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Preservare la fertilità sia femminile sia maschile oggi è possibile, grazie a procedure innovative. Sembra semplice, ma in realtà si tratta di procedure delicate, gestite da professionisti estremamente qualificati nell’ambito della medicina della riproduzione. Il percorso terapeutico per poter prelevare gli ovociti della donna, ad esempio, prevede alcuni step.

Ne abbiamo parlato con la Prof.ssa Alessandra Andrisani, MD PhD, ObGyn.

La preservazione della fertilità

La preservazione della fertilità è una procedura medica innovativa. É disponibile grazie alle recenti acquisizioni ed ai miglioramenti di competenze nel campo delle tecniche di crioconservazione di materiale biologico. Grazie a questa tecnologia, attualmente è possibile crioconservare i gameti (ovociti e spermatozoi) ed il tessuto gonadico. Il fine è di aumentare la probabilità di ottenere una gravidanza ed esaudire il proprio desiderio di genitorialità nel momento in cui dovessero esservi delle difficoltà ad ottenerla spontaneamente.

Oncofertility e Social freezing

Come la scienza e la medicina possono aiutare le persone a preservare la loro fertilità? Attraverso la “oncofertility” ed il “social freezing”.

Con il termine oncofertility, si intendono le procedure terapeutiche di preservazione della fertilità in donne che sono affette da patologie oncologiche. In senso lato, di tutte le persone affette da quelle patologie che, di per sé o a causa delle cure previste per il loro trattamento, hanno effetti negativi diretti o indiretti sulla fertilità.

Tra le terapie più frequentemente responsabili di danno alla fertilità vi sono: chemioterapia, chirurgia e radioterapia.

Non va dimenticato il tempo necessario per la cura, che comporta un invecchiamento del paziente nell’attesa della completa guarigione.

  • Gli ovociti sono molto sensibili all’azione di alcuni chemioterapici e possono subirne, in relazione al tipo, alla dose e al tempo di utilizzo, una riduzione o perdita irreversibile. Nei casi più gravi, infatti, quando l’entità del danno è a carico di tutte le cellule dell’ovaio, si può instaurare una condizione di “insufficienza prematura della funzione dell’ovaio”. Questa condizione, iatrogena, è caratterizzata da una mancanza di ovociti indispensabili per la riproduzione, con un danno grave, se non irreversibile, sulla fertilità
  • Similmente, la terapia chirurgica per patologie delle ovaie può danneggiarne la funzione, inducendo una drastica riduzione del tessuto sano
  • Infine, anche la radioterapia può danneggiare gravemente e irrimediabilmente la funzione ovarica quando coinvolge la regione della pelvi, dove sono alloggiati gli organi genitali femminili.

Tutti i precedenti trattamenti possono, quindi, comportare una menopausa precoce e, di conseguenza, infertilità.

Quando si parla di “social freezing”, invece, si fa riferimento ad una tecnica di “prevenzione dell’infertilità età-correlata”. Vi si sottopongono in particolare donne che per motivi personali (studio, lavoro, assenza di un partner) vogliono preservare la fertilità e ricercare una gravidanza più avanti nel tempo, quando fisiologicamente sarebbe meno probabile ottenerla.

Crioconservazione degli ovociti: la procedura

La crioconservazione ovocitaria è attualmente la tecnica più utilizzata sia per l’oncofertilità che per il social freezing nella popolazione femminile.

In Italia, in caso di malattia oncologica, viene proposta a tutte le pazienti con un’adeguata riserva follicolare che hanno la possibilità di posticipare il trattamento chemioterapico di 2-3 settimane.

Per poter prelevare gli ovociti della donna, il percorso terapeutico prevede i seguenti step:

  • Stimolazione ovarica controllata alla paziente vengono prescritti farmaci che stimolano la crescita dei follicoli ovarici, allo scopo di ottenere più ovociti possibili e di controllare il momento dell’ovulazione. In particolare, la somministrazione dei farmaci avviene giornalmente e la donna andrà incontro ad una serrata valutazione clinica, ecografica e ormonale. Questa fase dura generalmente 10-15 giorni.
  • Prelievo degli ovociti (Pick-up ovocitario) – tutti i follicoli ovarici cresciuti durante la stimolazione ormonale vengono punti e aspirati con un ago per via trans-vaginale sotto controllo ecografico. All’interno del liquido prelevato dai follicoli si trovano gli ovociti, e il biologo li ricercherà al microscopio. L’intervento chirurgico dura circa 15-20 minuti ed è effettuato in sedazione.
  • Crioconservazione ovocitario – prima della crioconservazione, gli ovociti in adeguata fase di maturazione vengono identificati tramite decoronazione (ovvero rimozione della zona pellucida esterna). Essi verranno poi crioconservati mediante tecnica di vitrificazione con azoto liquido. Riguardo la procedura di crioconservazione, le ultime evidenze supportano l’idea che non vi siano sostanziali differenze tra la qualità degli ovociti crioconservati e quelli freschi. Tuttavia, i dati in letteratura scientifica non sono ancora risolutivi.
  • Scongelamento ovocitario – nel caso in cui la donna decida di utilizzare i propri ovociti per ottenere una gravidanza in un secondo momento, essi verranno scongelati e fecondati in laboratorio con il seme del partner secondo la tecnica di microiniezione dello spermatozoo (ICSI). Attenzione va data al fatto che non tutti gli ovociti crioconservati risultano poi vitali al momento dello scongelamento e, in alcuni casi estremi, tutti gli ovociti scongelati possono non essere vitali.
  • Trasferimento embrionario – nel caso in cui tutti i processi precedenti abbiano portato alla creazione di almeno un embrione vitale, è possibile giungere infine al transfer dell’embrione. Tale procedura è ambulatoriale e prevede unicamente una adeguata preparazione endometriale (in ciclo spontaneo o medicato). Il tasso di successo è dipendente da numerose variabili, ma per una donna di 30 anni, in assenza di fattori genetici o maschili noti, si può attestare intorno al 30%.
Probabilità di successo della crioconservazione degli ovociti

La probabilità di successo di un ciclo di preservazione della fertilità è essenzialmente collegata alla riserva ovarica e, quindi, alla eventuale risposta alla stimolazione ovarica controllata. Ovvero, quanto più le ovaie risponderanno alla stimolazione con la crescita di follicoli, quanti più ovociti verranno potenzialmente crioconservati. E quanti più ovociti la donna avrà, tanto più alta sarà la probabilità di ottenere una gravidanza in futuro.

Generalmente si ritiene che il tentativo di preservazione della fertilità sia andato a buon fine se si congelano almeno 10 ovociti. Tale probabilità, ovviamente, si riduce progressivamente con la riduzione del numero di ovociti recuperati.

La crioconservazione del tessuto ovarico

In alternativa, è possibile ricorrere alla crioconservazione di tessuto ovarico.

La tecnica

La tecnica di crioconservazione di tessuto ovarico non è più considerata sperimentale dall’American Society of Reproductive Medicine nell’ambito adulto dal 2019. Nella popolazione pediatrica, invece, i dati di efficacia sono ancora limitati.  Questa tecnica rappresenta l’unica opzione di preservazione della fertilità, sia per le pazienti prepubere sia per tutte le pazienti in cui non sia possibile la stimolazione follicolare (per controindicazioni mediche o mancanza di tempo).

La crioconservazione di tessuto ovarico richiede, in tempi diversi, due interventi chirurgici (espianto e reimpianto di tessuto ovarico), preferibilmente effettuati tramite chirurgia laparoscopica.

Il reimpianto del tessuto ovarico

Comunemente il reimpianto di tessuto ovarico può essere eseguito per promuovere la fertilità quando le pazienti sono pronte a concepire. Il reimpianto può essere ortotopico (si crea chirurgicamente una piccola tasca dove alloggiare il tessuto reimpiantato all’interno dell’ovaio) o eterotopico (più frequentemente a livello dell’avambraccio). In generale, è stato osservato che, dopo il reimpianto, la funzione ovarica riprende tra i 60 e i 240 giorni e può durare fino a 7 anni.

Potenzialmente, il reimpianto ortotopico potrebbe consentire anche la ripresa della funzionalità ovarica e l’insorgenza di una gravidanza spontanea, senza ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.

Esiste una legittima preoccupazione per quanto riguarda la potenziale reintroduzione di cellule tumorali in seguito a trapianto di tessuto ovarico in pazienti oncologiche. Per le conoscenze attuali, relativamente al rischio di contaminazione è possibile solo stratificare le neoplasie come ad alto, medio o basso rischio di colonizzazione del tessuto ovarico da parte delle cellule neoplastiche e quindi è possibile dare solo un’indicazione generica sulla sicurezza del reimpianto del tessuto ovarico.

La fertilità non è eterna. Alzi la mano chi non lo sa… Spesso, però, ce ne rendiamo conto veramente quando è già compromessa. Eppure, qualcosa possiamo fare a tutela della nostra fertilità.

Ne parliamo con la Prof.ssa Alessandra Andrisani, MD PhD, ObGyn.

I dati dell’ISS

Dati pubblicati nell’ultimo resoconto dell’ISS evidenziano come la sterilità sia una patologia che oramai ha acquisito le dimensioni di un vero e proprio problema sociale, che interessa circa il 20% della popolazione in età fertile nel mondo. Vale la pena ricordare che, solo nel nostro paese, circa il 3% delle nascite avviene grazie ai trattamenti di Procreazione Medicalmente Assistita.

La Tutela della Salute riproduttiva è stata addirittura oggetto di una campagna del Ministero della Sanità. Nel 2015, infatti, ha strutturato un piano finalizzato ad informare i cittadini sul ruolo della fertilità nella loro vita, fornire assistenza sanitaria qualificata per difendere la fertilità (interventi di prevenzione e diagnosi precoce), preservare la fertilità naturale dei soggetti e sviluppare nelle persone la conoscenza del “funzionamento della fertilità” così da poterla utilizzare scegliendo di avere un figlio consapevolmente ed autonomamente.

Il razionale della preservazione della fertilità

In questo contesto, il razionale della preservazione della fertilità si sviluppa in due possibili scenari:

  • La tutela della salute riproduttiva, intesa come prevenzione, in pazienti affetti da una patologia oncologica, cronica e/o che necessiti di cure tempestive, con un impatto diretto o indiretto sulla funzionalità del sistema riproduttivo, che possono ritardare o affliggere la ricerca di una futura gravidanza (in particolare malattie oncologiche, malattie autoimmuni che richiedano l’uso di farmaci chemioterapici, endometriosi…).
  • La tutela della fertilità per quelle donne che per motivi personali (studio, lavoro, assenza di un partner stabile…) non desiderino immediatamente una gravidanza ma desiderino comunque garantirsi una ragionevole probabilità di poter realizzare in futuro il loro progetto di famiglia. Tale condizione prende il nome di preservazione della fertilità per motivi sociali o “social freezing”.
Il ruolo dell’età della donna

Tutta la letteratura scientifica è oramai concorde nell’affermare che l’età, in particolare per la donna, si associ ad una progressiva perdita del potenziale riproduttivo. Infatti, il livello di fertilità della donna raggiunge l’apice tra i 20 e i 27 anni. Dopo i 35 anni, invece, si manifesta un netto declino nella qualità delle cellule uovo.

Sebbene la tecnologia medica abbia reso possibile la gravidanza a donne di quarant’anni e più (persino di 50), si tratta, in generale, di gravidanze in cui si è fatto ricorso a ovuli donati da donne molto più giovani. Questo fenomeno è estremamente fuorviante perché agli occhi della popolazione generale, una donna resta fertile in misura normale fino ad età in cui, nella realtà, è altamente improbabile l’ottenimento di una gravidanza spontanea, o quantomeno con i propri ovociti.

Per dare un’idea più concreta, si stima che la probabilità di concepimento quando i partner di una coppia sono coetanei e dopo un anno di rapporti sessuali non protetti sia: a 20 anni il 90%, a 30 anni il 70%, a 35 anni il 55%, a 40 anni il 45% e a 45 anni il 6%. A di sopra di questo limite di età, le gravidanze spontanee o con ovociti della donna sono aneddotiche.

Anche la fertilità maschile è età-dipendente?

Non solo la fertilità femminile è età-dipendente, ma anche quella maschile. L’età, infatti, gioca un ruolo chiave anche per il futuro papà. Stando ai risultati dello Studio Nazionale Fertilità promosso dal Ministero della salute e coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità, ben nove persone su dieci ignorano questa importante informazione. Inoltre, non sono consapevoli del fatto che se l’uomo ha superato i 35 anni di età, potrebbe incontrare delle difficoltà nel diventare padre. Dai 30 anni in poi il calo dell’ormone testosterone è pari all’1% all’anno.

La produzione fisiologica di spermatozoi prosegue per tutta la vita dell’uomo, dalla pubertà alla vecchiaia, ma è soggetta a un calo naturale, parallelamente all’invecchiamento. Purtroppo però molti maschi non lo sanno e pensano, sbagliando, che il loro potenziale riproduttivo sia immutabile per sempre.

Secondo uno studio dell’ISS pubblicato dal Ministero della Salute, solo il 5% tra più di 20000 persone ascoltate, è risultato consapevole che l’orologio biologico femminile subisce un pesante impatto già dopo i 30 anni, mentre il 27% ritarda questo momento di 10 anni o più.

La stessa mancanza di consapevolezza riguarda anche il sesso maschile. Ben pochi sanno che l’età gioca un ruolo importante anche per la fertilità maschile: per 4 giovani studenti dell’università su 10 l’orologio biologico maschile non esiste affatto, il 10% dichiara di non saperlo, la quota restante attribuisce alla fertilità maschile tempi più lunghi.

La fertilità non è eterna e va tutelata

In questo scenario come comportarsi se si desidera realizzare il proprio progetto di famiglia?

  1. È importante acquisire la consapevolezza che la fertilità sia maschile che femminile non è eterna, bensì è fortemente correlata con l’età, per cui l’ideale sarebbe cercare una gravidanza prima del compimento dei 35 anni. Oltre a questo, è fondamentale la “Tutela della salute Riproduttiva”: è cioè importante acquisire le conoscenze e la consapevolezza che corrette abitudini e stili di vita sono fondamentali per salvaguardare il nostro potenziale riproduttivo.
Tutelare la salute riproduttiva: qualche consiglio
  • Alimentazione corretta – Una corretta alimentazione fin dalla prima infanzia ed un adeguato peso corporeo si associano ad una migliore fertilità. È oramai noto che nella donna l’obesità si associa ad alterazioni del ciclo mestruale fino alla completa assenza di ovulazione con conseguente amenorrea, e spesso anche ad un aumentato rischio di aborti; nell’uomo invece si associa ad una riduzione dei livelli di testosterone ematico e ad alterazioni del liquido seminale. Una riduzione di peso corporeo di almeno il 6% sembra determinare nel 70% dei casi un recupero ottimale della fertilità. Danni analoghi all’obesità sono quelli dovuti ad una eccessiva magrezza.
  • Sessualità responsabile – Anche banali infezioni, se trascurate, possono comportare conseguenze negative a lungo termine sulla fertilità. Un atteggiamento responsabile verso la sessualità, e l’utilizzo di contraccettivi di barriera come il profilattico può aiutare a prevenire tali condizioni. Inoltre, sottoporsi a controlli ginecologici periodici e l’esecuzione del PAP test sono strumenti in grado di garantire una diagnosi precoce e la cura tempestiva di patologie infettive a rischio per il sistema riproduttivo.
  • Uso e abuso di alcol e sostanze stupefacentiInfine, bisogna ricordare che anche l’alcol e le sostanze stupefacenti sono fattori di rischio capaci di influenzare negativamente la salute sessuale e riproduttiva di un individuo. I cannabinoidi possono interferire con l’impianto degli embrioni e la motilità degli spermatozoi. Il consumo eccessivo di alcol, nella donna, altera i meccanismi dell’ovulazione e dello sviluppo ed impianto dell’embrione; nell’uomo, invece, danneggia i testicoli, riduce i livelli di testosterone e danneggia la maturazione degli spermatozoi.
  • Attività fisica – Lo sport, se praticato con equilibrio e costanza, è utile a garantire un buono stato di salute generale e riproduttiva. Tuttavia, sia l’eccessiva sedentarietà, sia un’attività fisica troppo intensa, possono alterare l’assetto ormonale e riproduttivo sia maschile che femminile.