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Come avviene il percorso dell’ovodonazione eseguito, ad esempio, in Spagna o in Grecia? Ce ne parla la Dottoressa Michela Benigna, ginecologa, Direttrice Internazionale di Institut Marqués, esperta di fecondazione eterologa con ampia esperienza sia in Italia sia all’estero.

Ovodonazione “a fresco”: la preparazione

Diversamente da quanto accade in Italia, in Paesi come ad esempio la Spagna o la Grecia ci sono le donatrici di ovociti “a fresco”. Quindi, il percorso può avvenire “sincronizzando” la mestruazione della paziente con quella della donatrice, pur trovandosi le due donne in luoghi anche molto lontani. Questo avviene attraverso l’assunzione di una pillola anticoncezionale per 3-4 settimane, in modo che entrambe possano sospendere la pillola nello stesso momento.

Dopo 3-4 giorni, ad entrambe tornerà la mestruazione da sospensione di pillola: a quel punto, la paziente inizierà la preparazione dell’endometrio, che dovrà risultare trilaminare e raggiungere uno spessore di almeno 6 millimetri. A quel punto, continuerà la terapia e aspetterà che la donatrice – che sta facendo la sua stimolazione ovarica – sia pronta per il prelievo ovocitario.

Pick-up e inseminazione

La clinica, nel frattempo, avrà programmato il prelievo ovocitario della donatrice e la coppia dovrà essere pronta nel giro di 2-3 giorni a recarsi nella clinica estera. Il partner maschile, il giorno del pick-up della donatrice, potrà lasciare il campione seminale e la mattina stessa i biologi potranno procedere con l’inseminazione degli ovociti.

La mattina successiva si saprà quanti embrioni iniziali avremo dopo la fecondazione e al quinto giorno la Signora potrà eseguire il trasferimento della blastocisti a fresco.

I vantaggi della fecondazione “a fresco”

La differenza sostanziale tra ciò che avviene in Italia e all’estero sta nel fatto di poter disporre di donatrici. Perciò, è possibile fare un percorso di ovodonazione tutto “a fresco”, quindi con ovocita o blastocisti a fresco.

I vantaggi sono che l’ovocita fresco ha tendenzialmente sempre una resa migliore e, in termini assoluti, il trasferimento di una blastocisti a fresco ha sempre un 5% in più di successo inteso come test di gravidanza positivo rispetto al transfer di una blastocisti congelata.

Anche all’estero talvolta le cliniche lavorano con ovociti congelati delle donatrici. Si tratta di donatrici che hanno fatto prima un loro ciclo di stimolazione, hanno eseguito pick-up e i biologi hanno proceduto con la vitrificazione.

In questo caso non c’è bisogno di sincronizzare il ciclo tra ricevente e donatrice, ma direttamente in base alla disponibilità dei pazienti e della clinica si potrà programmare il transfer in base alla settimana in cui i pazienti sono maggiormente disponibili e quindi con un preavviso decisamente maggiore, normalmente di 7-8 giorni.

L’importanza del laboratorio

La resa degli ovociti vitrificati in loco è quasi pari a quella a fresco e naturalmente in questo caso dipende dal laboratorio stesso perché, come ben sappiamo, il laboratorio è il cuore del nostro mestiere ed è quello che realmente poi fa la differenza tra una clinica e l’altra. Quindi naturalmente se il laboratorio di quella clinica è particolarmente buono sì che il tasso di fecondazione il tasso di blastocisti e la qualità delle stesse sarà come se avessero utilizzato degli ovociti a fresco.

Gli svantaggi di recarsi all’estero

Gli svantaggi per chi si reca all’estero sono tendenzialmente di tipo organizzativo, perché ci si deve organizzare con quella che è la vita di tutti i giorni.

D’altro canto, le cliniche estere tendenzialmente sono aperte tutto l’anno, ci si può organizzare e sfruttare anche i periodi di vacanze. Questo permette ai pazienti di poter vivere un percorso come questo, che è particolarmente stressante, in un periodo dell’anno dove almeno il resto della vita può essere messo in standby per qualche giorno.

Come si svolge il percorso dell’ovodonazione in Italia? Come sappiamo, in Italia non ci sono donatrici disponibili ed è per questo che per le cliniche di PMA è necessario rivolgersi dalle banche estere, principalmente in Spagna e in Grecia.

Per fare chiarezza ne abbiamo parlato con la Dottoressa Michela Benigna, ginecologa, Direttrice Internazionale di Institut Marqués, esperta di fecondazione eterologa con ampia esperienza sia in Italia sia all’estero.

Come funziona l’ovodonazione in Italia?

L’ovodonazione in Italia risente dell’assenza di donatrici. Tuttavia, ogni clinica può rivolgersi all’estero e approvvigionarsi o di ovociti o eventualmente può importare direttamente le blastocisti.

Come avviene l’importazione degli ovociti?

Per quanto riguarda il percorso dell’ovodonazione con ovociti vitrificati, la clinica italiana spiega alla coppia come avviene il percorso dell’ovodonazione, richiede le caratteristiche fisiche, la fotografia, i gruppi sanguigni alla coppia che vuole intraprendere il percorso dell’ovodonazione e le invia alla banca estera che, a quel punto, propone la donatrice. Quando il medico che ha in cura la coppia accetta la donatrice proposta, si conferma il lotto di ovociti che vuole importare.

Normalmente si possono importare Lotti di 4, 6, 8 o 10 ovociti. Questo dipende sia dal numero di embrioni si vogliono formare, sia dalla qualità del campione seminale del partner. Inoltre, occorre considerare anche se la coppia vuole o meno eseguire diagnosi preimpianto nel percorso di ovodonazione. A quel punto la banca estera e la clinica italiana si mettono d’accordo per la data in cui importare gli ovociti.

Cosa succede quando gli ovociti arrivano in Italia?

Una volta che gli ovociti sono arrivati nella clinica italiana, la paziente può iniziare la preparazione endometriale con la prima mestruazione successiva. Normalmente la preparazione endometriale avviene in maniera farmacologica utilizzando gli estrogeni e la somministrazione inizierà dal primo giorno del ciclo.

A distanza di 7-9 giorni dall’inizio della terapia si esegue un’ecografia transvaginale per verificare lo stato dell’endometrio, che deve avere uno spessore di almeno 6 mm e struttura trilaminare. A quel punto si può programmare lo scongelamento degli ovociti. Il giorno dello scongelamento degli ovociti, il partner maschile si reca alla clinica per rilasciare il campione seminale in modo che il laboratorio possa effettuare la fecondazione in vitro.

Dopo la fecondazione in vitro: gli aspetti delicati

Il giorno successivo alla fecondazione in vitro sapremo il numero degli embrioni iniziali che si sono formati. Gli embrioni rimangono in coltura fino al quinto giorno di sviluppo, prima di procedere con il trasferimento della blastocisti migliore. Le blastocisti in sovrannumero vengono congelate.

Che cosa sappiamo della resa di questa tipologia di percorso? L’ovocita è una cellula molto delicata e il tasso di sopravvivenza allo scongelamento degli ovociti è intorno all’85-89%. Dobbiamo quindi tenere in conto che allo scongelamento purtroppo non tutti gli ovociti potranno essere inseminati.

Come avviene l’importazione delle blastocisti?

L’importazione delle blastocisti prevede un altro percorso. Si inizia congelando il campione seminale del partner maschile nella clinica italiana e trasportandolo nella clinica estera dove viene eseguita la selezione della donatrice. Una volta confermata dal medico che ha in carico la coppia ricevente, la donatrice inizia la stimolazione ovarica, al termine della quale va a fare il prelievo ovocitario. A quel punto, il campione seminale arrivato dall’Italia nella clinica estera viene utilizzato per l’inseminazione degli ovociti donati e le blastocisti che si formano vengono congelate.

La blastocisti rientra quindi nella clinica italiana insieme a tutte le informazioni relative agli esami eseguiti sia sulla donatrice sia sulle blastocisti. Una volta che le blastocisti arrivano in Italia, con la successiva mestruazione la donna ricevente può iniziare la preparazione endometriale.

L’impianto della blastocisti

Da questo punto in poi, il percorso coincide essenzialmente con il precedente. Anzitutto, si procede con l’ecografia transvaginale per verificare che l’endometrio sia pronto per eseguire il transfer, si programma il transfer e 5 giorni prima, verrà aggiunto il progesterone, che modifica l’endometrio e lo rende idoneo e pronto per accettare la blastocisti che andremo a trasferire.

Ovociti o blastocisti? Pro e contro

Il tasso di sopravvivenza delle blastocisti allo scongelamento è decisamente più elevato rispetto a quello degli ovociti, perché ha un tasso di sopravvivenza quasi del 99%. Quindi, molti centri ultimamente si sono convertiti al percorso dell’ovodonazione con questo sistema, perché si ha una resa migliore del tasso di successo inteso come test di gravidanza positivo. Qual è il risvolto negativo di questo tipo di seconda opzione? Vale per quelle coppie in cui non si ha un fattore maschile, dove la qualità del campione seminale è buona; di conseguenza, sia il congelamento sia lo scongelamento del campione seminale non riduce il tasso di fecondazione quindi di formazione delle blastocisti, della loro qualità. Naturalmente, nei casi in cui la qualità spermatica è ridotta, è meglio che si importino gli ovociti, in maniera tale da avere una resa migliore.

Quindi non esiste a priori un sistema migliore tra i due, il percorso da intraprendere va valutato dal medico ha in cura la coppia, in base alla situazione particolare personale di ciascuna.

Una delle fasi più delicate dell’ovodonazione, o fecondazione eterologa con donazione di gameti, è la selezione della donatrice. Ricordiamo che una donna è idonea ad essere donatrice di ovociti solo dopo aver superato tutte le prove previste dall’iter diagnostico.

Per fare chiarezza ne abbiamo parlato con la Dottoressa Michela Benigna, ginecologa, Direttrice Internazionale di Institut Marqués.

Come viene selezionata la donatrice?

La legge europea prevede di selezionare la donatrice in base alle caratteristiche fisiche della coppia che riceve l’ovocita. Di conseguenza, nei centri di PMA la coppia solitamente compila un modulo in cui deve indicare alcune caratteristiche dei partner.

Queste, generalmente, sono: il gruppo sanguigno, la razza, il colore degli occhi, colore dei capelli e la texture, ovvero se sono lisci, ondulati o ricci, la carnagione – bianca o olivastra – della pelle.

In alcuni Centri si richiede anche una foto in primo piano, perché a parità delle caratteristiche indicate prima, si ricerca una somiglianza anche con la forma del naso, degli occhi, della bocca.

La selezione spetta ai medici che si occupano delle donatrici e che, quindi, possono individuare la persona più idonea, più compatibile con la coppia ricevente. La pratica è regolata in Italia dalla Legge 40/2004 e modifiche successive, che dal 2014 hanno reso legale la fecondazione eterologa nel paese.

In cosa consiste il matching genetico?

Durante il processo di selezione della donatrice, sempre più spesso si richiede anche un test genetico al partner maschile che analizza 200-600 geni di malattie genetiche recessive. Questo test è utile perché ognuno di noi è portatore di almeno una o due mutazioni genetiche; di conseguenza, una volta determinate quelle del partner maschile e identificata la donatrice compatibile alla coppia, si procede con il matching genetico.

Perché è utile?

In questo modo si può escludere che, casualmente, quella donatrice sia portatrice di una o più mutazioni uguali a quelle del partner maschile e di conseguenza annullare quello che è il rischio minimo che ogni coppia può avere di generare dei figli con patologie genetiche recessive.

L’ovodonazione è una tecnica di fecondazione assistita di tipo eterologo, che utilizza ovociti esterni alla coppia per ottenere una gravidanza. Questo metodo viene utilizzato quando la ricevente non può utilizzare i propri ovociti per diverse ragioni, ad esempio la menopausa precoce o una patologia che sia causa irreversibile di sterilità. La pratica è regolata in Italia dalla Legge 40/2004 e modifiche successive, che dal 2014 hanno reso legale la fecondazione eterologa nel Paese.

Il coinvolgimento di una persona esterna alla coppia è un aspetto che può generare preoccupazione e timori. Uno di questi riguarda il processo che porta una donna a diventare donatrice.

Ne abbiamo parlato con la Dottoressa Michela Benigna, ginecologa, Direttrice Internazionale di Institut Marqués.

 Quali sono i requisiti per diventare donatrice?

Per ottenere l’idoneità ad essere donatrice è necessario sottoporsi a una serie di test e possedere alcuni requisiti ben precisi.

L’età

Il primo requisito è l’età: le donatrici sono ragazze giovani che hanno tra i 18 e i 34 anni e 364 giorni, che è il periodo in cui la fertilità femminile è al massimo. Per questo motivo, la legge lo ha definito come ideale per essere donatrice di ovociti.

Profilo psicologico

L’iter prosegue con i test psicologici e la consulenza psicologica. Si delinea il profilo psicologico della ragazza e, attraverso la raccolta dell’anamnesi familiare, si esclude la presenza di patologie psichiatriche. Queste ultime, pur non avendo un carattere genetico, hanno un carattere familiare; perciò, l’assenza di tali patologie è un requisito indispensabile.

Valutazione della riserva ovarica

Superati i primi due step si prosegue con la valutazione della riserva ovarica, attraverso il dosaggio degli ormoni antimulleriano, LH, FSH ed estrogeni e si va a fare la conta dei follicoli antrali. Infatti, non è detto che una ragazza giovane abbia per forza una riserva ovarica tale da poter essere donatrice.

Esami genetici

Seguono gli esami genetici. Oltre al cariotipo, ultimamente si effettua anche lo studio genetico dei sei geni per le malattie recessive a maggior incidenza: che sono l’Alfa e la Beta talassemia, l’X fragile, la fibrosi cistica, la distrofia muscolare e la sordità non congenita. Naturalmente le potenziali donatrici devono risultare negative.

Stato di salute generale

Poi si valuta lo stato di salute generale, per escludere la presenza di patologie quali ad esempio un diabete di tipo insulinodipendente, problemi di pressione, problemi cardiaci, respiratori gastrointestinali. Questa valutazione viene fatta con un esame obiettivo, quindi con una visita in presenza, completata da esami ematochimici. Durante la visita i colleghi raccolgono l’anamnesi familiare della ragazza, per escludere la presenza di altre patologie a carattere genetico o a predisposizione familiare che nella progenie tendono a svilupparsi in età sempre più precoce. Se emergono elementi in tal senso, l’iter diagnostico viene interrotto.

Esami infettivi

Infine, come per i donatori di sangue, si eseguono gli esami infettivi, quindi epatite B, C, HIV e sifilide, non solo ricercando gli anticorpi ma anche andando a fare l’analisi PCR. L’obiettivo è escludere la presenza del virus nel DNA o nell’RNA.

Solo dopo aver superato tutte queste prove, la ragazza riceve un certificato di idoneità per essere realmente una donatrice di ovociti.

Quello verso l’ovodonazione è un percorso psicologicamente impegnativo e la relazione con la coppia va gestita in modo accurato, a partire dalla selezione, che deve considerare non solo gli aspetti uterini ma anche lo stato di salute generale.

Ce ne parla il Dr. Carlo Torrisi, ginecologo, responsabile clinico e Direttore Sanitario del Centro di Medicina della Riproduzione e Infertilità di Catania.

L’ovodonazione è la situazione a cui si arriva allorché la coppia insomma ha già esaurito i tentativi di procreare con i propri ovociti. Questo può accadere:

  • per un esaurimento ovarico, precoce o tardivo
  • per ripetuti fallimenti delle tecniche
  • per stimolazioni molto importanti con recupero di pochissimi ovociti
  • per arresto del clivaggio o arresto della divisione cellulare

In tutti questi casi spesso si arriva a non poter effettuare il transfer e comunque a non ottenere una gravidanza.

La Terapia

Anche in vista dell’ovodonazione è prevista una terapia.

Molto spesso vi sono pazienti con uteri fibromatosi, ma vanno valutate, ad esempio, anche eventuali anomalie epatiche, o a livello carotideo, ed escludere che vi siano patologie a livello mammario. Questo perché le terapie portano all’utilizzo di alte dosi di estrogeni. I protocolli per programmare cicli di ovodonazione consistono essenzialmente in cicli spontanei in cui si sfrutta l’ovulazione della paziente e l’induzione, appunto, dell’ovulazione. Questo per far sì che tutto sia il più naturale possibile.

In alcuni casi si procede con una fase di trattamento con estroprogestinico o con analoghi del GnRH (Gonadotropin Releasing Hormone, ormone di rilascio delle gonadotropine) che servirà ad azzerare completamente la funzione ovarica. A questa fase segue l’utilizzo di estrogeni, che possono essere somministrati per via orale, per via transdermica in formulazione gel. Nella mia esperienza l’estradiolo valerato, che generalmente viene prescritto in compresse, quando viene somministrato per via vaginale ha un’azione e degli spesso endometriale molto importante

L’obiettivo è quello di arrivare ad avere uno spessore endometriale di almeno di 8-9 mm per poter avere delle chance importanti di gravidanza. È importante somministrare il progesterone per un certo numero di giorni, che devono corrispondere allo stato del trasferimento della l’eventuale blastocisti.

Criteri di esclusione

I criteri di esclusione sono essenzialmente legati a un mancato ispessimento dell’endometrio, cosa che avviene quando l’endometrio si arresta a meno di 7 mm. A quel punto si cerca di ovviare a dei protocolli di stimolazione piuttosto empirici che consistono o nella somministrazione di gonadotropina corionica dal 7° al 14° giorno, vi sono degli studi in corso.

In caso non si vada mai oltre i 7 mm, è riportato in letteratura che vi siano delle gravidanze con endometrio anche di 5 – 6 – 7 mm.