Secondo i dati dell’ISS Istituto Superiore di Sanità, l’infertilità riguarda circa il 15% delle coppie italiane (nel mondo, circa il 10-12%). L’infertilità può essere determinata da diversi fattori che riguardano sia le donne sia gli uomini.
Quella dell’infertilità maschile è una problematica misconosciuta e poco discussa ma di grande importanza e per molte delle cause che la determinano ci sono diverse strade terapeutiche da percorrere. In alcuni casi viene prescritta la terapia ormonale: ce ne parla il Dottor Giorgio Piubello, specialista in Andrologia ed Endocrinologia, Membro del Comitato Esecutivo della Società Italiana di Andrologia (SIA).
Cos’è l’infertilità maschile
L’infertilità maschile si verifica quando un uomo ha una ridotta capacità di fecondare. La maggior parte delle coppie riesce a concepire naturalmente entro un anno di rapporti sessuali regolari non protetti: in generale, dopo un anno di tentativi senza successo è utile rivolgersi al proprio medico per eventuali approfondimenti diagnostici. Infatti, le difficoltà di concepimento possono essere dovute a diversi fattori, il più frequente per l’uomo è la scarsa qualità del seme.
Il ruolo degli ormoni della fertilità maschile
Gli ormoni giocano un ruolo fondamentale nella regolazione della spermatogenesi. La spermatogenesi e la produzione di testosterone sono regolati da un meccanismo di controllo che fa capo all’ipotalamo, che:
Secerne l’ormone rilasciante le gonadotropine (GnRH),
Controlla la secrezione ipofisaria dell’ormone follicolo-stimolante (FSH) e dell’ormone luteinizzante (LH)
Questi, a loro volta, stimolano il testicolo a produrre rispettivamente gli spermatozoi e il testosterone.
Uno squilibrio in questo delicato meccanismo ormonale può compromettere la fertilità maschile. Ad esempio, bassi livelli di FSH o LH possono portare a una produzione insufficiente di spermatozoi.
In caso di difficoltà di concepimento, vengono effettuati degli esami di laboratorio che indicano il dosaggio di FSH, LH e testosterone. Vi sono altri segni che possono indicare squilibrio ormonale, ad esempio alti valori di massa grassa, valori bassi di massa muscolare, la perdita di capelli, la riduzione del desiderio sessuale, stanchezza cronica.
Le cause ormonali di infertilità maschile
Le cause di infertilità maschile legate alla produzione di ormoni vanno distinte in:
Ipogonadismo ipergonadotropo (primario) indicato da valori di FSH alto, LH alto o nel range alto dei valori di normalità e testosterone basso o nel range basso dei valori di norma. In questo caso è presente un disordine a livello testicolare
Ipogonadismo ipogonadotropo (secondario) indicato da valori di FSH basso, LH basso, testosterone basso. In questo caso è presente un’alterazione a livello ipotalamo-ipofisario
Ipogonadismo normogonadotropo idiopatico, indicato da valori di FSH normali ma inferiori o uguali a 8 mUl/ml3, LH normale e testosterone normale. La condizione potrebbe essere dovuta al malfunzionamento del recettore per le gonadotropine o a secrezione di gonadotropine poco o nulla attive.
La terapia ormonale per infertilità maschile
Per trattare alcuni tipi di infertilità maschile legate al disequilibrio ormonale, lo specialista può prescrivere la terapia ormonale. In particolare:
Le gonadotropine, come l’FSH e l’LH, possono essere somministrate per stimolare la spermatogenesi. Questo trattamento è indicato nei casi di ipogonadismo ipogonadotropico, non è indicato nell’ipogonadismo ipergonadotropo, può essere preso in considerazione nei casi di ipogonadismo normogonadotropo idopatico
Altre terapie ormonali sono rappresentate da farmaci antiestrogeni come il clomifene o dagli inibitori dell’aromatasi.
La terapia ormonale può dare risultati molto positivi, ma è essenziale che il trattamento sia personalizzato in base alla specifica condizione del paziente.
Un supporto personalizzato per molti uomini
L’infertilità maschile è una condizione complessa che può avere un impatto significativo sulla vita di una coppia. Tuttavia, grazie ai progressi nella medicina e nella comprensione del ruolo degli ormoni nella fertilità, oggi esistono molte opzioni di trattamento efficaci. La terapia ormonale è una di queste e può essere un valido supporto per molti uomini che desiderano diventare padri.
Barbonetti A, Calogero AE, Balercia G, Garolla A, Krausz C, La Vignera S, Lombardo F, Jannini EA, Maggi M, Lenzi A, Foresta C, Ferlin A. The use of follicle stimulating hormone (FSH) for the treatment of the infertile man: position statement from the Italian Society of Andrology and Sexual Medicine (SIAMS). J Endocrinol Invest. 2018 Sep;41(9):1107-1122. doi: 10.1007/s40618-018-0843-y. Epub 2018 Feb 1. PMID: 29392544.
Sembra che alla base dell’infertilità maschile possa esserci la mancanza di un gene. E’ quanto emerge da uno studio realizzato dal team di ricercatori guidato dalla dottoressa Kexin Zhang del dipartimento di Chimica e Biologia Molecolare presso l’Università di Gothenburg.
La proteina MC2
I ricercatori hanno identificato nei topi una nuova proteina, che hanno chiamato MC2, che gioca un ruolo cruciale nella formazione degli spermatozoi con capacità di “nuotare”. Questa proteina è necessaria per creare una connessione funzionale tra la testa e la coda dello spermatozoo.
“La connessione si trova nel collo della testa dello spermatozoo – ha dichiarato Kexin Zhang – e facilita il movimento e la funzione coordinata, mentre lo spermatozoo nuota verso l’ovulo“. “La coda e la testa si creano perfettamente senza questo collegamento, ma senza alcun risultato, perché non riescono a raggiungere il loro obiettivo”. Gli esperimenti su topi hanno indicato che la produzione della proteina ‘MC2’ era controllata da un gene specifico nel genoma. Quando il gene è stato rimosso con le forbici genetiche, i ricercatori hanno osservato che gli esemplari murini hanno smesso di produrre la proteina, divenendo completamente sterili.
Fattori genetici e infertilità
È già noto che i fattori genetici sono responsabili di circa il 15-30% dell’infertilità negli uomini. Il gene non si trova sul cromosoma sessuale e non ha avuto alcun impatto sulla capacità delle femmine di produrre prole.
“La mia ricerca ha contribuito a migliorare la comprensione delle cause dell’infertilità dovuta all’assenza della testa dello spermatozoo, nota come sindrome degli spermatozoi acefali”, ha sottolineato Zhang. “La causa alla base di questa diagnosi era finora sconosciuta”.
La scoperta della proteina ‘MC2’ fornisce nuove conoscenze sulla struttura molecolare delle cellule spermatiche che, poi, si sviluppano in spermatozoi. I ricercatori potranno studiare ulteriormente queste conoscenze. “Si stima che circa il 15% di tutte le coppie eterosessuali abbia problemi ad avere figli”.
“L’uomo è responsabile dei problemi in circa la metà di questi casi”, ha continuato Zhang. “Spero che la nostra ricerca porti a nuovi metodi diagnostici e a nuovi trattamenti per l’infertilità maschile”, ha spiegato, per poi aggiungere: “Potrebbe anche essere possibile creare un contraccettivo maschile disattivando questo gene”.
Non sempre il liquido seminale disponibile è sufficiente per una procedura di PMA. Quando il volume è insufficiente – inferiore a 1ml – o con un ph alterato questo porta alla azoospermia, ovvero l’assenza di spermatozoi.
Ce ne parla il Dr. Carlo Torrisi, ginecologo, responsabile clinico e Direttore Sanitario del Centro di Medicina della Riproduzione e Infertilità di Catania.
Azoospermia escretoria: PESA
L’azoospermia, l’assenza di spermatozoi, può essere escretoria o secretoria.
La azoospermia escretoria è essenzialmente legata a una mancanza di comunicazione tra il testicolo, l’epididimo, i vasi deferenti e il dotto eiaculatorio esterno. Questo è tipico della sindrome CBAD con assenza di spermatozoi, agenesia bilaterale dei vasi deferenti – che può anche essere monolaterale – e che in genere è associata anche ad assenza della coda dell’epididimo, assenza delle vescicole seminali, spesso anche alla presenza di parametri positivi per mutazioni (ad esempio per la fibrosi cistica, l’agenesia renale eccetera) quindi è una sindrome ehm in cui ci sono più situazioni, che può essere sospettata in primis con la presenza di scarso volume del liquido seminale e, ovviamente, assenza di spermatozoi.
La visita andrologica è molto importante: se la palpazione sopra il testicolo non rileva i vasi deferenti, è molto probabile che si rilevino le alterazioni sopra citate. Queste situazioni di scarso volume del liquido spermatico portano ad intervenire con un PESA.
La tecnica PESA prevede l’aspirazione del liquido seminale che in genere viene prodotto regolarmente dal testicolo e si accumula nella testa dell’epididimo. Quest’ultima, se il medico ha esperienza, può essere raggiunta anche per via percutanea.
In queste situazioni in cui il testicolo funziona, l’FSH dell’uomo è normale perché ci indica una produzione normale di spermatozoi.
Azoospermia secretoria: TESA o TESE
La azoospermia secretoria in genere è legata a una assenza o comunque a un danno importante della linea spermatogenetica e questo porta anche a un ipogonadismo ipogonadotropo, cioè a un aumento dei valori di FSH dell’uomo.
In questa situazione si deve intervenire con una TESA (testicular sperma aspiration) o con una TESE (testicular sperma extraction), cioè con una aspirazione a livello del didimo o addirittura a un prelievo bioptico. La speranza è di trovare rari spermatozoi, che ovviamente spesso sono malformati e non sempre danno origine ad embrioni.
Nella criptozoospermia i pazienti presentano un danno a uno o a entrambi i testicoli. Occasionalmente compaiono degli spermatozoi (con una conta di almeno 5-10mila).
Questa condizione porta di solito al congelamento degli spermatozoi, affinché si presentino nelle condizioni migliori il giorno del prelievo ovocitario.
Da studi recenti emerge che negli ultimi 50 anni la concentrazione di spermatozoi nello sperma maschile si è più che dimezzata. Inoltre, il calo più marcato si è visto negli ultimi 20 anni. Questi dati sono oltremodo allarmanti perché provengono da una meta-analisi condotta in 23 Paesi di tutti i continenti.
Abbiamo chiesto al Dottor Giuseppe Taormina, Biologo, Embriologo, Specializzato in Biotecnologie, quali sono gli indici di fertilità maschile, da cosa dipendono, quali sono le caratteristiche di uno sperma fertile e… anche qualche suggerimento per i giovani uomini, affinché si prendano cura della propria fertilità.
Quali sono gli indici di fertilità maschile?
Gli indici di fertilità maschile li possiamo trovare in quello che è l’esame principe dello studio dell’infertilità maschile, cioè lo spermiogramma.
Gli indici sono:
il numero degli spermatozoi, quindi quanti spermatozoi ci sono nell’eiaculato
la motilità, ovvero come questi spermatozoi si muovono, se hanno una buona motilità, soprattutto se è rettilinea e uniforme – al di là del fatto che sia lenta o veloce e
la morfologia, cioè come sono morfologicamente gli spermatozoi
Da cosa dipendono gli indici di fertilità maschile?
Anche se ci sono dei valori di riferimento a livello internazionale, va considerato il fatto che questi indici variano da individuo a individuo, non sono stabili, dipendono da vari fattori e variano anche a seconda delle condizioni ambientali, dello stile di vita.
Vi sono, infatti, vari fattori che sicuramente influenzano negativamente gli indici di fertilità. Ad esempio, l’uso di sostanze come la marijuana, il tabacco o l’alcol, lo stress; anche praticare sport in modo agonistico può talvolta ridurre la fertilità.
Anche l’alimentazione è importante, influenza tantissimo la qualità del liquido seminale e, di conseguenza, anche gli indici, al pari dei fattori menzionati poco fa.
Quali sono le caratteristiche di uno sperma fertile?
Ci sono dei parametri che definiscono un buon liquido seminale, in termini di numero, motilità e morfologia. Uno sperma fertile presenta almeno 15 milioni ml per eiaculato alla motilità ovvero almeno il 40% degli spermatozoi deve avere una motilità rettilineo uniforme e alla morfologia almeno il 4% degli spermatozoi deve essere morfologicamente idoneo stop
Quindi, uno sperma fertile è sempre idoneo al concepimento?
No, non sempre è così. Anche se uno sperma presenta caratteristiche che rientrano nei parametri che lo definiscono fertile, non significa che sia idoneo al concepimento. Infatti, come confermano recenti studi, anche un buon liquido seminale può non portare alla formazione di embrioni.
Io stesso ho partecipato a studi da cui emerge chiaramente che campioni normozoospermici, quindi normali, possono presentare caratteristiche – per esempio un carico di frammentazione molto elevato a livello della cromatina della testa degli spermatozoi – che impediscono la fecondazione.
Quali sono i suggerimenti che si sente di dare ai giovani uomini, per prendersi cura della propria fertilità?
Quello che mi sento di suggerire ai giovani ragazzi per preservare la fertilità e sicuramente avere dei medici di riferimento, che possano investigare la presenza di varicocele, lo sviluppo puberale e quant’altro. E, al di là del fatto che possa esserci o meno la presenza di fattori congeniti come malattie genetiche eccetera, sicuramente il mio consiglio è di usare il buon senso nello stile di vita.
Quindi:
evitare gli eccessi come l’abuso di alcol, di fumo, di marijuana
seguire un’alimentazione corretta
sicuramente in età giovane fare uno spermiogramma, che ci dà subito il polso della situazione su quello che è lo stato di fertilità
eventualmente, congelare gli spermatozoi, nel caso in cui il campione non sia particolarmente buono, in modo da non trovarsi magari a 35-36 anni con azoospermia e avere la necessità di ricorrere a un donatore di liquido seminale
L’infertilità, definita come l’assenza di concepimento spontaneo dopo 1 anno di rapporti non protetti, colpisce il 15-20% delle coppie e fattori maschili sono presenti in circa la metà di questi casi. Quando non si riesce a trovare la causa delle difficoltà di concepimento si parla di infertilità maschile idiopatica.
Abbiamo chiesto al Dr. Emanuele Ferrante, Endocrinologo, di spiegare cosa è l’infertilità idiopatica maschile e cosa si può fare.
Lo studio del maschio infertile
Lo studio del maschio infertile prevede l’esecuzione di numerosi esami (vedi anche gli Articoli: “Infertilità di coppia: gli esami per l’uomo”; “Infertilità maschile: possibili cause e ruolo della prevenzione”; “Infertilità maschile: le terapie”), che vengono prescritti allo scopo di riconoscere e potenzialmente risolvere le cause che conducono ad una ridotta qualità e/o quantità del liquido seminale.
Secondo il manuale della WHO (World Health Organization) del 2021, i limiti inferiori di riferimento per i parametri dell’esame del liquido seminale sono i seguenti:
Volume: 1.4 ml
Concentrazione/ml: 16×106
Numero/eiaculato: 39×106
Motilità progressiva: 30%
Motilità totale: 42%
Forme tipiche: 4%
Test di vitalità: 54%
L‘infertilità maschile idiopatica
Anche dopo esecuzione di tutti gli esami necessari, in una significativa quota di maschi non si riesce a trovare la causa dell’infertilità: in questi casi si parla di infertilità maschile idiopatica. A livello puramente ormonale, questo si traduce nella presenza agli esami ematici di normali livelli di testosterone e di gonadotropine (LH e FSH), gli ormoni glicoproteici prodotti dalla ghiandola ipofisi e che regolano il funzionamento del testicolo. In particolare, nel caso dell’FSH, il valore è considerato normale se inferiore a 8 IU/L.
Le possibili strategie terapeutiche
Negli ultimi anni, sulle possibili strategie terapeutiche di questa condizione è stato posto molta attenzione.
È ormai chiaro che lo stile di vita gioca un ruolo fondamentale nella salute maschile, sia generale che sessuale. Bisogna quindi correggere alcune abitudini (ridurre il consumo di alcol, ridurre l’indice di massa corporea in caso di sovrappeso/obesità, aumentare l’attività fisica e cessare il fumo) che possono ridurre il potenziale di fertilità del maschio.
Le più recenti linee guida suggeriscono inoltre, in maschi che presentano una oligozoospermia (ridotto numero di spermatozoi) e/o una astenozoospermia (ridotta motilità degli spermatozoi) idiopatica, l’utilizzo di una terapia con FSH. Molti studi hanno mostrato che questa terapia, utilizzata solitamente alla dose di 150U da somministrare sottocute 3 volte alla settimana per 3-4 mesi, è in grado di migliorare in modo significativo il numero e la motilità degli spermatozoi, determinando così – cosa più importante – un aumento sia del tasso di gravidanza spontanea che del tasso di gravidanza ottenuto mediante tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA). Tuttavia, servono dati più precisi per determinare quale siano il dosaggio e la durata di terapia più efficaci nel migliorare il potenziale fertile.
Molta più incertezza esiste in merito all’utilizzo degli integratori a base di antiossidanti, che possono essere presi in considerazione in caso di pazienti con infertilità idiopatica ed elevato danno da stress ossidativo (che può essere stimato mediante il test di frammentazione del DNA spermatico). Questa incertezza nasce dalla diversa composizione dei molti integratori presenti in commercio e dall’alto grado di eterogeneità dei dati pubblicati in letteratura.
Il counseling è fondamentale
In ogni caso, è fondamentale che vi sia una collaborazione attiva tra tutte le figure professionali coinvolte (ginecologo, endocrinologo, uro-andrologo…) al fine di ottimizzare le tempistiche dei diversi interventi terapeutici e delle eventuali tecniche di PMA, dato che nelle problematiche relative alla fertilità di coppia il fattore tempo riveste un ruolo cruciale.
Bibliografia di riferimento
Ferlin A, Calogero AE, Krausz C, Lombardo F, Paoli D, Rago R, Scarica C, Simoni M, Foresta C, Rochira V, Sbardella E, Francavilla S, Corona G. Management of male factor infertility: position statement from the Italian Society of Andrology and Sexual Medicine (SIAMS) : Endorsing Organization: Italian Society of Embryology, Reproduction, and Research (SIERR). J Endocrinol Invest. 2022 May;45(5):1085-1113. doi: 10.1007/s40618-022-01741-6. Epub 2022 Jan 24. PMID: 35075609.
Santi D, Crépieux P, Reiter E, Spaggiari G, Brigante G, Casarini L, Rochira V, Simoni M. Follicle-stimulating Hormone (FSH) Action on Spermatogenesis: A Focus on Physiological and Therapeutic Roles. J Clin Med. 2020 Apr 3;9(4):1014. doi: 10.3390/jcm9041014. PMID: 32260182; PMCID: PMC7230878.
Simoni M, Brigante G, Rochira V, Santi D, Casarini L. Prospects for FSH Treatment of Male Infertility. J Clin Endocrinol Metab. 2020 Jul 1;105(7):dgaa243. doi: 10.1210/clinem/dgaa243. PMID: 32374828.
WHO Laboratory Manual for the Examination and Processing of Human Semen, Sixth ed. 2021
Una volta eseguita correttamente la diagnosi di ipogonadismo (vedi l’articolo: “Ipogonadismo nel maschio: diagnosi e principali cause”), il passo successivo riguarda la decisione in merito all’inizio di una terapia sostitutiva, che ha lo scopo di migliorare i segni e i sintomi legati alla carenza ormonale.
I dubbi e le preoccupazioni dei pazienti in merito a questo argomento sono molti: facciamo il punto con il Dr. Emanuele Ferrante, Endocrinologo.
Quale terapia?
Solo nei casi in cui ci sia desiderio da parte del paziente di mantenere la fertilità, si opterà per una terapia a base di gonadotropine (vedi articolo “Infertilità maschile: le terapie”).
Nella maggior parte dei casi, la terapia si basa invece sulla somministrazione di testosterone, ossia l’ormone prodotto dal testicolo sotto stimolo delle gonadotropine (LH e FSH) rilasciate dall’ipofisi.
Prima di cominciare una terapia a base di testosterone, andranno tenuti in considerazione e presentati con chiarezza al paziente quelli che sono i possibili benefici e i rischi connessi alla terapia sostitutiva.
Cosa raccomandano le Linee Guida
Secondo le attuali linee guida, è opportuno valutare e riconoscere quelle condizioni che rappresentano una controindicazione alla terapia con testosterone:
Tumore della prostata e della mammella: la presenza di una patologia neoplastica già in atto al momento della diagnosi preclude la possibilità di iniziare la terapia con testosterone. In tutti gli altri casi, è opportuna una valutazione basale [esplorazione rettale, palpazione della mammella, dosaggio del PSA (antigene prostatico specifico)] prima di iniziare la terapia per escludere la presenza di fattori di rischio significativi (noduli palpabili, elevati valori di PSA) che richiedono ulteriori approfondimenti.
Elevazione dell’ematocrito: l’ematocrito è un esame del sangue che misura la percentuale del volume sanguigno occupata dai globuli rossi e può essere facilmente valutato con un prelievo del sangue (emocromo). La terapia sostitutiva con testosterone è controindicata quando elevati livelli di ematocrito (compresi tra il 50 e il 54%) sono presenti prima dell’inizio della terapia stessa e non deve essere proseguita se i livelli di ematocrito salgono oltre il 54%.
Insufficienza cardiaca: la terapia non va iniziata in presenza di una insufficienza cardiaca cronica di grado severo o in caso di infarto del miocardio avvenuto nei 6 mesi precedenti.
Sintomi da ostruzione delle basse vie urinarie: in modo analogo, in presenza di sintomi severi ostruttivi delle basse vie urinarie (disturbi del riempimento e dello svuotamento vescicale, disturbi post-minzionali) la terapia è controindicata dalla maggior parte delle linee guida, sebbene non sia dimostrato che la somministrazione di testosterone peggiori questi sintomi.
Sindrome delle apnee notturne: la terapia non deve essere iniziata in presenza di sindrome delle apnee notturne di grado severo non in trattamento.
Le terapie utilizzate in Italia
Eseguite le valutazioni basali ed esclusa la presenza di controindicazioni, è quindi possibile iniziare la terapia sostitutiva. In Italia si utilizzano preparati iniettabili intramuscolo a breve o lunga durata d’azione (fiale, da somministrare ogni 2-4 settimane oppure ogni 10-14 settimane, rispettivamente), oppure formulazioni in gel da applicare per via transdermica tutti i giorni, preferibilmente al mattino.
Rispetto ai preparati iniettabili a breve durata d’azione, con i quali i livelli di testosterone risultano molto variabili nelle diverse settimane successive all’esecuzione della terapia, le altre formulazioni garantiscono livelli più stabili del testosterone nel sangue.
I parametri da monitorare nel corso della terapia
Dopo l’inizio della terapia, è ovviamente necessario monitorare i livelli di testosterone totale nel sangue, con modalità che differiscono a seconda della preparazione farmaceutica scelta (in linea generale, al termine del periodo di intervallo tra due fiale oppure 2-4 ore dopo l’applicazione del gel).
Insieme ai livelli di testosterone, bisogna periodicamente raccogliere alcuni parametri già descritti in precedenza (livelli di ematocrito dopo 3, 6, 12 mesi dall’inizio della terapia e quindi ogni 12 mesi; PSA ed esplorazione rettale tra i 3 e i 12 mesi dall’inizio della terapia, quindi secondo linee guida per lo screening della popolazione maschile) per verificare l’eventuale comparsa di effetti collaterali che rappresentano una controindicazione alla prosecuzione del trattamento.
Profilo di sicurezza ed efficacia della terapia sostitutiva
Se correttamente prescritta e monitorata, la terapia sostitutiva con testosterone è sicura ed efficace e si è dimostrata in grado di migliorare i segni/sintomi tipici della carenza ormonale, sia dal punto di vista sessuale che dal punto di vista fisico e psicologico. La comparsa dei benefici varia da poche settimane (miglioramento del desiderio sessuale) a molti mesi (miglioramento della disfunzione erettile e della composizione corporea, aumento della densità minerale ossea), motivo per il quale la risposta alla terapia va valutata con tempistiche appropriate e con un’ottica di lungo periodo.
Bibliografia di riferimento
Bhasin S, Brito JP, Cunningham GR, Hayes FJ, Hodis HN, Matsumoto AM, Snyder PJ, Swerdloff RS, Wu FC, Yialamas MA. Testosterone Therapy in Men With Hypogonadism: An Endocrine Society Clinical Practice Guideline. J Clin Endocrinol Metab. 2018 May 1;103(5):1715-1744. doi: 10.1210/jc.2018-00229. PMID: 29562364.
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Salonia A, Bettocchi C, Boeri L, Capogrosso P, Carvalho J, Cilesiz NC, Cocci A, Corona G, Dimitropoulos K, Gül M, Hatzichristodoulou G, Jones TH, Kadioglu A, Martínez Salamanca JI, Milenkovic U, Modgil V, Russo GI, Serefoglu EC, Tharakan T, Verze P, Minhas S; EAU Working Group on Male Sexual and Reproductive Health. European Association of Urology Guidelines on Sexual and Reproductive Health-2021 Update: Male Sexual Dysfunction. Eur Urol. 2021 Sep;80(3):333-357. doi: 10.1016/j.eururo.2021.06.007. Epub 2021 Jun 26. PMID: 34183196.
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La diagnosi di ipogonadismo maschile è ancora oggi un momento molto delicato, ma assolutamente fondamentale per le implicazioni terapeutiche, di follow-up e di carico emotivo sul paziente. Cerchiamo quindi di fare chiarezza su quelle che sono le attuali indicazioni che sono fornite dalle linee guida al fine di arrivare ad una diagnosi corretta di questa patologia.
L’ipogonadismo maschile è una sindrome clinica e biochimica caratterizzata da bassi livelli di testosterone (l’ormone sessuale maschile), che può influire negativamente su molte funzioni dell’organismo e sulla qualità della vita.
Quando si approccia alla diagnosi di ipogonadismo maschile, bisognerà pertanto tenere in considerazione sia gli aspetti clinici che quelli biochimici, che devono essere sempre entrambi valutati.
I principali segni e sintomi
Dal punto di vista clinico, i principali segni e sintomi legati all’ipogonadismo sono i seguenti:
Disordini della sfera sessuale:
Calo del desiderio sessuale
Disfunzione erettile
Riduzione delle erezioni spontanee mattutine
Disordini fisici e psicologici:
Astenia (stanchezza)
Facile affaticabilità muscolare
Ridotta capacità di eseguire attività fisica
Deflessione del tono dell’umore
Tuttavia, la presenza di sintomi che possono ricondurre ad un sospetto di ipogonadismo non è sufficiente a confermare la diagnosi e a indicare la necessità di un trattamento sostitutivo.
È invece necessario confermare la contestuale presenza di un’alterazioni biochimica.
La diagnosi biochimica
La diagnosi biochimica si fonda sul dosaggio dei livelli di testosterone totale, che va eseguito al mattino a digiuno, tra le ore 7 e le ore 11. Tuttavia, è importante confermare la presenza di bassi livelli di questo ormone in una seconda occasione, poiché le variazioni giornaliere del testosterone sono tali che non rendono sufficientemente attendibile la diagnosi eseguita su un singolo prelievo.
Inoltre, è giusto ricordare che il testosterone totale rappresenta la somma del testosterone libero e di quello legato alle proteine di trasporto (in particolare SHBG – sex hormone binding globulin – e albumina). Rispetto al totale, solo il 2-4% del testosterone circolante è presente nella forma libera. Nei casi in cui i livelli di testosterone totale risultino incerti o nei casi in cui siano presenti delle altre condizioni che possano ridurre (obesità, diabete mellito tipo 2, ipotiroidismo) o aumentare (età avanzata, infezione da HIV, uso di farmaci antiepilettici, ipertiroidismo) le concentrazioni di SHBG, è opportuno completare la diagnosi biochimica dosando il testosterone libero.
In quest’ambito, tutte le linee guida sono concordi nello sconsigliare il dosaggio diretto del Testosterone libero, in quanto i dosaggi oggi disponibili sono inaccurati. Piuttosto, è opportuno utilizzare un algoritmo matematico, liberamente accessibile, che stima la concentrazione libera dell’ormone a partire dai livelli di testosterone totale, SHBG e albumina.
Capire l’origine dell’ipogonadismo
Una volta confermata la presenza di bassi livelli di testosterone (totale e/o libero), un altro passo fondamentale è capire l’origine dell’ipogonadismo. In linea generale, bassi livelli di testosterone possono essere associati ad elevati livelli di gonadotropine (LH e FSH), due ormoni prodotti da una ghiandola che si chiama ipofisi, in un quadro che richiama un danno del testicolo e che viene classificato come ipogonadismo ipergonadotropo o ipogonadismo primario. Oppure, possono essere associati a ridotti livelli di gonadotropine, che indicano un danno a livello dell’ipofisi e che caratterizzano il quadro di ipogonadismo ipogonadotropo (o ipogonadismo secondario).
Questa prima classificazione deve poi guidare alla successiva esecuzione degli esami necessari a condurre ad una definitiva caratterizzazione della causa dell’ipogonadismo.
Le principali cause
Le principali cause di ipogonadismo sono le seguenti:
Ipogonadismo primario:
Sindrome di Klinefelter
Criptorchidismo
Traumi/infezioni/interventi testicolari
Età avanzata
Ipogonadismo secondario:
Tumori o malattie infiltrative dell’area ipotalamo/ipofisaria
Da questo rapido excursus, risulta chiaro che la diagnosi di ipogonadismo è tutt’altro che semplice e che il maschio che presenta uno o più sintomi riferibili a questa patologia debba rivolgersi ad uno specialista che possa guidarlo ad un adeguato iter diagnostico, al fine di inquadrare e riconoscere correttamente un disordine che ha una così importante influenza sulla salute del maschio.
Bibliografia di riferimento
Bhasin S, Brito JP, Cunningham GR, Hayes FJ, Hodis HN, Matsumoto AM, Snyder PJ, Swerdloff RS, Wu FC, Yialamas MA. Testosterone Therapy in Men With Hypogonadism: An Endocrine Society Clinical Practice Guideline. J Clin Endocrinol Metab. 2018 May 1;103(5):1715-1744. doi: 10.1210/jc.2018-00229. PMID: 29562364.
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Sottoporsi a visita andrologica è un passaggio fondamentale per la prevenzione, diagnosi e trattamento dell’infertilità maschile. Durante la visita andrologica lo specialista andrologo, oltre ad un esame obiettivo dei genitali, raccoglierà tutte le informazioni riguardanti la storia clinica e lo stile di vita del paziente, in modo da valutare quei fattori che possono aver influito sulla sua salute riproduttiva. Tali fattori potrebbero, inoltre, influire sulla fertilità di coppia.
La correzione dello stile di vita rappresenta la base del trattamento dell’infertilità maschile. Dopo la visita andrologica il secondo step è l’esame del liquido seminale, o spermiogramma, che permette di ottenere informazioni utili sulla qualità degli spermatozoi e valutare eventuali trattamenti.
La parola al Dottor Emilio Italiano, Specialista Urologo, Andrologo, Consulente Sessuologo.
Il Ruolo Chiave dell’Andrologo
L’Esame Seminologico
Ricerca: scoperta una nuova arma anti-sterilità? Alcuni ricercatori dell’Università della California a San Diego potrebbero aver scoperto una nuova arma anti-sterilità. E’ quanto emerge dallo studio pubblicato sulla rivista dell’Accademia delle scienze degli Stati Uniti (Pnas). Utilizzando i dati relativi a più di 30 biopsie di testicoli umani, i ricercatori americani guidati da Miles Wilkinson sono riusciti a determinare le condizioni giuste per riuscire a coltivare i precursori degli spermatozoi.
Lo studio
Una tecnica sperimentale ha consentito di ottenere in provetta le cellule staminali degli spermatozoi, chiamate spermatogoni. Per riuscire a distinguere queste cellule dalle altre presenti nei testicoli, i ricercatori californiani hanno deciso di individuarle utilizzando una sorta di identikit molecolare. Ciò è possibile grazie alla tecnica che ricostruisce la sequenza della molecola di Rna di una singola cellula. Una volta isolati i precursori degli spermatozoi, i ricercatori li hanno fatti sviluppare in provetta per un periodo compreso fra due e quattro settimane, con l’aiuto di una tecnica che controlla il processo di specializzazione delle cellule e la loro sopravvivenza. I ricercatori hanno usato il fattore Akt che regola la moltiplicazione cellulare. In questo modo, sono riusciti a stimolare la coltura in provetta di questi spermatozoi immaturi, per 2-4 settimane.
La tecnica potrebbe permettere di risolvere i problemi che finora hanno reso difficile il traguardo di ottenere le cellule staminali degli spermatozoi. Si tratta di un primo risultato che potrebbe aprire la strada ad una nuova terapia contro l’infertilità maschile.
Cosa sono gli spermatogoni?
Gli spermatogoni, o cellule staminali spermatogoniche (Ssc), sono i precursori degli spermatozoi. “Sono il santo Graal della fertilità umana – ha commentato Carlo Alberto Redi, direttore del Laboratorio di Biologia dello Sviluppo dell’Università di Pavia.
“Tutti i tentativi fatti finora hanno cercato infatti di poter disporre delle staminali spermatogoniali, scontrandosi però con un problema tecnico, e cioè come isolare queste pochissime e rare cellule (spermatogoni) che nel testicolo assicurano una continua moltiplicazione, se il soggetto è fertile”. Gli spermatagoni – continua Redi – “sono cellule rarissime, perchè quando si moltiplicano vanno a cascata, e dunque difficilissime da isolare”.
Quindi, possiamo concludere che è stata scoperta una nuova arma anti-sterilità? “Il loro lavoro e’ interessante perché usa in modo originale una tecnica molto recente, per la prima volta per coltivare gli spermatogoni – conclude Redi – La strada che dalla provetta arriva a farli differenziare in spermatozoi funzionanti alla clinica e’ pero’ ancora molto lunga. Ma, se funziona, e’ una bella apertura”.