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Endometriosi e gravidanza: un binomio che sembra impossibile. Cos’è l’endometriosi? Quali sono i sintomi e quali le terapie? Chi soffre di questa patologia può realizzare il sogno di diventare mamma?

Ne abbiamo parlato con la Dr.ssa Sara Scandroglio, specialista in ginecologia e ostetricia.

Cos’è l’endometriosi

L’endometriosi viene definita come la presenza di tessuto simil-endometriale funzionale (epitelio, ghiandole e stroma) al di fuori della cavità uterina. Le cellule che compongono i focolai endometriosici, infatti, sono estremamente simili a quelle che compongono l’endometrio (la mucosa che riveste la superficie interna dell’utero) dal punto di vista strutturale e funzionale: il tessuto endometriosico si trova perciò in sede “ectopica” (dove normalmente non dovrebbe essere), ma risponde agli stimoli ormonali ciclici femminili esattamente come farebbe l’endometrio. Lo stimolo ormonale di natura estrogenica stimola la proliferazione delle cellule endometriosiche e, conseguentemente, determina la sintomatologia clinica [1].

La causa dell’endometriosi

Sebbene la causa dell’endometriosi non sia a tutt’oggi chiaramente definita, sono state sviluppate diverse ipotesi: secondo alcuni autori, le cellule endometriali sfaldate durante la mestruazione arriverebbero in cavità peritoneale attraverso le tube di Falloppio, mediante un processo definito “mestruazione retrograda”, e si impianterebbero; altre teorie ipotizzano che le cellule endometriosiche derivino da cellule staminali dislocate in sede ectopica durante il processo di organogenesi in fase embrionale, le quali rimarrebbero quiescenti durante la fase pre-puberale e si riattiverebbero durante la fase fertile della vita, in seguito agli stimoli ormonali [2].

A prescindere dalla modalità con la quale le cellule endometriosiche arrivano e si impianto in cavità pelvica, queste ultime in condizioni fisiologiche dovrebbero venire attaccate ed eliminate dal sistema immunitario (linfociti T, cellule Natural Killer e macrofagi) della paziente: nelle pazienti affette da endometriosi è stato osservato in numerosi studi che questo “controllo immunitario” a livello peritoneale appare limitato, per cui le cellule endometriosiche “evadono la sorveglianza” da parte del sistema immunitario e si impiantano e proliferano in cavità pelvica [3]. Appare chiaro perciò che la genesi della patologia sia riconducibile a diversi aspetti, non mutuamente esclusivi, di natura genetica, epigenetica ed immunologica.

Le caratteristiche della patologia

L’endometriosi si caratterizza come una patologia dell’età riproduttiva. Secondo le ultime linee guida dell’European Society of Human Reproduction and Embryology, la patologia colpisce circa una donna su dieci, ed è associata all’infertilità in circa il 50% dei casi [4]. Le sedi dove si sviluppano più frequente le lesioni endometriosiche sono: le ovaie, il peritoneo che riveste la cavità pelvica, il cavo di Douglas ed il setto-retto-vaginale ed i legamenti dell’utero. In una percentuale minore di casi viene interessato l’intestino e/o l’apparato urinario (soprattutto vescica ed ureteri. In casi estremamente rari la patologia può interessare sedi molto lontane dalla cavità pelvica, quali gli organi toracici o l’encefalo.

I sintomi

La sintomatologia è riconducibile principalmente al dolore pelvico acuto (usualmente in concomitanza della fase mestruale) e cronico, dispareunia (dolore durante i rapporti), sterilità/infertilità, sanguinamenti intermestruali. A questi si possono aggiungere alcuni sintomi specifici, quali dolore alla defecazione e sanguinamento rettale (in caso di interessamento intestinale) o ematuria (in caso di interessamento uretero-vescicale). Chiaramente la sintomatologia può presentare notevoli ripercussioni invalidanti sulla vita della paziente: basti solo pensare all’impatto che il dolore pelvico cronico può avere sul lavoro della donna o, parimenti, la presenza di dispareunia e l’infertilità sul rapporto di coppia [5]. Per questo motivo è assolutamente fondamentale avere un approccio multidisciplinare alla paziente, con professionisti di diverse discipline, possibilmente in centri di riferimento per il management della patologia [6].

La classificazione

Usualmente l’endometriosi viene classificata in 4 stadi secondo il “revised American Fertility Society score”, a seconda della gravità della patologia [7]. È importantissimo sottolineare, però, che non sempre lo stadio di malattia è correlato alla gravità della sintomatologia: anche pazienti al I-II stadio possono presentare elevati livelli di dolore pelvico o essere infertili. Dal punto di vista prettamente clinico, si distinguono tre tipi principali di lesioni endometriosiche: lesioni peritoneali superficiali, endometriomi (cisti endometriosiche) ovarici ed endometriosi profonda infiltrante (“Deep Infiltrating Endometriosis”). Quest’ultimo tipo è quello più difficile da trattare dal punto vista chirurgico e farmacologico, e che può comportare esiti invalidanti [8].

La diagnosi

Il sospetto diagnostico per endometriosi viene posto innanzitutto sulla base di un’accurata raccolta della storia clinica della paziente e della visita ginecologica (o rettale, in caso di paziente virgo), a cui segue usualmente il supporto ecografico, utile nella diagnosi di endometriomi e di focolai di endometriosi profonda infiltranti [9]; in casi selezionati si potranno utilizzare anche altre metodiche, quali la Risonanza Magnetica Nucleare o la cistoscopia per escludere la presenza di cistite interstiziale, che spesso si associa ad endometriosi. Sebbene ci sia anche la possibilità di utilizzare marcatori sierologici come il CA-125, le ultime linee guida dell’European Society of Human Reproduction and Embryology raccomandano di escluderli data la loro bassissima sensibilità e specificità (non è raro infatti avere valori di CA-125 nel range di normalità anche in caso di diagnosi accertata!) [4]. Una volta posto il sospetto diagnostico, il “gold standard” per la diagnosi è rappresentato dalla laparoscopia, cui deve seguire necessariamente conferma istologica dei campioni prelevati dai focolai visualizzati.

La terapia medica

La terapia medica si avvale dell’utilizzo di diversi preparati ad azione ormonale [10], quali i progestinici o gli estroprogestinici in regime continuativo (senza interruzione, al fine di evitare il sanguinamento pseudo-mestruale), somministrabili per via orale, vaginale, intrauterina (intrauterine device – IUD, cosiddetta “spirale”), transdermica o ancora mediante impianti sottocutanei. Qualora queste terapie dovessero risultare non sufficienti, c’è la possibilità di prescrivere gli analoghi del Gonadotropin-releasing hormone (GnRH), da riservare esclusivamente per brevi periodi di tempo (massimo 6 mesi), possibilmente con l’utilizzo contemporaneo di un estroprogestinico (cosiddetta “add-back therapy”) ed escludendo le pazienti adolescenti, considerando i deleteri effetti di questo farmaco sulla massa ossea.

La terapia chirurgica

La terapia chirurgia attualmente è principalmente laparoscopica [11], per il ridotto rischio di emorragia nel corso dell’intervento, la minore incidenza di aderenze post-operatorie, la riduzione della degenza e della convalescenza, il minimo danno estetico. Una delle nuove prospettive della chirurgia mini-invasiva è rappresentata altresì dalla chirurgia robotica. Qualunque sia la tecnica chirurgica utilizzata, è fondamentale l’eradicazione di tutto il tessuto patologico, l’elettrocoagulazione dei focolai peritoneali, e, per quanto possibile, il ripristino della normale anatomia e la preservazione del parenchima ovarico indenne. In ogni caso, chirurgia per endometriosi dovrebbe essere riservata a centri di riferimento [6], specialmente nel caso di endometriosi profonda infiltrante.

Il percorso di Procreazione Medicalmente Assistita

L’endometriosi nei suoi diversi stadi può comportare infertilità e in questo caso risulta fondamentale il ricorso precoce da parte della coppia a tecniche di Procreazione Medicalmente assistita. Il medico specialista ha il compito di informare la coppia e di avviarla ad un percorso specialistico volto all’ottenimento della gravidanza.

Secondo le ultime linee guida ESHRE solo in caso di coppia giovane con endometriosi stadio primo è possibile proporre un percorso di I livello con 3 cicli di inseminazione intrauterina, in tutti gli altri stadi di malattia, tenendo conto sia della componente infiammatoria della patologia che della riduzione della riserva ovarica che della distorsione della anatomia pelvica è indicato un percorso di IVF di II livello (FIVET o ICSI).

Ottenere la gravidanza risulta dunque possibile e la gravidanza stessa, con l’allattamento successivo potranno costituire fattori protettivi per tutto il periodo dalla sintomatologia dolorosa e dal peggioramento del quadro endometriosico.

Dr.ssa Sara Scandroglio, Specialista in Ginecologia e Ostetricia

 

Riferimenti bibliografici:

  1. Zondervan KT, Becker CM, Missmer SA. N Engl J Med. 2020;382(13):1244-1256.
  2. Laganà AS, Vitale SG, Salmeri FM, Triolo O, Ban Frangež H, Vrtačnik-Bokal E, Stojanovska L, Apostolopoulos V, Granese R, Sofo V. Unus pro omnibus, omnes pro uno: A novel, evidence-based, unifying theory for the pathogenesis of endometriosis. Med Hypotheses. 2017;103:10-20.
  3. Laganà AS, Garzon S, Götte M, Viganò P, Franchi M, Ghezzi F, Martin DC. The Pathogenesis of Endometriosis: Molecular and Cell Biology Insights. Int J Mol Sci. 2019;20(22):5615.
  4. Dunselman GA, Vermeulen N, Becker C, Calhaz-Jorge C, D’Hooghe T, De Bie B, Heikinheimo O, Horne AW, Kiesel L, Nap A, Prentice A, Saridogan E, Soriano D, Nelen W; European Society of Human Reproduction and Embryology. ESHRE guideline: management of women with endometriosis. Hum Reprod. 2014;29(3):400-12.
  5. Vitale SG, La Rosa VL, Rapisarda AMC, Laganà AS. Impact of endometriosis on quality of life and psychological well-being. J Psychosom Obstet Gynaecol. 2017;38(4):317-319.
  6. Laganà AS, La Rosa VL. Multidisciplinary management of endometriosis: current strategies and future challenges. Minerva Med. 2020;111(1):18-20.
  7. Johnson NP, Hummelshoj L, Adamson GD, Keckstein J, Taylor HS, Abrao MS, Bush D, Kiesel L, Tamimi R, Sharpe-Timms KL, Rombauts L, Giudice LC; World Endometriosis Society Sao Paulo Consortium. World Endometriosis Society consensus on the classification of endometriosis. Hum Reprod. 2017;32(2):315-324.
  8. Raffaelli R, Garzon S, Baggio S, Genna M, Pomini P, Laganà AS, Ghezzi F, Franchi M. Mesenteric vascular and nerve sparing surgery in laparoscopic segmental intestinal resection for deep infiltrating endometriosis. Eur J Obstet Gynecol Reprod Biol. 2018;231:214-219.
  9. Noventa M, Scioscia M, Schincariol M, et al. Imaging Modalities for Diagnosis of Deep Pelvic Endometriosis: Comparison between Trans-Vaginal Sonography, Rectal Endoscopy Sonography and Magnetic Resonance Imaging. A Head-to-Head Meta-Analysis. Diagnostics (Basel). 2019;9(4):225.
  10. Vercellini P, Viganò P, Somigliana E, Fedele L. Endometriosis: pathogenesis and treatment. Nat Rev Endocrinol. 2014;10(5):261-75.
  11. Laganà AS, Vitale SG, Trovato MA, Palmara VI, Rapisarda AM, Granese R, Sturlese E, De Dominici R, Alecci S, Padula F, Chiofalo B, Grasso R, Cignini P, D’Amico P, Triolo O. Full-Thickness Excision versus Shaving by Laparoscopy for Intestinal Deep Infiltrating Endometriosis: Rationale and Potential Treatment Options. Biomed Res Int. 2016;2016:3617179.

 

Per la preservazione della fertilità, la crioconservazione degli ovociti e il social freezing sono tecniche ormai consolidate nella medicina della riproduzione. Fino a che punto possono aiutare una donna e una coppia a capire qual è il momento giusto per concepire un figlio? In cosa consistono queste tecniche? Qual è il ruolo del ginecologo?

Abbiamo approfondito l’argomento con la Dr.ssa Sara Scandroglio, specialista in Ginecologia e Ostetricia.

Preservare la fertilità

Nella società attuale il desiderio di gravidanza emerge sempre più tardivamente ed in particolare nel nostro paese l’età media al parto del primo figlio è sempre più avanzata.

Il desiderio di completare la famiglia con l’arrivo di uno o più bambini, ci dicono sociologi e psicologi, è chiaramente parte della natura umana ed in particolare spiccato desiderio della maggior parte delle donne. Tenendo però conto di come sia cambiata la società e di come si sia evoluta in senso pienamente positivo la figura della donna, sempre più capace di emergere nel lavoro, di sviluppare una brillante carriera, di occupare posizioni in passato prevalentemente occupate dall’uomo, si comprende come il desiderio di maternità si sia dovuto confrontare con le difficoltà organizzative di una donna che dedica anni della sua vita allo studio, a cercare un impiego, a dimostrare le sue capacità ed evolvere in senso professionale.

Ciò ha portato a procrastinare sempre più in là con gli anni la ricerca del primo figlio, che si è spostata dai 25-30 anni fino ai 40 anni.

Quando concepire un figlio?

D’altra parte, sempre più complesse sono le dinamiche di coppia e l’età media in cui si giunge ad una relazione stabile di matrimonio o convivenza che poi sfocia nel desiderio di avere un bimbo è altresì più avanzata.

Da ultimo, non dobbiamo dimenticare che concepire un bimbo in una realtà in cui entrambi i genitori hanno un impiego lavorativo comporta una necessità di supporto logistico per l’accudimento del bambino stesso; non tutte le coppie hanno la possibilità di poter contare sul prezioso aiuto dei nonni ed asili nido e baby sitter comportano un impegno economico non indifferente per il bilancio familiare.

Nel complesso potremmo ampliare la discussione su ciascuno dei temi sopraccitati ma risulta comunque chiaro che l’età media in cui inizia la ricerca di una gravidanza risulta oggi significativamente più alta che in passato e le cause sono molte.

Il punto di vista biologico

Tuttavia, dal punto di vista puramente biologico, l’età anagrafica e l’età ovarica sono rimaste quelle di un tempo e se oggi molto più che in passato una donna di 40 anni si trova nel fiore dei suoi anni, nel corso della sua carriera lavorativa, nel pieno delle sue forze fisiche e mentali, più consapevole dei suoi desideri tra cui quello di maternità, d’altra parte dobbiamo ricordare che la fertilità declina in modo esponenziale già dai 35 anni e in modo molto molto marcato dopo i 40 anni. A 43 anni la probabilità di concepimento si assesta non oltre il 3-5% e il tasso di aborti spontanei, la contropartita dell’invecchiamento ovocitario, intorno al 70%.

Neppure il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita può ovviare al declino della fertilità correlato con la riduzione della riserva ovarica per l’invecchiamento in quanto anche le procedure di fecondazione in vitro necessitano di una risposta multifollicolare alla stimolazione ovarica che viene meno con il passare del tempo. Per le pazienti over 40, in particolare over 43, la procreazione assistita non è in grado di garantire un tasso di gravidanza significativamente superiore a quanto avviene spontaneamente e sopra menzionato.

Il social freezing

Ed è così che negli Stati Uniti dove la situazione socio-economico-culturale descritta per il nostro paese risulta ancora più accentuata, è nata l’idea del social freezing ovvero di procedere preventivamente alla crioconservazione di un certo numero di propri ovociti, da utilizzare poi quando, finiti gli studi, raggiunti gli obiettivi di carriera fosse venuto il tempo “giusto” per la gravidanza.

Ciò apre una moltitudine di scenari e pone una serie di interrogativi.

La tecnica di congelamento degli ovociti

Innanzitutto la tecnica: per poter congelare ovociti è necessario che la donna si sottoponga ad una stimolazione ovarica farmacologica in modo da produrre un certo numero, quanto più elevato possibile, di follicoli da sottoporre ad aspirazione ecoguidata (pick up) da cui recuperare gli ovociti che verranno poi crioconservati mediante vitrificazione. Il procedimento risulta di un certo impegno sia dal punto di vista fisico che psicologico, applicato in età di piena fertilità (25-30 anni) potrebbe con minimi rischi permettere di bancare dai 20 ai 30 ovociti che costituirebbero una ottima scorta da usare poi mediante FIVET/ICSI (fertilizzazione in vitro) al momento della ricerca della gravidanza.

Teniamo anche conto del fatto che la cellula uovo in passato crioconservata con modalità di congelamento lento sopravviveva male al successivo scongelamento. In tempi più recenti con l’introduzione routinaria della vitrificazione la sopravvivenza ovocitaria allo scongelamento è aumentata notevolmente ma varia dal 30 al 90% in relazione ad una serie di fattori. Ciò significa che congelare oggi 10 ovociti può voler dire averne poi da 3 a 9 da poter realmente utilizzare al momento in cui si desideri intraprendere la ricerca della gravidanza.

Social freezing per tutte le donne?

In secondo luogo ci domandiamo se sia giusto proporre questa tecnica a tutte le giovani donne, facendo così passare in secondo piano la modalità naturale di concepimento spontaneo, l’età di maggiore fertilità e l’età della maternità biologica, rendendo socialmente accettabile che la donna debba dedicarsi necessariamente prima alla carriera e poi alla maternità ed infine trasmettendo il messaggio che un figlio si può fare quando si vuole, un po’ come avviene quando la donna in età avanzata decide di sottoporsi ad una tecnica di fecondazione eterologa come l’ovodonazione. Certamente l’utilizzo di ovociti “giovani”, siano essi propri o donati aumenta le chance di gravidanza di una donna over 40 ma ricordiamo che il tasso di successo della fecondazione in vitro varia dal 30-35% ad un massimo del 40% per embriotransfer con un tasso di bimbi in braccio tra il 20-22% delle fecondazioni omologhe ed il 30-35% delle eterologhe.

Tolti questi limiti, tenendo conto dell’evoluzione della nostra società, dovremmo anche considerare i risvolti nettamente positivi di una politica di programmazione familiare di tipo misto, laico, lungimirante in cui l’egg freezing costituisca una opportunità, una libera scelta, da proporre accanto ad un accurato counselling sulla fertilità e sulla maternità consapevole.

Una opportunità insomma che forse in futuro dovrebbe essere offerta a tutte le donne: ciascuna poi sarà in grado di effettuare una libera scelta sulla possibilità di crioconservare i propri ovociti da utilizzare in un futuro se si rendessero necessari.

La pianificazione responsabile della gravidanza

Esistono in particolare alcune categorie di donne per le quali il passare del tempo costituisce un rischio molto importante per la possibilità di avere un bimbo, pensiamo ad esempio alle pazienti con endometriosi, con storia familiare di menopausa precoce, con mutazione BRCA che le predispone al cancro ovarico e mammario. Per queste donne il pool di ovociti crioconservati in giovane età potrebbe costituire l’unica successiva chance di dare alla luce un bimbo.

Ovviamente le difficoltà di sviluppare un progetto di egg freezing così ambizioso nel nostro paese stanno anche nelle ridotte risorse economiche del nostro sistema sanitario, che ha evidenziato proprio in tempi attualissimi, nel corso della pandemia da COVID 19, i suoi limiti legati ad una politica di tagli alla sanità degli ultimi decenni ma anche la capacità fondata sul lavoro, sulla intelligenza, sulla scienza e sulla ragione di aggiustare il tiro e di sviluppare interi reparti a disposizione delle necessità contingenti. Mai come ora, in un presente reso incerto dal SARS-Cov2, viene da pensare al futuro e a come poter pianificare una gravidanza responsabilmente, anche con l’aiuto della medicina della riproduzione.

Il ruolo chiave del ginecologo

In conclusione non essendo al momento disponibile una proposta di egg freezing a tutta la popolazione, la figura del ginecologo resta estremamente importante nell’informare le giovani donne sulla loro fertilità, sulle problematiche che potrebbero presentarsi, favorire una maternità consapevole in età più giovane ed eventualmente indirizzare a centri di procreazione assistita pazienti eligibili a crioconservazione ovocitaria volontaria o per patologie minori, fermo restando che la crioconservazione rimane la tecnica di scelta praticata e offerta ad oggi in modo sistematico alle pazienti oncologiche in età riproduttiva e grazie alla quale, una volta guarite, potranno tentare di concepire un figlio.

Dr.ssa Sara Scandroglio, specialista in Ginecologia e Ostetricia

 

Bibiliografia:
  1. Assessing the quality of decision-making for planned oocyte cryopreservation J Assist Reprod genet. 2021 Feb 11.
  2. Social egg freezing and donation: waste not, want not. J Med Ethics. 2021 Jan 5.
  3. Freezing fertility: oocyte cryopreservation and the gender politics of aging. New York University Press. 2020 dec.
  4. Upholding success: Asian Americans, Egg freezing, and the fertility paradox. Med Anthropol. 2021 Jan.