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Calano ancora le nascite in Italia, dove si registra un altro record negativo nei primi sei mesi del 2022.

I nuovi nati sono stati 393mila, in calo dell’1,7% rispetto al 2021. Il Rapporto Istat ‘Natalità e fecondità della popolazione residente – Anno 2022’ conferma il trend discendente italiano, che vede il tasso di fecondità (numero di figli per donna) passare dall’1,25 del 2021 a 1,24.
Inoltre, in base ai primi dati provvisori relativi all’anno in corso, a gennaio-giugno 2023 le nascite sono state circa 3.500 in meno rispetto allo stesso periodo del 2022.
La fecondità stimata è pari a 1,22 figli per donna, molto al di sotto della soglia di sostituzione della popolazione, necessaria a compensare le morti, pari a 2,1. Dal 2010, quando si è toccato il massimo relativo degli ultimi vent’anni a 1,44 figli per donna, il trend è sempre stato in discesa. La riduzione medio-annua registrata è di circa 13mila unità – pari al 2,7% e ad oggi si rilevano oltre 183mila nascite in meno rispetto al 2008, ovvero un calo del 31,8%.

Le cause

Tra i motivi per il calo delle nascite segnalati dall’Istat c’è il fatto che la popolazione femminile in età riproduttiva (tra i 15 e 49 anni, secondo convenzione) è meno numerosa di prima. Infatti, in questa fascia di popolazione le donne scontano l’effetto del ‘baby-bust’, la fase di continua riduzione della fecondità del ventennio 1976-1995, che ha portato al minimo storico di 1,19 figli per donna nel 1995.

Ci sono poi motivi economici:

• l’allungarsi dei tempi di formazione
• le difficoltà a trovare un lavoro stabile
• la bassa crescita economica
• il problema della casa

Se a inizio millennio questi fattori incidevano soprattutto nella decisione di ‘mettere in cantiere’ un secondo figlio, oggi frenano a monte la decisione di fare il primo. Tuttavia, nel 2022 quasi un nato su due è primogenito (il 48,9% del totale dei nati, 6mila in più, il +3,2% sul 2021). I figli successivi al primo diminuiscono invece del 6,1% nell’ultimo anno.

Un altro fattore importante è l’attenuarsi dell’apporto fornito dalla popolazione straniera. In ogni caso, la diminuzione dei nati è attribuibile per la quasi totalità al calo delle nascite da coppie di genitori entrambi italiani (311.117 nel 2022, quasi 169mila in meno rispetto al 2008).

Le differenze geografiche

A livello geografico, nel Nord, dove il numero dei nati negli anni Duemila era aumentato, i livelli di fecondità continuano a scendere, mentre il Mezzogiorno registra un lieve aumento, dovuto a un recupero rispetto al periodo pandemico.
Nello specifico:

• il Centro presenta la fecondità più bassa, pari a 1,16 figli per donna, in calo rispetto al 2021 (1,19)
• il Nord-est registra la fecondità più alta, 1,29 figli per donna
• il Nord-ovest si attesta a 1,24 figli per donna
• il Nord nel suo complesso ha una fecondità pari a 1,26 (1,28 nel 2021)
• il Mezzogiorno rileva un livello di fecondità di 1,26 figli per donna (1,25 nel 2021)
• la Provincia autonoma di Bolzano/Bozen hail massimo valore di fecondità (1,65), seguita dalla Provincia autonoma di Trento con 1,37
• al Sud i valori massimi sono in Sicilia (1,35) e in Campania (1,33)
• la Sardegna ha il record negativo (0,95), in ulteriore calo sul 2021 (0,99).

Le nascite da genitori stranieri diminuiscono

Il tasso di fecondità nel 2022 accorpa il ‘contributo’ italiano e quello straniero. Per le sole donne italiane infatti la cifra si ferma a 1,18 – era 1,33 nel 2010 – mentre per le straniere è pari a 1,87. Se consideriamo che nel 2006 la fecondità delle straniere era pari a 2,79 figli per donna, è evidente che negli ultimi anni si è attenuato l’apporto della popolazione ‘non italiana’ alle nascite, a causa dei processi di integrazione e dell’adeguamento agli stili di vita del Paese.

In base ai dati Istat, i nati da genitori in cui almeno uno dei due sia straniero continuano a diminuire nel 2022, attestandosi al 20,9% del totale dei nati. I nati da genitori entrambi stranieri sono 53.079 (26.815 in meno sul 2012), il 13,5% del totale.

Aumentano i figli nati fuori dal matrimonio

Un altro elemento su cui si sofferma il report dell’Istat è l’aumento dei figli nati fuori dal matrimonio, dovuto al cambio di valori culturali per cui per le coppie più giovani il matrimonio non è più come una volta un passaggio obbligato. Lo conferma sempre l’Istat, i cui dati parlano di una diminuzione delle unioni, specialmente religiose: -2% rispetto al 2019.

Dall’inizio del millennio, sottolinea l’Istat, la quota di nati fuori dal matrimonio è costantemente aumentata, guadagnando 33 punti percentuali.
I figli ‘more uxorio’ sono 163.317 (+3,5mila sul 2021, quasi 50mila in più sul 2008), pari al 41,5% del totale, di cui il 35% con genitori che non sono mai stati coniugati e il 6,5% da coppie in cui almeno un genitore proviene da una precedente esperienza matrimoniale.

FONTE: ADNKRONOS

Gli ultimi dati ISTAT parlano chiaro: è nuovo record di denatalità in Italia. Inoltre, la pandemia ha accentuato il calo dei nati, che continua anche nel 2021.

Nel 2020 i nati sono 404.892 (-15 mila sul 2019). Il calo (-2,5% nei primi 10 mesi dell’anno) si è accentuato a novembre (-8,3% rispetto allo stesso mese del 2019) e dicembre (-10,7%), mesi in cui si cominciano a contare le nascite concepite all’inizio dell’ondata epidemica.

La denatalità prosegue nel 2021. Secondo i dati provvisori di gennaio-settembre le minori nascite sono già 12 mila 500, quasi il doppio di quanto osservato nello stesso periodo del 2020. Il numero medio di figli per donna scende nel 2020 a 1,24 per il complesso delle residenti, da 1,44 negli anni 2008-2010, anni di massimo relativo della fecondità.

Questo è quanto emerge dal Report Natalità 2020 dell’Istituto Nazionale di Statistica.

  • 1,17 è il numero medio di figli delle donne di cittadinanza italiana, il più basso di sempre
  • 31,4 anni è l’età media alla nascita del primo figlio
  • 47,5% è la percentuale di primi figli, 8 mila in meno in un solo anno, -4,1% rispetto al 2019
La popolazione femminile in età feconda si è modificata

Si tratta di un fenomeno di rilievo, in parte dovuto agli effetti “strutturali” indotti dalle significative modificazioni della popolazione femminile in età feconda, convenzionalmente fissata tra 15 e 49 anni. In questa fascia di popolazione le donne italiane sono sempre meno numerose: da un lato, le cosiddette baby-boomers (ovvero le donne nate tra la seconda metà degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta) stanno uscendo dalla fase riproduttiva (o si stanno avviando a concluderla); dall’altro, le generazioni più giovani sono sempre meno consistenti. Queste ultime scontano, infatti, l’effetto del cosiddetto baby-bust, ovvero la fase di forte calo della fecondità del ventennio 1976-1995, che ha portato al minimo storico di 1,19 figli per donna nel 1995.

8 mila primi figli in meno in un anno

La fase di calo della natalità avviatasi nel 2008 si ripercuote soprattutto sui primi figli (47,5% del totale dei nati): nel 2020 sono 192.142 (oltre 8 mila in meno sul 2019, pari a -4,1%; -32,5% sul 2008).

La forte contrazione dei primi figli rispetto al 2008 interessa tutte le aree del Paese. Tale fenomeno testimonia la difficoltà che hanno le coppie, soprattutto le più giovani, nel formare una nuova famiglia con figli. Questa problematica è diversa rispetto all’inizio del millennio, quando la criticità riguardava soprattutto il passaggio dal primo al secondo figlio.

Tra le cause del calo dei primi figli vi è la prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine. A sua volta, questa è dovuta a molteplici fattori: il protrarsi dei tempi della formazione, le difficoltà che incontrano i giovani nell’ingresso nel mondo del lavoro e la diffusa instabilità del lavoro stesso, le difficoltà di accesso al mercato delle abitazioni, una tendenza di lungo periodo di bassa crescita economica, oltre ad altri possibili fattori di natura culturale.

Forte impatto della pandemia sulle nascite

Il forte calo dei nati a gennaio 2021, tra i più ampi mai registrati, dopo quello già marcato degli ultimi due mesi del 2020, lascia pochi dubbi sul ruolo svolto dall’epidemia. Il crollo delle nascite tra dicembre e febbraio, riferibile ai mancati concepimenti della prima ondata pandemica, poteva essere dovuto al posticipo di pochi mesi dei piani di genitorialità. Tuttavia, dai primi dati disponibili, tale diminuzione sembra l’indizio di una tendenza più duratura in cui il ritardo è persistente o, comunque, tale da portare all’abbandono nel breve termine della scelta riproduttiva.

Posticipano la maternità soprattutto le donne più giovani

L’evoluzione della natalità è fortemente condizionata dalle variazioni nella cadenza delle nascite rispetto all’età delle madri. In questo scenario è interessante osservare come abbia agito la crisi sulle scelte riproduttive di una popolazione che diventa genitore sempre più tardi. A livello nazionale, nel periodo gennaio-ottobre 2020 la contrazione dei nati riguarda soprattutto le giovanissime (-5,6% per le donne fino a 24 anni) ed esclude solo le età più avanzate, che presentano invece un aumento (+7,1% nella classe di età 45 e oltre).

Le fasce di età più giovani sono le uniche a mostrare un rinvio della maternità, facendo evidenziare variazioni sempre negative in tutto il periodo considerato.

La fecondità delle cittadine italiane è al minimo storico

Il record di denatalità in Italia è confermato anche dai dati che seguono. Nel 2020 le donne residenti in Italia tra 15 e 49 anni hanno in media 1,24 figli (1,27 nel 2019), accentuando la diminuzione in atto dal 2010, anno in cui si è registrato il massimo relativo di 1,44. Per trovare livelli di fecondità così bassi per il complesso delle donne residenti bisogna tornare indietro ai primi anni Duemila.

 

Fonte: ISTAT – NATALITÀ E FECONDITÀ DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE | ANN0 2020. Disponibile al link: https://www.istat.it/it/files//2021/12/REPORT-NATALITA-2020.pdf 

Dal baby boom al baby flop: Fondazione Onda, Osservatorio Nazionale sulla salute della donna e di genere, e Farmindustria hanno presentato il Libro Bianco “La salute della donna – La sfida della denatalità”, giunto alla settima edizione.

La voce degli esperti

La voce degli esperti sembra essere unanime: “In poco più di 50 anni siamo passati dal baby boom degli anni ’60 al baby flop dei nostri giorni”, commentano alcuni, altri parlano di “inverno demografico”. In effetti, nel nostro Paese la popolazione continua a invecchiare e si fanno sempre meno figli. Di conseguenza, si sta ridisegnando anche l’idea stessa di famiglia: tre quinti dei bambini non avranno fratelli, cugini e zii; solo genitori, nonni e bisnonni. 

I dati ISTAT

Secondo i dati ISTAT, nel 2019 in Italia le nascite risultano decisamente inferiori ai decessi: sono 435 mila i nuovi nati contro 647 mila deceduti, con un nuovo record negativo, –4,5% rispetto al 2018. Inoltre, a causa dell’emergenza sanitaria Covid-19 le nascite potrebbero calare ulteriormente di oltre 10 mila unità.

Al 1° gennaio 2020, l’Istat stima che la popolazione italiana sia di circa 60 milioni, 116 mila in meno rispetto all’anno precedente. Le nascite risultano decisamente inferiori ai decessi. Infatti, sono 435 mila contro 647 mila, dato che segna un nuovo record negativo (-4,5%) con una diminuzione di 20 mila unità rispetto all’anno precedente. “Inverno demografico”, come lo definiscono alcuni sociologi; la popolazione continua a invecchiare e fa sempre meno figli.  Questo vuol dire che si sta ridisegnando l’idea di famiglia: tre quinti dei bambini non avranno fratelli, cugini e zii; solo genitori, nonni e bisnonni.

Il Libro Bianco di Fondazione Onda

Questi sono alcuni degli aspetti evidenziati nel Libro bianco “La salute della donna – La sfida della denatalità”, realizzato da Fondazione Onda, Osservatorio Nazionale sulla salute della donna e di genere, grazie al supporto di Farmindustria. “Questa settima edizione del Libro Bianco è dedicata alla denatalità, una delle più importanti e urgenti sfide che il nostro Paese deve affrontare, resa ancora più complessa dal Covid-19”, commenta Francesca Merzagora, Presidente Fondazione Onda.

Nuovo record di minor numero di nati

Già oggi, per 100 bambini di età inferiore ai 15 anni ci sono 161 over 64 e tra vent’anni il rapporto sarà di 100 a 265. L’Italia è il secondo Paese più vecchio al mondo. Aumenta poi l’età media delle madri al parto: 32 anni. Il numero di figli per donna (il tasso di fecondità), invece, rimane costante, pari a 1,29. Il numero di figli desiderato è due, ciò evidenzia un significativo divario tra quanto si vorrebbe e quanto si riesce a realizzare. Infatti, ben il 46% degli Italiani che desidera una famiglia vorrebbe due figli, il 21,9% tre o più, mentre solo il 5,5% vorrebbe avere solo un figlio.

“Purtroppo”, afferma Gian Carlo Blangiardo, Presidente ISTAT, “il 2019 ha messo in luce, per il settimo anno consecutivo, un nuovo superamento, al ribasso, del record di minor numero di nati mai registrato: si tratta del più basso livello di ricambio naturale mai espresso dal Paese dal 1918. La natalità italiana, già bassa, potrebbe subire un calo ulteriore a causa di Covid-19. Una recente simulazione ha infatti evidenziato un calo delle nascite nell’ordine superiore alle 10 mila unità”.

Dal baby boom al baby flop

“L’Italia è tra i paesi che fa meno figli al mondo, meno anche rispetto agli anni della Prima e Seconda guerra mondiale”, sottolinea Fabio Mosca, Presidente Società Italiana di Neonatologia. “In poco più di 50 anni siamo passati dal baby boom degli anni ’60 al baby flop dei nostri giorni. Una questione non solo demografica, ma principalmente sociale ed economica causata dalla mancanza di politiche organiche e continuative di sostegno alla famiglia e alle donne-madri, per anni sottovalutata. Con il Family Act del 2020 è stato finalmente compiuto il primo passo concreto per sostenere la genitorialità e mettere la famiglia al centro del futuro del nostro Paese”.

Come conciliare famiglia e lavoro?

L’effetto più negativo del calo delle nascite sulla società italiana non è tanto la diminuzione della popolazione complessiva quanto il suo progressivo invecchiamento. Ciò produce una quota insufficiente di nuovi lavoratori. Inoltre, sono circa 10 milioni le donne costrette a rinunciare al lavoro o che perdono il lavoro a causa di problematiche di conciliazione famiglia-lavoro. Non a caso l’Italia figura tra gli ultimi Paesi europei per numero di donne occupate.

“Le donne sono scoraggiate”, continua Mosca, “perché è difficile conciliare i tempi di vita e lavoro e per questo talvolta rinunciano ad allattare e spesso ad avere un secondo figlio. La scelta di avere uno o più figli non dipende solo dalla condizione economica ma principalmente dal livello di benessere, cioè dalla qualità della vita. Ormai è un dato di fatto: a bassi tassi di occupazione femminile corrispondono bassi tassi di fecondità”. In Italia, infatti, solo il 48,9% delle donne in età fertile lavora, contro una media del 62,4% dell’Unione europea.

Pari opportunità

Nell’ambito delle pari opportunità le imprese del farmaco rappresentano una best practice. Il 42% dei lavoratori è rappresentato da donne, una netta maggioranza rispetto al 29% negli altri settori dell’industria. Spesso, le donne rivestono ruoli importanti: sono il 40% dei dirigenti e quadri, mentre negli altri settori non superano il 17%. Nell’area della ricerca, poi, sono la maggioranza, con il 52% degli addetti. Inoltre, le aziende del settore farmaceutico, ispirandosi al concetto di sviluppo sostenibile, hanno introdotto diverse pratiche di welfare. Un’attenzione particolare viene dedicata alla conciliazione vita-lavoro e al benessere dei dipendenti e dei loro familiari.

“La forte presenza femminile e la forte attenzione alle persone fanno sì che da anni nelle imprese del farmaco le pari opportunità siano una realtà”, conclude Massimo Scaccabarozzi, Presidente Farmindustria. “Dati Istat mostrano che la farmaceutica è il settore con la più alta quota di imprese che adottano misure concrete per pari opportunità, diversity, inclusion, conciliazione vita-lavoro e sostegno della genitorialità. Grazie a questo il settore ha una produttività più alta del totale dell’economia che si accompagna a un maggiore numero di figli rispetto alla media nazionale”.

Dal baby boom al baby flop, dunque: la tendenza della denatalità in Italia sembra proprio lontana da un’inversione di tendenza.