Tag: fecondazione assistita

Il fallimento della PMA può innescare reazioni molto diverse, sia nella coppia sia nei componenti della stessa. Quali sono le più comuni e quali sono i consigli dello psicologo per superare la situazione, singolarmente e insieme?

Ce ne parla la Dottoressa Elena Bagalà, psicologa psicoterapeuta.

Il vuoto da superare

Il vuoto che si genera dall’impossibilità di donare la vita è una ferita che colpisce prima l’individuo e poi la coppia. È un lutto difficile da elaborare, in quanto viene vissuto come una mancata proiezione di sé nel futuro.

È un dolore forte e profondo, difficile da gestire, in quanto il fallimento del trattamento conduce ad una rivisitazione dell’immagine di sé come genitori e del bambino idealizzato. La coppia accusa fortemente il colpo: calano i livelli di speranza, ci si chiude rispetto alla relazione e agli affetti; l’entusiasmo cede il posto alla passività e all’insicurezza, calano così i livelli d’autostima.

Il supporto dello psicologo

Confrontarsi con il fallimento successivo al tentativo della Fivet, è per molte coppie fonte di sofferenza, angoscia e sconforto, a maggior ragione se questo è l’ennesimo da dover affrontare.

Un passo importante da effettuare davanti un esito negativo, è richiedere una consulenza psicologica. La coppia, durante il percorso di PMA, attraversa alcune fasi fondamentali. Per questo motivo la consulenza psicologica pone l’attenzione alla tutela dell’assetto psicologico già prima dell’inizio del trattamento. Come? Sostenendo e supportando tutti i risvolti emotivi e relazionali paralleli alle tecniche mediche della fecondazione assistita. In questo modo, la coppia sarà tutelata sin da subito, a far fronte alle legittime emozioni negative, conseguenti sia alla diagnosi d’infertilità e sia all’eventualità di un fallimento del trattamento.

Dunque, aiutare la coppia ad accettare la diagnosi, sostenerla nel percorso, ma soprattutto, accompagnarla nell’elaborazione del lutto in caso di insuccesso, è ciò che avviene durante la consulenza con le coppie. Viene spontaneo, dunque, chiedersi cosa sia necessario ed importante fare per cercare di far fronte ad una situazione del genere.

È importante condividere il dolore

Condividere il dolore è fondamentale. La verbalizzazione delle proprie emozioni è molto importante, sia attraverso il confronto con lo psicologo in sedute individuali o di coppia, sia all’interno di sedute di gruppi d’incontro. Questi incontri sono mirati alla partecipazione di coppie che vivono la stessa condizione. Ascoltare le esperienze altrui, condividere pensieri e sentimenti, prendersi cura dei loro vissuti, permette innanzitutto di sentirsi capiti ed accettati. Inoltre, con il confronto altrui ci si accorge che anche altre persone hanno dolori simili.

Nel condurre il gruppo d’incontro, il ruolo dello psicologo è quello di favorire l’interazione tra i partecipanti, al fine di facilitare un vissuto di universalità delle varie esperienze, rispettandone contemporaneamente, le loro unicità. La verbalizzazione delle proprie emozioni facilita una comunicazione empatica tra chi sta vivendo un’esperienza di fallimento.

L’importanza dell’approccio multidisciplinare

Inoltre, è importante per la coppia valutare insieme all’équipe del centro, gli aspetti che hanno potuto incidere sul fallimento; questo confronto è produttivo, in quanto permette di comprendere quali siano le indicazioni possibili su cui lavorare e migliorare così le probabilità di successo. La presenza dell’équipe multidisciplinare, in un momento così delicato e triste, rassicura lo stato d’animo dei pazienti ed aumenta in questo modo i livelli di benessere psicofisico grazie all’ascolto attivo e alla comunicazione empatica dell’équipe.

 

Mancata gravidanza prima e fecondazione assistita poi, possono mettere a dura prova l’equilibrio psicologico della coppia

Desiderare tanto un figlio e non riuscire a dare avvio a una gravidanza può trasformarsi in disagio psicologico sia per la donna sia, in generale, per la coppia. Inoltre, la probabilità di doversi confrontare con le difficoltà di concepimento aumenta se la decisione di fare un figlio viene spostata in là nel tempo. Questo accade sempre più spesso nelle giovani coppie, per dare spazio a lavoro, sicurezza economica eccetera. Insomma, c’è il rischio di ritrovarsi ad aver rinviato per troppo tempo un appuntamento così importante della vita.

E, si sa, la biologia non aiuta. Intorno ai 40 anni, dopo uno, se non due anni di tentativi di fecondazione naturale, occorre valutare se ci siano le condizioni per intraprendere un percorso di fecondazione assistita.

Un supporto prezioso

Serve aiuto, per gestire le emozioni associate alla fecondazione assistita. Sono tante, sono forti, sono sia personali che “di coppia”. Anzitutto, gli aspetti psicologici conseguenti a una mancata gravidanza nonostante mesi di tentativo condizioneranno inevitabilmente la scelta della fecondazione assistita. Si parte già con un bagaglio di emozioni negative, come senso di svuotamento, fallimento, bassa autostima e identità in bilico.

Prima che si arrivi a un crollo emotivo è preferibile rivolgersi a uno psicologo o a un counselor. I centri di PMA solitamente offrono questo servizio, per accompagnare la coppia nel delicato percorso da uno stato d’infertilità e di vita senza figli a una fecondazione assistita che si auspica porti alla gravidanza e poi alla maternità.

Il supporto psicologico servirà, inoltre, ad affrontare e chiarire alcuni aspetti particolarmente delicati associati alla fecondazione assistita:

  • paura di un aborto;
  • timore di concepire un figlio “difettoso”;
  • ambiguità nella procreazione in laboratorio;
  • senso di isolamento rispetto ad altre coppie: non si fa parte né del mondo delle coppie infertili né di quelle che si riproducono naturalmente.

Forse un giorno non molto lontano un capello ci dirà se siamo fertili. Questo è ciò che emerge da una ricerca presentata al recente congresso dalla ESHRE, la Società europea di riproduzione umana ed embriologia. La ricerca sembra correlare i livelli di ormone antimulleriano presenti nel capello con quelli nei campioni di sangue.

L’ormone antimulleriano (AMH)

L’ormone antimulleriano (AMH) è un indicatore chiave per valutare come le donne possono rispondere ai trattamenti per la fertilità. La misurazione di questo ormone è diventato un marker importante nella medicina della riproduzione. Infatti, consente di stimare se la risposta della paziente alla stimolazione ormonale sarà normale, scarsa (pochi ovociti) o abbondante (a rischio di sindrome da iperstimolazione).

Come si misura l’AMH

L’ormone antimullerriano attualmente si misura attraverso un prelievo di sangue. I risultati, perciò, sono riferibili al momento in cui viene effettuato l’esame. L’analisi del capello effettuata nello studio presentato al congresso annuale dell’ERSHE, invece, risulta essere meno invasiva e in grado di rappresentare i livelli dell’ormone in modo “più appropriato”, come sostiene il Dottor Sarthak Sawarkar che ha presentato lo studio. Infatti, gli ormoni accumulati nei capelli sono rintracciabili per molte settimane, mentre i livelli di ormoni nel sangue possono cambiare nel corso di alcune ore. Un altro vantaggio del test sul capello è la minore invasività rispetto al prelievo di sangue.

Lo studio presentato all’ESHRE

Lo studio, che è tuttora in corso, al momento include i risultati di 152 pazienti. I capelli e il sangue di queste donne sono stati regolarmente raccolti durante le visite mediche. Contemporaneamente, alle pazienti sono stati contati – attraverso una tecnica a ultrasuoni, i follicoli in via di sviluppo, come ulteriore misura della riserva ovarica.

I ricercatori hanno rilevato livelli di AMH “biologicamente rilevanti” nei campioni di capello, con valori in diminuzione all’aumentare dell’età delle pazienti. “I capelli” – spiegano i ricercatori – “possono accumulare biomarcatori per settimane. Il sangue, invece, è una matrice acuta che rappresenta livelli ormonali momentanei. Mentre i livelli ormonali possono variare rapidamente nel sangue, in risposta a stimoli, quelli presenti nei capelli sono il risultato di accumuli nel corso di settimane. Una misurazione che utilizzi un campione di capelli può rappresentare meglio il livello ormonale medio”.

 

Fonte: ESHRE – European Society of Human Reproduction and Embriology

Da un nuovo studio emerge che gli ovociti scelgono gli spermatozoi da cui farsi fecondare. Questo dato potrebbe rivelarsi utile in medicina della riproduzione, per individuare le cause d’infertilità finora non spiegate in alcune coppie.

La selezione del partner è alla base del meccanismo di riproduzione degli animali. Lo scopo è assicurare alla prole il più grande vantaggio genetico possibile. Anche gli esseri umani investono tempo ed energie alla ricerca del partner con cui condividere la propria vita e avere figli. I requisiti per la scelta del compagno “giusto” possono essere molto diversi e anche il valore che attribuiamo loro.

Sembra, però, che ci sia una selezione ancora più accurata, che sfugge a ogni strategia di corteggiamento.

Lo studio

Da un nuovo studio pubblicato su “Proceedings of the Royal Society B” emerge che gli ovociti umani selezionano attentamente, mediante segnali chimici, gli spermatozoi da cui lasciarsi fecondare.

I gameti si riconoscono reciprocamente come i più idonei alla fecondazione, grazie a una sorta di attrazione chimica. Gli ovociti, quindi, attirano solamente alcuni spermatozoi e non altri, e non necessariamente quelli del proprio partner.

I ricercatori hanno analizzato il liquido follicolare che circonda gli ovociti durante la fase di maturazione. Questo liquido contiene sostanze chimiche dette chemioattrattori, che hanno la funzione di attirare gli spermatozoi presenti nelle vicinanze. L’obiettivo dello studio era capire se gli ovociti si servissero di queste sostanze per scegliere lo spermatozoo da attrarre, favorendo un determinato sperma rispetto ad altri.

I risultati

La selezione, come emerge dai dati, sembra essere molto specifica. “Il liquido follicolare di una donna era più abile nell’attrarre lo sperma di un certo uomo, mentre il liquido follicolare di un’altra donna lo sperma di un altro uomo”, ha spiegato John Fitzpatrick, professore dell’Università di Stoccolma e coautore dello studio. “Ciò dimostra che negli esseri umani le interazioni tra ovociti e spermatozoi dipendono dall’identità specifica delle donne e degli uomini coinvolti”. Inoltre, dalla sperimentazione è emerso che non sempre gli ovociti di una donna attraggono gli spermatozoi del suo partner più di quelli di altri uomini.

“L’idea che gli ovuli scelgano gli spermatozoi è davvero nuova nella scienza della fertilità umana”, ha commentato Daniel Brison, direttore scientifico del Dipartimento di medicina della riproduzione del Saint Marys’ Hospital di Manchester e autore principale dello studio. “La ricerca sul modo in cui ovuli e spermatozoi interagiscono potrà far avanzare ulteriormente i trattamenti per la fecondazione assistita e potrebbe permettere d’individuare le cause d’infertilità finora non spiegate in alcune coppie”.

Fonti:

Fitzpatrick John L. et al., 2020. Chemical signals from eggs facilitate cryptic female choice in humans, Proc. R. Soc. B., 287:202008505. Disponibile al link: https://doi.org/10.1098/rspb.2020.0805

Le Scienze

La Repubblica

Quale è stato l’impatto della COVID-19 sui servizi di PMA in Europa durante la pandemia? Quale l’impatto sulle coppie che hanno dovuto interrompere i trattamenti di PMA? I membri del The ESHRE COVID-19 Working Group hanno condotto una survey in 41 Paesi europei e hanno pubblicato i risultati su Human Reproduction Open.

Lo scenario in Europa

La pandemia legata alla malattia COVID-19 ha avuto un forte impatto sulle coppie con difficoltà di concepimento. Le cliniche della fertilità hanno sospeso i servizi di PMA, volontariamente o su indicazione delle Autorità Sanitarie nazionali, in media per 7 settimane.

Con la dichiarazione dello stato di pandemia, le Autorità locali hanno sospeso tutti i servizi sanitari non urgenti. Questo al fine di preservare le risorse da dedicare all’ stato di emergenza e per favorire il distanziamento sociale. Le società scientifiche hanno rilasciato raccomandazioni e posizioni su come procedere: ad esempio, la ESHRE (European Society of Human Reproduction and Embriology) a livello europeo e la SIRU (Società Italiana della Riproduzione Umana) in Italia.

La survey

Nel corso del congresso ESHRE tenutosi ad aprile – il convegno più importante a livello Europeo nell’ambito della riproduzione umana – i membri nell’ESHRE Committee of National Representatives hanno ricevuto un questionario. Il questionario chiedeva loro di indicare lo stato dei trattamenti di fecondazione assistita nel loro Paese di provenienza. Gli intervistati hanno dovuto precisare quali trattamenti di PMA sono stati interrotti, quali proseguiti e, in quest’ultimo caso, quali misure restrittive sono state adottate per contenere la pandemia.

Una volta raccolti, i ricercatori hanno incrociato i dati con quelli sulla COVID-19 resi noti dall’ECDC, European Centre for Disease Control. I dati dell’ECDC erano quelli sul numero di casi per Paese europeo.

I risultati principali

Nonostante le numerose differenze nei sistemi sanitari dei vari Paesi – si pensi a quello italiano – i ricercatori sono giunti ad alcune conclusioni. I dati mostrano che i vari Paesi hanno deciso di interrompere e riprendere i servizi di PMA in fasi molto diverse della pandemia. Analogamente, la sospensione ha avuto durata anche molto diversa. In genere, i trattamenti di preservazione della fertilità sono perlopiù rimasti attivi durante tutta la pandemia.

L’Italia è stata la prima a sospendere i servizi di procreazione assistita, il 1° marzo, altre nove Paesi l’hanno fatto nei 15 giorni successivi, seguendo le raccomandazioni dei vari Governi nazionali. Il 1° aprile tutti e 41 i Paesi rappresentati nella survey avevano interrotto, parzialmente o totalmente, i servizi di PMA. In alcuni Paesi, come ad esempio Svezia e Norvegia, l’impatto della pandemia è stato ridotto; di conseguenza, anche le attività di PMA sono state solo minimamente ridotte.

Repubblica Ceca, Danimarca, Germania, Lussemburgo e Norvegia sono stati i primi Paesi a riaprire i centri di fecondazione assistita, nella settimana dell 20 aprile. Gli altri hanno atteso il mese di maggio.

Le conclusioni

Nonostante le numerose semplificazioni che si sono rese necessarie nell’interpretazione dei dati, i risultati hanno portato i ricercatori ad alcune conclusioni.

La più significativa è che la sospensione delle attività di PMA ha avuto durata relativamente breve in tutti i Paesi, circa 7 settimane. Inoltre, sembra che la ripresa sia stata tempestiva, ai primi cenni di declino della curva dei nuovi casi di COVID-19. Questo può anche essere legato al fatto che per la WHO – World Health Organization – l’infertilità è un tema di importanza prioritaria. Analogamente, l’impatto psicologico per le coppie infertili è tenuto in seria considerazione dalle Società Scientifiche internazionali, che hanno emanato le linee guida per consentire la riapertura in tempi rapidi.

I ricercatori si augurano che la loro indagine su l’impatto della COVID-19 sulla PMA in Europa sia di supporto nel caso di una futura pandemia globale. Tutti noi leggiamo i risultati con grande interesse, sperando che non ce ne sia mai più bisogno.

I dati del registro globale dello ICMART (International Committee for Monitoring Assisted Reproductive Technologies) riguardano la riproduzione assistita nel mondo. Recentemente anche la Cina ha comunicato i propri dati, posizionandosi in cima alla classifica delle Nazioni al mondo in cui si effettuano trattamenti di PMA. In Cina, infatti, si effettua un numero di cicli analogo a quelli di tutta Europa. I nuovi dati sono stati presentati al congresso ESHRE 2020.

I dati presentati all’ESHRE

I nuovi dati (relativi al 2016) sono stati presentati nel corso dell’ESHRE 2020, il congresso annuale della European Society of Human Reproduction and EmbryologyIl mondo della PMA ha preso una forma differente rispetto a come appariva prima di includere anche i dati dalla Cina.

Negli anni precedenti l’Europa è sempre stata leader mondiale con circa 1 milione di cicli l’anno, circa il 50% del numero complessivo. Ora la Cina è la Nazione al mondo in cui si effettuano più procedure di PMA. In realtà la Cina non comunica formalmente le sue statistiche all’ICMART e lo spaccato globale è in parte una stima. Tuttavia, numeri così importanti sono molto significativi e danno l’idea di “uno sviluppo emozionante”, come ha commentato David Adamson presentando il Rapporto nel corso dell’ESHRE.

Nel 2016 il numero di cicli di fecondazione assistita effettuati nel mondo è stato di oltre 3,3 milioni. Di questi, più di 1,8 milioni in Cina, ovvero il 27% di tutti i cicli di PMA, come l’intera Europa. Cina, Giappone,USA, Spagna, Russia, Francia, Germania, Italia, Australia e UK sono le 10 Nazioni in cui viene effettuato l’80% dei cicli di fecondazione assistita. Nello specifico, l’Italia ha comunicato 73.442 cicli effettuati nelle cliniche di PMA.

Il Rapporto è ora più completo

Adamson ha concluso la sua relazione all’ESHRE definendo “eccellente” il report dei dati condiviso dalla Cina: con queste ulteriori informazioni “il Rapporto globale ICMART sarà significativamente più completo”.

Fonti:

ESHRE News: A new world picture of ART activity.

Dopo il lockdown si è registrato un aumento di richieste per trattamenti di fecondazione assistita. Gli esperti parlano di un +20% rispetto all’anno scorso.

Lo ha spiegato in un’intervista all’agenzia ANSA il prof. Antonino Guglielmino, presidente della Società Italiana di Riproduzione Umana (Siru): “Il lockdown ha aumentato il desiderio di genitorialità. Tra metà giugno e metà luglio abbiamo visto un aumento in media del 20%, e con picchi del 30% in alcune regioni, di coppie che si sono rivolte ai centri per la Procreazione Medicalmente Assistita rispetto allo stesso periodo dello scorso anno”.

Molte nuove richieste

Il temporaneo stop alla PMA durante la pandemia è arrivato in un periodo dell’anno, la primavera, in cui la domanda è solitamente più alta. Molte delle richieste arrivate ai centri di PMA sono nuove e non provengono solo da quelle coppie che avrebbero voluto, ma non hanno potuto, accedere alla fecondazione assistita durante il lockdown. A pesare infatti è, “da un lato, la paura di nuove chiusure per eventuali seconde ondate di contagi e, dall’altro, un maggior desiderio di famiglia che in molte coppie la pandemia ha suscitato”, chiarisce l’esperto.

Centri PMA aperti anche ad agosto

Saranno molti i centri PMA aperti anche ad agosto, in modo da soddisfare le richieste rimaste in sospeso a causa dell’emergenza Covid-19. I trattamenti non effettuati sono stati 30-35.000. L’apertura estiva per i centri è una condizione anomala, trattandosi di un “periodo in cui normalmente si sospendono”. Secondo la SIRU, i cicli riproduttivi non effettuati nei mesi di marzo, aprile e maggio hanno portato a circa 4.500 nascite in meno.

Ottimi riscontri dalla consulenza online

Altra novità della fecondazione assistita nella Fase 3 riguarda i progressi compiuti verso la digitalizzazione, che sono stati conservati anche nel post lockdown. “Gran parte della consulenza preparatoria di tipo psicologico e genetico, oltre agli incontri di discussione per il consenso informato – prosegue il Prof. Antonino Guglielmino nell’intervista ad ANSA – è stata portata avanti online durante la pandemia. Ma il 40% delle coppie continua a preferirla anche ora che i centri hanno riaperto”.

Fonte: ANSA

Si chiama Nell2, è una proteina ed è in grado di “accendere” gli spermatozoi. Quando Nell2 li accende, avvia il processo che li fa maturare e li rende pronti a fecondare l’ovocita. Gli scienziati dell’ateneo giapponese di Osaka hanno individuato la proteina in uno studio recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista Science. Questa scoperta può avere implicazioni importanti nello sviluppo di terapie per l’infertilità e la contraccezione maschile.

Lo studio

La proteina Nell2 viene prodotta dai testicoli per poi viaggiare attraverso il liquido seminale. Nell2 entra in azione quando gli spermatozoi raggiungono l’epididimo, un sottile condotto che congiunge il testicolo al dotto deferente. Proprio in questa zona, infatti, gli spermatozoi iniziano la fase di maturazione che li rende capaci di fecondare.

I ricercatori giapponesi. hanno dimostrato che quando la proteina Nell2 non è presente o è presente ma non attiva, l’epididimo non riesce a produrre un enzima chiave per la fertilità maschile. Di conseguenza, gli spermatozoi non sono in grado di entrare nelle tube dell’utero femminile o di fertilizzare l’ovocita.

Lo studio è stato condotto in vivo, utilizzando una tecnica innovativa di editing del genoma.   abbiamo lavorato su topi maschi privi della proteina Nell2, dimostrando che erano sterili perche’ i loro spermatozoi non si muovevano”

I risultati risultano essere molto importanti nell’ambito della medicina della riproduzione e della fertilità maschile in particolare. La ricerca scientifica dovrà fare nuovi e ulteriori approfondimenti in questa direzione, trattandosi di una materia estremamente complessa. Tuttavia, i ricercatori sono molto soddisfatti dei risultati: “Abbiamo scoperto una complicata cascata di eventi che causa l’infertilità maschile – ha commentato il Prof. Daiji Kiyozumi, coordinatore dello studio – e che può avere implicazioni importanti nello sviluppo di terapie per l’infertilità e la contraccezione maschile”.

 

 

Fonti:

ANSA

Kiyozumi D et al., NELL2-mediated lumicrine signaling through OVCH2 is required for male fertility. Science, 2020, Vol. 368, Issue 6495, pp. 1132-1135. DOI: 10.1126/science.aay5134. Disponibile al link: https://science.sciencemag.org/content/368/6495/1132.abstract

 

Fecondazione assistita: riprendono i trattamenti dopo il via libera dal Centro Nazionale Trapianti e dal Registro Procreazione Medicalmente Assistita dell’Istituto Superiore della Sanità. Il primo consulto verrà effettuato in via telematica, per ridurre gli accessi ai Centri di PMA.

Il protocollo SIGO

Con il nuovo protocollo di sicurezza della Società italiana di Ginecologia e Ostetricia (Sigo), anche tutti i trattamenti sospesi a causa del lockdown dovuto alla pandemia per Covid-19 potranno riprendere.
Il protocollo indica come riorganizzare le procedure di procreazione medicalmente assistita (PMA), per garantire la sicurezza dei pazienti e degli operatori sanitari.

«Se da un lato è necessario ripartire prontamente per non infrangere i sogni delle tante coppie che avrebbero dovuto iniziare o proseguire i trattamenti, dall’altro è fondamentale farlo in piena sicurezza» spiega la Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia.

PMA Fase 2: cosa prevede il protocollo

«La nostra priorità era dare una risposta a tutte quelle coppie che avevano intrapreso un percorso di fecondazione assistita o che erano in procinto di farlo», ha detto il professor Nicola Colacurci, Coordinatore del gruppo GISS della SIGO che ha messo a punto il protocollo. «Donne e uomini che negli ultimi due mesi si sono sentiti abbandonati e hanno vissuto con grande sofferenza l’ansia del tempo che scorre (oltre il 30% delle partner femminili che accede alla PMA ha più di 40 anni) e il timore di perdere definitivamente le proprie chance riproduttive».

Il protocollo prevede di riorganizzare gli spazi e le attività dei Centri di PMA. Inoltre, sono stati introdotti tre triage successivi, per verificare lo stato di salute dei pazienti e degli operatori sanitari.
Il primo consulto si effettuerà in via telematica, per ridurre gli accessi ai Centri di PMA.
Nelle fasi successive, se uno dei due partner presenta sintomi anche lievi verrà sottoposto a test sierologico. I pazienti positivi a Covid-19 devono essere esclusi da qualsiasi trattamento. Anche il prelievo di ovociti o il transfer di embrioni saranno rimandati. Allo stesso modo, gli operatori infetti o sospettati di esserlo verranno isolati dal Centro PMA.

I dati della PMA in Italia

Le coppie che accedono alla procreazione medicalmente assistita in Italia sono circa 8.000 ogni mese. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 78.366 coppie hanno fatto ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita nel 2017, con più di 18 mila gravidanze.

«C’è un aspetto di estrema rilevanza in chiave strategica di contenimento del virus durante la Fase 2», aggiunge Nicola Colacurci, «le coppie in cerca di prole sono tutte in età lavorativa e quindi potenzialmente più esposte al rischio di contagio. Pertanto, utilizzando l’andamento epidemiologico in tempo reale (tre triage successivi) delle coppie che si sottopongono a PMA, le Istituzioni sanitarie regionali potrebbero disporre di un campione selettivo dell’andamento epidemiologico dell’intera popolazione regionale».

Fonti: Centro Nazionale PMA, ANSA, Repubblica.it