La PMA nelle donne sottopeso presenta particolari difficoltà rispetto a quelle normopeso? E’ noto che un peso corporeo anormale, possa comportare alterazioni metaboliche ed endocrine, responsabili dell’aumento del rischio di sviluppare una serie di condizioni che compromettono la salute tra individui sottopeso e sovrappeso. Altrettanto evidenti sono le possibili ripercussioni sulla fertilità.
Sottopeso e concepimento, un rapporto da approfondire
Molti studi affermano chiaramente l’impatto negativo dell’eccesso di peso corporeo sul concepimento spontaneo e assistito, sia negli uomini che nelle donne, ma pochi si sono concentrati esclusivamente sulla popolazione sottopeso. Questo perché, come evidenziato da recenti statistiche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nelle società sviluppate l’eccesso di peso corporeo (sovrappeso o obesità) costituisce uno stato sempre più comune che coinvolge il 50%-70% della popolazione adulta.
Essere sottopeso è molto meno comune, con una prevalenza inferiore al 5%, ed è quindi meno preoccupante per la salute pubblica, da qui il numero inferiore di studi. Inoltre, essere sottopeso è spesso secondario ad altre condizioni, come l’anoressia nervosa o la bulimia, soprattutto nella popolazione giovane, e come tale spesso non è considerato una malattia in sé, ma piuttosto una caratteristica di altre patologie che richiedono un trattamento.
Tuttavia questa situazione può avere conseguenze nel campo della riproduzione umana, e soprattutto nella riproduzione assistita, pertanto è importante approfondire il rapporto tra concepimento, in particolare PMA, e sottopeso. Ad analizzare questo tema uno studio recentemente pubblicato su Fertility and sterility.
La fertilità nelle donne sottopeso
Per garantire il corretto funzionamento dell’asse ipotalamo-ipofisario-ovarico e, quindi, una normale ovulazione è necessario un indice di massa corporea (IMC) critico, questo può mancare nelle donne sottopeso.
Una riduzione del 10%-15% del peso corporeo normale è spesso associata alla cessazione delle mestruazioni, con l’anovulazione e l’amenorrea che porta all’infertilità. Infatti, nelle donne è stata descritta una curva a U rispetto all’IMC e al concepimento spontaneo, con entrambi gli estremi della curva più legati a problemi di fertilità, anche se più fortemente quando il peso corporeo è eccessivo.
La PMA nelle donne sottopeso: quale l’efficacia?
Sebbene la fertilità paia inferiore nelle donne sottopeso, l’uso di agenti di induzione dell’ovulazione può essere tuttavia sufficiente a fornire una soluzione alla sterilità. In questo modo si può ottenere un’ovulazione e una mestruazione corrette, poiché non sono state rilevate altre implicazioni per la qualità degli ovociti e la ricettività endometriale una volta raggiunta l’ovulazione. Infatti, le donne sottopeso che ricevono ovuli donati non sembrano avere risultati riproduttivi più scadenti rispetto alle loro controparti di peso normale.
Il risultato della FIVET nelle donne sottopeso è stato meno studiato rispetto alle pazienti sovrappeso e obese. Nonostante la mancanza di un chiaro consenso, attualmente si ritiene generalmente che i risultati siano simili a quelli delle donne di peso normale, tranne che per quanto riguarda le complicazioni ostetriche.
Importante la consulenza preconcezionale
La maggiore preoccupazione delle donne sottopeso che cercano di concepire è la pletora di complicazioni ostetriche legate a uno stato di denutrizione della madre e del feto, come descritto nelle pazienti con disturbi alimentari. Questi includono un aumento del rischio di:
ipermesi gravidica,
anemia,
aumento di peso alterato,
ritardo di crescita intrauterino,
parto pretermine,
parto cesareo,
basso peso alla nascita,
complicazioni postnatali
depressione post-partum
aumento del rischio di malattie croniche nella prole.
Un approccio ottimale in queste donne dovrebbe includere un’adeguata consulenza preconcezionale, indipendentemente dal fatto che il concepimento avvenga in modo naturale, attraverso l’induzione dell’ovulazione o la fecondazione in vitro (FIVET). La consulenza preconcezionale assume particolare importanza in caso di una diagnosi di condizione psicologica, come l’anoressia nervosa o la bulimia, o di qualsiasi altra malattia cronica che porta alla morte per fame della madre.
Conclusioni
Il messaggio è in qualche modo rassicurante: le donne sottopeso sottoposte a FIVET presentano risultati simili a quelli delle donne di peso normale. Sono auspicabili ulteriori e migliori studi, soprattutto di tipo randomizzato, per ottenere informazioni affidabili.
Tuttavia, non dovremmo ignorare le implicazioni della denutrizione materna per le complicazioni ostetriche e neonatali e per la salute della prole.
La conclusione principale da trarre dalla letteratura medica attuale è che le donne sottopeso debbano ricevere un’adeguata consulenza preconcezionale, indipendentemente dal fatto che la gravidanza sia spontanea o assistita, e soprattutto nei casi in cui vi siano condizioni psicologiche o sistemiche associate. Attualmente, sembra che, quando il suo stato nutrizionale è corretto, la futura madre e il bambino raggiungano risultati ottimali nell’esito riproduttivo dopo la FIVET, che non pare compromessa dal basso IMC.
In crescita la Home insemination: la fecondazione fai da te nella quale i donatori si trovano in rete.
Sicuramente un sistema più economico rispetto alla fecondazione assistita nella quale sono richiesti una clinica specializzata e personale medico e infermieristico competenti. Ma è efficace, e soprattutto è sicura?
Rivolgersi a un centro che si occupa di tecniche di procreazione assistita e intraprendere il percorso suggerito risulta ancora un processo complesso e costoso con un impegno di tempo, energie fisiche ed emotive e un costo economico dell’ordine di migliaia di euro.
Da qui l’aumentare della ricerca di scorciatoie, un potenziale pericolo, però, per la salute. Purtroppo quando si parla di home insemination vanno infatti sottolineati l’assenza di controlli e il fatto che a praticarla siano persone non esperte.
La fecondazione fai da te: assente ogni tutela
“Stiamo assistendo alla diffusione di una nuova pratica: alcune coppie e single si affidano a quella che gli anglosassoni definiscono ‘home insemination’, ossia la fecondazione ottenuta con il seme fresco di un donatore, spesso contattato in Rete o in appositi gruppi sui social network. Anche se non esistono dati precisi sulle dimensioni del fenomeno” spiega il Professor Salvatore Sansalone, Professore Aggregato di Andrologia all’Università di Tor Vergata.
“Online siti e gruppi incrociano domanda e offerta tra privati, una soluzione adottata da coppie in cui il partner maschile sia infertile, da donne single o da coppie di donne omosessuali che possono scegliere tra centinaia di giovani uomini tra i 30 e i 40 anni. Una zona d’ombra anche dal punto di vista legale in cui nessuno è tutelato”.
Come fare un bimbo ai tempi di internet
Ma come avviene la “home insemination”? In genere c’è prima un contatto via email e poi talvolta un incontro informale in cui il donatore che, a volte, non chiede alcun compenso, mostra le analisi del sangue. Se scatta la simpatia il donatore attende la chiamata della coppia o della donna che monitora l’ovulazione. Si incontrano spesso in un hotel dove lui dona in una provetta sterile il liquido seminale e lei provvede a iniettarlo, con una semplice siringa a cui sia stato tolto l’ago o con una pompetta, cercando di portare il contenuto il più vicino possibile al collo dell’utero e sperando che avvenga il concepimento. I protagonisti talvolta rimangono in contatto oppure si incontrano se la coppia vuole un secondo figlio dallo stesso donatore. Non ci sono regole, è uno scambio tra privati.
I pericoli sottovalutati
“Quando lo scambio avviene tra privati senza la mediazione di una struttura sanitaria” prosegue Sansalone “esiste un alto margine di rischio anche se il donatore si presenta con analisi recenti che dovrebbero certificarne la salute.
Stiamo assistendo a un aumento esponenziale di casi di malattie infettive, e spesso la documentazione dei donatori è limitata a pochi parametri, del tutto insufficienti a tutelare la salute della donna e dell’eventuale nascituro”.
Le analisi indispensabili
Quali sono le analisi che non dovrebbero mancare? “HIV, HCV, HBsAg (antigene di superficie dell’epatite B), HBc- IgG (individua la presenza di anticorpi contro il virus dell’apatite B), VDRL e TPHA (due test sierologico per la sifilide), Citomegalovirus IgG, Citomegalovirus IgM” spiega Sansalone. “Meglio piuttosto ricorrere all’acquisto di un campione in una apposita banca, che lo recapita a casa in un contenitore refrigerato, un manuale di istruzioni e il kit per l’inseminazione. Il costo varia a seconda della quantità di spermatozoi per millilitro che ovviamente ne aumentano la capacità fecondante”.
L’efficacia e la sicurezza della home insemination: le preoccupazioni degli specialisti
La home insemination è meno efficace di quanto si possa pensare, entrano infatti in gioco numerosi fattori. Nel complesso, la fecondazione fai da te è meno efficace e, soprattutto, meno sicura rispetto alle tecniche di PMA proposte dai centri medici specializzati.
“Il successo al primo tentativo è tutt’altro che ovvio” mette in guardia lo specialista, “possono essere necessari più incontri, anche perché in alcuni casi la quantità di eiaculato potrebbe essere insufficiente. I fattori che determinano il successo sono tanti: vanno dall’età e dalla salute della donna sino alla qualità degli spermatozoi del donatore.
La possibilità di una gravidanza non é sovrapponibile a quella di un rapporto sessuale tradizionale anche se il liquido seminale viene depositato nella donna nel periodo finestra dell’ovulazione.
Manca poi il criterio di sicurezza garantito dai centri specializzati che eseguono lo spermiogramma per determinare le diverse caratteristiche del seme, la ‘capacitazione’ (o lavaggio) degli spermatozoi, ossia la selezione di quelli più mobili, ma anche la possibilità di eseguire una stimolazione ovarica che triplicherebbe le percentuali di successo rispetto ai tentativi home made. Noi andrologi guardiamo con una certa preoccupazione a queste pratiche e dobbiamo ricordare che la procreazione con seme donato è a tutti gli effetti considerato un atto medico”.
Sovrappeso e PMA: è noto da tempo che i chili di troppo minano la fertilità, ma la riproduzione assistita può venire in aiuto anche in questi casi, con alcuni accorgimenti.
Un recente studio ha infatti evidenziato che, nelle pazienti sovrappeso e obese, risulterebbe preferibile utilizzare il transfer da blastocisti congelata. Questo perché questa metodica, in tale categoria di persone, pare consentire maggiori probabilità di ottenere una gravidanza clinica, rispetto all’uso di blastocisti fresche.
A dimostrarlo i risultati di uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Fertility and Sterility.
Obesità e sovrappeso, un problema comune
In Italia il 46% della popolazione è sovrappeso (dati 1° Italian Obesity Barometer Report, IBDO Foundation). Non si tratta dunque di un problema marginale. Ad essere colpiti sia uomini che donne.
Rispetto alle pazienti normopeso, quelle obese hanno più probabilità di essere sterili e hanno meno probabilità di ottenere una gravidanza clinica con FIVET, forse a causa di un’associazione negativa tra obesità e ricettività endometriale.
È stato dimostrato che l’Embryo Transfer (ET) congelato migliora i risultati della FIV determinando maggiori ricettività endometriale e sincronia embrio-endometriale.
Lo studio
Lo studio ha voluto approfondire il rapporto tra sovrappeso e PMA, esaminando l’effetto dell’indice di massa corporea (BMI) sui tassi di gravidanza clinica nei cicli di ET freschi rispetto a quelli congelati.
I ricercatori hanno dunque condotto uno studio di coorte retrospettivo. Sono state confrontate donne di peso normale (BMI: 18,5-24,9 kg/m2), sovrappeso (BMI: 25,0-29,9 kg/m2) e obese (BMI superiori o uguali 30,0 kg/m2).
Lo studio ha preso in considerazione persone di età media, BMI e razza/etnicità simili. Sono stati presi in considerazione 527 cicli di trasferimento di blastocisti, di questi 247 (46,9%) sono stati freschi e 280 (53,1%) congelati. In particolare, oltre il 41% dei transfer sono stati effettuati in donne normopeso, circa 26% in quelle sovrappeso e circa il 32% in quelle obese.
I risultati
I risultati sottolineano un chiaro rapporto tra sovrappeso e PMA.
In particolare, nelle pazienti in sovrappeso, i tassi di impianto e di gravidanza clinica erano significativamente più alti nel caso di ET congelati. Anche nelle donne obese i tassi di gravidanza clinica sono risultati significativamente più alti con quest’ultima metodica.
Al contrario, nel gruppo di peso normale, dai dati non emerge alcuna differenza nei tassi di impianto o di gravidanza clinica tra la metodica che prevede la blastocisti fresca e quella con l’ET congelato.
Una curiosità, le pazienti in sovrappeso che hanno avuto un ET fresco hanno avuto un numero significativamente maggiore di gravidanze gemellari.
Maurizio Bini SSD Diagnosi e Terapia della sterilità e Crioconservazione ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda. Cà Granda, Milano
Lo spindle transfer è una tecnica complessa, ancora in studio. I successi della PMA nelle pazienti di età avanzata sono molto scarsi. Parte della responsabilità è attribuibile alla scarsa efficienza energetica del citoplasma gametico. Il trasferimento dello spindle è un tentativo di miglioramento dell’efficienza delle procedure.
L’età e i limiti della PMA
Il tasso di successo delle metodiche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) decresce in modo sensibile già a partire dai 34 anni di età e diventa totalmente insoddisfacente a partire dai 40. La responsabilità maggiore è attribuibile all’invecchiamento ovocitario e in particolare a uno sfavorevole bilancio energetico citoplasmatico che determina inadeguato allineamento cromosomico a livello del fuso e asimmetrica segregazione del materiale genetico.
La “nascita” dello spindle transfer
Gli indirizzi terapeutici sono tutti volti al tentativo di ringiovanire gli ovociti mediante somministrazione farmacologica o con approcci più aggressivi che cercano di sostituire totalmente il citoplasma e gli organuli deputati al sostegno energetico. Il primo tentativo di ooplasmic transfer (OT) fu tentato già da Cohen nel 1977; si passò poi al germinal vesicle transfer (GVT,Zhang,1999) al pronuclear transfer (PNT,Tanaka 2009) e infine allo spindle transfer (ST,Yoshizawa 2009). La decisione di procedere in questa direzione è stata influenzata dalla scoperta che già normalmente le cellule si scambiano fra loro organelli citoplasmatici come accade per esempio fra astrociti e neuroni danneggiati dall’ictus.
Le complessità dello spindle transfer
Non tutti sono d’accordo sull’approccio invasivo dello spindle transfer, dato che le connessioni strette fra organuli citoplasmatici (mitocondri soprattutto) e nucleo sono più strette di quanto comunemente creduto (delle circa 1500 proteine che costituiscono un mitocondrio solo 13 sono prodotte dal DNA del mitocondrio stesso) e quindi l’interruzione del dialogo fra i due comparti con il trasferimento da una cellula all’altra potrebbe comportare conseguenze non ancora completamente valutate.
Così nel 2001 la Food and Drugs Administration americana ha bandito queste pratiche sul territorio americano e solo nel 2015 il Regno Unito le ha riammesse con la sola indicazione terapeutica di evitare la trasmissione delle gravi malattie mitocondriali. Queste patologie (finora ne sono state censite circa 260 di monosomiche) determinano gravi conseguenze, spesso mortali, soprattutto per inefficienza dei tessuti ad alto contenuto energetico come i muscoli il cuore e il cervello.
Per trasferire lo spindle cioè il fuso mitotico bisogna spettare che i cromosomi siano allineati. Il fuso, facilmente evidenziabile mediante fluorescenza, viene prelevato per aspirazione e trasferito in un altra cellula sana dalla quale è stato preventivamente asportato il nucleo.
Negli ultimi anni c’è stata una ripresa dell’argomento: il gruppo di Huang ha effettuato un trasferimento di questo tipo per evitare la trasmissione delle grave sindrome mitocondriale di Leigh in una donna con sfavorevolissimi precedenti ostetrici. La procedura è stata effettuata in Messico per superare il divieto statunitense ed è stato un successo parziale perché una minima parte del citoplasma originario viene trasferita insieme allo spindle. Quest’anno anche un gruppo misto spagnolo greco ha presentato alcuni successi con la metodica che rimane però ancora sotto osservazione prima di una diffusa condivisione su sicurezza ed efficacia.
Il sanguinamento uterino anomalo è un problema comune nelle donne in età riproduttiva. Sebbene possa spaventare, di solito può essere corretto con farmaci o con un intervento chirurgico.
La mestruazione è considerata normale quando l’emorragia uterina si verifica ogni 21-35 giorni e non è eccessiva. La durata normale del sanguinamento mestruale è compresa tra due e sette giorni. Un’emorragia uterina anomala si verifica quando la frequenza o la quantità di emorragia uterina differisce da quella sopra menzionata o quando la donna ha spotting o un’emorragia tra un periodo mestruale e l’altro. Un’emorragia uterina anomala può essere causata da una varietà di fattori. Le due cause più comuni sono le anomalie strutturali del sistema riproduttivo e i disturbi dell’ovulazione.
Ci soffermeremo sulle donne in età fertile. Per quanto riguarda invece quelle in postmenopausa, il sanguinamento uterino anomalo ha origini diverse rispetto a quanto accade in età riproduttiva: il consiglio è quello di rivolgersi tempestivamente a un medico.
Cause di emorragia uterina anomala
Un’anomala emorragia uterina può essere dovuta ad anomalie strutturali dell’utero. Alcune delle cause strutturali più comuni di sanguinamento uterino anomale includono lesioni benigne (non cancerose) dell’utero come:
polipi,
fibromi (miomi),
adenomiosi (ispessimento uterino causato da tessuto endometriale che si muove verso le pareti esterne dell’utero).
Altre cause di emorragia uterina anomala includono il sanguinamento associato alla gravidanza precoce, tra cui aborto spontaneo e gravidanza ectopica, così come i disturbi emorragici che influenzano la capacità del sangue di coagulare normalmente.
Altre possibili causa sono:
lesioni del collo dell’utero o della vagina (benigne o cancerose),
le infezioni croniche del rivestimento endometriale (endometrite),
il tessuto cicatriziale (aderenze) nell’endometrio
l’uso di un dispositivo intrauterino (IUD)
farmaci che possono influenzare il normale rilascio di estrogeni e progesterone
problemi medici cronici come il diabete mellito o disturbi del fegato, reni, tiroide o ghiandole surrenali
altri problemi medici che possono influenzare la produzione e il metabolismo di estrogeni e progesterone.
Lo stress emotivo o fisico, così come cambiamenti significativi nel peso corporeo, infine, possono disturbare il rilascio dell’ipofisi di FSH e LH e prevenire l’ovulazione.
Le terapie per il sanguinamento uterino anomalo
Qualunque sia la causa di sanguinamento uterino anomalo, i molti trattamenti oggi disponibili di solito possono risolvere il problema. Le cause strutturali di emorragia possono essere corrette con un intervento chirurgico. Se non ci sono cause strutturali, la terapia medica spesso può ripristinare cicli mestruali regolari.
I pazienti dovrebbero parlare con i loro medici per valutare quali opzioni, mediche o chirurgiche, possano essere le migliori per loro.
Il problema dell’infertilità maschile e poi del ricorso alla PMA è spesso causato dai mancati controlli medici dell’uomo
L’infertilità maschile, e dunque il mancato concepimento, è ancora per molti uomini una questione che riguarda solo la donna. Pare che, dati alla mano, il retaggio culturale sia duro a morire.
la Società Italiana di Andrologia (SIA)(www.andrologiaitaliana.it) nell’ultimo congresso ha riferito che tra le coppie che ricorrono alla fecondazione assistita almeno una su 4 salta le visite dall’andrologo.
Infertilità maschile raddoppiata perché l’uomo non si preoccupa del problema
Se i programmi di prevenzione per la donna si moltiplicano, l’uomo si potrebbe definire il “grande assente”. Il parere degli andrologi è che se invece gli uomini iniziassero a fare, come le donne, una buona prevenzione e diagnosi, l’infertilità si potrebbe intercettare con ben dieci anni di anticipo rispetto a oggi. Gli esperti sottolineano, inoltre, che in una coppia infertile nella metà dei casi è l’uomo il responsabile del mancato concepimento.
E, se non bastasse a far capire l’urgenza dei controlli andrologici, un altro dato rilevante è che, in questi ultimi trent’anni, l’infertilitàmaschile è raddoppiata. Si stimano, in pratica, 2 milioni di italiani con una capacità riproduttiva inferiore al normale, ovvero con una riduzione degli spermatozooi al di sotto dei 15 milioni e della motilità inferiore al 40%. Colpa degli stili di vita sbagliati.
Per prima cosa occorre fare lo spermiogramma per aumentare del 50% successo PMA
È di fondamentale importanza, quindi, richiedere un consulto andrologico e, come prima cosa, sottoporsi allo spermiogramma (analisi del liquido seminale). In questo modo già il 50% delle coppie può essere indirizzato a svolgere indagini successive, evitando, magari, inutili trattamenti di procreazione medicalmente assistita o, al contrario, ricorrendo a quelli ottimali e più specifici migliorando del 50% le probabilità di esito positivo.
Che tipo di supporto psicologico può essere indicato dopo la nascita di un bambino nato grazie a una delle tecniche di procreazione medicalmente assistita? Come spiegare al figlio la sua storia?
La coppia che riesce con successo ad avere un figlio grazie all’aiuto delle tecniche di PMA difficilmente si pone il quesito su cosa dire al proprio figlio rispetto alla storia procreativa. Tuttavia capita che alcune coppie chiedano aiuto a uno psicologo per capire cosa dire al figlio nato da tecniche di PMA rispetto alla sua origine. Il problema sotteso a tale quesito è rappresentato dal segreto, non dal suo contenuto. Come ricorda Winnicott: “I bambini non chiedono che venga loro risparmiata la verità, qualunque essa sia, ma che gli venga consegnata con tatto e onestà”.
Cosa dire al figlio nato da tecniche di PMA? Solo la verità espressa con delicatezza e modi idonei alla sua età
“Mamma e papà ti hanno desiderato talmente tanto che, visto che tardavi ad arrivare, hanno chiesto aiuto a un dottore perché aiutasse i due semini, della mamma e del papà, a incontrarsi e a restare insieme, perché tu potessi crescere nella pancia della mamma per poi nascere e farti abbracciare anche dal papà”. Si tratta di una storia del tutto naturale, che non si discosta tanto dal suo iter fisiologico e del tutto semplice ed esaustiva da raccontare a un bambino.
Per molte coppie cosa dire al figlio nato da tecniche di PMA nasconde quesiti più complessi
Tuttavia, capita che alcune coppie che hanno avuto un figlio grazie ad aiuti esterni, si pongono alcuni quesiti rispetto a cosa dire al figlio nato da tecniche di PMA: “Cosa diremo a nostro figlio?”. Una domanda del genere potrebbe, tuttavia, nascondere questioni diverse, più personali, relative alla storia della coppia stessa. Dietro a ogni singola storia dell’individuo c’è un “mandato” generazionale inconsapevole, ossia delle aspettative di solito trasmesse dalla propria famiglia di origine sul ruolo che quell’individuo avrà nella storia familiare. Se si instaura un “gap” tra le aspettative implicite degli altri familiari e quello che l’individuo riesce a realizzare, si insinua nella persona una dissonanza emotiva che non le consente di godere appieno di quello che invece è stata capace di realizzare. Compito del clinico è interessarsi con rispetto ai quesiti che pongono le persone e saperle guidare a ritrovarsi all’interno di un percorso per alcuni versi divergente rispetto a quello atteso.
Situazione più complessa è spiegare al proprio figlio che è nato grazie all’eterologa
Questione del tutto diversa è quella che pone una coppia che ha fatto ricorso a una fecondazione eterologa. Qui il quesito su “cosa dire al figlio nato da tecniche di PMA” o meglio da eterologa, si affaccia abbastanza precocemente nella coppia, fin dalle prime fasi decisive rispetto al percorso da intraprendere. Anche in questo caso non ci sono risposte identiche per tutti, la risposta va costruita insieme alla singola coppia rispettando quella che è la storia familiare che la coppia si porta dietro. Il clinico deve intercettare il significato che rappresenterebbe per quella coppia avere un figlio con l’aiuto di un gamete esterno alla coppia stessa.
Occhio a “risposte facili” trovate sul web: ognuno ha la sua storia e necessita di risposte diverse
Spesso il web spinge le persone a ricercare risposte immediate a ogni singolo problema. Nell’ambito delle questioni psicologiche, soprattutto, bisogna diffidare da risposte predefinite. “Quello che è meglio per me potrebbe non essere buono per te”. Il ruolo dello psicologo è quello di saper ascoltare con orecchio esperto cosa gli sta chiedendo veramente quella coppia ed aiutarla a costruire insieme una risposta, la più personale possibile.
Dott.ssa Angela Petrozzi
Un pò di chiarezza sulla terminologia
Innanzitutto per riproduzione assistita si intende qualsiasi forma di supporto al processo riproduttivo (monitoraggio ecografico dell’ovulazione con rapporti mirati, induzione della crescita follicolare multipla con rapporti mirati etc…); per riproduzione artificiale invece si intendono solo le procedure ad elevata tecnologia che introducono nel processo generativo una più o meno netta artificiosità, con passaggio in vitro degli spermatozoi e/o degli ovociti e/o dell’embrione.
I cicli di riproduzione assistita possono avvalersi di differenti metodiche che vengono suddivise in base all’incisività, all’utilizzo della tecnologia e alla complessità, in metodiche di:
I livello
II livello
III livello
Le metodiche di I livello comprendono unicamente le metodologie che si limitano ad utilizzare il seme; quelle di secondo e terzo livello hanno invece la prerogativa di manipolare sia i gameti maschili sia quelli femminili. La riproduzione assistita può essere di tipo omologo o eterologo. Le metodiche di procreazione assistita omologhe sono quelle che fanno uso di materiale biologico (spermatozoi ed ovociti) esclusivamente della coppia. Per ciclo di procreazione medicalmente assistita eterologa si intende il ciclo in cui il gamete femminile, il gamete maschile o entrambi non appartengono ad uno dei due o ad entrambi i membri della coppia.
Dott. Alessandro Giuffrida
Le pazienti sottoposte alle procedure di stimolazione ovarica possono essere definite pazienti poor responder e hyper responder.
Le possibilità di successo delle diverse procedure di stimolazione ovarica variano in base all’età e alle caratteristiche delle singole pazienti.
Una ridotta risposta al protocollo di stimolazione: le poor responder
Si definiscono pazientipoor responder coloro che hanno appunto una ridotta risposta al protocollo di stimolazione ovarica e dunque con una riserva ovarica ridotta.
Si tratta di uno dei problemi maggiori nelle procedure di procreazione medicalmente assistita, in quanto la scarsa risposta sembra rappresentare un fattore prognostico sfavorevole per cicli successivi abbassando notevolmente la possibilità di concepimento. Va sottolineato che i criteri d’identificazione di scarsa risposta ovarica non sono uniformi: nella maggior parte dei casi le poor responder vengono identificate in base al numero dei follicoli pre ovulatori reclutati o sul numero di ovociti prelevati. Non c’è però consenso sul numero soglia: si va da 2 a 5 per i follicoli e da 3 a 5 per gli ovociti.
Alto numero di follicoli prodotti: le hyper-responder rischiano l’iperstimolazione ovarica
Esiste poi un gruppo diverso di pazienti definite hyper-responder, che producono un alto numero di follicoli anche con basse dosi di gonadotropine e richiedono, pertanto, una gestione più attenta al fine di evitare il rischio d’incorrere in una vera e propria patologia definita sindrome da iperstimolazione ovarica (ovarian hyperstimulation syndrome – OHSS). Si tratta di una patologia causata dai farmaci utilizzati per indurre l’ovulazione. Va però altresì chiarito che la sindrome non è una necessaria conseguenza della terapia di stimolazione ovarica, si tratta anzi di un’evenienza eccezionale, e che può essere prevenuta riducendo le stimolazioni dell’ovaio con dosaggi delle gonadotropine più bassi di quelli abituali.