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L’inositolo è una sostanza naturale appartenente alla famiglia delle vitamine del gruppo B, anche se tecnicamente non è una vitamina. È disponibile in molte forme, ma le più note sono il mio-inositolo e il D-chiro-inositolo. Questi composti giocano un ruolo cruciale in diverse funzioni cellulari e sembra che abbiano un impatto sulla fertilità sia nell’uomo sia nella donna.

Facciamo chiarezza con il Dottor Carlo Torrisi, ginecologo, responsabile clinico e Direttore Sanitario del Centro di Medicina della Riproduzione e Infertilità di Catania.

L’inositolo

L’inositolo è un isomero appartenente al gruppo delle vitamine B, noto a molti ginecologi anche di quelli che non si occupano di infertilità grazie alle sue proprietà. Infatti, sembra che l’inositolo possa svolgere un’azione benefica sull’ovulazione, sulla formazione e sulla qualità degli ovociti e sulla qualità degli embrioni.

L’inositolo ha anche mostrato effetti positivi sulla fertilità maschile: può migliorare la qualità dello sperma, aumentando la motilità e la morfologia degli spermatozoi.

Gli inositoli più rilevanti per la salute umana sono il mio-inositolo e il D-chiro-inositolo.

I meccanismi di azione

Il mio-inositolo e il D-chiro-inositolo influenzano diversi percorsi biologici che possono migliorare la fertilità. Questi includono la modulazione dei recettori insulinici, che aiuta a migliorare l’uso del glucosio e ridurre l’insulino-resistenza. Inoltre, l’inositolo agisce come secondo messaggero per diversi ormoni e neurotrasmettitori, contribuendo così alla regolazione del ciclo mestruale e dell’ovulazione.

Nella donna, il mio-inositolo ripristina una ovulazione spontanea direttamente, con la riduzione dei livelli di insulina, quindi degli androgeni, stimolando la produzione dell’FSH.

Inositolo e Sindrome dell’Ovaio Policistico (PCOS)

Una delle principali applicazioni dell’inositolo nella medicina riproduttiva riguarda il trattamento della sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), una delle cause più comuni di infertilità nelle donne.

La PCOS è spesso caratterizzata da insulino-resistenza, iperandrogenismo e disfunzioni ovulatorie. Studi clinici hanno dimostrato che l’inositolo, specialmente in combinazione con l’acido folico, può migliorare la sensibilità all’insulina, ridurre i livelli di androgeni e ristabilire l’ovulazione regolare nelle donne affette da PCOS.

Benefici dell’inositolo nella fertilità maschile

L’inositolo ha anche mostrato effetti positivi sulla fertilità maschile. L’utilizzo del mio- o del D-chiro-inositolo nell’uomo crea essenzialmente un rimodellamento dei dosaggi di FSH che, come sappiamo, sono responsabili della spermatogenesi. È  soprattutto è un agente antiossidante, per cui migliora complessivamente l’ambiente spermatico, determinando un miglioramento del numero, motilità e morfologia degli spermatozoi.

Le fonti alimentari di inositolo

L’inositolo è presente in vari alimenti di origine sia vegetale sia animale. Alcune delle fonti alimentari più ricche di inositolo sono:

  • Frutta: melone, arance, kiwi
  • Verdure: cavoli, carote e piselli
  • Cereali integrali: riso integrale, avena e grani intero (specialmente nella parte esterna, la crusca)
  • Noci e semi: noci, mandorle, semi di girasole
  • Legumi: piselli, fagioli, lenticchie

Per chi ha bisogno di una quantità di inositolo superiore al normale, specialmente in contesti terapeutici come il trattamento della PCOS o il miglioramento della qualità dello sperma, gli integratori possono essere una soluzione efficace. Come per tutti gli integratori, è sempre consigliabile consultare un medico prima di iniziare qualsiasi trattamento.

Sono molte le cattive abitudini che riducono la fertilità e non sempre le coppie ne sono consapevoli.

L’anamnesi completa di una coppia che decide di intraprendere un percorso di procreazione medicalmente assistita non può prescindere dalla conoscenza delle abitudini e del cosiddetto stile di vita dei partner.

Ne parliamo con il Dottor Carlo Torrisi, ginecologo, responsabile clinico e Direttore Sanitario del Centro di Medicina della Riproduzione e Infertilità di Catania.

Il peso del… peso

Una prima valutazione importante da fare sulle coppie che hanno problemi di fertilità riguarda il peso e le abitudini alimentari. Spesso si sottovaluta l’impatto che il sovrappeso può avere sulla fertilità, sia nell’uomo sia nella donna. Nella donna, un eccessivo aumento di peso crea difficoltà a livello ovarico, di ovulazione, per l’aumento degli ormoni androgeni, e una minore qualità ovocitaria. Nell’uomo, l’aumento di peso determina un aumento degli estrogeni, quindi un problema a livello di testosterone e di spermatogenesi.

No al fumo sempre, non solo in gravidanza

Il fumo, sia nell’uomo che nella donna, può portare a conseguenze davvero importanti sulla fertilità.

Si pensa che per la donna sia sufficiente sospendere il fumo soltanto quando inizia una gravidanza. In realtà, da numerosi studi clinici condotti su pazienti fumatrici per valutare la flussimetria dell’arteria uterina emerge che il fumo determina una riduzione sensibile del flusso sanguigno. Di conseguenza, anche le chance di gravidanza si riducono e aumenta il rischio di aborto. Inoltre, i bambini nati da donne fumatrici, hanno placente piccole e hanno un aumentato rischio di allergie.

Negli uomini la motilità degli spermatozoi si riduce a causa del fumo, a causa dell’aumento dei fattori tossici che contiene.

L’uso di anabolizzanti

L’uso del testosterone, molto spesso utilizzato soprattutto dagli uomini a scopo puramente anabolizzante, può avere effetti collaterali seri sulla fertilità. Si verifica un’azione di feedback negativo a livello dell’ipotalamo ipofisario con riduzione dell’FSH che porta ad azoospermia e calo del testosterone endogeno. Questi pazienti hanno un aumento della massa muscolare a discapito invece della massa testicolare: in genere presentano azoospermia con una ipotrofia testicolare molto importante.

L’uso di droghe

Non meno importante è l’impatto che l’uso di droghe ha sulla fertilità. La Marijuana, utilizzata regolarmente da moltissime persone, determina nell’uomo una diminuzione della conta spermatica e della motilità degli spermatozoi. La cocaina ha un’azione negativa soprattutto a livello spermatico e riduce le capacità dell’embrione di impiantarsi.

Altri fattori

Altri fattori, non voluttuari, possono avere conseguenze negative sulla fertilità.

Ad esempio, uno sport come il ciclismo comporta una stimolazione importante a livello della prostata e può determinare una anomala produzione di spermatozoi legata a una anomala produzione di sostanze “accessorie” (come il fruttosio) ma importanti per la mobilità spermatica.

Anche alcune infezioni hanno un impatto diretto sulla fertilità. Ad esempio, l’HPV, o una disbiosi vaginale, che possono predisporre l’ambiente vaginale a infezioni ricorrenti anche gravi.

I fattori che possono determinare una difficoltà di concepimento anche temporanea sono numerosi. Un’anamnesi approfondita con i partner aiuta ad identificare tutti i fattori potenzialmente in gioco, per trovare un rimedio più opportuno.

La terapia ormonale sostitutiva (TOS) è un trattamento medico utilizzato essenzialmente per alleviare i sintomi della menopausa nelle donne.

La menopausa è una fase naturale della vita di una donna in cui cessa la produzione di estrogeni e progesterone da parte delle ovaie, portando a sintomi come vampate di calore, sudorazioni notturne, secchezza vaginale, alterazioni dell’umore e problemi di sonno.

La TOS può includere estrogeni, progesterone o una combinazione di entrambi, e può essere somministrata attraverso diverse vie, come compresse, cerotti, gel, creme o dispositivi intrauterini.

Ne parliamo con il Dottor Carlo Torrisi, ginecologo, responsabile clinico e Direttore Sanitario del Centro di Medicina della Riproduzione e Infertilità di Catania.

La terapia ormonale sostitutiva nella donna in menopausa o premenopausa è un argomento molto sottovalutato in Italia. Considerando, invece, l’allungamento della vita e l’importanza del benessere sessuale per la qualità di vita complessiva delle persone, dovrebbe essere affrontato e proposto alle donne.

Infatti, disponiamo di molte terapie differenti, con alti profili di efficacia e sicurezza, generalmente non danno complicanze e, d’altro lato, migliorano la qualità della vita in modo determinante.

Quando è indicata

Quando si presenta una coppia che riferisce di avere un calo della libido, una ipercolesterolemia, di avere problemi col partner, si eseguono degli accertamenti adeguati a livello di epatico, coagulativo, mammario e carotideo.

In una donna che non presenta patologie particolari si propone la terapia ormonale sostitutiva, che può essere di diverso tipo:

  • La prima, quella più naturale, consiste nei derivati della soia. Si è visto che le donne cinesi presentano sintomi della menopausa, quindi vampate, secchezza vaginale ecc, molto lievi proprio perché la loro alimentazione è ricca di soia
  • Esistono creme vaginali idratanti o a base di estradiolo, che migliorano l’idratazione a livello vaginale. Queste sono terapie molto blande, ma in alcuni casi possono dare dei benefici
  • Un’altra terapia è una un prodotto derivato dal polline, che può avere un’azione FSH-simile e che può essere assunto dalle pazienti che non vogliono utilizzare ormoni.
  • Si può eventualmente utilizzare un prodotto a base di tibolone che ha un’azione estrogeno- simile e che può essere assunto anche per lunghi periodi

Quale menopausa?

Ovviamente, a monte bisogna distinguere tra menopausa chirurgica e menopausa spontanea.

Se la menopausa è chirurgica e viene tolto l’utero, ovviamente non è necessario dare estrogeno e progesterone. Infatti, sappiamo che la somministrazione di estrogeno e progesterone come terapia sostitutiva permette di evitare un’iperplasia endometriale. Quindi, se la donna in menopausa ha le ovaie esaurite e non ha l’utero può proseguire la sommazione di estrogeni (per via transcutanea o per via orale), estradiolo valerato, che è il prodotto più naturale (cerotti, quindi per via transdermica).

Invece nella menopausa spontanea si deve evitare un’iperplasia endometriale. Alle pazienti che hanno conservato l’utero può essere data una terapia con estrogeni e diversi tipi di progesterone: dienogest, drospirenone, che ha un’azione anche diuretica e può essere dato anche per lunghi periodi.

Terapia ormonale sostitutiva: fino a quando?

Se ci sono le condizioni, la terapia ormonale sostitutiva può essere assunta fino a 60 anni. Ovviamente bisogna fare dei controlli periodici ogni anno (il Pap-test, la mammografia, la funzionalità del fegato eccetera.

Quando si prolunga la terapia fino a 65 anni si preferisce utilizzare estradiolo valerato, un estrogeno naturale, e progesterone micronizzato, che può essere dato o per via orale o per o per via vaginale.

La terapia sequenziale prevede l’assunzione di estrogeni per un certo numero di giorni a cui si aggiunge il progesterone per 10-12 giorni.

Se la donna preferisce non avere più il ciclo si fa una terapia in continuo.

I benefici della terapia ormonale sostitutiva

I benefici della terapia ormonale sostitutiva sono innumerevoli dal punto di vista del benessere sessuale, della libido, si riduce il colesterolo, si riducono i problemi cardiaci e soprattutto si allunga la vita sessuale della coppia.

Quando una coppia si rivolge a un centro di Procreazione Medicalmente Assistita, viene sottoposta ad una prima fase di anamnesi per chiarire il quadro clinico complessivo dei due partner. È, questo, il primo passo per indagare quali siano le cause di infertilità maschile o femminile.

A prescindere dagli esami effettuati fino a quel momento, quindi, è necessario svolgere delle visite e degli esami strumentali seguendo dei criteri specifici. Questo perché tutti gli aspetti indagati devono essere visti e valutati dal punto di vista degli specialisti di medicina della riproduzione.

Ce ne parla il Dottor Carlo Torrisi, ginecologo, responsabile clinico e Direttore Sanitario del Centro di Medicina della Riproduzione e Infertilità di Catania.

La valutazione ginecologica

Spesso capita di ricevere pazienti che fanno periodicamente controlli ginecologici, dai quali emerge che non ci sono problemi di infertilità. Talvolta, però, non è proprio così, perché non sempre vengono considerati alcuni parametri che sono essenziali in medicina della riproduzione, primo fra tutti l’età.

Sappiamo, infatti, che nella donna dopo i 37-38 anni il calo della fertilità è drastico, perciò il fattore anagrafico è fondamentale. Quindi è necessario valutare la riserva ovarica, con un dosaggio ormonale eseguito correttamente, in un laboratorio certificato, entro il terzo giorno del ciclo.

I parametri da valutare

La riserva ovarica

I valori dell’FSH (Follicular Stimulating Hormone, ormone follicolo-stimolante) e dell’estradiolo danno già un riferimento importante per valutare la riserva ovarica. Devono essere, rispettivamente, non superiore a 8 e non superiore a 40. Inoltre, l’LH (Luteinizing Hormone, ormone luteinizzante) non dev’essere inferiore a 2.

Ciclo mestruale e ovulazione

Un altro elemento importante da valutare è il ciclo mestruale. Spesso e non si tiene conto, ad esempio, della durata ma è utile considerarne la durata, se e come si è modificato nel tempo: se si è accorciato, raggiungendo una frequenza di 24-26 giorni, è già un segno di un’insufficienza ovarica importante. Inoltre, va chiesto alla paziente se ha la percezione dell’ovulazione (con muco a metà ciclo), se ha avuto gravidanze o aborti e infezioni ricorrenti. Le infezioni da HPV spesso portano salpingite, quindi un ostacolo alla fertilità.

Il dolore

Anche il dolore è un parametro importante: va chiesto alla paziente, ad esempio, se è presente durante i rapporti sessuali e quanto è intenso durante la mestruazione, perché può essere un segno di endometriosi o di alterazione tubarica.

Un altro elemento da valutare è relativo a precedenti interventi chirurgici: appendici complicate, ernie, perdite ricorrenti. Tutto questo fa parte di un’anamnesi corretta di coppia, in particolare per una donna, che si avvicina alla procreazione assistita e vuole avere un’indicazione corretta sul tipo di tecnica da effettuare.

L’ecografia

Molto importante è anche l’ecografia, da fare entro il secondo-terzo giorno del ciclo. L’ecografia, oltre a consentire l‘identificazione di eventuali anomalie, ad esempio polipi o gliomi, permette di valutare la conta dei follicoli antrali, cioè follicoli che hanno una taglia tra i 4 e 6 mm. Se i follicoli antrali sono meno di 5-6 per lato, questo ci dà una indicazione della riserva ovarica e delle chance di gravidanza futura.

In coppia verso la tecnica di PMA più efficace

La valutazione di tutti gli aspetti che abbiamo citato consente allo specialista di medicina della riproduzione di indirizzare velocemente la coppia verso la tecnica migliore: di primo livello, ad esempio i rapporti pilotati, se siamo certi assolutamente che non ci siano problemi tubarici, oppure verso una tecnica più complessa. Questo non perché si possa garantire la gravidanza, ma per avere una percezione diretta della qualità ovocitaria, della percentuale di fertilizzazione e quindi si possano dare alla coppia delle chance certe in termini di percentuali di gravidanza.

Come abbiamo visto in un articolo precedente, la preparazione dell’endometrio è fondamentale per l’avvio della gravidanza, anche quando si ricorre alla fecondazione assistita.

Nei percorsi di PMA si ricorre sempre più spesso alla procedura chiamata “Freeze-all”. Come funziona? Lo scopriamo insieme alla Dottoressa Silvia Guarnieri, ginecologa, responsabile del Centro di Fecondazione Assistita del Presidio Ospedaliero di Sacile di AS FO, Azienda Sanitaria Friuli Occidentale.

Ciclo segmentato, spontaneo modificato e medicato

A seguito alla stimolazione ormonale, non sempre si esegue immediatamente il transfer: ad esempio, nei casi in cui ci sia un rischio di iperstimolazione ovarica in cui i livelli di progesterone siano troppo elevati, o quando l’endometrio non risulti ecograficamente idoneo per l’impianto.

In questi casi si preferisce preparare sia gli ovociti al trasferimento in utero sia, contemporaneamente, l’utero ad accogliere gli ovociti, per aumentare le probabilità di impianto.

Ciclo segmentato

Parliamo, quindi, di ciclo segmentato. In una prima fase, gli ovociti vengono prelevati e fecondati. Si formano gli embrioni, li si porta allo stadio di blastocisti e queste vengono congelate (procedura freeze-all). Successivamente, si programma il trasferimento in utero.

Il trasferimento dell’embrione (o della blastocisti) è preceduto da una fase di preparazione endometriale. La preparazione endometriale può avvenire mediante ciclo spontaneo: si segue l’ovulazione della paziente mediante controlli ecografici – ed eventualmente mediante i test di ovulazione – per vedere il picco dell’LH; da quel momento si programma il transfer tra i 5 e 7 giorni dopo il l’avvenuta ovulazione.

Ciclo spontaneo modificato

Un’altra strategia è quella di utilizzare il ciclo spontaneo modificato: si segue l’ovulazione spontanea della paziente mediante ecografia; nel momento in cui il follicolo raggiunge le dimensioni idonee – in genere sopra i 16-17 mm – viene indotta l’ovulazione mediante la somministrazione di HCG e viene iniziata la supplementazione con il progesterone. Questo processo avviene a distanza dei 5-7 giorni, a seconda di quando è stata congelata la blastocisti. Si procede poi al trasferimento dell’embrione.

Ciclo medicato

Il terzo metodo per preparare l’endometrio è il ciclo medicato. Questa procedura prevede di bloccare l’ovulazione naturale della paziente e “guidarla” artificialmente attraverso l’utilizzo di farmaci.

All’inizio si somministra dell’estrogeno – in genere per via orale, transcutanea o per via vaginale e si valuta la crescita dell’endometrio con l’ecografia. Quando l’endometrio ha raggiunto lo spessore ideale, si inizia la somministrazione di progesterone. Anche in questo caso, dopo i 5-7 giorni – in base allo stadio delle blastocisti congelate – si procede al trasferimento dell’embrione. La supplementazione con progesterone può avvenire per via vaginale, iniettiva – sia sottocutanea sia intramuscolare – o per via orale. In caso di gravidanza, la supplementazione luteale a supporto dell’endometrio continua in genere fino alla 12ma settimana.

Abbiamo visto in un articolo precedente che la fase che viene chiamata “finestra di impianto” è cruciale, perché è quella in cui l’endometrio è nelle condizioni migliori per ricevere l’embrione.
Valutare la recettività dell’endometrio, e quindi identificare la finestra di impianto, è un momento fondamentale nella procreazione medicalmente assistita.
Quali sono i modi e gli strumenti con cui il medico può valutare se è il momento giusto per il transfer?

Ce ne parla la Dottoressa Silvia Guarnieri, ginecologa, responsabile del Centro di Fecondazione Assistita del Presidio Ospedaliero di Sacile di AS FO, Azienda Sanitaria Friuli Occidentale.

Le indagini per valutare la recettività dell’endometrio

Per valutare la recettività dell’endometrio dobbiamo studiarlo, e definire lo stato in cui si trova. Ciò è possibile attraverso alcuni esami diagnostici e le linee guida internazionali indicano i seguenti:

  • L’ecografia transvaginale è un esame di primo livello che consente di analizzare l’aspetto dell’endometrio e di identificare la presenza di eventuali patologie. Ad esempio, permette di individuare polipi endometriali o miomi sottomucosi, che possono interferire con l’impianto
  • In caso di dubbi sulla presenza di patologie endometriali, si ricorre all’ecografia tridimensionale, per avere una migliore definizione della cavità endometriale ed evidenziare eventuali anomalie e malformazioni uterine (per esempio gli uteri setti o gli uteri bicorni)
  • L’isteroscopia è lo step successivo nelle indagini per lo studio dell’endometrio. È un esame che consente non solo di vedere se nella cavità endometriale vi sono eventuali patologie, ma anche di intervenire nella risoluzione di queste problematiche. Infatti, l’isteroscopia è un esame che può essere sia diagnostico sia chirurgico perché, mediante l’isteroscopio operativo, consente di rimuovere eventuali polipi e correggere alcune anomalie o malformazioni uterine.

L’esame istologico

Inoltre, durante l’isteroscopia si possono eseguire delle biopsie per l’esame istologico del tessuto endometriale. In particolare, nelle pazienti soggette a ripetuti fallimenti di impianto, l’isteroscopia permette di andare a ricercare le plasmacellule. Questi elementi cellulari sono presenti tipicamente nell’endometrite cronica, una patologia associata a una riduzione delle percentuali di gravidanza.
Anche in questo caso l’isteroscopia può svolgere una funzione sia diagnostica sia terapeutica.

Altri esami

Ci sono altri esami che possono essere fatti a livello endometriale, nonostante le linee guida internazionali non ritengano che siano da utilizzare routinariamente nella pratica clinica.

Si tratta del test di recettività endometriale e del test di valutazione del microbiota endometriale.

Anche nel caso del test della recettività endometriale si preleva del tessuto, che viene analizzato, in genere con una tecnologia genomica. Questo test consente di capire se è in corso la fase di migliore recettività dell’endometrio.

Lo studio del microbiota, invece, consente di verificare se a livello endometriale sono presenti degli organismi patogeni. In caso affermativo, ci può indirizzare verso la migliore terapia a cui sottoporre la paziente prima di effettuare un eventuale trasferimento embrionario.

Preservare la fertilità sia femminile sia maschile oggi è possibile, grazie a procedure innovative. Sembra semplice, ma in realtà si tratta di procedure delicate, gestite da professionisti estremamente qualificati nell’ambito della medicina della riproduzione. Il percorso terapeutico per poter prelevare gli ovociti della donna, ad esempio, prevede alcuni step.

Ne abbiamo parlato con la Prof.ssa Alessandra Andrisani, MD PhD, ObGyn.

La preservazione della fertilità

La preservazione della fertilità è una procedura medica innovativa. É disponibile grazie alle recenti acquisizioni ed ai miglioramenti di competenze nel campo delle tecniche di crioconservazione di materiale biologico. Grazie a questa tecnologia, attualmente è possibile crioconservare i gameti (ovociti e spermatozoi) ed il tessuto gonadico. Il fine è di aumentare la probabilità di ottenere una gravidanza ed esaudire il proprio desiderio di genitorialità nel momento in cui dovessero esservi delle difficoltà ad ottenerla spontaneamente.

Oncofertility e Social freezing

Come la scienza e la medicina possono aiutare le persone a preservare la loro fertilità? Attraverso la “oncofertility” ed il “social freezing”.

Con il termine oncofertility, si intendono le procedure terapeutiche di preservazione della fertilità in donne che sono affette da patologie oncologiche. In senso lato, di tutte le persone affette da quelle patologie che, di per sé o a causa delle cure previste per il loro trattamento, hanno effetti negativi diretti o indiretti sulla fertilità.

Tra le terapie più frequentemente responsabili di danno alla fertilità vi sono: chemioterapia, chirurgia e radioterapia.

Non va dimenticato il tempo necessario per la cura, che comporta un invecchiamento del paziente nell’attesa della completa guarigione.

  • Gli ovociti sono molto sensibili all’azione di alcuni chemioterapici e possono subirne, in relazione al tipo, alla dose e al tempo di utilizzo, una riduzione o perdita irreversibile. Nei casi più gravi, infatti, quando l’entità del danno è a carico di tutte le cellule dell’ovaio, si può instaurare una condizione di “insufficienza prematura della funzione dell’ovaio”. Questa condizione, iatrogena, è caratterizzata da una mancanza di ovociti indispensabili per la riproduzione, con un danno grave, se non irreversibile, sulla fertilità
  • Similmente, la terapia chirurgica per patologie delle ovaie può danneggiarne la funzione, inducendo una drastica riduzione del tessuto sano
  • Infine, anche la radioterapia può danneggiare gravemente e irrimediabilmente la funzione ovarica quando coinvolge la regione della pelvi, dove sono alloggiati gli organi genitali femminili.

Tutti i precedenti trattamenti possono, quindi, comportare una menopausa precoce e, di conseguenza, infertilità.

Quando si parla di “social freezing”, invece, si fa riferimento ad una tecnica di “prevenzione dell’infertilità età-correlata”. Vi si sottopongono in particolare donne che per motivi personali (studio, lavoro, assenza di un partner) vogliono preservare la fertilità e ricercare una gravidanza più avanti nel tempo, quando fisiologicamente sarebbe meno probabile ottenerla.

Crioconservazione degli ovociti: la procedura

La crioconservazione ovocitaria è attualmente la tecnica più utilizzata sia per l’oncofertilità che per il social freezing nella popolazione femminile.

In Italia, in caso di malattia oncologica, viene proposta a tutte le pazienti con un’adeguata riserva follicolare che hanno la possibilità di posticipare il trattamento chemioterapico di 2-3 settimane.

Per poter prelevare gli ovociti della donna, il percorso terapeutico prevede i seguenti step:

  • Stimolazione ovarica controllata alla paziente vengono prescritti farmaci che stimolano la crescita dei follicoli ovarici, allo scopo di ottenere più ovociti possibili e di controllare il momento dell’ovulazione. In particolare, la somministrazione dei farmaci avviene giornalmente e la donna andrà incontro ad una serrata valutazione clinica, ecografica e ormonale. Questa fase dura generalmente 10-15 giorni.
  • Prelievo degli ovociti (Pick-up ovocitario) – tutti i follicoli ovarici cresciuti durante la stimolazione ormonale vengono punti e aspirati con un ago per via trans-vaginale sotto controllo ecografico. All’interno del liquido prelevato dai follicoli si trovano gli ovociti, e il biologo li ricercherà al microscopio. L’intervento chirurgico dura circa 15-20 minuti ed è effettuato in sedazione.
  • Crioconservazione ovocitario – prima della crioconservazione, gli ovociti in adeguata fase di maturazione vengono identificati tramite decoronazione (ovvero rimozione della zona pellucida esterna). Essi verranno poi crioconservati mediante tecnica di vitrificazione con azoto liquido. Riguardo la procedura di crioconservazione, le ultime evidenze supportano l’idea che non vi siano sostanziali differenze tra la qualità degli ovociti crioconservati e quelli freschi. Tuttavia, i dati in letteratura scientifica non sono ancora risolutivi.
  • Scongelamento ovocitario – nel caso in cui la donna decida di utilizzare i propri ovociti per ottenere una gravidanza in un secondo momento, essi verranno scongelati e fecondati in laboratorio con il seme del partner secondo la tecnica di microiniezione dello spermatozoo (ICSI). Attenzione va data al fatto che non tutti gli ovociti crioconservati risultano poi vitali al momento dello scongelamento e, in alcuni casi estremi, tutti gli ovociti scongelati possono non essere vitali.
  • Trasferimento embrionario – nel caso in cui tutti i processi precedenti abbiano portato alla creazione di almeno un embrione vitale, è possibile giungere infine al transfer dell’embrione. Tale procedura è ambulatoriale e prevede unicamente una adeguata preparazione endometriale (in ciclo spontaneo o medicato). Il tasso di successo è dipendente da numerose variabili, ma per una donna di 30 anni, in assenza di fattori genetici o maschili noti, si può attestare intorno al 30%.
Probabilità di successo della crioconservazione degli ovociti

La probabilità di successo di un ciclo di preservazione della fertilità è essenzialmente collegata alla riserva ovarica e, quindi, alla eventuale risposta alla stimolazione ovarica controllata. Ovvero, quanto più le ovaie risponderanno alla stimolazione con la crescita di follicoli, quanti più ovociti verranno potenzialmente crioconservati. E quanti più ovociti la donna avrà, tanto più alta sarà la probabilità di ottenere una gravidanza in futuro.

Generalmente si ritiene che il tentativo di preservazione della fertilità sia andato a buon fine se si congelano almeno 10 ovociti. Tale probabilità, ovviamente, si riduce progressivamente con la riduzione del numero di ovociti recuperati.

La crioconservazione del tessuto ovarico

In alternativa, è possibile ricorrere alla crioconservazione di tessuto ovarico.

La tecnica

La tecnica di crioconservazione di tessuto ovarico non è più considerata sperimentale dall’American Society of Reproductive Medicine nell’ambito adulto dal 2019. Nella popolazione pediatrica, invece, i dati di efficacia sono ancora limitati.  Questa tecnica rappresenta l’unica opzione di preservazione della fertilità, sia per le pazienti prepubere sia per tutte le pazienti in cui non sia possibile la stimolazione follicolare (per controindicazioni mediche o mancanza di tempo).

La crioconservazione di tessuto ovarico richiede, in tempi diversi, due interventi chirurgici (espianto e reimpianto di tessuto ovarico), preferibilmente effettuati tramite chirurgia laparoscopica.

Il reimpianto del tessuto ovarico

Comunemente il reimpianto di tessuto ovarico può essere eseguito per promuovere la fertilità quando le pazienti sono pronte a concepire. Il reimpianto può essere ortotopico (si crea chirurgicamente una piccola tasca dove alloggiare il tessuto reimpiantato all’interno dell’ovaio) o eterotopico (più frequentemente a livello dell’avambraccio). In generale, è stato osservato che, dopo il reimpianto, la funzione ovarica riprende tra i 60 e i 240 giorni e può durare fino a 7 anni.

Potenzialmente, il reimpianto ortotopico potrebbe consentire anche la ripresa della funzionalità ovarica e l’insorgenza di una gravidanza spontanea, senza ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.

Esiste una legittima preoccupazione per quanto riguarda la potenziale reintroduzione di cellule tumorali in seguito a trapianto di tessuto ovarico in pazienti oncologiche. Per le conoscenze attuali, relativamente al rischio di contaminazione è possibile solo stratificare le neoplasie come ad alto, medio o basso rischio di colonizzazione del tessuto ovarico da parte delle cellule neoplastiche e quindi è possibile dare solo un’indicazione generica sulla sicurezza del reimpianto del tessuto ovarico.

Quella dell’impianto dell’embrione in utero è una fase cruciale per l’inizio della gravidanza, ovviamente anche quando si ricorre alla fecondazione assistita. Protagonista indiscusso di questa fase è senza dubbio l’embrione ma anche l’endometrio che lo accoglie ha un ruolo che è tutt’altro che di second’ordine.

Vediamo insieme cos’è l’endometrio e qual è il suo ruolo nella delicata fase dell’impianto dell’embrione, insieme alla Dottoressa Silvia Guarnieri, ginecologa, responsabile del Centro di Fecondazione Assistita del Presidio Ospedaliero di Sacile di AS FO, Azienda Sanitaria Friuli Occidentale.

Cos’è l’endometrio

L’endometrio è il tessuto che ricopre l’interno dell’utero ed è proprio su di esso che l’embrione si va a impiantare. È costituito da uno strato funzionale che si disgrega ogni mese con la mestruazione e si ricostituisce poi di conseguenza, preparandosi ogni volta ad accogliere un ovocita fecondato per dare avvio alla gravidanza.

Il ruolo degli ormoni

L’endometrio è regolato ciclicamente dagli ormoni, in particolare gli estrogeni e il progesterone.

Gli estrogeni regolano la prima parte, quella proliferativa, che determina la crescita dell’endometrio con lo sviluppo delle ghiandole, la proliferazione e differenziazione delle cellule epiteliali e l’angiogenesi, cioè con la creazione di nuovi vasi.
Il progesterone, invece, regola la proliferazione delle cellule stomali e, ulteriormente, la crescita delle ghiandole.

La fase di adesione della blastocisti

La blastocisti entra nell’utero attraverso le tube attraverso gli osti tubarici e rotola sull’endometrio. A questa fase segue una fase di apposizione e di adesione della blastocisti all’endometrio e successivamente segue una fase di invasione e penetrazione dell’embrione nello stato endometriale.

La finestra di impianto

Solo quando embrione ed endometrio sono perfettamente sincronizzati avviene l’impianto e si parla infatti di questa fase come di “finestra di impianto”. Convenzionalmente avviene tra il 19mo e il 23mo giorno del ciclo e nei cicli di fecondazione assistita è fondamentale riuscire a pianificare il transfer dell’embrione nel momento in cui la finestra di impianto è attiva.
Solo in questo modo può avvenire l’impianto dell’embrione, solo in questo breve lasso di tempo ci sarà l’avvio della gravidanza.

Quando si pensa ai trattamenti per l’infertilità, il primo pensiero va ai trattamenti di procreazione medicalmente assistita quindi alla stimolazione ormonale, all’inseminazione intrauterina o alla fecondazione in vitro.

In realtà, anche la chirurgia può essere un’opzione in certi casi. La chirurgia dell’infertilità, infatti, è un ambito della medicina riproduttiva che mira a trattare problemi fisici che impediscono il concepimento. Questi problemi possono includere anomalie anatomiche, ostruzioni o altre condizioni che influenzano la fertilità.

Quali sono le tecniche chirurgiche dell’infertilità? Quando è opportuno utilizzarle? Ce ne parla il Dottor Loris Marin, Specialista in Ginecologia e Ostetricia, Ricercatore presso il Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Università degli Studi di Padova.

L’importanza della fase diagnostica

Per la coppia, il desiderio di iniziare un percorso terapeutico è forte fin dalla prima visita ginecologica per infertilità e, talvolta, l’importanza della fase diagnostica è sottovalutata. In realtà, un processo diagnostico adeguato è fondamentale per ottenere la gravidanza nel più breve tempo possibile.

Ci sono varie procedure chirurgiche che, quando indicate, possono essere diagnostiche e portare quindi all’individuazione della causa dell’infertilità. In alcuni casi, tali procedure possono essere terapeutiche e il trattamento chirurgico può risolvere la causa di infertilità senza dover procedere a trattamenti di procreazione medicalmente assistita, oppure può essere propedeutico ad essi.

L’isteroscopia

L’isteroscopia è un esame diagnostico che permette “di guardare dentro l’utero”. Viene effettuata in ambito ambulatoriale utilizzando l’isteroscopio, uno strumento delle dimensioni di pochi millimetri, dotato di una telecamera con fonte luminosa, e un mezzo distensivo quale per esempio la soluzione fisiologica. L’isteroscopia permette di osservare il canale cervicale e la cavità uterina. In particolare, il medico ha la visione diretta dell’endometrio, ovvero di quello strato interno dell’utero dove avviene l’impianto dell’embrione. Questo consente di andare ad individuare eventuali formazioni endocavitarie, come miomi e polipi di qualsiasi dimensione, anomalie di forma e stati infiammatori.

La valenza terapeutica dell’isteroscopia

Grazie all’utilizzo di strumenti miniaturizzati, è possibile anche, se necessario, procedere all’asportazione diretta di formazioni eventualmente rilevate nel corso della isteroscopia. Si possono anche correggere alcune anomalie di forma o effettuare biopsie endometriali senza la necessità di un’anestesia generale né di un ricovero ospedaliero. Questa modalità di approccio è denominata “see and treat” e permette una minor invasività dell’esame, grazie agli strumenti di calibro sempre più inferiore. Inoltre, consente un risparmio di denaro e di tempo, evitando il ricovero, l’esecuzione degli esami preoperatori e l’utilizzo di una sala operatoria.

L’isteroscopia: la procedura

La procedura viene eseguita generalmente in regime ambulatoriale, con o senza la necessità di un’anestesia loco-regionale. L’isteroscopio è costituito da un tubo di calibro di pochi millimetri collegato ad una telecamera, che permette la visione su monitor della cavità uterina. Per diminuire il discomfort della paziente, l’isteroscopio può essere inserito in vagina senza l’utilizzo di speculum.

Grazie ad un mezzo di distensione, solitamente liquido, ad esempio la soluzione fisiologica, si distendono le pareti vaginali e si può visualizzare la cervice uterina. Il canale cervicale viene quindi attraversato sotto visione diretta fino al raggiungimento della cavità uterina, distesa dal mezzo di distensione. L’isteroscopio è dotato di dispositivi ottici particolarmente sensibili che consentono una visione della cavità uterina quasi a 360°. La rotazione del canale ottico senza il movimento laterale dello strumento riduce moltissimo la possibilità di causare alla paziente discomfort o dolore.

Nella fase diagnostica è possibile valutare la morfologia e la dimensione della cavità uterina, gli osti tubarici, le caratteristiche endometriali (vascolarizzazione, iperplasia, infiammazione), osti tubarici. Con alcuni isteroscopi è possibile utilizzare anche strumenti operativi come pinze, forbici, anse diatermiche, laser: tali strumenti consentono di eseguire biopsie endometriali, asportazione di polipi o miomi e resezione di setti uterini sotto visione diretta.

La laparoscopia

La laparoscopia è una tecnica chirurgica mininvasiva. In casi selezionati può essere utilizzata a scopo diagnostico e permette lo studio della cavità addominale e dello scavo pelvico.

Le indagini radiologiche (ecografia standard, ecografia 3D, risonanza magnetica) sono diventate nel tempo molto spesso sufficienti a porre diagnosi – grazie alla loro incrementata accuratezza. Tuttavia, l’osservazione diretta della cavità addominale e della pelvi durante la laparoscopia da numerosi vantaggi, uno tra tutti la visualizzazione diretta, per esempio, del mezzo di contrasto che fuoriesce dalle salpingi in corso di esame di pervietà tubarica. Inoltre, è possibile osservare la morfologia di utero, ovaie e tube, e del peritoneo per la ricerca di localizzazione anche microscopiche di endometriosi.

La laparoscopia può essere impiegata anche a fini terapeutici, in quanto consente di effettuare molti interventi con vari vantaggi rispetto alla chirurgia tradizionale. Infatti, grazie alle incisioni più piccole, si ha un recupero più rapido, caratterizzato da minor dolore post operatorio e di conseguenza un’ospedalizzazione più breve.

La laparoscopia: la procedura 

La procedura viene eseguita in anestesia generale e prevede una piccola incisione a livello ombelicale per l’inserimento del laparoscopio. Il laparoscopio è un piccolo tubo del calibro inferiore a 1 cm collegato ad una telecamera ad alta definizione che permette la visione su monitor della cavità addominale e pelvica. A seconda che la procedura sia finalizzata a un esame diagnostico o un trattamento terapeutico, sono poi necessarie altre piccole incisioni addominali (in genere da 2 a 4) della dimensione di 3-10 mm per permettere l’inserimento di strumenti miniaturizzati per eseguire le diverse procedure.

Durante la procedura di laparoscopia diagnostica è possibile iniettare un colorante in utero attraverso un catetere transvaginale e visionare se questo fuoriesce dalle tube. Questa procedura, chiamata cromosalpingoscopia, è l’esame gold standard per la valutazione della pervietà delle tube.

Laparoscopia: le indicazioni

Una causa di infertilità può essere una disfunzione delle tube, talvolta associata ad una dilatazione delle stesse. Quando una o entrambe le tube sono dilatate, condizione nota come sactosalpinge, ne è indicata la rimozione prima di procedere a transfer di embrioni in utero. Infatti, il liquido contenuto nella salpinge potrebbe riversarsi in cavità uterina creando un ambiente potenzialmente ostile per l’impianto dell’embrione. Un intervento in laparoscopia permette la visione diretta della salpinge dilatata e la rimozione della stessa.

Qualora ci fossero delle aderenze che possono compromettere il concepimento spontaneo queste possono essere visualizzate durante la laparoscopia. Contestualmente, tali aderenze possono essere rimosse, con il tentativo di ripristino di una normale anatomia della pelvi.

È inoltre possibile valutare l’endometriosi, una patologia frequente nelle donne con infertilità, che spesso viene diagnostica con anni di ritardo dall’insorgenza dei sintomi, soprattutto quando è presente nei suoi stadi iniziali. Durante l’intervento è possibile determinare il grado della malattia e, grazie a dei punteggi, determinare la possibilità di gravidanza dopo la rimozione delle lesioni endometriosiche.

Un’altra indicazione ad una laparoscopia operativa è la presenza di cisti ovariche. A seconda delle caratteristiche ecografiche della cisti ovarica può esserci l’indicazione all’asportazione della cisti prima di iniziare un trattamento di procreazione assistita.

Infine, in previsione di una gravidanza, alcuni fibromi uterini possono richiede l’asportazione, che in alcuni casi è possibile per via laparoscopica.

La maggior parte di queste procedure avvengono in regime di ricovero giornaliero con un rapido recupero rispetto alla chirurgia tradizionale e possono ripristinare la fertilità o essere propedeutiche ad un percorso di procreazione assistita per un miglioramento dei tassi di gravidanza.