Cittadinanzattiva è un’associazione in prima linea per la tutela dei cittadini e dei consumatori, sia in Italia che in Europa. L’associazione vede nel proprio rappresentante, l’avvocato Maria Paola Costantini, una delle figure di spicco nel campo della tutela delle coppie che ricorrono alla fecondazione assistita.
Appena tornata dall’importante simposio “Reproductive Health – Patient Summit”, organizzato dall’azienda farmaceutica Ferring, l’avvocato Costantini ci parlerà del contesto internazionale sul tema Procreazione Medicalmente Assistita, soffermandosi, in particolare, sui rischi di cui spesso le coppie che intraprendono un percorso di fecondazione assistita non sono consapevoli e sulla situazione delle coppie “drop out”.
Avvocato Costantini, Lei è un legale Cittadinanzattiva, associazione per la tutela dei consumatori, ed è impegnata in particolare sul tema della fecondazione. Ci può parlare più approfonditamente dell’associazione? Dei suoi obiettivi e delle tematiche di cui si occupa? E da quanto tempo ne fa parte e come si è interessata per la prima volta al mondo delle associazioni per i consumatori?
Cittadinanzattiva è un’associazione nata nel 1978, con il nome di Movimento Federativo Democratico. Nel 1980 fu fondato il Tribunale dei Diritti del Malato, che è attualmente una delle diverse reti di cui si compone Cittadinanzattiva. Cittadinanzattiva è sempre stata, in termini forse più anglosassoni, un’organizzazione civica fatta da cittadini che vogliono dare un contributo per lo sviluppo della società nei suoi diversi ambiti. I cittadini, singoli e associati possono operare in concreto, diventando interlocutori con le istituzioni nazionali e locali e con chi opera nell’ ambito sanitario. La mia esperienza è di lunga data, essendo tra i fondatori e avendo iniziato ad occuparmi dell’area della salute fin dal 1980, quando si è iniziato a raccogliere le segnalazioni da parte dei cittadini davanti agli ospedali e a scrivere le prime Carte dei Diritti del Malato, che poi hanno avuto una diffusione in tutta Italia.
Queste esperienze mi hanno permesso di entrare direttamente in contatto con il mondo sanitario in modo concreto, comprendendo sia i disagi dei pazienti sia le difficoltà degli operatori. Normalmente ciò non fa parte della formazione di un giurista e di un avvocato che di solito è rilegato nel proprio campo e non conosce direttamente le realtà di cui si occupa.
Ricollegandoci al suo intervento al meeting di Osaka, a cui hanno partecipato esperti ed esponenti di associazioni provenienti da tutto il mondo, in che modo la vostra associazione può creare un network con altre associazioni per la tutela del paziente a livello internazionale, confrontandosi con altre realtà sanitarie molto diverse da quella italiana?
Penso che uno degli aspetti positivi del meeting di Osaka sia stato lo scambio di informazioni e il confronto con gli esperti. Ascoltando le varie relazioni, ci si accorge che alcune questioni, pur con delle differenze, ritornano spesso. Ad esempio: la questione della sostenibilità economica per la Procreazione Medica Assistita. In tutto il mondo le associazioni si stanno battendo perché la PMA venga inserita tra i livelli essenziali di assistenza. Con il rimborso delle spese sostenute per i trattamenti, si arriverebbe ad avere un accesso equo a tutte le prestazioni.
Un’altra questione concerne la corretta informazione alle metodiche e mi sembra che tutte le associazioni stanno operando per favorire e aumentare il grado di informazione e di consapevolezza delle coppie.
Nel contesto internazionale, quindi, è molto importante la costruzione di un network per lo scambio di informazioni. I temi possono essere vari: l’appropriatezza e la sicurezza delle metodiche, la qualità dei farmaci e la loro efficacia, l’accesso alle cure e i loro costi. E poi è fondamentale rafforzare un network a livello internazionale per intraprendere e portare avanti le stesse battaglie legali. In Italia abbiamo avuto l’esempio della Legge 40 del 2004 che è stata modificata attraverso ricorsi e azioni giudiziarie, in Argentina è stato utilizzato dalle associazioni lo stesso strumento, insieme all’intervento in sede parlamentare.
Le associazioni a difesa del paziente possono contare sulla collaborazione di professionisti che operano in vari campi: legale, mediatico, scientifico… Ma quanto è mantenere un dialogo aperto con gli altri stakeholder nel campo della fertilità, come le aziende farmaceutiche, per le associazioni sia nel panorama italiano che nel panorama internazionale?
Secondo me è indispensabile. Mantenere un dialogo aperto con i vari stakeholder, come le associazioni per le coppie infertili, l’area media e biologica, è fondamentale per avere le corrette informazioni, per diffonderle in maniera corretta e integrata, in quanto le coppie in questo momento hanno una grande difficoltà a reperire le giuste informazioni.
Solo per fare un esempio: le coppie si presentano in vari centri PMA con ricerche e documentazioni che hanno trovato in forum e community online, senza però avere gli strumenti adatti per capire se un centro è qualitativamente valido e se ha una solida esperienza nel campo della fecondazione. Conosco, ad esempio, una coppia che è stata seguita prima da un centro italiano e poi da un centro spagnolo, dove ha trovato, oltre i problemi di comunicazione tra medico e paziente, che purtroppo non sono infrequenti, informazioni non particolarmente esaustive e ora ha l’impressione di essere stata imbrogliata. Mettere in circolo le informazioni corrette, quindi, è di fondamentale importanza.
Con le aziende farmaceutiche, c’è tutto il discorso della sicurezza dei farmaci. In Italia negli ultimi anni nella fecondazione assistita si è riscontrato un problema quasi di stigma, che non era legato solo ai problemi etici. Il mondo politico, infatti, considera sia le ditte farmaceutiche sia i medici come soggetti che non hanno la consapevolezza di impattare sulla salute delle persone. Per questo motivo si è verificato una sorta di discredito su tutto il mondo della fecondazione assistita.
Anche il rapporto con le aziende farmaceutiche deve portare a una corretta informazione, al far capire che cosa c’è dietro la creazione di un farmaco, al far comprendere quali sono gli effetti veri e gli effetti presunti e soprattutto quali sono gli effetti che sono stati falsati.
Parliamo ora dei pazienti o che solitamente si rivolgono a Cittadinanzattiva. Dalla sua esperienza che cosa consiglierebbe a una coppia che sta per intraprendere questo percorso? Innanzitutto per scegliere una clinica di cui fidarsi, che cosa devono verificare? Ad esempio il prestigio del ginecologo, le attrezzature all’avanguardia, che solitamente vengono messe in secondo piano nella scelta da parte di una coppia inesperta? E come consiglia di informarsi sui rischi per aumentare la consapevolezza?
Cittadinanzattiva offre un servizio di consulenza, attraverso la raccolta di tutte le segnalazioni, che vengono raccolte nel PIT SALUTE, ovvero Progetto Integrato di Tutela per la Salute, e attraverso un centralino a cui le coppie possono telefonare.
I temi più ricorrenti sono quello dell’individuazione dei centri e quello relativo alle procedure che possono essere effettuate in Italia.
Sull’individuazione dei centri PMA ci sono delle difficoltà oggettive perché in Italia l’accreditamento dei professionisti non è mai partito, nel senso che è difficile accedere alle informazioni relative al curriculum del singolo professionista. In alcuni casi si trovano sui siti dei diversi centri, in altri casi no, ma non c’è stato nessun intervento diretto da parte delle società scientifiche o da parte del Ministero della Salute e in particolare del registro che segue i centri di fecondazione assistita per regolamentare l’accessibilità agli accrediti di un professionista.
Penso che in questi anni ci sia stata, inoltre, poca attenzione su quanto concerne la formazione in ordine alla qualità singolo professionista che è fatta soprattutto attraverso convegni ed è diretta prevalentemente ai medici o ai biologi. Sono poche le iniziative che hanno come oggetto le procedure, le fasi e in generale l’attività di un centro che è complessa e articolata e prevede una multidisciplinarietà, una qualità dei presidi e un corretto uso dei macchinari.
L’attenzione per la qualità e la sicurezza non è messo al centro del dibattito pubblico e dei mass media che normalmente affrontano i temi della fecondazione assistita quando succede qualche caso di cronaca molto eclatante o quando c’è l’esito di una azione giudiziaria che modifica la normativa.
Come dicevo prima, il tema dell’accesso alle informazioni è rilevante anche perché le coppie si rivolgono ai forum tematici e con una sorta di passaparola. Vorrei sottolineare un altro problema che è quello di aumentare il grado di umanizzazione. Per le coppie è molto importante avere un buon rapporto con gli operatori. Spesso il criterio per scegliere la clinica diventa “quella coppia è stata trattata bene” e quindi l’umanizzazione diviene il fattore discriminante per scegliere un centro piuttosto di un altro. E’ un dato su cui lavorare perché può ingenerare fraintendimenti e produrre rischi: la gentilezza non stabilisce la qualità medico-scientifica di un centro.
Solitamente, però, le coppie si rivolgono ai forum tematici e c’è una sorta di passaparola. Questo in realtà può generare dei rischi fortissimi, perché la gentilezza non stabilisce la qualità medico-scientifica di un centro.
Un altro problema legato al mondo del web è lo scambio dei farmaci. Nei forum e in alcuni siti si possono acquistare o scambiare farmaci senza prescrizione, senza poter controllare come sono stati conservati, senza aver cognizione delle dosi per la propria condizione, basandosi quindi non sulla diagnosi di un medico ma sul consiglio di altre coppie.
Ho visto molte community online di donne e future mamme che si stanno sottoponendo a uno dei trattamenti per la Procreazione Medicalmente Assistita. Secondo lei, quindi, è più importante forse l’aspetto umano, il conforto che le donne possono trovare in altre donne che stanno facendo il loro stesso percorso piuttosto che il consiglio “scientifico” che viene dato da una persona che non opera nel settore sanitario.
Esattamente. Molte volte per aiutarsi a vicenda si scambiano dei consigli che solo un professionista potrebbe dare. Se dovessi fare una raccomandazione sarebbe quella di evitare di fidarsi di questi consigli e quindi in ordine alle dosi dei farmaci, ai trattamenti o addirittura alle diagnosi dati da altre donne che si stanno sottoponendo al trattamento, ma che non sono assolutamente medici. Questo “fidarsi” e basarsi sulle esperienze delle altre coppie spesso comporta un mancato consulto del medico, con rischi alla salute.
Sempre in base alla sua esperienza, questa disinformazione o informazione non medicalmente qualificata su che cosa si riflette? Può farci un esempio pratico?
Uno dei primi elementi che si sta individuando è che c’è ancora molta paura dell’ impatto dei farmaci, perché il passaparola ha alimentato idee e miti sbagliati come un aumento di peso, uno sconvolgimento a livello ormonale e molti effetti secondari di diverso genere. In realtà poi si verifica lo stesso un accesso al farmaco, ma il medico non riesce a convincere la coppia che ci sono stati negli ultimi anni dei miglioramenti notevoli sia nelle metodiche sia nell’eliminare gli effetti negativi dei farmaci.
Dal 2011 Cittadinanzattiva e Hera Onlus, con l’Università La Sapienza di Roma, sono impegnate in uno studio che nelle cliniche per la fertilità analizza le cause del “drop out” delle coppie, ovvero coppie che abbandonano il centro, e forse addirittura il progetto di concepire con PMA, dopo uno o più tentativi falliti. Anche sulla base dei risultati preliminari di questo studio, quali consigli si sente di dare ai centri e alle coppie?
Io darei come consiglio ai centri quello di capire bene il ruolo dello psicologo previsto dalla normativa come aiuto e sostegno e di migliorare la loro capacità di comunicazione con la coppia. A questo proposito abbiamo tenuto un corso, in collaborazione con l’associazione Hera, presso un centro per la fecondazione assistita di Catania durante il quale si è affrontato il problema di comunicazione medico – paziente. Oggetto del corso, sono state le regole della comunicazione, la costruzione di una ceck list per il primo e gli altri colloqui. Sono importanti, ad esempio, il tono di voce da usare, il modo in cui esprimere determinati concetti. E questo è servito moltissimo perché l’atteggiamento dei professionisti coinvolti è cambiato.
Alle coppie dare alcuni consigli: non sfuggire dal sostegno di tipo psicologico e di counselling; di chiedere informazioni precise e adeguate dai centri e dai medici; di avere fiducia, sempre con l’accortezza di non scegliere i professionisti per le pubblicità; di accettare di fare un percorso completo con questi professionisti, senza interpellare, come spesso succede, diversi centri e diversi specialistici nello stesso tempo. Il rischio è di ricevere informazioni contrastanti, indicazioni terapeutiche contraddittorie e alla fine di scegliere la clinica in base alla simpatia del medico o in base a parametri non oggettivi.
Quindi consiglio alle coppie inizialmente di raccogliere informazioni da strutture abilitate e forse in questo campo dovrebbe esserci un ruolo maggiore da parte del Ministero della Salute e delle società scientifiche.
Infine vorrei consigliare alle coppie di insistere perché i medici dedichino loro tutto il tempo necessario, sia al primo colloquio informativo, sia in quelli successivi. Le coppie molte volte si sentono come un soggetto passivo che passano da un medico all’altro, come se fossero coinvolti in una specie di catena di montaggio.
Ecco questo non deve succedere: affidatevi, ma pretendete che ci sia una buona e corretta informazione e che la struttura vi prenda in carico totalmente.