Uno studio belga ha riscontrato una minor fertilità maschile nei nati da tecniche di PMA. Ciò lascia presupporre che “entri in campo” l’ereditarietà
Non si parla di infertilità, sia chiaro, ma di minor fertilità maschile nei figli nati con tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA). Questo, in sintesi, il risultato di un recente studio belga condotto dal Centro di Genetica medica dell’Università di Ziekenhuis e pubblicato sulla rivista Human Reproduction.
I ricercatori, paragonando coetanei nati in modo naturale ai cosiddetti “figli della provetta”, avrebbero scoperto che gli spermatozoi di questi ultimi sarebbero di qualità più scarsa e in numero inferiore.
Ciò lascerebbe dunque ipotizzare che anche la fertilità maschile sia ereditabile geneticamente. In particolare, sotto la lente d’ingrandimento ci sarebbe la tecnica d’iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo (ICSI), che prevede che un unico spermatozoo sia iniettato, mediante un ago microscopico, all’interno di un solo uovo dando luogo alla fecondazione in vitro. L’embrione ricavato verrebbe poi impiantato nell’utero.
I 54 ragazzi tra 18 e i 22 anni nati con ICSI mostravano parametri di una minor fertilità maschile
L’indagine ha riguardato un campione abbastanza piccolo: 54 ragazzi tra i 18 e i 22 anni concepiti con ICSI messi a paragone con un gruppo di controllo della stessa età nati in modo naturale. Dei 54 ben 50 avevano un padre con un fattore d’infertilità. Il gruppo ICSI aveva quasi la metà della concentrazione spermatica e circa due volte in meno di numero e motilità degli spermatozoi. Dunque, in sostanza, una minor fertilità maschile e, nello specifico, una concentrazione spermatica di tre volte più bassa di 15 milioni per millimetro di seme, il numero considerato normale dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS).