Tag: inseminazione intrauterina

Nella tecnica dell’inseminazione intrauterina l’ausilio del biologo consiste nel selezionare e concentrare gli spermatozoi “migliori”. Il compito del ginecologo è depositarli, mediante apposito catetere, all’interno dell’utero, nell’imminenza dell’ovulazione della donna.

In genere si preferisce sottoporre la donna a una stimolazione ovarica controllata, al fine di avere più follicoli ovulatori. Il razionale della tecnica è aumentare il numero degli spermatozoi nel sito della fecondazione, superando tra l’altro anche il “filtro meccanico” rappresentato dal muco della cervice uterina e ottimizzando il “timing” dell’incontro tra gli spermatozoi e le cellule uovo prodotte.

L’inseminazione intrauterina è ovviamente rivolta alle coppie in cui il partner maschile abbia un campione seminale idoneo e la partner femminile presenti tube pervie e presumibilmente funzionanti.

Dott.ssa Marilena Vento

Per tecniche di II e III livello si intendono le tecniche che prevedono il prelievo e la “manipolazione” dei gameti maschili e femminili.

La Fecondazione in Vitro e Trasferimento dell’embrione (FIVET) prevede, quasi sempre, un’induzione ormonale della crescita follicolare multipla e un monitoraggio ormonale ed ecografico per potere valutare l’efficacia della terapia e decidere il momento opportuno per eseguire il prelievo degli ovociti (pick-up). Quest’ultimo viene solitamente effettuato in sedazione e consiste in un’aspirazione ecoguidata del fluido follicolare. Una volta recuperati entrambi i gameti (ovocita e spermatozoo), posti in condizioni adeguate si incontrano all’esterno del corpo della donna per formare gli embrioni. Successivamente gli embrioni ottenuti (solitamente uno o due) vengono trasferiti nell’utero. Questa tecnica viene consigliata nei casi di: fattore tubarico (precedente chirurgia tubarica, anamnesi positiva per flogosi pelvica, ostruzione tubarica bilaterale); endometriosi di III o IV grado; seme crioconservato in relazione alla qualità seminale successiva allo scongelamento; fallimento dell’iter terapeutico di tecniche di I livello.

Nella Microiniezione Intracitoplasmatica dello Spermatozoo (ICSI) a differenza della FIVET la fecondazione avviene con l’iniezione di un singolo spermatozoo all’interno del citoplasma ovocitario. La ICSI trova indicazione nei casi di: infertilità maschile di grado severo; azoospermia ostruttiva dopo avere effettuato il prelievo degli spermatozoi dal testicolo o epididimo mediante tecniche chirurgiche (PESA, TESE, MESA); mancata o ridotta fertilizzazione in precedenti cicli di FIVET; ovociti scongelati; ridotto numero di ovociti.

Anche per le metodiche eterologhe potremo avere delle tecniche di I livello (inseminazione intra-uterina con seme- donazione) e di II livello (FIVET/ICSI con ovo-donazione, con seme-donazione o con entrambi nel qual caso si parla di doppia eterologa). Nei casi di donazione dei gameti femminili non è necessario sottoporsi a terapie ormonali di crescita follicolare multipla indispensabili in quasi tutti gli altri casi.

Dott. Alessandro Giuffrida

Nonostante la prima gravidanza ottenuta mediante il ricorso a tecniche di fecondazione in vitro sia stata eseguita prelevando la cellula uovo da un ciclo ovulatorio spontaneo, allora fu subito chiaro che uno dei punti chiave del successo della tecnica sarebbe stato legato all’elaborazione di adeguati protocolli di stimolazione ormonale necessari per ottenere un numero maggiore di ovociti maturi.
Pochi anni dopo, infatti, fu confermata l’efficacia delle gonadotropine (ormone follicolo stimolante FSH e ormone luteinizzante LH) per la Procreazione Medicalmente Assistita. Tali ormoni, inducendo un’ovulazione multipla, ovvero la maturazione di più ovociti, consentivano il trasferimento di un maggior numero di embrioni aumentando in tal modo le probabilità di successo della tecnica.
La prima gravidanza ottenuta in un ciclo “superstimolato” risale al 1980 e, da allora, l’induzione della crescita follicolare multipla è divenuta una tappa fondamentale dei cicli di procreazione medicalmente assistita.

 

Le dosi di gonadotropine per la Procreazione Medicalmente Assistita variano in base alla paziente

Dal 1980 ai nostri giorni molte cose sono cambiate in merito a tutto ciò che ruota intorno alla PMA. Ci riferiamo in questo senso sia alla purezza delle preparazioni farmacologiche, con relativo aumento dose/efficacia, sia all’elaborazione di protocolli di stimolazione ovarica “personalizzati” sulla base di specifici parametri.
Il primo fattore da prendere in considerazione è l’età della paziente. È noto, infatti, che dopo i 38 anni la donna abbia un calo della sua “performance riproduttiva” legato a una diminuzione fisiologica della sua riserva ovarica. In questi casi è importante sottolineare che, oltre a una ridotta risposta, intesa come numero di ovociti recuperabili dopo la stimolazione ormonale, abbiamo anche una ridotta qualità ovocitaria.
Ragionando in termini numerici, proprio per rafforzare il concetto, possiamo affermare che se una donna di 30 anni ha soltanto 1/3 del suo patrimonio ovocitario costituito da cellule uovo non idonee alla fecondazione, in una donna di 40 anni il numero di ovociti “compromessi” è almeno del 50%.
In forza di queste premesse le donne di età biologicamente avanzata sono, in linea di massima, sottoposte a protocolli di stimolazione ovarica con dosi maggiori di gonadotropine per la procreazione medicalmente assistita.

 

Vanno presi in considerazione anche i marcatori della riserva ovarica

L’età non è però il solo fattore che il ginecologo valuterà; esistono i cosiddetti “markers” della riserva ovarica, come il dosaggio dell’FSH al terzo giorno del ciclo della paziente unitamente alla conta ecografica dei follicoli antrali (quelli che risentono della stimolazione con gonadotropine) e il dosaggio dell’ormone antimulleriano (una sorta di marcatore dell’età ovarica), che può invece essere eseguito in qualunque momento del ciclo ovulatorio.
Il ginecologo mette insieme questi dati come le tessere di un puzzle al fine di elaborare il protocollo di stimolazione più adeguato, ovvero le giuste dosi di gonadotropine per la Procreazione Medicalmente Assistita da somministrare alla paziente.
Sulla base di tali criteri predittivi le pazienti vengono classificate come Normo-responder, Poor-responder e Hyper-responder.
La conoscenza della riserva ovarica, dunque, è uno strumento che consente di “personalizzare” il protocollo di stimolazione per le pazienti che accedono a un percorso di PMA.

Dott. Placido Borzì

Le metodiche di I livello comprendono:

  1. il monitoraggio ecografico dell’ovulazione
  2. l’induzione della crescita follicolare multipla con rapporti mirati
  3. l’inseminazione intrauterina.

Il monitoraggio ecografico consiste in una serie di ecografie ripetute a giorni alterni per verificare la crescita del follicolo e successivamente l’avvenuta ovulazione. Consente di unire tempo diagnostico e terapeutico perché valutando il momento dell’ovulazione consente un corretto timing dei rapporti.

Nei casi di assenza di ovulazione è possibile ricorrere ad una terapia ormonale per avere il controllo della crescita follicolare, sempre monitorata per via ecografica, ed indurre farmacologicamente l’ovulazione.

Nell’inseminazione intrauterina, il liquido seminale prodotto dal partner viene “preparato” in laboratorio in modo da selezionare solo la quota di spermatozoi con regolare morfologia e motilità e poi introdotto tramite un sottile catetere all’interno della cavità uterina.

E’ consigliata in tutti i casi di sterilità inspiegata; nei casi di infertilità maschile di grado lieve-moderato; nei casi di ripetuti insuccessi di induzione della gravidanza con stimolazione dell’ovulazione e rapporti mirati con monitoraggio ecografico dell’ovulazione; nei casi di patologie sessuali nelle quali sia difficile o impossibile avere un rapporto sessuale completo; infine anche in presenza di endometriosi minima o moderata (ovviamente solo nei casi in cui almeno una tuba sia pervia).

Dott. Alessandro Giuffrida

Che tipo di supporto psicologico può essere indicato dopo la nascita di un bambino nato grazie a una delle tecniche di procreazione medicalmente assistita? Come spiegare al figlio la sua storia?

 

La coppia che riesce con successo ad avere un figlio grazie all’aiuto delle tecniche di PMA difficilmente si pone il quesito su cosa dire al proprio figlio rispetto alla storia procreativa. Tuttavia capita che alcune coppie chiedano aiuto a uno psicologo per capire cosa dire al figlio nato da tecniche di PMA rispetto alla sua origine. Il problema sotteso a tale quesito è rappresentato dal segreto, non dal suo contenuto. Come ricorda Winnicott: “I bambini non chiedono che venga loro risparmiata la verità, qualunque essa sia, ma che gli venga consegnata con tatto e onestà”.

 

Cosa dire al figlio nato da tecniche di PMA? Solo la verità espressa con delicatezza e modi idonei alla sua età

“Mamma e papà ti hanno desiderato talmente tanto che, visto che tardavi ad arrivare, hanno chiesto aiuto a un dottore perché aiutasse i due semini, della mamma e del papà, a incontrarsi e a restare insieme, perché tu potessi crescere nella pancia della mamma per poi nascere e farti abbracciare anche dal papà”. Si tratta di una storia del tutto naturale, che non si discosta tanto dal suo iter fisiologico e del tutto semplice ed esaustiva da raccontare a un bambino.

 

Per molte coppie cosa dire al figlio nato da tecniche di PMA nasconde quesiti più complessi

Tuttavia, capita che alcune coppie che hanno avuto un figlio grazie ad aiuti esterni, si pongono alcuni quesiti rispetto a cosa dire al figlio nato da tecniche di PMA: “Cosa diremo a nostro figlio?”. Una domanda del genere potrebbe, tuttavia, nascondere questioni diverse, più personali, relative alla storia della coppia stessa. Dietro a ogni singola storia dell’individuo c’è un “mandato” generazionale inconsapevole, ossia delle aspettative di solito trasmesse dalla propria famiglia di origine sul ruolo che quell’individuo avrà nella storia familiare. Se si instaura un “gap” tra le aspettative implicite degli altri familiari e quello che l’individuo riesce a realizzare, si insinua nella persona una dissonanza emotiva che non le consente di godere appieno di quello che invece è stata capace di realizzare. Compito del clinico è interessarsi con rispetto ai quesiti che pongono le persone e saperle guidare a ritrovarsi all’interno di un percorso per alcuni versi divergente rispetto a quello atteso.

 

Situazione più complessa è spiegare al proprio figlio che è nato grazie all’eterologa

Questione del tutto diversa è quella che pone una coppia che ha fatto ricorso a una fecondazione eterologa. Qui il quesito su “cosa dire al figlio nato da tecniche di PMA” o meglio da eterologa, si affaccia abbastanza precocemente nella coppia, fin dalle prime fasi decisive rispetto al percorso da intraprendere. Anche in questo caso non ci sono risposte identiche per tutti, la risposta va costruita insieme alla singola coppia rispettando quella che è la storia familiare che la coppia si porta dietro. Il clinico deve intercettare il significato che rappresenterebbe per quella coppia avere un figlio con l’aiuto di un gamete esterno alla coppia stessa.

 

Occhio a “risposte facili” trovate sul web: ognuno ha la sua storia e necessita di risposte diverse

Spesso il web spinge le persone a ricercare risposte immediate a ogni singolo problema. Nell’ambito delle questioni psicologiche, soprattutto, bisogna diffidare da risposte predefinite. “Quello che è meglio per me potrebbe non essere buono per te”. Il ruolo dello psicologo è quello di saper ascoltare con orecchio esperto cosa gli sta chiedendo veramente quella coppia ed aiutarla a costruire insieme una risposta, la più personale possibile.

Dott.ssa Angela Petrozzi

Le pazienti sottoposte alle procedure di stimolazione ovarica possono essere definite pazienti poor responder e hyper responder.

 

Le possibilità di successo delle diverse procedure di stimolazione ovarica variano in base all’età e alle caratteristiche delle singole pazienti.

 

Una ridotta risposta al protocollo di stimolazione: le poor responder

Si definiscono pazienti poor responder coloro che hanno appunto una ridotta risposta al protocollo di stimolazione ovarica e dunque con una riserva ovarica ridotta.
Si tratta di uno dei problemi maggiori nelle procedure di procreazione medicalmente assistita, in quanto la scarsa risposta sembra rappresentare un fattore prognostico sfavorevole per cicli successivi abbassando notevolmente la possibilità di concepimento. Va sottolineato che i criteri d’identificazione di scarsa risposta ovarica non sono uniformi: nella maggior parte dei casi le poor responder vengono identificate in base al numero dei follicoli pre ovulatori reclutati o sul numero di ovociti prelevati. Non c’è però consenso sul numero soglia: si va da 2 a 5 per i follicoli e da 3 a 5 per gli ovociti.

 

Alto numero di follicoli prodotti: le hyper-responder rischiano l’iperstimolazione ovarica

Esiste poi un gruppo diverso di pazienti definite hyper-responder, che producono un alto numero di follicoli anche con basse dosi di gonadotropine e richiedono, pertanto, una gestione più attenta al fine di evitare il rischio d’incorrere in una vera e propria patologia definita sindrome da iperstimolazione ovarica (ovarian hyperstimulation syndrome – OHSS). Si tratta di una patologia causata dai farmaci utilizzati per indurre l’ovulazione. Va però altresì chiarito che la sindrome non è una necessaria conseguenza della terapia di stimolazione ovarica, si tratta anzi di un’evenienza eccezionale, e che può essere prevenuta riducendo le stimolazioni dell’ovaio con dosaggi delle gonadotropine più bassi di quelli abituali.

Dott. Placido Borzì

Come si dividono le tecniche di PMA e cosa si intende per Inseminazione intrauterina omologa?

Le tecniche di Pma si dividono in tecniche di I, II e III livello. Del primo livello fa parte l’inseminazione intrauterina, nel secondo livello rientrano le tecniche di Fivet e ICSI e per il terzo livello intendiamo procedure quali la TESE o TESA e cioè tecniche che ci permettono di prelevare gli spermatozoi a livello dei testicoli in caso di azoospermia (mancanza di spermatozoi).

Per AIH (Inseminazione intrauterina omologa) si intende una tecnica di semplice esecuzione e soprattutto poco invasiva per la paziente. Tale metodica permette la deposizione di liquido seminale, opportunamente trattato, nell’utero della donna con lo scopo di avvicinare i due gameti. La tecnica dell’Inseminazione intrauterina omologa viene eseguita in caso di liquido seminale normale o con lieve compromissione della motilità e del numero; buona funzionalità delle tube e problemi di natura ovulatoria.

Tale trattamento comporta, per lo più, una moderata stimolazione farmacologica per la crescita di uno o due follicoli (per evitare gravidanze multiple) e controlli ecografici e ormonali per individuare il preciso momento dell’ovulazione. In coincidenza di tale evento, il partner maschile produrrà il campione di seme che, dopo opportuna preparazione verrà introdotto, tramite piccoli cateteri, nell’utero della donna.

Dott. Fulvio Cappiello

Quali sono i fattori di successo della Inseminazione Intrauterina? Perché?

La IUI (Inseminazione Intrauterina) prevede il trattamento del liquido seminale e la sua deposizione all’interno della cavità uterina. La scelta della metodica è condizionata da:

  • presenza di pervietà e buona funzionalità tubarica
  • assenza di patologie intracavitarie
  • un numero adeguato di spermatozoi.

La probabilità di successo varia: intorno al 10-15% se l’aspirante madre ha meno di 40 anni, al 5% massimo oltre i 40 anni. È evidente che l’età della donna è un fattore dirimente. Per aumentare le probabilità di successo della Inseminazione Intrauterina è fondamentale individuare correttamente il periodo finestra dell’ovulazione, con l’ovocita vitale e fertilizzabile: inutile tentare una IUI a follicolo scoppiato, quindi a ovulazione avvenuta. Inoltre, dalla letteratura scientifica emerge che la probabilità di successo della Inseminazione Intrauterina aumenta progressivamente e raggiunge il plateau entro il 4° ciclo di trattamento, per poi rimanere invariata per i cicli successivi: è perciò inutile tentare più di 4 cicli.

Dott. Maurizio Cignitti

Lo scorso 2 marzo si è svolto a Milano, l’incontro “Esperienze di Procreazione Medico Assistita in Lombardia”, evento sponsorizzato dall’azienda farmaceutica Ferring.

L’obiettivo dell’incontro, che ha visto la partecipazione della maggior parte dei Centri di Procreazione Medico Assistita presenti in Lombardia, era quello di analizzare, valutare e discutere le esperienze di PMA compiute dai vari centri, esaminando nello specifico dei casi clinici reali. L’evento ha quindi consentito non solo la presentazione delle principali tecniche di PMA, ma anche la discussione sulle loro indicazioni, risultati e complicanze.

Il seminario è stato introdotto dal Prof. Guido Ragni, Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, che oggi abbiamo il piacere di intervistare. Ci piacerebbe approfondire il tema dalla Inseminazione Intrauterina.

1. Buongiorno Dott. Ragni, la ringraziamo per la sua disponibilità a parlarci di Inseminazione Intrauterina. Iniziamo subito col chiederle in che cosa consiste la tecnica dell’inseminazione intrauterina, in particolare le chiederei di spiegarci come avviene, cosa deve fare la coppia per prepararsi all’inseminazione.

La procedura di inseminazione intrauterina è la più semplice tra le procedure di Procreazione Medico Assistita ed è quella che più si avvicina al normale processo di fecondazione in quanto la fecondazione stessa avviene in vivo, cioè nel corpo della donna.

La procedura prevede essenzialmente 3 momenti:

– il primo momento è una blanda stimolazione ormonale che viene eseguita per essere certi dell’ovulazione ed avere anche la certezza di praticare l’inseminazione nel giorno giusto in quanto l’ovulazione verrà monitorata con 3-4 ecografie vaginali nel corso del ciclo. La stimolazione deve essere, come ho detto, molto limitata, blanda,con l’obiettivo di evitare la crescita di più follicoli e questo naturalmente per evitare gravidanze multiple;

– il secondo momento è la preparazione del liquido seminale che consiste nel selezionare in laboratorio gli spermatozoi più mobili. Quindi gli spermatozoi non vengono manipolati ma semplicemente separati. Questi spermatozoi saranno quelli che vengono successivamente inseminati, ovvero inseriti in utero.

– Il terzo ed ultimo momento è per l’appunto l’inseminazione nell’utero con un sottile catetere attraverso il collo dell’utero stesso, degli spermatozoi preparati. La procedura è assolutamente indolore, ambulatoriale, la paziente rimane qualche minuto sul lettino e poi può successivamente praticare la sua normale attività giornaliera.

2. Secondo i dati raccolti, quante coppie riescono ad avere un bimbo grazie ad interventi di primo livello come la IUI?

Nei 300 centri italiani che praticano circa 30.000 cicli di inseminazione ogni anno, i risultati dal 2005 in poi fino al 2011 sono sempre stati molto stabili. Il 10% per ciclo. Attenzione però, per leggere correttamente questo risultato è necessario rapportare la percentuale di successo all’età della donna. Dal 2005 in poi, l’età media della donna è stata di 35 anni con il 20% quindi 2 donne su 10 oltre i 40 anni. I risultati oltre i 40 anni si dimezzano, non più il 10% per ciclo ma solo il 5% per ciclo, mentre intorno ai 30 anni i risultati sono tra il 15% e il 20% per ciclo. Se confrontiamo questi dati a quanto avviene normalmente in una coppia fertile, vediamo che i risultati non sono molto dissimili. Infatti la razza umana ha un indice di fecondità per ciclo molto basso, e solo del 22-23% in una coppia fertile con donna di 20-25 anni, e in una donna di 35 anni scende al 15%, quindi non molto lontana dal 10% che si ottiene con l’inseminazione in donne di pari età.

3. Durante l’evento tenutosi il 2 marzo presso la Mangiagalli e promosso dall’azienda farmaceutica Ferring, si è acceso un vivace dibattito sull’efficacia della IUI poiché i dati relativi al successo di questa pratica sono molto bassi. Perchè secondo Lei, da cosa dipendono gli alti numeri di insuccesso?

La maggior parte di insuccessi dipende essenzialmente da due fattori:

– il primo è dovuto a quanto detto prima, l’età; l’età della donna è estremamente importante, eseguire l’inseminazione in una donna di oltre 40, 42 anni significa andare incontro ad un alto numero di insuccessi;

– il secondo fattore fondamentale è una corretta indicazione: 3 sono infatti le indicazioni nelle quali l’inseminazione può avere il massimo dei risultati: la prima è l’infertilità maschile. Voglio sottolineare che inseminare meno di 3 milioni di spermatozoi mobili espone ad un quasi sicuro insuccesso; secondo, l’infertilità causa sconosciuta, vale a dire quando tutti gli esami sulla coppia sono normali e dopo un anno non si sia ancora ottenuta la gravidanza; terza indicazione, difficoltà ovulatoria della donna con conseguente difficoltà ad avere rapporti nella cosiddetta finestra fertile del ciclo.

4. Ma secondo lei, è sempre necessario per le coppie tentare la IUI o forse non sarebbe meglio passare direttamente a pratiche di secondo livello?

Io credo che nelle corrette indicazioni sia utile eseguire una inseminazione intrauterina, anche per seguire, credo, la gradualità di terapia, dalla più semplice alla più complicata come la fecondazione in vitro, gradualità voluta anche dalla legge 40/2004 sulla procreazione medica assistita.

5. Dopo quanti tentativi di IUI si può accedere alle tecniche di secondo livello?

Sempre la legge 40 permette l’esecuzione fino ad un massimo di 6 inseminazione intrauterine. Credo però sinceramente, che in maniera ragionevole non sia utile eseguirne più di 3, in quanto a differenza della fertilizzazione in vitro, i risultati diminuiscono sensibilmente dalla prima alla terza inseminazione e sono praticamente ridotti dopo la terza.