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La Diagnosi Genetica Preimpianto (DGP) è uno step fondamentale nel percorso di PMA. E’ un insieme di tecniche che permettono di individuare la presenza di anomalie cromosomiche e/o patologie genetiche in embrioni ottenuti con la fecondazione in vitro in fasi molto precoci di sviluppo, prima che vengano trasferiti nell’utero materno (1).

La DGP è uno strumento importante per le coppie a elevato rischio riproduttivo che intraprendono un percorso di fecondazione assistita. Questa procedura, infatti, permette di ridurre il ricorso all’interruzione terapeutica di gravidanza, una scelta che può avere forti ripercussioni sia dal punto di vista psicologico che clinico (1).

L’obiettivo della DGP è identificare l’embrione migliore da trasferire, ed evitare il trasferimento di embrioni che potrebbero essere affetti da malattie gravissime o embrioni che porterebbero a un mancato impianto o a un aborto spontaneo (1).

Un altro vantaggio della DGP è l’aumento del tasso di successo della gravidanza. Infatti, se viene identificato e trasferito un embrione con cromosomi normali il tasso di gravidanza arriva fino al 40%, indipendentemente dall’età della donna (1).

La DGP è indicata in molti casi. Ad esempio, coppie con storia familiare di malattie genetiche, ripetuti transfer negativi o aborti spontanei nel corso dei cicli di PMA. Inoltre, anche nelle donne di età superiore ai 38 anni, dove è maggiore la probabilità di produrre ovociti con alterazioni cromosomiche (1).

Il consulto con il ginecologo e il genetista è essenziale, prima di intraprendere la diagnosi preimpianto. Gli specialisti provvederanno a valutare la storia clinica della coppia, illustrare le procedure, le possibilità e i limiti diagnostici, le percentuali di successo e i rischi correlati (1).

Ne abbiamo parlato con il Prof. Mauro Schimberni, Specialista in Ginecologia ed Ostetricia e Medicina della Riproduzione, fondatore e direttore clinico di BioRoma.

In cosa consiste il test genetico preimpianto?

Il test genetico preimpianto (PGT) è un’analisi che viene effettuata sulle blastocisti (embrione allo stadio di sviluppo di 5-6 giorni) prima di trasferirle in utero. Vengono prelevate 8-10 cellule dal trofectoderma (cellule dello strato esterno della blastocisti), la blastocisti viene congelata mentre le cellule da analizzare vengono inviate al centro di genetica.

Diagnosi preimpianto
Diagnosi preimpianto

 

Le tipologie di esame che possono essere eseguite sono tre: 

PGT-A – Diagnosi preimpianto per le aneuploidie cromosomiche, ovvero alterazioni del numero dei cromosomi, la quale permette di valutare il cariotipo della blastocisti. Viene consigliata alle pazienti con poliabortività, età superiore ai 38 anni e ripetuti fallimenti sine causa.

PGT-SR – Diagnosi preimpianto per le traslocazioni, che consiste nell’analisi delle anomalie nella struttura dei cromosomi. Viene consigliata a pazienti con un cariotipo alterato (traslocazioni e/o inversioni cromosomiche) permette di valutare eventuali sbilanciamenti nella blastocisti.

PGT-M – Diagnosi preimpianto per malattie monogeniche, ossia dovute all’effetto della mutazione di un singolo gene. Viene consigliata a pazienti portatori di alterazioni genetiche dominanti o recessive.

Vantaggi della PGT-A 

PGT-M ed -SR vengono normalmente eseguite in coppie con indicazioni cliniche specifiche (genetiche e cromosomiche); la PGT-A, invece, viene suggerita, anche in assenza di indicazioni cliniche, in pazienti con età > 38 anni, poliabortività e ripetuti fallimenti di Riproduzione Assistita. L’obiettivo è migliorare le percentuali di successo su transfer e ridurre la probabilità di aborto. Nelle donne con età superiore ai 38 anni, infatti, la qualità ovocitaria viene compromessa, in percentuale sempre crescente, per errori meiotici commessi durante la maturazione. Questo porta ad avere un numero di blastocisti che possono essere esteticamente di buona qualità, ma avere anomalie cromosomiche che ne impediscono l’impianto o ne causano un’abortività precoce.

Il trasferimento di una blastocisti con corredo cromosomico euploide (normale) ha possibilità maggiori di impiantarsi in utero. Questa tecnica permette quindi a pazienti che ottengono un numero anche elevato di blastocisti di poter sapere subito se queste hanno potenziale di impianto oppure se è necessario riprogrammare un ciclo per reclutare un nuovo gruppo di follicoli e provare a cambiare il risultato finale.

La diagnosi preimpianto è rischiosa per l’embrione?

Attualmente le tecnologie a disposizione e le crescenti competenze degli embriologi hanno reso la biopsia un processo sicuro, per la blastocisti e per la futura mamma. Le elevate percentuali di gravidanza evolutiva (normale proseguimento della gravidanza che avviene nel 65-70%) confermano chiaramente l’assenza di danno sull’embrione che altrimenti non sarebbe in grado di impiantarsi. Nello 0,2% dei casi si può non avere una diagnosi se il DNA prelevato dalla blastocisti non si amplifica correttamente nel laboratorio di genetica per bassa qualità.

Dopo quanto tempo si ha una risposta? Ed è attendibile al 100%?

La risposta arriva in media dopo 10-15 giorni dalla biopsia, il referto viene discusso con i pazienti e, se possibile, programmato subito il transfer.

La biopsia allo stadio di blastocisti consente di prelevare 8-10 cellule (invece di 1-2 cellule che si prelevavano nell’embrione di 3 giornata) e questo permette di avere una diagnosi molto attendibile. La tecnica NGS (next generation sequencing) consente di visualizzare la presenza di mosaici (embrione che presenta sia cellule euploidi che aneuploidi) e il loro eventuale trasferimento viene discusso con la coppia. L’errore di diagnosi è stato stimato essere inferiore all’1%.

 

Prof. Mauro Schimberni

Specialista in Ginecologia ed Ostetricia – Medicina della Riproduzione.

 

 

Fonti:

  1. Osservatorio Malattie Rare. Diagnosi preimpianto e malattie rare: 10 cose da sapere. https://www.osservatoriomalattierare.it/news/attualita/14226-diagnosi-preimpianto-e-malattie-rare-10-cose-da-sapere