I fattori predittivi di abbandono dei trattamenti della PMA, se valutati in anticipo, possono aiutare i medici a reinstradare le pazienti nell’iter terapeutico.
Dopo aver descritto i motivi e le principali situazioni che portano una coppia al drop-out della PMA, ovvero a decidere di abbandonare il percorso diagnostico-terapeutico per l’infertilità, è opportuno, infatti, esaminare i cosiddetti fattori predittivi di abbandono dei trattamenti della PMA.
Valutare per tempo i suddetti fattori, dunque, può essere un buon aiuto per gli specialisti a individuare le coppie più propense all’abbandono e a intervenire nel modo giusto per far capire l’importanza dell’aderenza all’iter terapeutico.
Tre le variabili ascrivibili tra i fattori predittivi di abbandono dei trattamenti della PMA
I fattori predittivi di abbandono dei trattamenti della PMA sono legati prevalentemente a tre variabili. Analizziamoli nel dettaglio.
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Storia dell’infertilità: abbandonano più facilmente le coppie che:
- hanno già avuto un figlio;
- in cui la causa dell’infertilità è maschile;
- le donne con endometriosi e con problemi cronici di ovulazione.
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Tipo di trattamento: abbandonano più facilmente le pazienti:
- sottoposte a regimi terapeutici molto aggressivi;
- quelle in cui è stato recuperato un basso numero di ovociti, in cui l’embryo transfer non è stato effettuato per mancata fertilizzazione degli ovuli;
- chi ha avuto una gravidanza esitata in aborto;
- che hanno aspettato un tempo troppo lungo tra un trattamento e un altro.
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Tipologia di pazienti: correlati negativamente al completamento dei trattamenti sono:
- età avanzata;
- fattori psico-sociali;
- difficoltà economiche;
- problemi di relazione di coppia;
- basso livello sociale;
- fattori personali quali idiosincrasia, motivi etici, ansia e depressione, logistica, paura per la propria salute, altre scelte come l’adozione.
Riferimenti bibliografici
1. Verhagen et al, Human Reproduction 2008, 23: 1793-99
2. Gameiro et al, Human Reproduction Update 2012, Nov, 18(6): 652-69
3. M. Brandes et al, Human Reproduction 2009 vol 24, N° 12: 3127-35
4. S. Gameiro et al, Human Reproduction Update, 2012, vol 0, pp 1-12
5. Domar et al, Human Reproduction 2012, n°4, pp 1073-79
Dott.ssa Luciana De Lauretis
L’infertilità può essere causa di depressione: mina il “progetto bambino” della coppia, isolandola
Diversi sono i vissuti psicologici che si sviluppano in seguito alla diagnosi d’infertilità o ancora peggio di sterilità. Indubbiamente l’infertilità può essere causa di depressione perché il mancato raggiungimento dello scopo “diventare genitore” nella maggior parte dei casi provoca veri e propri stati depressivi che coincidono con il fallimento e la perdita di un sogno, sentimenti di ansia, di colpa, isolamento, perdita di interessi, difficoltà di concentrazione, pensieri negativi, difficoltà del sonno e cambiamenti importanti nelle abitudini alimentari e sessuali.
Un segreto che isola socialmente e mina la coppia: l’infertilità può essere causa di depressione
Durante l’ovulazione della donna, la coppia vive l’ansia di un rapporto sessuale programmato finalizzato a procreare, all’arrivo della mestruazione arriva lo sconforto determinato dall’ennesimo fallimento. Le coppie si sentono diverse, non riescono in una cosa del tutto naturale, sviluppano sentimenti di vergogna e di colpa. Dunque l’infertilità può essere causa di depressione e diventare un segreto che li appesantisce e li isola dalle relazioni sociali. Si riscontrano tentativi di evitamento delle coppie con bambini e si osserva la preferenza per coppie simili. Spesso tali vissuti ricadono anche sull’equilibrio della coppia stessa. L’isolamento non si osserva soltanto in relazione agli “altri”, intesi quelli al di fuori della coppia, ma anche nei confronti del partner stesso, che talvolta viene tagliato “fuori”. Sempre più spesso la coppia si chiude rispetto al compagno/a, lo esclude dalle proprie visite specialistiche vissute come un peso. La coppia è messa a dura prova di resistenza. Tutto quello che la coppia ha costruito finora, sembra scomparire, non esistere più. La coppia deve rielaborare una perdita, quella di essere genitore.
L’infertilità può essere causa di depressione perché distrugge “il progetto bambino” che abita in noi da sempre
Prima ancora di nascere e di essere concepito, il bambino della coppia esiste nel loro immaginario. Durante l’infanzia, i bambini fantasticano di avere a loro volta un bambino nella pancia, il che corrisponde al desiderio di essere uguali ai loro genitori. L’infertilità può essere causa di depressione perché quando questo progetto non si realizza in età adulta è necessario elaborare un lutto come la perdita di un progetto importante, che affonda le sue radici nell’infanzia. A questo punto la coppia ha bisogno di un intervento specialistico che l’aiuti a ristrutturare la percezione di sé e di coppia.
Se la coppia sceglie la PMA occorrerà un supporto psicologico sin dall’inizio del percorso
Il fatto che l’infertilità può essere causa di depressione rende fondamentale necessità di attivare, per le coppie che accedono a un percorso PMA (procreazione medicalmente assistita), spazi di consulenza psicologica rivolti alla persona e alla coppia stessa. Questo significa garantire una consulenza alle persone prima di iniziare le singole procedure diagnostiche. Le coppie non devono soltanto essere informate, ma devono poter avere la possibilità di maturare un’accettazione consapevole della tecnica proposta.
Nasce quindi la necessità per lo psicologo di affiancare il medico fin dai primi colloqui. Poter osservare come le coppie rispondono fin da subito al carico emotivo che la PMA comporta significa, per lo psicologo, identificare precocemente le coppie più a rischio, quelle che necessitano di un maggiore e tempestivo intervento psicologico. In questo senso l’attività di consulenza non ha esclusivamente finalità terapeutica, ma anche carattere decisionale per le successive tappe da intraprendere. Lo psicologo comincerà a interessarsi alle credenze di quella coppia, cercherà di comprendere quale stile di risposta (coping) utilizza quella coppia solitamente nelle situazioni ansiogene e stressanti, cercherà di mettere in relazione i loro pensieri con le loro emozioni, tentando di anticipare come tutti questi vissuti potrebbero ricadere sulle relazioni. Lo psicologo proverà a prendere in considerazione tutti questi aspetti della persona con lo scopo principale di tenere la coppia in equilibrio, in una fase estremamente faticosa e turbolenta.
Dott.ssa Angela Petrozzi
Le ragioni di abbandono in PMA, in linea generale, sono principalmente attribuibili a stress psico-fisico, a vari tipi di paure, oltre a scarsa fiducia nel centro e nello staff medico.
Va detto che le tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) forniscono elevate probabilità cumulative di gravidanza, ma a dispetto di queste buone possibilità di realizzare il proprio progetto genitoriale, molte coppie, per una propria decisione, scelgono di non seguire il trattamento in maniera continuativa, quindi per ragioni che non sono di ordine medico né relative ai costi dei trattamenti stessi. Anzi, molte volte si tratta di pazienti a buona prognosi e in grado di sostenere il peso economico delle terapie.
Inoltre è importante evidenziare questi dati:
• circa la metà delle coppie infertili non ricorre a trattamenti per l’infertilità;
• un terzo delle coppie abbandona dopo il primo fallimento FIVET/ICSI;
• il 1° ciclo è quello più favorevole sui risultati, ma più tentativi aumentano le probabilità di arrivare alla gravidanza;
• la percentuale di bambini nati da tecniche di PMA è il 22% per ogni ciclo iniziato e può raggiungere il 50% se i pazienti si sottopongono ad un numero ottimale di cicli (3);
• esiste un modello teorico secondo il quale il Centro di PMA registrerebbe circa il doppio di gravidanze se tutte le coppie senza successo fossero disposte a concludere 7 cicli di PMA.
Le principali ragioni di abbandono in PMA? Stress emotivo e fisico (Global Burden of Disease)
Ma quante sono le coppie che abbandonano? Il dato è estremamente disomogeneo. Nell’ambito della letteratura scientifica può variare dal 7 all’80 per cento. In media il numero di abbandono in PMA è compreso tra il 25 e il 60 per cento.
I momenti più critici nell’interruzione si verificano nel 50 per cento dei casi prima che inizi qualunque trattamento e 2/3 dei pazienti abbandona prima di iniziare procedure di 2° livello (FIVET/ICSI).
Le ragioni di abbandono in PMA sono principalmente: lo stress emotivo, la scarsa prognosi, il rifiuto dei trattamenti e problemi di relazione.
In termini generali, le cause dell’abbandono possono essere raggruppate in tre fattori. Vediamoli.
1. fattori legati alla coppia/individuo: si tratta di paure e timori nei riguardi delle procedure, della salute dei futuri bambini, e di aspettative spesso non realistiche;
2. fattori legati al Centro medico: accesso alle cure, tempi di attesa, organizzazione dello staff di lavoro, deficit d’informazione e difficoltà nella comunicazione, mancanza di supporti psicologici;
3. fattori legati al trattamento in sé: complessità delle terapie, numero di iniezioni, difficoltà a inserire i numerosi controlli nel proprio contesto di lavoro, logistica eccetera.
Dott.ssa Luciana De Lauretis
Dopo il simposio “Reproductive Health – Patient Summit” di Osaka, organizzato dall’azienda farmaceutica Ferring e di cui abbiamo discusso in questo articolo, si torna a parlare della tutela del paziente durante il percorso della Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) e delle iniziative messe in atto per rendere i centri specializzati in fertilità più consapevoli dell’impatto emotivo che tale percorso ha sulle coppie.
Lo studio, che durerà tre anni ed è realizzato in collaborazione con l’azienda farmaceutica Ferring e le associazioni Cittadinanzattiva ed Hera O.n.l.u.s., coinvolge ricercatori dell’Università La Sapienza di Roma e cinque centri dislocati in tutta Italia.
La ricerca ha come obiettivi quello di ottenere conoscenze utili alla prevenzione del drop-out tra le coppie che si rivolgono ai Centri di Procreazione Medicalmente Assistita (ovvero coppie che lasciano il centro, e plausibilmente il progetto di concepire con PMA) e quello pianificare un modello di comunicazione tra il centro e le coppie in modo da instaurare un rapporto basato sulla fiducia e sull’assistenza, anche psicologica.
A questo proposito chiediamo un parere alla Dottoressa Laura Volpini, coinvolta in prima persona nel progetto.
Dottoressa Volpini, La ringrazio per aver accettato di essere intervistata. Come sappiamo il percorso della fecondazione assistita è spesso, per una coppia, lungo e molto impegnativo dal punto di vista emotivo e psicologico. In base alle sue ricerche ci può dire quante sono le coppie che abbandonano questo percorso e per quali motivi?
Statisticamente le coppie che interrompono il percorso di Procreazione Medicalmente Assistita sono circa il 40%.
Una parte di queste abbandona dietro consiglio medico. Un’altra decide di interrompere il percorso di PMA dopo numerosi tentativi, che hanno dato esito negativo: la coppia arriva alla consapevolezza che, purtroppo, bisogna trovare altre strade, come quella della fecondazione eterologa (la fecondazione eterologa è la procreazione assistita con donazione di ovociti o spermatozoi, attualmente vietata in Italia dalla Legge 40 NdRedazione).
Una delle cause del drop out è sicuramente la difficoltà a livello emotivo e psicologico della coppia ad affrontare lo stress di ripetuti risultati negativi. E’ molto raro che le coppie abbandonino già dal primo tentativo non andato a buon fine: tendenzialmente è dal terzo tentativo che si registra la percentuale più alta di abbandoni.
La PMA impatta in maniera significativa sia a livello individuale – soprattutto sulla donna, che deve seguire scrupolosamente le indicazioni del medico – sia a livello della coppia, che può uscire da questo percorso più o meno consolidata.
Lo studio che state conducendo analizza tutti gli step che vengono fatti da una coppia che intraprende il progetto di concepire con PMA e si pone come obiettivo quello di analizzare il rapporto tra la coppia e tutti i soggetti coinvolti, dalla segretaria, che prende il primo appuntamento al ginecologo, al biologo.
Sulla base delle testimonianze raccolte tra il personale delle cliniche, quali sono le principali criticità nel rapporto con i pazienti?
Una delle criticità più rilevanti è sicuramente il reperimento delle informazioni: le coppie hanno la necessità di raccogliere più informazioni possibili, ad esempio inerenti alle linee guida che devono seguire, le conseguenze dei trattamenti e la probabilità di successo degli stessi.
Le informazioni vengono chieste, in particolare, al personale ausiliario, che spesso è interpellato per avere delucidazioni su quanto detto dal medico durante la visita.
Altra fonte di informazione molto importante è lo psicologo, che ha avuto una formazione professionale specifica nell’ambito della fecondazione assistita. Lo psicologo può chiarire le informazioni e, allo stesso tempo, tranquillizzare le coppie, che, magari, vivono nell’ansia perché non hanno compreso appieno quello che è stato detto durante la visita o perché si trovano davanti a complicazioni che non avevano previsto.
Durante il percorso di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) quanto può essere importante un sostegno psicologico professionale per una coppia?
La figura dello psicologo è prevista dalla Legge 40; è molto importante che lo psicologo abbia una formazione specifica e che sia parte integrante del team della fecondazione assistita.
La consulenza di uno psicologo, in questi casi, si muove principalmente su due livelli: prima di tutto quello di umanizzare il processo della PMA, tenendo conto sia dell’aspetto psicologico sia del percorso che ha portato una coppia ha intraprendere il percorso di Procreazione Medicalmente Assistita. L’assistenza dello psicologo è molto preziosa per cementare l’unità e il sostegno reciproco all’interno della coppia e per evitare che degli attriti mettano in pericolo l’equilibrio della stessa durante il percorso della PMA.
La consulenza di uno psicologo, in secondo luogo, è efficace se dovessero insorgere delle criticità. Lo centri pmapsicologo può, ad esempio, aiutare la coppia a considerare realisticamente i problemi non previsti e a prendere delle decisioni, magari difficili, in maniera consapevole.
La presenza dello psicologo è fondamentale, infine, quando si devono comunicare delle notizie negative. E’ importante che la coppia abbia costruito un rapporto di fiducia con lo psicologo durante tutto il processo di fecondazione assistita, in modo da poter contare su un valido aiuto professionale in caso di notizie non buone.
Parallelamente al sostegno di uno psicologo, specializzato in PMA, quanto può incidere la preparazione del personale medico nella gestione del rapporto con il paziente?
La sensibilizzazione alla comunicazione efficace da parte delle figure professionali è sicuramente uno dei capi saldi su cui è necessario lavorare. La sensibilità personale, in molti casi, non è sufficiente per garantire la comunicazione di una notizia, magari negativa, in maniera adeguata. Nei cinque centri, che stanno partecipando alla nostra ricerca, sono emerse due esigenze: quella di avere dei percorsi formativi rivolti al personale della clinica per adottare delle strategie comunicative efficaci e quella di un processo di supervisione, che permette di analizzare i vari casi di successo o insuccesso comunicativo tra la clinica e le coppie.
La preparazione del personale della clinica, dal punto di vista psicologico e comunicativo, è importante nello scenario che si sta configurando, ovvero di una presenza non stabile dello psicologo a tutti gli INCONTRI.
La ricerca che sta conducendo insieme al team di professionisti dell’Università La Sapienza non è ancora conclusa, ma quale consiglio si sentirebbe di dare alle coppie che ha intrapreso un percorso di fecondazione assistita o che hanno intenzione di rivolgersi a un centro per la fertilità?
Dalla mia esperienza ho potuto constatare che molte delle coppie, che si rivolgono ai centri PMA, sono già in possesso di molte informazioni. Spesso però queste informazioni sono state raccolte su internet, su forum e community di utenti che hanno condiviso la loro esperienza e che sovente danno dei consigli anche di carattere medico.
Consiglio alle coppie che hanno intrapreso il percorso della PMA o che hanno intenzione di rivolgersi a una clinica di fidarsi solo delle informazioni reperite presso fonti accreditate.
Per facilitare il reperimento delle informazioni, è importante migliorare la comunicazione tra le cliniche di PMA e i ginecologi di prima consultazione, in modo che sappiano indirizzare le coppie prima ancora che queste si rivolgano a un centro specializzato.
Mi sento, infine, di dare un consiglio a tutte le donne in età fertile: la prevenzione è fondamentale per evitare l’infertilità. Purtroppo in Italia mancano iniziative per promuovere la prevenzione dell’infertilità nella donna, ma con controlli adeguati, fatti nel corso degli anni e non solo quando la donna decide di avere un figlio, si possono prevenire molti problemi, anche gravi.