La liofilizzazione potrebbe essere utilizzata, un domani, per la conservazione di gameti femminili e maschili, contribuendo a dare una risposta a molteplici problemi, tra i quali la cura dell’infertilità rappresenta solo una delle applicazioni. La preservazione dei gameti femminili e maschili è un tema particolarmente importante per i ricercatori di diversi rami della scienza: a rendere più complessa questa missione il fatto che la necessità di mantenerli sani nel tempo si scontra spesso con costi elevati.
Nel 2008 è stata istituita nell’isola di Spitzbergen, nell’arcipelago delle Swalbard norvegesi, la banca mondiale dei semi al fine di preservare e proteggere da ogni tipo di catastrofe naturale la biodiversità vegetale. Da quel momento si è fatto più acuto l’interesse per la creazione di un’analoga istituzione volta a tutelare la biodiversità animale depositando i gameti delle varie specie, soprattutto se a rischio estinzione. Fin da subito, il progetto si è scontrato con gli alti costi e le difficoltà organizzative che l’attuale stoccaggio in azoto liquido richiede.
La centralizzazione del servizio necessita poi percorsi di trasporto agevoli e facilitati, che risultano impossibili con gli ingombranti bidoni evaporanti della crioconservazione classica. Inoltre, questa procedura, dato l’alto tasso di inquinamento derivato, si scontrerebbe con lo scopo iniziale del progetto di protezione ambientale. Da qui l’interesse estremo per le tecniche di liofilizzazione che renderebbero tutto più agevole e accessibile.
La metodica della liofilizzazione, chiamata in questo modo su proposta di Alexander Fleming nel 1943, sembra sia stata effettuata per la prima dagli Incas per la preparazione del “chuno” (liofiliozzato di patata) e del “charqui” (liofilizzato di carne di lama) e anche dai Vichinghi (liofilizzato di aringa) ed è diventata routinaria anche in campo farmaceutico oltre che alimentare. Con lo specifico scopo di preservare la funzionalità cellulare post reidratazione è stata testata inizialmente con buoni risultati su batteri, virus e funghi. Già molti anni fa è avvenuta poi l’estensione su animali superiori: nel 1998 Wakayama e Yanagimachi hanno ottenuto i primi topi sani fertilizzando ovociti a fresco con sperma liofilizzato. Analoghi successi si sono avuti con ratti (Hirabayashi et al. 2005), conigli (Liu et al. 2004) e cavalli (Choi et al. 2011).
La liofilizzazione dei gameti maschili dei mammiferi ha dunque dato sufficienti prove di efficacia anche se l’immobilità totale derivata anche dopo reidratazione richiede obbligatoriamente la tecnica della microiniezione ovocitaria per ottenere lo sviluppo embrionale. Per il gamete femminile le sperimentazioni sono ancora in fase iniziale dato l’alto contenuto idrico di partenza e la maggior complessità delle strutture citoplasmatiche da preservare; più facile appare la sola essiccazione del nucleo dell’ovocita, ma resterebbe poi comunque da risolvere la necessità di disporre di ovociti freschi per la ricostituzione totale.
Anche nella specie umana, soprattutto in seguito alla pressione degli enti aerospaziali internazionali che hanno intravisto la possibilità di sfruttare questa metodica per la colonizzazione di altri pianeti anche distanti, l’efficacia della liofilizzazione è stata testata valutando le integrità nucleari. Il basso costo, la facilità di trasporto, l’integrità del DNA dopo lunga conservazione anche dopo prolungata esposizione ai raggi cosmici sono tutti elementi a favore.
Maurizio Bini, Direttore SSD, Diagnosi e terapia della sterilità e crioconservazione – Grande Ospedale Metropolitano Niguarda