L’infertilità maschile, le possibili cause e il ruolo della prevenzione sono temi che suscitano sempre grande interesse e dei quali non si parla mai abbastanza.
Ce lo conferma il Dottor Emilio Italiano, Specialista Urologo, Andrologo, Consulente Sessuologo, con il quale abbiamo fatto il punto sull’argomento e messo in evidenza gli aspetti più rilevanti.
Fattore maschile di infertilità di coppia
Un fattore maschile, tra cause maschili dirette e quelle miste, è ormai presente nel 60% circa delle coppie infertili. Nell’ambito di una valutazione di coppia, quindi, è importante iniziare precocemente l’analisi del partner di sesso maschile, per evitare terapie inutili o inappropriate o indagini invasive nella donna.
La visita andrologica comincia da una corretta anamnesi, per indagare poi su eventuali anomalie alla nascita o nel percorso di sviluppo del maschio.
Cause di infertilità maschile
Le possibili cause di infertilità maschile possono essere suddivise in tre grandi categorie:
Pre-testicolari
Testicolari
Post-testicolari
Tutte possono determinare alterazioni dei parametri seminali e portare ad anomalie del liquido seminale, di cui abbiamo trattato nel precedente articolo “Infertilità di coppia: gli esami per l’uomo“.
Tra le cause più frequenti descriviamo:
Anomalie genetiche
Criptorchidismo (mancata discesa di uno entrambi i testicoli nello scroto alla nascita)
Varicocele
Malattie sistemiche
Farmaci
Forme immunologiche
Infezioni del tratto riproduttivo
Fattori socio-ambientali
Età avanzata
Cosa dicono le Linee Guida
Le Linee Guida della principale Società scientifica Urologica Europea, la EAU, European Association of Urology, mettono al primo posto come importanza e raccomandazione la correzione degli stili di vita nel maschio ipo/infertile.
Quindi l’attenzione sarà posta su:
Stress psico-fisico
Sovrappeso, obesità
Temperature scrotali elevate (talvolta per rischi lavorativi)
Esposizione ad agenti fisici o chimici
Utilizzo di sostanze voluttuarie (fumo di sigaretta, alcool, sostanze stupefacenti, farmaci voluttuari).
Il riconoscimento delle cause
L’andrologo indagherà per esempio tra le cause pre-testicolari su un eventuale ipogonadismo (una condizione patologica caratterizzata da insufficiente produzione di testosterone da parte delle cellule di Leydig con conseguente deficit androgenico a ridotta o assente produzione di spermatozoi con conseguente infertilità). Tale condizione, a sua volta, potrebbe essere sostenuta da altre patologie indagabili e possibilmente correggibili.
Inoltre, si valuteranno possibili cause testicolari, tra queste il varicocele, che rappresenta la causa più frequente, senza tralasciare l’idrocele, la pregressa torsione del funicolo o i tumori testicolari che, ricordiamo, sono i tumori più frequenti dell’età giovanile (15-40 anni) e curabili in altissime percentuali.
Per finire, l’andrologo indagherà sulle cause post-testicolari, da quelle congenite a quelle acquisite per infezioni delle ghiandole accessorie maschili (prostata, vescicole seminali, epididimi), ostruzioni delle vie seminali, disfunzioni eiaculatorie.
Il ruolo delle infezioni
Anche le infezioni acute e croniche del tratto urogenitale hanno notevole importanza. Infatti, possono contribuire in vario grado all’infertilità maschile attraverso molteplici meccanismi:
Risposta infiammatoria (leucocitospermia, produzione di radicali liberi dell’ossigeno e conseguente danno perossidativo al DNA, iperproduzione di citochine) (1)
Anomalie funzionali delle ghiandole sessuali accessorie coinvolte nel processo flogistico-infiammatorio (alterazioni biochimiche del plasma seminale, ridotta attività scavengers) (2)
La corretta valutazione ed attenzione parte dunque dalla PREVENZIONE. Infatti, così come le donne vanno dal ginecologo per la loro prima visita alla comparsa del primo ciclo mestruale (menarca), alla stessa maniera il maschio va periodicamente visitato dall’andrologo. Ciò andrebbe fatto preferibilmente prima della pubertà, se si sospettano anomalie, e successivamente, se nella norma, ogni 2 anni.
L’Andrologo inquadrerà correttamente:
Condizioni potenzialmente correggibili
Condizioni a rischio vita o salute che possano sottostare all’infertilità e richiedere attenzione medica
Condizioni irreversibili per le quali sia possibile ricorrere a tecniche di PMA omologhe (parliamo di tecniche di recupero degli spermatozoi)
Condizioni irreversibili per le quali non sia possibile ricorrere a tecniche di PMA omologhe e per le quali siano proponibili opzioni eterologhe (in condizioni estreme in cui non sia possibile un recupero, ricorrere alla banca del seme di donatore può rappresentare un’opzione percorribile)
Anomalie genetiche che possano influenzare la salute della progenie in caso di utilizzo di PMA
Condizioni in cui si possono prevedere scenari di ulteriore peggioramento della qualità del seme ed in cui si deve consigliare un deposito preventivo degli spermatozoi alle banche del seme.
Aitken et al, 1995; Sikka et al., 1995; Ochsendorf, 1999; Depuydt et al., 1996; Diemer et al., 2003; Agarwal et al., 2003; Sanocka et al., 2003
Depuydt et al, 1996; Comhaire et al., 1999
Salgado et al., 2003
Coronavirus: dal 4 maggio anche i centri di PMA potrebbero ripartire, pur con le dovute precauzioni. Questo è ciò che si deduce da quanto ha affermato il Ministro Roberto Speranza, commentando l’ultimo DPCM che regola la Fase 2. Lo ha fatto su Facebook, affermando che “Grazie ai sacrifici delle donne e degli uomini del nostro Paese si sta finalmente piegando la curva dei contagi. Per questo dal 4 maggio possiamo avviare con prudenza una fase nuova. Il nostro principio guida è stato, e sarà sempre, quello della tutela della salute. Anche nella fase che si apre il senso di responsabilità di ciascuno è la vera chiave per vincere la sfida. Insieme ce la faremo”
Il lockdown per la procreazione medicalmente assistita
Uno dei settori sanitari che ha subito una brusca interruzione dall’inizio del lockdown è quello della procreazione medicalmente assistita. Sono moltissime, infatti, le coppie che si sono viste sospendere i trattamenti programmati. Pre alcune di queste coppie la tempestività è fondamentale per superare le difficoltà di concepimento. Si stima che, per ogni mese di inattività, i mancati trattamenti siano stati 8.000.
Ora che il Governo si è espresso sulla Fase 2, quali saranno i modi e i tempi della riapertura per la PMA?
Già all’inizio di aprile il Gruppo di Interesse Speciale sulla Sterilità (GISS) della SIGO e delle sue Federate ha predisposto un documento di raccomandazioni per poter riprendere in sicurezza i trattamenti di procreazione medicalmente assistita. Si tratta di “strategie comportamentali che suggeriamo di attuare per poter riprendere le attività in totale sicurezza, per il personale e per i pazienti”, come afferma il Professor Nicola Colacurci, coordinatore del GISS, in un’intervista a Quotidianosanità.
I ginecologi attendono ora “un’autorizzazione istituzionale da parte del Governo e delle Regioni e in piena sintonia con l’Istituto Superiore di Sanità e del Centro Nazionale Trapianti” – prosegue il Prof. Colacurci nell’intervista. “Sono loro che devono dare il via libera, contemporaneamente ai centri pubblici, privati e privati accreditati, per poter riprendere le attività. Le istituzioni devono decidere se questo debba avvenire contemporaneamente su tutto il territorio nazionale oppure se, alla luce dei dati relativi alla pandemia, ipotizzare una ripartenza scaglionata.”
Fonte: Quotidianosanità.it
“Sterilità e infertilità, ossia l’incapacità a concepire e l’impossibilità di portare a termine una gravidanza con la nascita di un bimbo sano, sono problematiche molto diffuse in tutto il mondo occidentale e anche in Italia”, spiega Mario Mignini Renzini, Direttore medico di Biogenesi, il più grande tra i Centri Italiani di Procreazione Assistita, convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale.
”Se dopo un periodo adeguato di rapporti non protetti la gravidanza tarda ad arrivare o se l’età della donna è superiore ai 35 anni, è importante rivolgersi senza timori ad un centro di medicina della riproduzione sia per valutare attentamente la situazione della coppia che per considerare il ricorso alle tecniche di procreazione assistita” continua il Dott. Mario Mignini Renzini.
“Nei nostri oltre 20 anni di esperienza abbiamo potuto osservare come le difficoltà nella procreazione possano suscitare stimoli emotivi molto intensi sia a livello individuale che di coppia. In questo percorso, quello della scelta del centro di PMA è uno dei momenti più difficili. Spesso la coppia si trova infatti sola a compiere la decisione, senza conoscere esattamente i criteri in base ai quali valutare le varie opzioni e a volte senza un reale supporto da parte del medico di famiglia o del ginecologo di fiducia. Il timore di sbagliare, nella consapevolezza che gli eventuali trattamenti di procreazione assistita non potranno essere infiniti, affligge, in maniera legittima e comprensibile, moltissime coppie. Per questo motivo desideriamo fornire delle informazioni di base utili per un primo orientamento.
Uno dei primi criteri da valutare nella scelta di un centro di procreazione assistita è il numero di cicli di procreazione assistita effettuati dal centro. Un centro che effettua numerosi cicli ha acquisito maggiore esperienza nella gestione dei singoli casi, ed è più probabile che adotti le tecniche più avanzate di procreazione assistita. Per verificare tutti i dati relativi ai centri attivi in Italia le coppie possono collegarsi al sito del Registro Nazionale della Procreazione Medicalmente Assistita dove troveranno delle schede dettagliate suddivise per regioni e province.
Lo staff medico è il secondo fattore critico da valutare: per affrontare correttamente il percorso della PMA il centro deve avvalersi delle conoscenze di un numero adeguato di medici esperti in medicina della riproduzione, ginecologi, embriologi e psicologi. L’attività scientifica e di ricerca di un gruppo di PMA è un altro fattore da tenere in considerazione. Il centro di PMA che svolge attività di ricerca è un centro che verifica costantemente la qualità del proprio lavoro e si confronta con il mondo scientifico internazionale sulle problematiche e sulle novità nell’ambito della PMA.
Altri criteri da considerare sono la capacità del centro di effettuare trattamenti non solo di primo ma anche di secondo livello, l’adozione di tecniche innovative come, ad esempio, il time lapse o l’assisted hatchinge anche fattori quali il tempo di attesa. Per alcune coppie restare in lista di attesa per diversi mesi può significare compromettere la possibilità di ottenere una gravidanza senza ricorrere alla donazione o all’adozione.
Non da ultimo voglio sottolineare che non sempre per accedere a trattamenti di procreazione assistita di elevatissima qualità si deve disporre di una cospicua somma di denaro. I nostri centri, ad esempio, sono convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale e i costi per i trattamenti di procreazione assistita non gravano sulle coppie che si rivolgono a noi.”
Per approfondire l’argomento la invitiamo a collegarsi al sito Biogenesi.
Molto spesso capita, allo psicologo che opera nei reparti di PMA, d’incontrare coppie tormentate da dubbi e domande, che se non vengono accolte e ragionate insieme alla coppia stessa, rappresentano un vero ostacolo al successo del percorso procreativo. Nei lavori precedenti ho cercato di mettere in luce i vissuti delle coppie che intraprendono i percorsi di PMA dando alcune risposte ai loro quesiti. “Cosa raccontare al bambino?È giusto parlarne con gli altri? E se anche questo tentativo fallisse?
Nel presente lavoro mi dedichèrò di più a fornire un’analisi delle domande che emergono invece nei percorsi di fecondazione eterologa assistita mettendo in luce alcune differenze importanti in termini emotivi tra un tipo di percorso e l’altro. Il ricorrere alle tecniche di PMA indica l’importanza data dalla coppia al mantenimento di un vincolo biologico con il figlio, che ricorrendo alla fecondazione eterologa in parte si perderebbe, un po’ come avviene nelle genitorialità adottive. Il ricorrere al seme di un donatore esterno alla coppia per procreare il figlio tanto immaginato e desiderato, richiede alla persona di doversi confrontare fino in fondo con il fallimento di un progetto procreativo che affonda le sue origini fin dai primi anni della vita di un individuo, e da alcuni anni nella vita della coppia. In tali casi la situazione della sterilità assume le sembianze di quella del lutto (Vegetti Finzi, 1997). La persona, di fronte alla prospettiva di ricorrere ad una fecondazione eterologa, non solo deve elaborare il lutto della possibilità di generare un prolungamento di se stesso, attraverso una genitorialità biologica, ma deve anche sopportare l’idea che sia qualcun altro esterno/estraneo alla coppia, a poterlo realizzare al proprio posto, o al posto del proprio partner.
Assistiamo a questo punto allo sviluppo di una serie di sensazioni che hanno a che fare con il crollo dell’autostima, vissuti paranoici e sentimenti d’impotenza e d’esclusione. La prospettiva di ricorrere al gamete di un donatore esterno alla coppia per poter realizzare il progetto procreativo ideato con il proprio partner rappresenta un vero attacco all’immagine di Sé e all’ideale dell’Io. La stabilità della coppia viene minacciata dall’insorgenza di ulteriori insicurezze che rappresentano una minaccia vera e propria al progetto originario della coppia stessa. Il superamento dell’empasse procreativo dipende da molteplici fattori, in particolare la personalità dell’individuo e l’equilibrio che la coppia riesce a mantenere.
Lo psicologo in questi casi ha il dovere di aiutare la coppia a riflettere sulla possibilità di intraprendere un ciclo di fecondazione eterologa, come sulla possibilità di intraprendere altre scelte. Lo psicologo deve porre molta attenzione alle domande sollevata dalla coppia, perché proprio attraverso queste domande potrà verificare la consapevolezza della scelta indicata dalla coppia e aiutare i partner a sostenersi durante un percorso estremamente delicato. “È giusto ricorrere alla fecondazione eterologa? In tal caso il bambino a chi somiglierà? Gli vorrò’ bene come fosse mio?” Sono domande estremamente complesse che esprimono principalmente la difficoltà, almeno in uno dei due partner, di superare il desiderio di avere un figlio biologico, “un figlio che lo somigli”. Rinunciare ad una genitorialità biologica rappresenta un passaggio estremamente delicato e complesso: l’esperienza della fecondazione eterologa richiede alla coppia la capacità di tollerare la presenza dei genitori biologici del bambino, presenza che pur non essendo concreta può diventare, in alcuni momenti, invadente e suscitare ansia e sentimenti di perdita rispetto ad un rapporto esclusivo con il figlio.
Sebbene la legge preveda la riservatezza assoluta del donatore, da un punto di vista psicologico non è sempre possibile per la coppia ricevente cancellare la storia biologica del bambino. Il genitore, nella costruzione del legame con il proprio bambino ha bisogno di riconoscersi anche negli aspetti somatici del bambino, non a caso le caratteristiche somatiche della coppia ricevente vengono abbinate attentamente a quelle del donatore. “E’ chiaro che avrei preferito che mi somigliasse in tutto- afferma sorridendo Marco durante un colloquio- ma sono convinto che ci si affeziona stando nella relazione…i figli sono di chi li cresce”. Effettivamente Marco fa riferimento ad un concetto più allargato di genitore; dove la parola “genitore” significa qualcosa di molto più impegnativo che generare in senso biologico un figlio. Genitore è colui che con la propria dedizione amorosa consente lo sviluppo armonico del bambino. Basti pensare a quanti, da Winnicott a Bowlby, hanno affermato che “non esiste un bambino da solo, ma sempre un bambino col genitore”.
Dottoressa Petrozzi
In generale si assiste in Italia a un aumento nel numero di pazienti/coppie che accedono a tecniche diProcreazione Medicalmente Assistita, con netto avvicinamento alle medie europee (i cicli per milione di abitanti sono 1.078 in Italia, rispetto ai 1.221 del dato europeo, come risulta dai dati ESHRE, European Society of Human Reproduction).
Il numero di successi è invece lievemente inferiore: questo dato è strettamente correlato all’età delle coppie.
Dai dati del Registro Nazionale della PMA dell’Istituto Superiore di Sanità emerge che, nel 2012, l’età media delle donne che hanno avuto accesso alle tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita era pari a 36,5 anni, superiore al dato europeo, attestato attorno a 34,7 anni. In Italia circa il 30 % dei cicli a fresco è effettuato da pazienti di 40 anni o più: questo porta fatalmente a un diminuito tasso di gravidanza e ad aumento del tasso di patologia abortiva. Per tutti questi motivi è fondamentale sensibilizzare le coppie alle tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita, onde evitare che si procrastini oltre misura il primo approccio diagnostico-terapeutico alla sterilità di coppia.
Dott. Maurizio Cignitti
Esistono indagini diagnostico-clinico-genetiche che possano quantificare la probabilità di successo?
Quantificare la probabilità di successo di una PMA non è semplice ma uno strumento sicuramente utile può essere rappresentato dalle indagini diagnostico-clinico-genetiche.
L’elemento principale nel determinare la probabilità di gravidanza dopo PMA è comunque rappresentato dall’età della paziente. Alcune indagini, però, permettono di determinare dei parametri, mediante indagini diagnostico-clinico-genetiche, che meglio inquadrano le probabilità di successo.
Il primo è la valutazione della riserva ovarica, cioè della potenzialità riproduttiva della paziente. Questo può avvenire attraverso la determinazione di due ormoni:
AMH (ormone antimuelleriano)
FSH (ormone follicolo stimolante)
ma anche mediante un’ecografia transvaginale, che permette di calcolare il volume delle ovaie e di stimare i follicoli antrali presenti in ciascun ovaio.
Va inoltre ricordata la necessità di verificare l’assenza di una situazione trombofilica. Essa aumenterebbe il rischio di patologia abortiva, determinando il fattore V di Leiden, l’enzima MTHFR (metilen-tetra-idro-folatoreduttasi) e l’omocisteina.
Quanto alle altre indagini diagnostico-clinico-genetiche, il riferimento va alla PGS (diagnosi preimpianto delle aneuploidie cromosomiche). Essa valuta lo stato di salute degli embrioni pronti per il trasferimento in utero, accertando l’eventuale presenza di anomalie cromosomiche, correlate sia all’aumento di abortività spontanea, sia allo sviluppo di un feto non sano.
Dott. Maurizio Cignitti
Quali sono le cause di ipofertilità maschile e femminile per le quali è indicata la PMA?
Le tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) hanno come obiettivo quello di superare le condizioni di ipofertilità che, nell’ambito della coppia, ostacolano l’incontro dei gameti (spermatozoi e ovocita), impedendo quindi la fecondazione della cellula uovo. Il sito naturale della fecondazione è rappresentato dall’estremità distale della tuba e cioè dall’ampolla tubarica, dove un numero adeguato di spermatozoi deve essere presente nel periodo periovulatorio per fertilizzare la cellula uovo.
Da questa premessa è facile intuire che tali tecniche siano rivolte a superare: 1) problematiche legate a scarsa qualità del campione seminale (ridotto numero, o addirittura assenza di spermatozoi nell’eiaculato, scarsa motilità, bassa percentuale di spermatozoi con buona morfologia); 2) problematiche legate all’apparato riproduttivo femminile, come la patologia tubarica.
Nonostante la prima gravidanza ottenuta mediante il ricorso a tecniche di fecondazione in vitro sia stata eseguita prelevando la cellula uovo da un ciclo ovulatorio spontaneo, allora fu subito chiaro che uno dei punti chiave del successo della tecnica sarebbe stato legato all’elaborazione di adeguati protocolli di stimolazione ormonale necessari per ottenere un numero maggiore di ovociti maturi.
Pochi anni dopo, infatti, fu confermata l’efficacia delle gonadotropine (ormone follicolo stimolante FSH e ormone luteinizzante LH) per laProcreazione Medicalmente Assistita. Tali ormoni, inducendo un’ovulazione multipla, ovvero la maturazione di più ovociti, consentivano il trasferimento di un maggior numero di embrioni aumentando in tal modo le probabilità di successo della tecnica.
La prima gravidanza ottenuta in un ciclo “superstimolato” risale al 1980 e, da allora, l’induzione della crescita follicolare multipla è divenuta una tappa fondamentale dei cicli di procreazione medicalmente assistita.
Le dosi di gonadotropine per la Procreazione Medicalmente Assistita variano in base alla paziente
Dal 1980 ai nostri giorni molte cose sono cambiate in merito a tutto ciò che ruota intorno alla PMA. Ci riferiamo in questo senso sia alla purezza delle preparazioni farmacologiche, con relativo aumento dose/efficacia, sia all’elaborazione di protocolli di stimolazione ovarica “personalizzati” sulla base di specifici parametri.
Il primo fattore da prendere in considerazione è l’età della paziente. È noto, infatti, che dopo i 38 anni la donna abbia un calo della sua “performance riproduttiva” legato a una diminuzione fisiologica della sua riserva ovarica. In questi casi è importante sottolineare che, oltre a una ridotta risposta, intesa come numero di ovociti recuperabili dopo la stimolazione ormonale, abbiamo anche una ridotta qualità ovocitaria.
Ragionando in termini numerici, proprio per rafforzare il concetto, possiamo affermare che se una donna di 30 anni ha soltanto 1/3 del suo patrimonio ovocitario costituito da cellule uovo non idonee alla fecondazione, in una donna di 40 anni il numero di ovociti “compromessi” è almeno del 50%.
In forza di queste premesse le donne di età biologicamente avanzata sono, in linea di massima, sottoposte a protocolli di stimolazione ovarica con dosi maggiori di gonadotropine per la procreazione medicalmente assistita.
Vanno presi in considerazione anche i marcatori della riserva ovarica
L’età non è però il solo fattore che il ginecologo valuterà; esistono i cosiddetti “markers” della riserva ovarica, come il dosaggio dell’FSH al terzo giorno del ciclo della paziente unitamente alla conta ecografica dei follicoli antrali (quelli che risentono della stimolazione con gonadotropine) e il dosaggio dell’ormone antimulleriano (una sorta di marcatore dell’età ovarica), che può invece essere eseguito in qualunque momento del ciclo ovulatorio.
Il ginecologo mette insieme questi dati come le tessere di un puzzle al fine di elaborare il protocollo di stimolazione più adeguato, ovvero le giuste dosi di gonadotropine per la Procreazione Medicalmente Assistita da somministrare alla paziente.
Sulla base di tali criteri predittivi le pazienti vengono classificate come Normo-responder, Poor-responder e Hyper-responder.
La conoscenza della riserva ovarica, dunque, è uno strumento che consente di “personalizzare” il protocollo di stimolazione per le pazienti che accedono a un percorso di PMA.
Dott. Placido Borzì
Cosa succede a livello emotivo? Quale il giusto approccio psicologico per supportare la coppia?
La reazione emotiva al fallimento della FIVET (anche a più di un tentativo) dipende sostanzialmente dalla capacità della coppia di far fronte alle difficoltà della vita.
In psicologia si utilizza il termine “resilienza”, intesa come quella capacità di una persona o di un gruppo di svilupparsi positivamente, di continuare a progettare il proprio futuro, a dispetto di avvenimenti destabilizzanti. Le risposte degli individui alle malattie sono quindi chiaramente diverse a seconda, sia delle caratteristiche di queste ultime, in relazione al tipo, alla gravità, alla durata della malattia stessa, sia delle caratteristiche personali, intese come stili cognitivi, emotivi e relazionali. Ognuno di noi ha, inoltre, un modo diverso di percepire gli eventi e di ritenere che gli eventi della sua vita siano prodotti dai propri comportamenti o azioni, oppure da cause esterne indipendenti dalla propria volontà.
La reazione emotiva al fallimento della FIVET varia in base ai caratteri: c’è chi si colpevolizza e chi sa prendere la distanza
Ci sono quindi tipologie di persone più propense a colpevolizzarsi, di solito le più difficili da trattare in tali contesti di PMA perché perdono molta energia a cercare le cause disperdendola, invece, rispetto alla ricerca della soluzione. Ce ne sono altre, invece, capaci di saper prendere distanza dalle responsabilità degli eventi e di concentrarsi su possibili soluzioni alternative. Pensare la propria sterilità di coppia secondo un’attribuzione causale esterna, protegge la coppia da sentimenti di vergogna e bisogno di isolamento, rendendola più libera nelle richieste di aiuto e nella ricerca di una nuova ristrutturazione della propria vita.
Solo un’attenta analisi permette allo psicologo di gestire la reazione emotiva al fallimento della FIVET
Un’attenta analisi da parte del clinico sulle modalità personali dell’individuo di affrontare le difficoltà della vita permetterà allo psicologo di prevedere quale sarà la reazione emotiva al fallimento della FIVET e quale interpretazione darà quella persona all’insuccesso del proprio progetto procreativo. In questo modo sarà possibile andare a individuare meglio quali possano essere le alternative al fallimento. Compito dello psicologo è, infatti, saper distinguere le personalità più rigide da quelle più flessibili, lavorare sul senso di colpa e sulle strategie di “coping” (gestione attiva) che permettono alle persone d’individuare soluzioni alle proprie difficoltà, aiutandole a superare, quando necessario, quelle restrizioni mentali inconsapevoli, dettate da vecchie credenze implicite della persona, che non le consentono di poter procedere ed evolversi sulla linea del ciclo vitale. Dott.ssa Angela Petrozzi