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Mi chiamo Giulia, ho 35 anni. Ho una carriera ben avviata e promettente, una rete di solide amicizie, viaggio spesso per lavoro e per piacere. Finora non mi sono sentita pronta per diventare mamma, ho investito molto nella mia professione ma, soprattutto, non ho ancora incontrato la “persona giusta” con cui costruire una famiglia. Non escludo di diventare mamma in futuro, ma inizio a pensare che forse potrebbe essere già troppo tardi, alla mia età le probabilità di concepire un figlio iniziano a diminuire. Ne ho parlato con le mie amiche e una mi ha chiesto se non ho mai pensato alla crioconservazione degli ovociti, il cosiddetto social freezing.”

Per capire meglio in cosa consiste il social freezing ne abbiamo parlato con il Dottor Fulvio Cappiello, ginecologo, responsabile del Centro di Procreazione Medicalmente Assistita – Gametica Clinica Mediterranea di Napoli.

Cos’è il social freezing?

Per social freezing intendiamo il congelamento volontario da parte di una donna dei propri ovociti.

È una tecnica di crioconservazione degli ovociti che consente alle donne di preservare la propria fertilità per il futuro. Il processo prevede una fase di stimolazione ormonale, per facilitare lo sviluppo degli ovociti. Tali ovociti vengono poi prelevati, congelati e conservati in azoto liquido a -196°C.

In quali casi si effettua il social freezing?

Il social freezing si effettua in tre casi: per ragioni mediche, in caso di patologie oncologiche o per motivi cosiddetti sociali.

Normalmente le ragioni mediche riguardano quelle pazienti che presentano una patologia ovarica benigna come l’endometriosi che, soprattutto nelle donne molto giovani, può danneggiare l’ovaio e quindi il potenziale di fertilità di queste ragazze.

In una donna che deve essere sottoposta ad un intervento chirurgico per asportare delle cisti endometriosiche all’ovaio si effettua un congelamento pre-chirurgico degli ovociti. Si induce l’ovulazione, si prelevano gli ovociti e si congelano, per poi conservarli in azoto liquido. Poi si procede con l’intervento chirurgico. Questo perché quando si effettua un intervento – anche in laparoscopia – di asportazione di cisti endometrosiche sull’ovaio, inevitabilmente andiamo anche ad asportare una quota di tessuto ovarico sano e quindi a ridurre sensibilmente la fertilità di quella donna.

In caso di patologia oncologica

Il secondo caso, più importante ma anche più particolare, è quello dei casi di patologia oncologica. Al momento possiamo consigliare il social freezing a quelle donne giovani che purtroppo incorrono in carcinomi della mammella o in carcinomi ovarici. È importante sottolineare che sono state studiate almeno 2 – 3 tipi di terapia che possiamo effettuare in queste donne; esse non possono eseguire le terapie standard che effettuiamo nelle donne che fanno un ciclo di fecondazione in vitro, ma hanno bisogno di una struttura farmacologica particolare. Questo per evitare che, quando si induce l’ovulazione e si procede con il prelievo degli ovociti, si interferisca con la loro situazione oncologica.

Per scelta personale

Un terzo motivo per ricorrere alla crioconservazione degli ovociti, e sul quale si dibatte molto, è quello cosiddetto “sociale”. Si tratta di donne che in giovane età, 25-30 anni, decidono di congelare i propri ovociti per poi procrastinare la gravidanza. Normalmente la donna fa questa scelta per diversi motivi: perché vuole consolidare la sua la sua posizione economica, la sua posizione lavorativa, e magari vuole anche una maggiore stabilità affettiva. Non tutti concordano su questo approccio “sociale” alla crioconservazione degli ovociti, essenzialmente per motivi etici. Mi sembra interessante segnalare che negli Stati Uniti alcune aziende importanti come Apple e come Meta considerano il congelamento degli ovociti come n benefit per le proprie dipendenti. Sicuramente è un fenomeno sociale che sta prendendo piede più nel Paesi del Nord Europa, in America e in Australia, ma sicuramente è un nuovo modo di vedere la propria fertilità.

Esistono dubbi sulla crioconservazione degli ovociti?

Non sulla tecnica, ma la comunità scientifica sta ancora definendo alcuni criteri. Ad esempio, non ha ancora definito quale sia il numero “esatto” di ovociti da congelare, quindi non possiamo dire a una donna di congelarne 15, 20 o 30. Allo stesso tempo, trattandosi di una tecnica in uso da tempi relativamente recenti, attualmente non abbiamo numeri statisticamente significativi sulle gravidanze ottenute da donne che, ad esempio, hanno raggiunto i 40 anni, scongelato i loro ovociti congelati a 30 anni.

Dove si può effettuale la crioconservazione degli ovociti?

Questa tipo di tecnica a scopo “sociale” viene svolta nella maggior parte dei centri privati italiani di procreazione medicalmente assistita. La crioconservazione degli ovociti a scopo medico, invece, viene effettuata soprattutto nei centri pubblici di PMA. In Campania, ad esempio, c’è un’ottima rete di oncofertilità negli ospedali che si occupano di fecondazione in vitro.

Una donna di 29 anni è diventata mamma dopo il cancro, grazie a una speciale tecnica di PMA. Uno studio recentemente pubblicato dalla rivista Annals of Oncology  riporta il suo caso, primo al mondo per le tempistiche con cui si è svolta la fecondazione in vitro.

Medical freezing

Quando la crioconservazione degli ovociti o degli embrioni ha l’obiettivo di preservare la fertilità delle donne che devono sottoporsi a cure e interventi che incideranno irreversibilmente sulla capacità riproduttiva, si parla di medical freezing. La preservazione della fertilità nelle pazienti oncologiche, soprattutto se molto giovani, è una questione prioritaria per chi si occupa di medicina della riproduzione. La vitrificazione di ovociti, fecondati o meno, e il loro utilizzo dopo una stimolazione ovarica controllata prima della terapia oncologica rappresentano ad oggi la procedura più efficace per preservare la fertilità femminile. Un’opzione alternativa, quando la stimolazione ormonale non è fattibile o è controindicata, è una speciale procedura di fecondazione assistita: la maturazione in vitro (IVM). Questa tecnica ha permesso a una donna di 29 anni, resa sterile dalla chemioterapia per curare il cancro al seno, di avere un figlio.

La tecnica usata dai ricercatori francesi: IVM – maturazione in vitro

Gli ovociti della mamma francese sono stati prelevati, fatti maturare in laboratorio, crioconservati e poi, 5 anni dopo, fecondati in laboratorio. Solitamente, le donne che devono sottoporsi a terapia oncologica si sottopongono a stimolazione ovarica, per poter prelevare gli ovociti da crioconservare e da utilizzare nel futuro. In alcuni casi, però, la stimolazione ormonale è fortemente sconsigliata. Per la donna francese era da evitare, perché avrebbe potuto peggiorare la sua condizione clinica. I ricercatori del Department of Reproductive Medicine and Fertility Preservation dell’Antoine Béclère University Hospital di Parigi hanno deciso di utilizzare la tecnica della maturazione in vitro degli ovociti. In questo modo, hanno consentito a questa giovane donna di realizzare il suo sogno di maternità.

La tecnica della maturazione in vitro non è nuova. Di solito, però, precede di poco la fecondazione e il transfer. L’eccezionalità di questo caso sta nel fatto che i ricercatori hanno praticato la fecondazione a 5 anni dalla maturazione. La IVM, come commentano gli autori dello studio, “dovrebbe essere considerata un’opzione efficace e praticabile all’interno di una strategia di preservazione della fertilità femminile”.

Questa donna, quindi, è diventata mamma dopo il cancro grazie alla PMA: un’ottima notizia in questo periodo di grandi incertezze per tutti.