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Come abbiamo visto in un articolo precedente, la preparazione dell’endometrio è fondamentale per l’avvio della gravidanza, anche quando si ricorre alla fecondazione assistita.

Nei percorsi di PMA si ricorre sempre più spesso alla procedura chiamata “Freeze-all”. Come funziona? Lo scopriamo insieme alla Dottoressa Silvia Guarnieri, ginecologa, responsabile del Centro di Fecondazione Assistita del Presidio Ospedaliero di Sacile di AS FO, Azienda Sanitaria Friuli Occidentale.

Ciclo segmentato, spontaneo modificato e medicato

A seguito alla stimolazione ormonale, non sempre si esegue immediatamente il transfer: ad esempio, nei casi in cui ci sia un rischio di iperstimolazione ovarica in cui i livelli di progesterone siano troppo elevati, o quando l’endometrio non risulti ecograficamente idoneo per l’impianto.

In questi casi si preferisce preparare sia gli ovociti al trasferimento in utero sia, contemporaneamente, l’utero ad accogliere gli ovociti, per aumentare le probabilità di impianto.

Ciclo segmentato

Parliamo, quindi, di ciclo segmentato. In una prima fase, gli ovociti vengono prelevati e fecondati. Si formano gli embrioni, li si porta allo stadio di blastocisti e queste vengono congelate (procedura freeze-all). Successivamente, si programma il trasferimento in utero.

Il trasferimento dell’embrione (o della blastocisti) è preceduto da una fase di preparazione endometriale. La preparazione endometriale può avvenire mediante ciclo spontaneo: si segue l’ovulazione della paziente mediante controlli ecografici – ed eventualmente mediante i test di ovulazione – per vedere il picco dell’LH; da quel momento si programma il transfer tra i 5 e 7 giorni dopo il l’avvenuta ovulazione.

Ciclo spontaneo modificato

Un’altra strategia è quella di utilizzare il ciclo spontaneo modificato: si segue l’ovulazione spontanea della paziente mediante ecografia; nel momento in cui il follicolo raggiunge le dimensioni idonee – in genere sopra i 16-17 mm – viene indotta l’ovulazione mediante la somministrazione di HCG e viene iniziata la supplementazione con il progesterone. Questo processo avviene a distanza dei 5-7 giorni, a seconda di quando è stata congelata la blastocisti. Si procede poi al trasferimento dell’embrione.

Ciclo medicato

Il terzo metodo per preparare l’endometrio è il ciclo medicato. Questa procedura prevede di bloccare l’ovulazione naturale della paziente e “guidarla” artificialmente attraverso l’utilizzo di farmaci.

All’inizio si somministra dell’estrogeno – in genere per via orale, transcutanea o per via vaginale e si valuta la crescita dell’endometrio con l’ecografia. Quando l’endometrio ha raggiunto lo spessore ideale, si inizia la somministrazione di progesterone. Anche in questo caso, dopo i 5-7 giorni – in base allo stadio delle blastocisti congelate – si procede al trasferimento dell’embrione. La supplementazione con progesterone può avvenire per via vaginale, iniettiva – sia sottocutanea sia intramuscolare – o per via orale. In caso di gravidanza, la supplementazione luteale a supporto dell’endometrio continua in genere fino alla 12ma settimana.

Sovrappeso e PMA: è noto da tempo che i chili di troppo minano la fertilità, ma la riproduzione assistita può venire in aiuto anche in questi casi, con alcuni accorgimenti.

Un recente studio ha infatti evidenziato che, nelle pazienti sovrappeso e obese, risulterebbe preferibile utilizzare il transfer da blastocisti congelata. Questo perché questa metodica, in tale categoria di persone, pare consentire maggiori probabilità di ottenere una gravidanza clinica, rispetto all’uso di blastocisti fresche.

A dimostrarlo i risultati di uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Fertility and Sterility.

 

Obesità e sovrappeso, un problema comune

In Italia il 46% della popolazione è sovrappeso (dati 1° Italian Obesity Barometer Report, IBDO Foundation). Non si tratta dunque di un problema marginale. Ad essere colpiti sia uomini che donne.

Rispetto alle pazienti normopeso, quelle obese hanno più probabilità di essere sterili e hanno meno probabilità di ottenere una gravidanza clinica con FIVET, forse a causa di un’associazione negativa tra obesità e ricettività endometriale.

È stato dimostrato che l’Embryo Transfer (ET) congelato migliora i risultati della FIV determinando maggiori ricettività endometriale e sincronia embrio-endometriale.

 

Lo studio

Lo studio ha voluto approfondire il rapporto tra sovrappeso e PMA, esaminando l’effetto dell’indice di massa corporea (BMI) sui tassi di gravidanza clinica nei cicli di ET freschi rispetto a quelli congelati.

I ricercatori hanno dunque condotto uno studio di coorte retrospettivo. Sono state confrontate donne di peso normale (BMI: 18,5-24,9 kg/m2), sovrappeso (BMI: 25,0-29,9 kg/m2) e obese (BMI superiori o uguali 30,0 kg/m2).

Lo studio ha preso in considerazione persone di età media, BMI e razza/etnicità simili. Sono stati presi in considerazione 527 cicli di trasferimento di blastocisti, di questi 247 (46,9%) sono stati freschi e 280 (53,1%) congelati. In particolare, oltre il 41% dei transfer sono stati effettuati in donne normopeso, circa 26% in quelle sovrappeso e circa il 32% in quelle obese.

 

I risultati

I risultati sottolineano un chiaro rapporto tra sovrappeso e PMA.

In particolare, nelle pazienti in sovrappeso, i tassi di impianto e di gravidanza clinica erano significativamente più alti nel caso di ET congelati. Anche nelle donne obese i tassi di gravidanza clinica sono risultati significativamente più alti con quest’ultima metodica.

Al contrario, nel gruppo di peso normale, dai dati non emerge alcuna differenza nei tassi di impianto o di gravidanza clinica tra la metodica che prevede la blastocisti fresca e quella con l’ET congelato.

Una curiosità, le pazienti in sovrappeso che hanno avuto un ET fresco hanno avuto un numero significativamente maggiore di gravidanze gemellari.

 

Bibliografia

Schointuch M et al. Clinical pregnancy outcomes of fresh versus frozen blastocyst transfers by body mass index. 2019;111(4):Se54–e55

Qual è la differenza tra PGD (Diagnosi genetica pre-impianto) e PGS (Screening genetico pre-impianto)?

Prima di trasferire gli embrioni nell’utero della paziente, essi vengono analizzati sia dal punto di vista morfologico che di crescita. Alcuni centri, effettuano inoltre un’analisi del loro corredo genetico mediante le tecniche di diagnosi genetica preimpianto (PGD). Tale diagnosi fornisce quindi un ulteriore criterio di scelta degli embrioni idonei all’ottenimento di una gravidanza. Chiaramente, ogni coppia che si affida alla procreazione medicalmente assistita spera di riuscire ad avere dei figli sani. A volte però vi è il rischio di trasmettere alla prole un difetto genetico di cui uno dei due genitori o entrambi sono affetti. La diagnosi genetica preimpianto consente di esaminare il corredo genetico dell’embrione ancor prima della gravidanza in maniera tale da permettere, in un ciclo di fecondazione in vitro, il transfer preferenziale degli embrioni geneticamente normali. Vi sono due tecniche di diagnosi preimpianto: la PGS (screening genetico preimpianto) ­­­ e la PGD (diagnosi genetica preimpianto).

La PGS analizza il corredo cromosomico dell’embrione nella sua interezza valutando alterazioni di numero o di struttura dei cromosomi, ed è quindi particolarmente indicata nei casi di età materna avanzata (>38 anni), abortività ricorrente e ripetuti fallimenti di impianto.

La PGD è indicata nel caso in cui uno od entrambi i futuri genitori siano portatori o affetti da un disordine genetico causato dalla mancanza o mutazione in un unico gene (malattia monogenica), come la beta talassemia, la fibrosi cistica o l’emofilia. Quindi si va a ricercare quella specifica alterazione.

L’indagine genetica viene fatta su uno o più blastomeri prelevati dall’embrione allo stadio di 6/8 cellule (a circa 72 ore dal momento della fecondazione), o allo stadio di blastocisti (a circa 120 ore dalla fecondazione). L’analisi si realizza con più metodi – FISH (ibridazione fluorescente in situ), ACGH (ibridazione genomica comparativa su microarray), PCR (reazione a catena della polimerasi) e il risultato viene elaborato in circa 48 ore. L’embrione non risulta danneggiato, pertanto continua nel suo sviluppo. In base ai risultati ottenuti, il biologo seleziona gli embrioni più adatti per il trasferimento in cavità uterina nel caso di diagnosi a 72 ore, nel caso invece di diagnosi a blastocisti queste vengono congelate in attesa dei risultati e trasferite in un ciclo successivo.

Dott.ssa Stefania Luppi

Quale e’ la tecnica migliore per la crioconservazione di ovociti ed embrioni?

La crioconservazione di gameti maschili e femminili ed embrioni è ormai diventata di fondamentale importanza nell’ambito delle procedure di Procreazione Medicalmente Assistita per far fronte alle numerose problematiche che possono presentarsi durante il trattamento dell’infertilità di coppia.

In seguito al prelievo degli ovociti è possibile conservare mediante congelamento gli ovociti maturi prodotti in soprannumero che non verranno utilizzati per la successiva fecondazione in vitro.

Secondo quanto disposto dall’articolo 14 della legge n.40/2004, la crioconservazione degli embrioni è possibile

  1. nel caso in cui si presentino impedimenti imprevisti al trasferimento degli embrioni originati in laboratorio
  2. per limitare i rischi associati alla comparsa di gravidanze gemellari e alla ripetizione di cicli di stimolazione ovarica.

Solitamente gli embrioni vengono congelati al 2-3° giorno dopo la fecondazione, quando si trovano allo stadio di 4-8 cellule, o quando si trovano allo stadio di blastocisti (5°-6° giorno dopo la fecondazione).

Nella maggior parte dei laboratori di embriologia il congelamento degli ovociti e degli embrioni avviene mediante la tecnica di “vitrificazione” che ad oggi è quella che dà i migliori risultati rispetto alla tecnica tradizionalmente impiegata del “congelamento lento”, in quanto offre una maggior efficacia in termini di sopravvivenza degli embrioni e di tasso di impianto, il che significa miglior tasso di gravidanza.  A differenza del congelamento classico, la vitrificazione raffredda in maniera estremamente rapida le cellule ad una velocitá di piú di 15.000 °C al minuto, in modo da evitare la formazione di cristalli di ghiaccio che danneggerebbero le strutture interne. Essa prevede l’immersione diretta di ovociti o embrioni in azoto liquido (gas atmosferico che, liquefatto, raggiunge la temperatura di 196 °C sotto lo zero) e l’utilizzo di elevate concentrazioni di sostanze che proteggono dai danni cellulari in minimi volumi. Gli embrioni e gli ovociti possono così restare in azoto liquido fino al loro successivo utilizzo.

Dott.ssa Stefania Luppi