In stallo la PMA per coppie fertili a rischio di malattia genetica

Rimandata a fine aprile la decisione della Consulta sull’accesso alla diagnosi pre-impianto per le coppie fertili, ma portatrici sane di malattia genetica grave

 

La Consulta non ha deciso, rimandando così a decisione sull’accessibilità o meno delle coppie fertili, ma portatrici sane di gravi malattie genetiche, alla PMA, quindi alla diagnosi preimpianto. Il divieto è infatti contenuto nella Legge 40/2004. Fin dalla sua comparsa, ha sollevato dubbi legittimi. Evidentemente con ragione. Nel 2012, infatti, la Corte di Giustizia europea con sede a Strasburgo ha infatti bocciato la norma, sottolineando come impedire l’accesso alla PMA e alla diagnosi preimpianto alle coppie fertili, ma portatrici sane di gravi malattie genetiche, violava la Carta europea dei diritti dell’uomo. Nella realtà, significa esporre le donne a un rischio noto, palese e grave: l’aborto ripetuto, sia spontaneo, sia terapeutico.

Un’esperienza devastante, dal punto di vista sia fisico per la donna, sia psicologico per la coppia, che molti hanno deciso di non affrontare oltre. I più battaglieri hanno sollecitato una chiamata pacifica all’azione, presentando una petizione al Parlamento, perché dedicasse giusta attenzione a questo doloroso risvolto della Legge 40. L’appello è stato presentato proprio poche ore prima che il Consiglio di Stato, nella riunione del 15 aprile, esaminasse (e rimandasse a fine mese) ogni decisione.

Non è però una battaglia solitaria: al fianco di queste famiglie si sono da tempo schierate Associazioni da sempre impegnate per la tutela dei diritti dei pazienti. In prima fila l’Associazione Luca Coscioni, con l’Avvocato Filomena Gallo, ma anche altre (tra cui Amica Cicogna, Parent Project Onlus, AIDAGG, Hera). Il punto nodale è semplice: il divieto alla diagnosi preimpianto per le coppie fertili, ma portatrici sane di malattie genetiche gravi, non era presente nel testo della Legge 40, ma era stato introdotto nella successiva linea-guida ministeriale.

Di fatto, oltre a risultare immediatamente ambigua, quindi oggetto da subito di riesami e controversie legali, la norma discrimina coppie, che potrebbero vedere grandemente aumentata la probabilità di avere un figlio sano: la diagnosi preimpianto, infatti, permette di evidenziare le malattie genetiche ben caratterizzate, vale a dire quelle in cui la mutazione presente nei genitori è nota e in grado di determinare con certezza la malattia nel nascituro. Ben diversa quindi dalla diagnosi prenatale che, condotta a gravidanza avviata (villocentesi al terzo mese, o amniocentesi al quinto), evidenzia la malattia già presente nel feto ed espone la donna e la coppia al doloroso iter decisionale sull’opportunità di un aborto terapeutico.

In questi anni, non è la prima volta che il divieto al ricorso alla PMA (quindi anche alla diagnosi preimpianto) nelle coppie fertili, ma portatrici sane di malattia genetica grave, inserito nella linea-guida ministeriale per l’applicazione della Legge 40, è oggetto di battaglie legali. Le più recenti, successive alla condanna della Corte di Giustizia europea di Strasburgo, hanno condotto al pronunciamento del Tribunale di Roma che, nel 2013, ha sollevato per la norma una questione di incostituzionalità. Ed è proprio questa la base su cui la Consulta si è riunita il 15 aprile scorso per deliberare, senza peraltro giungere ad alcuna decisione. Il prossimo capitolo si scriverà tra una quindicina di giorni. Un ulteriore carico di ansia e frustrazione per tutte le coppie che sperano finalmente di poter diventare “famiglia”.

Anche perché l’Italia, finché non chiarisce la sua posizione anche su questo punto, appare decisamente in retroguardia rispetto a gran parte d’Europa e a nazioni confinanti, tra cui la Turchia e la Russia.

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