donatore esterno alla coppia, rappresenta, spesso, l’unica possibilità anche per le coppie con una storia di malattia oncologica.
Tuttavia, i vissuti psicologici, che si sviluppano in questi casi, presentano delle differenze rispetto a quelli che vive normalmente una coppia sterile senza una causa oncologica. Se la coppia sterile vive il sentimento della “vergogna” nel percepirsi ingiustamente diversa rispetto agli altri e sviluppando comportamenti d’isolamento rispetto al mondo degli amici e talvolta anche dei familiari, la coppia con storia oncologica si ritiene fortunata per essere riuscita a vincere la malattia e vive la mancanza del gamete, non come una vergogna legata al Sé, al senso d’identità: “sono una persona sterile”, ma come un evento fortuito, che non dipende dal Sé, ma da un evento esterno di cui si è vittima.
La coppia con storia oncologica vive il donatore come una figura salvifica
Nel 1954 Julian B. Rotter, uno psicologo statunitense, descrisse il costrutto “attribuzione causale interna/esterna” (Locus of control) per indicare la modalità con cui un individuo ritiene che gli eventi della sua vita siano prodotti da suoi comportamenti o azioni, oppure da cause esterne indipendenti dalla sua volontà. Il senso di attribuzione causale esterna alla propria sterilità protegge la coppia con storia oncologica da sentimenti di vergogna e bisogno di isolamento. La scelta d’intraprendere la fecondazione eterologa, in questi casi, viene affrontato con maggior naturalezza, quasi come una delle tante medicalizzazioni già vissute nei reparti di oncologia. Sono persone che hanno ricevuto trasfusioni di sangue e talvolta veri e propri trapianti. Il donatore, da queste coppie, viene vissuto come una risorsa indispensabile, una figura salvifica e non una minaccia alla propria identità.
La coppia può anche scegliere di rinunciare alla genitorialità valorizzando ciò che ha
La reazione emotiva della coppia alla sterilità dipende sostanzialmente dalla sua capacità di far fronte alle difficoltà. In psicologia si utilizza il termine “resilienza”, intesa come quella capacità di una persona o di un gruppo di svilupparsi positivamente, di continuare a progettare il proprio futuro, a dispetto di avvenimenti destabilizzanti. Le risposte degli individui alle malattie sono chiaramente diverse a seconda, sia delle caratteristiche di queste ultime, in relazione al tipo, alla gravità, alla durata della malattia stessa, che delle caratteristiche personali, intese come stili cognitivi, emotivi e relazionali.
È importante per la coppia poter valutare, come possibili alternative alla procreazione e all’adozione, il non avere figli, approfondendo i propri vissuti di accettazione o di rifiuto in merito alla mancata genitorialità. La coppia può decidere di rinunciare al progetto della procreazione, accettare di non avere figli, restando una coppia per sempre. Per compiere al meglio tale processo, è di grande aiuto cercare di valorizzare quello che uno ha, in termini di amicizie, relazioni, progetti e interessi, piuttosto che su quello che non si ha, riprogettando il proprio futuro attraverso nuove aspettative.
Dott.ssa Angela Petrozzi