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Sessualità e infertilità sono correlate? La WHO World Health Organization definisce la sessualità come un aspetto centrale dell’essere umano, che abbraccia il sesso, l’identità di genere, i ruoli, l’orientamento sessuale, l’erotismo, il piacere, l’intimità, la riproduzione. Inoltre, la sessualità si esprime attraverso i pensieri, le fantasie, i desideri, ma anche con le credenze, le attitudini, i valori, i comportamenti, la pratica, i ruoli e le relazioni.

D’altro lato, sappiamo che l’infertilità è definita come la difficoltà a concepire dopo oltre 12 mesi di rapporti sessuali non protetti.

Abbiamo parlato di sessualità e infertilità con la Dottoressa Giulia Bertapelle, ginecologa e sessuologa clinica, impegnata nel campo della medicina della riproduzione presso l’Instituto Bernabeu di Venezia. Le abbiamo chiesto come sono correlate e quali possono essere le implicazioni all’interno della vita sessuale di una coppia quando si riceve una diagnosi di infertilità.

Qual è il rapporto tra sessualità e infertilità?

Se dovessimo rappresentare graficamente il rapporto tra sessualità ed infertilità, potremmo disegnare una freccia che collega queste due parole in ambo i versi: esistono infatti delle disfunzioni sessuali che possono ostacolare la coppia nell’avere rapporti sessuali completi, come ad esempio condizioni o patologie che determinano un dolore alla penetrazione o alcuni casi di disfunzione erettile e/o eiaculatoria, ma esiste anche un rapporto inverso che molto spesso non viene considerato e del quale si parla davvero troppo poco.

Per alcune coppie infatti avviene già una prima modifica nella frequenza e nella qualità dei rapporti, prima ancora di arrivare ad una diagnosi di infertilità, già nel momento in cui il rapporto diventa finalizzato al concepimento.

Se per alcune coppie l’aspetto prettamente ludico del rapporto viene mantenuto anche durante il periodo di ricerca di un figlio, per altre questo viene progressivamente a scemare, fino, a volte, a perdersi completamente.

Cosa cambia con dopo una diagnosi di infertilità?

Con l’arrivo di una diagnosi di infertilità la sessualità della coppia può modificarsi ulteriormente ed in modalità diverse anche in base al tipo di causa riscontrata durante la fase diagnostica.

In alcuni casi l’impatto sulla sfera sessuale può diventare così importante da determinare delle disfunzioni vere e proprie che prima non erano presenti e che purtroppo tendono ad essere messe in secondo piano dalla coppia stessa che durante l’iter di procreazione assistita è portata a concentrare tutte le energie nel percorso, mettendo in secondo piano altri aspetti della vita, tra cui quello legato alla sfera sessuale.

Esistono dei “momenti” nell’iter della PMA che possono incidere sulla vita sessuale della coppia?

Esistono poi dei momenti nell’iter della procreazione medicalmente assistita, sia diagnostici che terapeutici, nei quali il medico di medicina della riproduzione darà delle prescrizioni alla coppia che inevitabilmente potranno avere delle implicazioni sulla vita sessuale dei pazienti.

Pensiamo ad esempio quanto può essere difficile per un uomo anche solo fare uno spermiogramma, in un ambiente asettico nel quale evidentemente ginecologo, biologo, segretarie, infermiere ed ostetriche sanno cosa sta succedendo all’interno di quella stanza, o pensiamo a quanto può essere faticoso per la coppia avere dei rapporti programmati “oggi sì, domani no”, “oggi sì”, anche se magari non c’è desiderio, “domani no” anche se magari la coppia ne ha voglia.

Queste prescrizioni sono spesso necessarie per massimizzare le possibilità di successo e quindi di nato vivo, ma possono involontariamente implementare un meccanismo secondo il quale il rapporto o la masturbazione nel caso del partner maschili diventano più delle prestazioni che degli atti naturali e fisiologici all’interno della coppia.

Quali sono i suoi suggerimenti?

È molto importante che i professionisti della medicina della riproduzione siano sensibilizzati a prendersi carico anche della salute sessuale della coppia, oltre che di quella riproduttiva, in modo da identificare precocemente alcuni segnali d’allarme e lavorare prima di tutto sulla prevenzione o, quando siano già evidenziate al colloquio delle disfunzioni sessuali vere e proprie, indirizzare la coppia a specialisti di riferimento del settore.

L’intelligenza artificiale (AI) è senza dubbio uno degli argomenti più discussi e rilevanti del momento, nonostante la sua storia non sia così recente. Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un incremento esponenziale delle capacità di questa tecnologia, con una conseguente espansione in numerosi campi di applicazione. Tra questi, la medicina sta subendo un’influenza crescente da parte di questi sistemi complessi, suscitando interesse e curiosità tra scienziati di tutto il mondo.

Prima di approfondire le possibili applicazioni attuali e future in ambito medico, è importante chiarire cosa sia realmente l’AI e cosa possa fare (e non fare): ne abbiamo parlato con la Dottoressa Giulia Bertapelle, ginecologa e sessuologa clinica, impegnata nel campo della medicina della riproduzione presso l’Instituto Bernabeu di Venezia.

AI: facciamo chiarezza

Innanzitutto, è fondamentale sottolineare che il termine “intelligenza artificiale” comprende un vasto insieme di tecnologie che mirano a risolvere problemi per i quali normalmente sarebbe richiesta l’intelligenza umana. Tuttavia, questo termine può essere fuorviante, poiché gli algoritmi alla base dell’AI non “ragionano” come farebbe un cervello umano, anche se in parte si ispirano ai meccanismi del nostro sistema nervoso. All’interno dell’AI, troviamo diverse sottocategorie di tecnologie, tra cui:

  • Il Machine Learning: algoritmi che apprendono dai dati per identificare schemi e fare previsioni;
  • All’interno dell’insieme Machine Learning troviamo le Reti Neurali Artificiali (ANN): strutture ispirate al funzionamento del cervello umano, in grado di elaborare informazioni in maniera complessa;
  • Una sottocategoria di ANN è il Deep Learning: un metodo avanzato che utilizza grandi quantità di dati e potenza computazionale per migliorare l’accuratezza dei modelli predittivi.

Un esempio pratico di AI è rappresentato dai modelli linguistici di grandi dimensioni (Large Language Models, LLM), utilizzati per generare, comprendere e manipolare il linguaggio umano, come nel caso dei chatbot intelligenti e dei sistemi di supporto decisionale. L’avanzamento di questa tecnologia e la sua capacità di svolgere un vasto numero di compiti complessi rendono sempre più difficile, per l’utente medio, comprenderne il reale funzionamento e non cadere nell’illusione che questi sistemi siano in grado di ragionare come un essere umano. È invece fondamentale cercare di comprendere, almeno in parte, come funzionino questi sistemi, specialmente quando li utilizziamo. In ambito medico, sarà essenziale formare i professionisti affinché acquisiscano competenze specifiche per utilizzare l’AI in modo ottimale.

Il potenziale dell’AI per una medicina predittiva personalizzata

L’AI funziona in modo eccellente e sempre più accurato nel prevedere risultati sulla base di enormi dataset sui quali viene addestrata. Questo potenziale può essere sfruttato in ambito sanitario, in particolare nel campo della medicina predittiva personalizzata. Grazie alla capacità di analizzare grandi quantità di dati clinici, questa tecnologia consentirà di adattare i protocolli di screening, diagnosi e trattamento alle esigenze specifiche di ogni paziente, considerando molte più variabili di quante una mente umana possa gestire.

Inoltre, l’AI offre la possibilità di prevedere gli esiti dei trattamenti, analizzando le variabili individuali dei pazienti e identificando i fattori predittivi più significativi, senza trascurare elementi potenzialmente rilevanti. Ciò permette ai medici di adottare un approccio altamente individualizzato, migliorando i risultati clinici e riducendo i rischi associati a trattamenti non ottimali.

I modelli multimodali sono un altro esempio eccellente di applicazione dell’AI in campo medico. Si tratta di modelli di AI capaci di elaborare e integrare informazioni provenienti da più modalità di input, come testo, immagini, audio e video. In particolare, i modelli multimodali con componente visiva (vision models) possono essere sfruttati nella diagnostica per immagini per migliorare l’accuratezza e fornire supporto decisionale.

Per i medici, questa tecnologia offre strumenti avanzati che rendono più efficienti la raccolta anamnestica e l’iter diagnostico, ottimizzando il tempo dedicato ai pazienti. Inoltre, alcune applicazioni sono progettate per migliorare la qualità della comunicazione, facilitando il dialogo medico-paziente, migliorando la comprensione dei trattamenti proposti e garantendo maggiore trasparenza. Non solo, sistemi di AI potranno essere integrati nel percorso formativo dei medici per migliorare e facilitare il processo di apprendimento.

Per i pazienti, l’intelligenza artificiale rappresenta un valido supporto nel loro percorso terapeutico. Attraverso strumenti educativi e interattivi, l’AI rende i pazienti più consapevoli delle opzioni disponibili, migliorandone l’aderenza ai trattamenti e favorendo un’esperienza complessivamente più positiva.

Le applicazioni nella Procreazione Medicalmente Assistita

Nello specifico, nella Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) sono state proposte numerose applicazioni dell’AI, alcune delle quali sono già state tradotte in software e commercializzate. Dal punto di vista clinico, oltre agli algoritmi utilizzati in medicina predittiva personalizzata, esistono strumenti che mirano a ottimizzare alcuni aspetti del lavoro del medico esperto in PMA: la scelta del farmaco per la stimolazione ovarica controllata, il dosaggio, la scelta del giorno in cui somministrare il trigger dell’ovulazione e, di conseguenza, il giorno del prelievo ovocitario, l’esecuzione della follicolometria (la misurazione dei follicoli in crescita nelle ovaie della paziente) e la valutazione delle probabilità di successo della coppia.

Nel laboratorio di embriologia, l’AI potrebbe rivoluzionare le modalità di lavoro. Modelli predittivi avanzati possono essere utilizzati per: la selezione degli spermatozoi per l’iniezione intracitoplasmatica, la valutazione della qualità degli ovociti e l’identificazione degli embrioni con maggiori probabilità di successo. Inoltre, tecnologie automatizzate sono già state applicate a procedure estremamente delicate e complesse, come l’iniezione intracitoplasmatica di spermatozoi (ICSI), riducendo al minimo la variabilità legata all’intervento umano.

Dal lato del paziente, l’AI potrà migliorare l’esperienza legata al percorso di PMA, riducendo i tassi di abbandono (dropout rate). Inoltre, sembra imminente la possibilità di fornire alle coppie strumenti per eseguire procedure diagnostiche complesse, come l’ecografia transvaginale per la follicolometria, direttamente a domicilio, offrendo un aiuto concreto per conciliare l’iter diagnostico-terapeutico con la vita lavorativa delle pazienti.

AI e pratica clinica: le sfide del futuro

Nonostante le straordinarie potenzialità, l’adozione dell’intelligenza artificiale presenta sfide significative. Tra i temi più controversi vi sono: la spiegabilità dei modelli, il consumo energetico, la responsabilità, la privacy, gli aspetti etici e sociali e, non ultimo, il tema economico.

Per garantire un’integrazione efficace dell’intelligenza artificiale nella pratica clinica, è necessario intraprendere una serie di azioni. La conduzione di studi clinici rigorosi è fondamentale per validare l’efficacia e la sicurezza delle applicazioni AI. Allo stesso tempo, è indispensabile sviluppare linee guida etiche che assicurino un utilizzo trasparente ed equo della tecnologia. Anche la formazione dei professionisti gioca un ruolo cruciale: medici ed embriologi devono essere preparati a utilizzare l’intelligenza artificiale in modo ottimale, comprendendone i limiti e le potenzialità.

L’intelligenza artificiale rappresenta una nuova frontiera per la PMA, offrendo strumenti avanzati che possono trasformare radicalmente il settore. Con un approccio etico e supervisionato, questa tecnologia ha il potenziale di realizzare progressi straordinari, migliorando i risultati per i pazienti e ottimizzando le risorse sanitarie.

L’ormone antimulleriano (AMH) è un importante indicatore della riserva ovarica che, a sua volta, è indicatore di fertilità della donna. Ha un ruolo fondamentale, perché regola la crescita e lo sviluppo dei follicoli nelle ovaie e impedisce che si sviluppino follicoli non ancora maturi.

Ci spiega bene il suo ruolo la Dottoressa Alessandra Tiezzi, ginecologa, Responsabile del Centro di Fecondazione assistita della CLINICA NUOVA RICERCA di Rimini.

Cos’è l’ormone antimulleriano

L’ormone antimulleriano è un importante indicatore di riserva ovarica, prodotto dalle cellule della granulosa che rivestono i follicoli nella fase iniziale del loro sviluppo. È un ormone importante, perché regola la crescita e lo sviluppo dei follicoli nelle ovaie e impedisce che si sviluppino follicoli non ancora maturi, evitando che questi ultimi crescano in maniera intempestiva e quindi causino alterazioni dell’ovulazione.

Qual è il suo ruolo?

L’ormone antimulleriano AMH svolge un ruolo molto importante nella fertilità.

Innanzitutto, è un ormone che non è influenzato dalle fluttuazioni cicliche, come invece lo sono l’FSH l’estradiolo; quindi, è un dato più costante della riserva ovarica e può essere utilizzato anche per predire la risposta alla stimolazione ovarica.

Spesso nei centri di PMA viene utilizzato per stabilire la dose iniziale di gonadotropine per stimolare la paziente, in quanto predice la risposta a questo tipo di stimolazione.

Se il valore di AMH e più alto, di solito si ha una miglior risposta e un maggior numero di ovociti: queste sono condizioni sicuramente positive, ma bisogna prestare attenzione per gestire l’aumentato rischio di iperstimolazione ovarica. Questo ci aiuta a capire qual è la dose migliore per gestire anche eventuali complicanze.

L’ormone antimulleriano ci aiuta anche a predire certe patologie: ad esempio, risulta molto più alto nelle donne con la sindrome della policistosi ovarica, e molto più basso in donne con un’insufficienza ovarica precoce o in menopausa precoce.

AMH ed età della donna

L’AMH ha valori diversi nelle varie età della vita e i valori normali di questo ormone sono compresi tra 1 e 4 nanogrammi su millilitro. In questo caso le pazienti hanno una buona riserva ovarica e, se sottoposte trattamenti di fondazione assistita, di solito hanno un recupero di un buon numero di ovociti.

Un valore superiore a 4 nanogrammi su millilitro è considerato elevato e di solito implica una buona riserva ovarica e un maggior numero di ovociti recuperati con i trattamenti di fecondazione assistita. Valori di molto superiori, invece, parliamo di 10-15 nanogrammi su millilitro, si trovano in patologie come la policistosi ovarica.

I valori che possiamo considerare bassi sono quelli compresi tra 0,5 e 1 nanogrammo su millilitro: in questi casi possiamo dire che la riserva ovarica della paziente è ridotta. Infine, valori molto molto bassi, inferiori a 0,5 nanogrammi su millilitro si rilevano nelle donne che di solito sono in premenopausa o in menopausa, o che hanno un fallimento ovarico precoce.

Come si dosa l’AMH

L’ormone antimulleriano AMH viene dosato con un prelievo di sangue, in qualsiasi momento del ciclo mestruale. Questo perché, come detto sopra, non è influenzato dalla ciclicità dalle fluttuazioni.

Quali sono i limiti dell’AMH?

Innanzitutto, è un valore che non predice in maniera assoluta la fertilità: questo perché la fertilità è influenzata da diversi fattori. Inoltre, non sostituisce altri test, ad esempio l’ecografia transvaginale per la conta dei follicoli antrali, ma anche test che riguardano la parte maschile. Infatti, dobbiamo sempre valutare anche la qualità del liquido seminale.

Come interpretare i valori

I valori di ormone antimulleriano vanno interpretati in un contesto clinico ampio ed è necessario fare sempre riferimento a uno specialista esperto in fertilità.

È comunque un ormone che può essere utilizzato anche ai fini della pianificazione familiare, quindi va tenuto sotto controllo, ad esempio, nelle donne che desiderano posticipare la gravidanza.

Inoltre, va monitorato nelle donne che già si stanno sottoponendo ai trattamenti di fecondazione assistita perché è importante per valutare la dose iniziale di farmaco, per valutare le possibilità di successo del trattamento.

Infine, è importante nei casi di diagnosi di insufficienza ovarica precoce o di menopausa precoce.

Per concludere, possiamo dire che l’ormone antimulleriano è soltanto una parte della valutazione complessiva della fertilità va sicuramente interpretato insieme ad altri valori e ad altri fattori, come l’età della donna, lo stile di vita, le sue abitudini, i fattori ambientali, il fumo.

Per questo, è importante che la donna si affidi non soltanto al risultato di questo esame, ma che consulti sempre un esperto in fertilità.

La riserva ovarica è un importante indicatore di fertilità della donna. Tende a diminuire con l’età, influenzando le possibilità di concepimento e quindi di gravidanza ed è influenzata da diversi fattori.

Vediamo quali, con la Dottoressa Alessandra Tiezzi, ginecologa, Responsabile del Centro di Fecondazione assistita della CLINICA NUOVA RICERCA di Rimini.

Che cos’è la riserva ovarica?

La riserva ovarica è intesa come la quantità e la qualità degli ovociti presenti nelle ovaie di una donna ed è un importante indicatore di fertilità femminile. Sappiamo che tende a diminuire con l’età limitando le possibilità di concepimento e di gravidanza. Sappiamo che il picco di massima fertilità femminile si verifica tra i 25 e i 30 anni; tra i 30 e 35 questo picco di fertilità inizia a diminuire progressivamente e, dopo i 35 anni, in modo molto marcato. Non diminuisce solo il numero degli ovociti, ma anche la qualità degli stessi.

Oltre l’età: gli altri fattori che influenzano la riserva ovarica

Un altro fattore molto importante è sicuramente la genetica, che ha un ruolo nella velocità con cui la riserva ovarica diminuisce. Ad esempio, ci sono alcune donne che proprio per fattori genetici vanno incontro ad una menopausa precoce, quindi ad un declino della fertilità anticipato rispetto alla media.

Altri fattori che influenzano la riserva ovarica possono essere i fattori ambientali, quindi l’inquinamento, l’esposizione a sostanze chimiche tossiche, oppure fattori legati allo stile di vita, ad esempio un’alimentazione scorretta, l’obesità.

Un fattore che sicuramente incide molto ed in maniera negativa è l’abitudine al fumo.

Ci sono poi condizioni mediche che possono influenzare la riserva ovarica: ad esempio l’endometriosi, le infezioni, l’essere sottoposte a trattamenti di chemioterapia o di radioterapia, oppure una patologia che conosciamo come policistosi ovarica.

Quali sono gli indicatori utilizzati per la riserva ovarica?

  • Indispensabile un’ecografia ginecologica – tendenzialmente viene fatta per via transvaginale ma quando questo non è possibile anche per via transaddominale. Serve per effettuare quella che si chiama conta dei follicoli antrali, cioè il numero dei follicoli nella fase iniziale del ciclo
  • Un test molto importante è il dosaggio dell’ormone antimulleriano, che viene effettuato tramite un prelievo di sangue. L’ormone antimulleriano è prodotto dai follicoli antrali e alti livelli di ormone antimulleriano indicano di solito una riserva ovarica migliore, mentre bassi livelli indicano una riserva ovarica ridotta. Bassi livelli di antimulleriano si trovano spesso in donne che hanno un esaurimento ovarico precoce, una menopausa precoce oppure che sono di età più avanzata
  • Un altro ormone che viene valutato è l’ormone follicolo stimolante FSH che, di solito, se ha un valore alto indica una riserva ovarica ridotta. Si valuta anche l’ormone estradiolo: se anche il suo livello è alto insieme a un valore alto di FSH, questo denota sicuramente una riserva ovarica ridotta

Cosa vuol dire avere una riserva ovarica ridotta?

La riserva ovarica ridotta implica una minore probabilità di ovulazione; quindi, una ridotta capacità di concepimento e una maggiore probabilità di avere pochi ovociti e di qualità ridotta. Con l’avanzare dell’età, inoltre, si ha anche un aumento delle anomalie cromosomiche quindi, anche in caso di gravidanza, ottenuta sia spontaneamente sia tramite fecondazione assistita, si osserva un maggior numero di aborti spontanei.

Cosa può fare una donna che ha una ridotta riserva ovarica?

Una donna che ha una ridotta riserva ovarica potrebbe senz’altro effettuare quella che si chiama crioconservazione degli ovociti o Social freezing, per avere modo di poter allungare i tempi di ricerca di una gravidanza; oppure, trattamenti ormonali di induzione dell’ovulazione multipla, con una successiva ricerca di gravidanza tramite dei trattamenti di fecondazione assistita.

Sicuramente è importante che la donna monitori sin da giovane la sua riserva ovarica tramite l’aiuto di uno specialista in fertilità perché vanno considerati i molteplici fattori che determinano poi il successo di una gravidanza.

L’infertilità è un problema che riguarda milioni di persone e ha effetti significativi non solo sulla salute fisica ma anche su quella emotiva, sociale ed economica. L’infertilità è definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come l’assenza di concepimento dopo 12-24 mesi di rapporti mirati non protetti. In Italia è un fenomeno in crescita, che coinvolge circa il 15-20% delle coppie, mentre a livello globale il 10-12%.

L’indagine

I dati emersi dall’indagine ‘Il fenomeno dell’infertilità: percezioni e vissuti degli italiani’ condotta dall’Istituto Piepoli, e presentati durante il Congresso Nazionale 2024 della Società Italiana della Riproduzione (Sidr), sono un campanello d’allarme.

La ricerca ha rivelato che la maggior parte degli italiani riconosce l’infertilità come una difficoltà reale e trasversale, che non riguarda solo le donne ma coinvolge anche gli uomini in misura significativa. Sebbene ci sia una crescente consapevolezza del fenomeno, persiste una scarsissima conoscenza delle soluzioni disponibili e, soprattutto, dei costi e delle barriere che le persone devono affrontare per poter accedere alle cure.

Con il 74% degli italiani che considera la fecondazione assistita come uno strumento utile a contrastare il calo demografico, la domanda di un’azione concreta e di un maggior supporto da parte delle istituzioni è sempre più forte. Non si tratta semplicemente di una questione medica, ma di una vera e propria emergenza sociale.

In Italia, la natalità è in continuo calo, e le previsioni per il 2024 parlano di ben 200mila bambini in meno, un dato che segna un futuro sempre più incerto per il Paese. Questo fenomeno, che colpisce in modo crescente le nuove generazioni, è legato a una molteplicità di fattori: dall’età avanzata alla scarsa informazione, passando per gli stili di vita dannosi e l’inquinamento ambientale.

Si stima che solo il 25% della popolazione italiana abbia consapevolezza delle opzioni terapeutiche esistenti e, ancor di più, di come queste possano realmente supportare chi è colpito da infertilità. Le terapie, per quanto efficaci, rimangono un miraggio per tanti, spesso frenato da barriere economiche o culturali: le disuguaglianze nell’accesso ai trattamenti, che sono ancora condizionati da costi elevati e da una disparità regionale significativa, peggiorano ulteriormente la situazione.

Le cause percepite dell’infertilità

L’indagine condotta dall’Istituto Piepoli ha anche evidenziato come la maggior parte degli italiani (69%) percepisca l’infertilità come un problema diffuso e in continua espansione, che coinvolge entrambi i sessi. Questo dato, già significativo, assume contorni ancora più preoccupanti quando si analizzano le cause identificate dalla popolazione.

Se la causa principale è rappresentata dall’età avanzata, con il 39% degli italiani che la considera un fattore determinante, altre motivazioni non sono meno rilevanti. Gli squilibri ormonali (34%) e le malattie pregresse (29%) sono altre cause ritenute cruciali. A queste si aggiungono i fattori legati allo stile di vita, come il fumo (26%) e l’abuso di alcol (23%), ma anche fattori psicologici ed emotivi (24%), inquinamento e stress (23%).

Questo quadro suggerisce una crescente consapevolezza dei legami tra le abitudini quotidiane e la fertilità, ma al contempo evidenzia una grande difficoltà nel prevenire il problema. Si parla di infertilità come di un “problema moderno”, legato all’incapacità di modificare comportamenti dannosi, spesso legati alla frenesia della vita urbana o al peggioramento delle condizioni ambientali.

Ciò che emerge con chiarezza dall’indagine è l’urgenza di una maggiore informazione e sensibilizzazione, in modo da ridurre il divario tra consapevolezza e azione. La consapevolezza sulle cause dell’infertilità, infatti, non basta: è fondamentale che i cittadini ricevano un supporto concreto, non solo in termini di accesso a trattamenti ma anche in termini di educazione alla salute riproduttiva.

Il futuro della fertilità in Italia

In un contesto così complesso e frammentato, le aspettative degli italiani sono chiare e forti. Secondo l’indagine, la maggior parte della popolazione ritiene che la risposta al calo demografico e alle difficoltà legate all’infertilità debba passare anche da un’azione concreta sul fronte dell’accessibilità e della sensibilizzazione.

Ben il 36% degli intervistati ha indicato la necessità di facilitare l’accesso ai trattamenti attraverso il Sistema Sanitario Nazionale, mentre il 34% sottolinea l’importanza di formare i medici per affrontare al meglio la patologia. Altri suggeriscono di incrementare il numero di centri specializzati e di destinare più risorse alla ricerca medica (29%), elementi tutti imprescindibili per garantire un reale miglioramento.

L’infertilità non può essere più vista come una questione privata o una difficoltà da affrontare in solitudine. Occorre un’educazione alla fertilità che parta dalle scuole e che prosegua nelle campagne di sensibilizzazione. Il tema deve essere affrontato in modo aperto e informato, per ridurre lo stigma e la vergogna che spesso circondano chi non riesce ad avere figli.

 

Fonte: ADNKRONOS.

In un precedente articolo abbiamo scritto del convegno “Preservare la fertilità per coltivare il futuro. Prevenzione e rimedi” durante il quale è stata presentata la campagna di screening precoce della fertilità promossa da ProcrearTe Onlus in collaborazione con ATS Bergamo con il patrocinio dell’Ordine dei Biologi della Lombardia. L’iniziativa è stata ideata e coordinata dalla Dottoressa Nicoletta Maxia, biologa, Responsabile del centro di PMA (Procreazione Medicalmente Assistita) del Policlinico San Marco di Bergamo e Presidente dell’Associazione ProcreARTE.

Lo screening ha rappresentato la terza fase di un ampio progetto di prevenzione e sensibilizzazione sul tema dell’infertilità nei giovani.

La fertilità non è scontata

Le infezioni sessualmente trasmesse, insieme ad alcuni disturbi del sistema riproduttivo, sono tra gli elementi – spesso asintomatici – che possono avere un impatto anche importante sulla fertilità e sulla salute riproduttiva e impedire la realizzazione dei sogni di molti ragazzi.

“L’infertilità è un problema ancora troppo sottovalutato che riguarda uomini e donne – ha commentato la Dr.ssa Maxiaintorno al quale non esiste ancora una vera cultura della prevenzione.”

I risultati

“L’adesione alla prima fase di screening è stata ampia, hanno partecipato 116 tra ragazzi e ragazze.” Ha commentato la Dr.ssa Maxia. “Il loro interesse per una tematica così “da grandi” e importante come la fertilità è andato oltre le nostre aspettative ed è segno della necessità di parlarne ancora in futuro. I nostri giovani sono disposti ad imparare, a formarsi, ad assumersi delle responsabilità sul proprio futuro, molto più di quanto si pensi.

“I primi risultati emersi dallo screening, confermano l’importanza di mettere in atto campagne di screening precoce della fertilità”, sottolinea la Dottoressa Maxia

Il 56% dei ragazzi tra i 16 e i 25 anni presenta una morfologia degli spermatozoi inferiore alla media, mentre nelle ragazze della stessa età il 54% non ha mai effettuato un pap test.

I risultati dello screening maschile

Il 56% dei ragazzi presenta una morfologia degli spermatozoi inferiore alla media, ma non solo: nel 58% dei casi anche l’integrità del DNA spermatico è borderline, quindi non scevra da frammentazione, in alcuni casi anche ridotta e compromessa – spiega la dr.ssa Maxia.

Si tratta di percentuali importanti, considerata la giovane età del campione. Sono dovute probabilmente a fattori ambientali, ma anche e soprattutto a stili di vita che prevalgono nei giovani di tale fascia d’età (fumo, droghe, alcool, alimentazione non equilibrata, sedentarietà, ecc…). Queste cattive abitudini potrebbero avere un impatto anche molto significativo sia sulla salute riproduttiva dei giovani sia sulla natalità del futuro, già particolarmente bassa nel nostro Paese”.

Infatti, le due condizioni emerse possono compromettere la fertilità, quindi la possibilità di diventare genitori. “In molti casi, tuttavia, se individuate precocemente, possono essere migliorate e talvolta, qualora siano causate da patologie specifiche come il varicocele o infezioni e/o infiammazioni, anche risolte.

Altri dati emersi

Lo screening maschile è stato effettuato attraverso spermiogramma con capacitazione e test di frammentazione del DNA tramite l’utilizzo di acido ialuronico (secondo le linee guida WHO 2021) e visita uro-andrologica. Tra gli altri dati emersi si osserva che:

  • il 46% presenta delle agglutinazioni degli spermatozoi nel liquido seminale.
  • il 30% dei ragazzi presenta un volume di liquido seminale anomalo (o inferiore a 1,4 ml o superiore a 4,5 ml).
  • il 34% ha una viscosità del liquido seminale aumentata.

“Tutti i parametri presi in considerazione, ovvero morfologia e DNA degli spermatozoi, presenza di agglutinazioni, volume e viscosità del liquido seminale sono cruciali per determinare sia il livello di fertilità, sia la qualità degli spermatozoi – continua la dottoressa Maxia -.

Fare prevenzione, curando questi parametri del liquido seminale alterati, vuol dire riabilitare il ragazzo alla ‘via del ripristino della fertilità’”.

I risultati dello screening femminile

Per quanto riguarda le ragazze, per le quali lo screening è consistito in una visita ginecologica con ecografia, i dati più significativi emersi sono caratterizzati da luci e ombre:

  • il 54% non ha mai eseguito un pap test;
  • solo il 54% ha effettuato il vaccino per l’HPV;
  • l’81% utilizza un contraccettivo durante i rapporti sessuali dimostrando consapevolezza rispetto alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, uno dei fattori di rischio di infertilità femminile in età giovanile.

Investire sulla preservazione della fertilità

Formare ed educare le giovani generazioni a prendersi cura della propria salute significa crescere donne e uomini responsabili e consapevoli del fatto che il tempo dedicato alla prevenzione non è perso, anzi, è tempo investito sul proprio futuro.

Non si può perdere nemmeno un’occasione per andare loro incontro in questo senso. Per questo, stiamo definendo nuove attività per il futuro, che siano anche occasioni di confronto per parlare di tutte le tematiche inerenti alla prevenzione dell’infertilità, in particolare sull’impatto dello stile di vita, che non è solo alimentazione e attività fisica, ma è anche abitudini sessuali, uso di integratori, abuso dei device elettronici.

“Salvaguardare la fertilità significa anche favorire la natalità e tutelare il futuro stesso della nostra società. Per questo è importante continuare a sensibilizzare e informare su questo tema a partire dai ragazzi più giovani, così da individuare eventuali problemi il prima possibile e, se presenti già in modo importante, il rivolgersi a un centro PMA per il così detto ‘social freezing’ – consiglia la dottoressa Maxia.

Il social freezing consiste nel congelare i propri gameti, sia per prevenzione sia se già compromessi (oligo-asteno-teratozoospermia, azospermia, ridotta riserva ovarica, endometriosi, ecc.), in modo da avere una piccola scorta in caso di bisogno futuro.

Fonti:

L’inositolo è una sostanza naturale appartenente alla famiglia delle vitamine del gruppo B, anche se tecnicamente non è una vitamina. È disponibile in molte forme, ma le più note sono il mio-inositolo e il D-chiro-inositolo. Questi composti giocano un ruolo cruciale in diverse funzioni cellulari e sembra che abbiano un impatto sulla fertilità sia nell’uomo sia nella donna.

Facciamo chiarezza con il Dottor Carlo Torrisi, ginecologo, responsabile clinico e Direttore Sanitario del Centro di Medicina della Riproduzione e Infertilità di Catania.

L’inositolo

L’inositolo è un isomero appartenente al gruppo delle vitamine B, noto a molti ginecologi anche di quelli che non si occupano di infertilità grazie alle sue proprietà. Infatti, sembra che l’inositolo possa svolgere un’azione benefica sull’ovulazione, sulla formazione e sulla qualità degli ovociti e sulla qualità degli embrioni.

L’inositolo ha anche mostrato effetti positivi sulla fertilità maschile: può migliorare la qualità dello sperma, aumentando la motilità e la morfologia degli spermatozoi.

Gli inositoli più rilevanti per la salute umana sono il mio-inositolo e il D-chiro-inositolo.

I meccanismi di azione

Il mio-inositolo e il D-chiro-inositolo influenzano diversi percorsi biologici che possono migliorare la fertilità. Questi includono la modulazione dei recettori insulinici, che aiuta a migliorare l’uso del glucosio e ridurre l’insulino-resistenza. Inoltre, l’inositolo agisce come secondo messaggero per diversi ormoni e neurotrasmettitori, contribuendo così alla regolazione del ciclo mestruale e dell’ovulazione.

Nella donna, il mio-inositolo ripristina una ovulazione spontanea direttamente, con la riduzione dei livelli di insulina, quindi degli androgeni, stimolando la produzione dell’FSH.

Inositolo e Sindrome dell’Ovaio Policistico (PCOS)

Una delle principali applicazioni dell’inositolo nella medicina riproduttiva riguarda il trattamento della sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), una delle cause più comuni di infertilità nelle donne.

La PCOS è spesso caratterizzata da insulino-resistenza, iperandrogenismo e disfunzioni ovulatorie. Studi clinici hanno dimostrato che l’inositolo, specialmente in combinazione con l’acido folico, può migliorare la sensibilità all’insulina, ridurre i livelli di androgeni e ristabilire l’ovulazione regolare nelle donne affette da PCOS.

Benefici dell’inositolo nella fertilità maschile

L’inositolo ha anche mostrato effetti positivi sulla fertilità maschile. L’utilizzo del mio- o del D-chiro-inositolo nell’uomo crea essenzialmente un rimodellamento dei dosaggi di FSH che, come sappiamo, sono responsabili della spermatogenesi. È  soprattutto è un agente antiossidante, per cui migliora complessivamente l’ambiente spermatico, determinando un miglioramento del numero, motilità e morfologia degli spermatozoi.

Le fonti alimentari di inositolo

L’inositolo è presente in vari alimenti di origine sia vegetale sia animale. Alcune delle fonti alimentari più ricche di inositolo sono:

  • Frutta: melone, arance, kiwi
  • Verdure: cavoli, carote e piselli
  • Cereali integrali: riso integrale, avena e grani intero (specialmente nella parte esterna, la crusca)
  • Noci e semi: noci, mandorle, semi di girasole
  • Legumi: piselli, fagioli, lenticchie

Per chi ha bisogno di una quantità di inositolo superiore al normale, specialmente in contesti terapeutici come il trattamento della PCOS o il miglioramento della qualità dello sperma, gli integratori possono essere una soluzione efficace. Come per tutti gli integratori, è sempre consigliabile consultare un medico prima di iniziare qualsiasi trattamento.

Sono molte le cattive abitudini che riducono la fertilità e non sempre le coppie ne sono consapevoli.

L’anamnesi completa di una coppia che decide di intraprendere un percorso di procreazione medicalmente assistita non può prescindere dalla conoscenza delle abitudini e del cosiddetto stile di vita dei partner.

Ne parliamo con il Dottor Carlo Torrisi, ginecologo, responsabile clinico e Direttore Sanitario del Centro di Medicina della Riproduzione e Infertilità di Catania.

Il peso del… peso

Una prima valutazione importante da fare sulle coppie che hanno problemi di fertilità riguarda il peso e le abitudini alimentari. Spesso si sottovaluta l’impatto che il sovrappeso può avere sulla fertilità, sia nell’uomo sia nella donna. Nella donna, un eccessivo aumento di peso crea difficoltà a livello ovarico, di ovulazione, per l’aumento degli ormoni androgeni, e una minore qualità ovocitaria. Nell’uomo, l’aumento di peso determina un aumento degli estrogeni, quindi un problema a livello di testosterone e di spermatogenesi.

No al fumo sempre, non solo in gravidanza

Il fumo, sia nell’uomo che nella donna, può portare a conseguenze davvero importanti sulla fertilità.

Si pensa che per la donna sia sufficiente sospendere il fumo soltanto quando inizia una gravidanza. In realtà, da numerosi studi clinici condotti su pazienti fumatrici per valutare la flussimetria dell’arteria uterina emerge che il fumo determina una riduzione sensibile del flusso sanguigno. Di conseguenza, anche le chance di gravidanza si riducono e aumenta il rischio di aborto. Inoltre, i bambini nati da donne fumatrici, hanno placente piccole e hanno un aumentato rischio di allergie.

Negli uomini la motilità degli spermatozoi si riduce a causa del fumo, a causa dell’aumento dei fattori tossici che contiene.

L’uso di anabolizzanti

L’uso del testosterone, molto spesso utilizzato soprattutto dagli uomini a scopo puramente anabolizzante, può avere effetti collaterali seri sulla fertilità. Si verifica un’azione di feedback negativo a livello dell’ipotalamo ipofisario con riduzione dell’FSH che porta ad azoospermia e calo del testosterone endogeno. Questi pazienti hanno un aumento della massa muscolare a discapito invece della massa testicolare: in genere presentano azoospermia con una ipotrofia testicolare molto importante.

L’uso di droghe

Non meno importante è l’impatto che l’uso di droghe ha sulla fertilità. La Marijuana, utilizzata regolarmente da moltissime persone, determina nell’uomo una diminuzione della conta spermatica e della motilità degli spermatozoi. La cocaina ha un’azione negativa soprattutto a livello spermatico e riduce le capacità dell’embrione di impiantarsi.

Altri fattori

Altri fattori, non voluttuari, possono avere conseguenze negative sulla fertilità.

Ad esempio, uno sport come il ciclismo comporta una stimolazione importante a livello della prostata e può determinare una anomala produzione di spermatozoi legata a una anomala produzione di sostanze “accessorie” (come il fruttosio) ma importanti per la mobilità spermatica.

Anche alcune infezioni hanno un impatto diretto sulla fertilità. Ad esempio, l’HPV, o una disbiosi vaginale, che possono predisporre l’ambiente vaginale a infezioni ricorrenti anche gravi.

I fattori che possono determinare una difficoltà di concepimento anche temporanea sono numerosi. Un’anamnesi approfondita con i partner aiuta ad identificare tutti i fattori potenzialmente in gioco, per trovare un rimedio più opportuno.

La terapia ormonale sostitutiva (TOS) è un trattamento medico utilizzato essenzialmente per alleviare i sintomi della menopausa nelle donne.

La menopausa è una fase naturale della vita di una donna in cui cessa la produzione di estrogeni e progesterone da parte delle ovaie, portando a sintomi come vampate di calore, sudorazioni notturne, secchezza vaginale, alterazioni dell’umore e problemi di sonno.

La TOS può includere estrogeni, progesterone o una combinazione di entrambi, e può essere somministrata attraverso diverse vie, come compresse, cerotti, gel, creme o dispositivi intrauterini.

Ne parliamo con il Dottor Carlo Torrisi, ginecologo, responsabile clinico e Direttore Sanitario del Centro di Medicina della Riproduzione e Infertilità di Catania.

La terapia ormonale sostitutiva nella donna in menopausa o premenopausa è un argomento molto sottovalutato in Italia. Considerando, invece, l’allungamento della vita e l’importanza del benessere sessuale per la qualità di vita complessiva delle persone, dovrebbe essere affrontato e proposto alle donne.

Infatti, disponiamo di molte terapie differenti, con alti profili di efficacia e sicurezza, generalmente non danno complicanze e, d’altro lato, migliorano la qualità della vita in modo determinante.

Quando è indicata

Quando si presenta una coppia che riferisce di avere un calo della libido, una ipercolesterolemia, di avere problemi col partner, si eseguono degli accertamenti adeguati a livello di epatico, coagulativo, mammario e carotideo.

In una donna che non presenta patologie particolari si propone la terapia ormonale sostitutiva, che può essere di diverso tipo:

  • La prima, quella più naturale, consiste nei derivati della soia. Si è visto che le donne cinesi presentano sintomi della menopausa, quindi vampate, secchezza vaginale ecc, molto lievi proprio perché la loro alimentazione è ricca di soia
  • Esistono creme vaginali idratanti o a base di estradiolo, che migliorano l’idratazione a livello vaginale. Queste sono terapie molto blande, ma in alcuni casi possono dare dei benefici
  • Un’altra terapia è una un prodotto derivato dal polline, che può avere un’azione FSH-simile e che può essere assunto dalle pazienti che non vogliono utilizzare ormoni.
  • Si può eventualmente utilizzare un prodotto a base di tibolone che ha un’azione estrogeno- simile e che può essere assunto anche per lunghi periodi

Quale menopausa?

Ovviamente, a monte bisogna distinguere tra menopausa chirurgica e menopausa spontanea.

Se la menopausa è chirurgica e viene tolto l’utero, ovviamente non è necessario dare estrogeno e progesterone. Infatti, sappiamo che la somministrazione di estrogeno e progesterone come terapia sostitutiva permette di evitare un’iperplasia endometriale. Quindi, se la donna in menopausa ha le ovaie esaurite e non ha l’utero può proseguire la sommazione di estrogeni (per via transcutanea o per via orale), estradiolo valerato, che è il prodotto più naturale (cerotti, quindi per via transdermica).

Invece nella menopausa spontanea si deve evitare un’iperplasia endometriale. Alle pazienti che hanno conservato l’utero può essere data una terapia con estrogeni e diversi tipi di progesterone: dienogest, drospirenone, che ha un’azione anche diuretica e può essere dato anche per lunghi periodi.

Terapia ormonale sostitutiva: fino a quando?

Se ci sono le condizioni, la terapia ormonale sostitutiva può essere assunta fino a 60 anni. Ovviamente bisogna fare dei controlli periodici ogni anno (il Pap-test, la mammografia, la funzionalità del fegato eccetera.

Quando si prolunga la terapia fino a 65 anni si preferisce utilizzare estradiolo valerato, un estrogeno naturale, e progesterone micronizzato, che può essere dato o per via orale o per o per via vaginale.

La terapia sequenziale prevede l’assunzione di estrogeni per un certo numero di giorni a cui si aggiunge il progesterone per 10-12 giorni.

Se la donna preferisce non avere più il ciclo si fa una terapia in continuo.

I benefici della terapia ormonale sostitutiva

I benefici della terapia ormonale sostitutiva sono innumerevoli dal punto di vista del benessere sessuale, della libido, si riduce il colesterolo, si riducono i problemi cardiaci e soprattutto si allunga la vita sessuale della coppia.