Secondo i dati del Ministero della Salute, in Italia il 10-15% delle donne in età riproduttiva è affetto da endometriosi, una patologia che interessa circa il 30-50% delle donne infertili o che hanno difficoltà di concepimento. Le donne con diagnosi conclamata sono almeno tre milioni.
Che cos’è l’endometriosi e che impatto ha sulla fertilità? Ne abbiamo parlato con la Dottoressa Sara Scandroglio, Specialista in Ginecologia e Ostetricia, Responsabile SS Procreazione Medicalmente Assistita, Ospedale Filippo Del Ponte, ASST Settelaghi Varese.
Cos’è l’endometriosi?
L’endometriosi è una patologia caratterizzata dalla presenza di tessuto endometriale, cioè che mestrua, al di fuori dall’utero. Può avere delle localizzazioni ovariche, sotto forma di cisti endometriosiche, ma anche extra ovariche, può interessare i legamenti uterosacrali, il cavo di Douglas o tutta la pelvi, con dei foci cosiddetti endometriosi diffusi.
Dai sintomi alla diagnosi
Purtroppo, il tempo di latenza tra la comparsa dei sintomi e la diagnosi di malattia oscilla tra i 5 e i 10 anni. Questo accade perché la paziente con endometriosi a volte riferisce dei sintomi vaghi, può avere dolore mestruale (dismenorrea), dolore durante i rapporti (dispareunia), dolore durante la defecazione (dischezia). A volte questi sintomi, in assenza di evidenti segni ecografici, vengono interpretati in vario modo dal ginecologo curante, proprio perché si tratta di una malattia estremamente subdola.
L’impatto sulla infertilità
L’endometriosi è una patologia che merita molta attenzione perché impatta notevolmente sulla qualità della vita portando sofferenza, disagio e difficoltà ad avere rapporti. Inoltre, c’è una stretta associazione tra l’endometriosi e l’infertilità. Infatti, circa il 20% delle pazienti con endometriosi è infertile già in giovane età e circa il 30% delle pazienti infertili è affetta da endometriosi.
L’endometriosi in sé, per la presenza di un quadro infiammatorio pelvico cronico, comporta un danno a livello dell’apparato genitale, con una riduzione della riserva ovarica e una riduzione della capacità dell’embrione – che si sia formato spontaneamente o tramite tecniche di riproduzione assistita – di attecchire all’interno dell’utero, che può essere ulteriore sede di malattia (adenomiosi).
Come trattare l’endometriosi
In molti centri è presente un servizio dedicato al trattamento dell’endometriosi, che collabora strettamente con il centro di procreazione assistita. L’obiettivo è dare il supporto migliore alle pazienti, distinguendole fondamentalmente in due categorie: le pazienti con endometriosi che dobbiamo prendere in cura e alle quali dobbiamo migliorare la qualità di vita, e le pazienti che cercano un figlio.
Nelle prime, il trattamento si basa sull’utilizzo di farmaci – pillola in continua estroprogestinica o solo progestinica – o, se necessario, tramite l’intervento chirurgico.
Nelle pazienti che desiderano diventare mamma, ovviamente la terapia medica deve essere sospesa per favorire la ricerca della gravidanza ed eventualmente ricorrere ad una tecnica di PMA.
Come dicono le linee guida pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale a maggio 2024, l’endometriosi è una patologia per la quale, già dopo 6 mesi di ricerca della gravidanza, è necessario ricorrere ad una tecnica di PMA secondo livello, FIVET o ICSI. Il motivo è che la probabilità di gravidanza in queste donne è bassa, la riserva ovarica è spesso molto ridotta e la sintomatologia della paziente non consente di prolungare a lungo i trattamenti; perciò, la tempestività di intervento è cruciale.
Il consiglio
In caso di sospetta endometriosi, il consiglio è di rivolgersi a centri specializzati, dove effettuare un’anamnesi accurata, una visita e, soprattutto, un’ecografia, anche eventualmente con l’ausilio del color-doppler o delle ricostruzioni tri e quadri dimensionali, che consentono di identificare anche noduli più piccoli.
Il secondo passo è condividere con gli specialisti i propri obiettivi, in modo che possano essere oggetto di counseling multidisciplinare che coinvolga il ginecologo specialista in endometriosi, il ginecologo esperto in procreazione assistita ed eventualmente anche lo psicologo. L’obiettivo è dare ampio supporto a queste pazienti, che spesso hanno una qualità di vita veramente difficile, notevoli difficoltà ai rapporti di coppia e hanno bisogno di essere supportate a 360gradi.
La fertilità femminile è un tema complesso e affascinante, strettamente legato a un concetto fondamentale: la riserva ovarica. Ma cosa si intende esattamente con questo termine? E perché è così importante per le donne?
Ne abbiamo parlato con la Dottoressa Sara Scandroglio, Specialista in Ginecologia e Ostetricia, Responsabile SS Procreazione Medicalmente Assistita, Ospedale Filippo Del Ponte, ASST Settelaghi Varese
Cos’è la riserva ovarica? E come cambia nel corso della vita?
La riserva ovarica è un parametro di misurazione della ricchezza follicolare ovarica ed è estremamente importante per la donna. Infatti, è strettamente legato sia alla probabilità di concepimento spontaneo sia alla riuscita delle tecniche di procreazione medicalmente assistita.
A differenza degli uomini, che producono spermatozoi nel corso dell’intera vita, le donne nascono con un numero finito di ovociti, che diminuisce progressivamente. Infatti, con l’avanzare dell’età, la riserva ovarica si riduce gradualmente, fino ad esaurirsi con l’arrivo della menopausa, che in media si presenta attorno ai 50 anni.
Come viene misurata la riserva ovarica?
La riserva ovarica viene misurata e valutata mediante tre parametri principali, che sono:
- I valori ormonali – attraverso gli esami del sangue, che si eseguono entro il quinto giorno del ciclo mestruale. In particolare, si considerano i rapporti tra l’ormone follicolo stimolante, l’ormone luteinizzante e l’ormone antimulleriano
- La conta dei follicoli antrali e preantrali presenti su ciascun ovaio – attraverso un’ecografia, da eseguire entro il quinto giorno del ciclo
- Un’attenta raccolta anamnestica che riguarda la regolarità mestruale, la storia dei cicli mestruali, l’eventuale presenza di menopausa precoce nella famiglia della paziente stessa
La riserva ovarica cambia con l’età?
La riserva ovarica cala con l’età, e questo è un aspetto ormai noto. Il picco di fertilità si verifica solitamente tra i 27 e i 30 anni, inizia a diminuire con il decrescere della riserva ovarica – in maniera logaritmica – dai 35 anni. Attorno ai 43-45 anni la riserva ovarica è quasi esaurita, nonostante non si possa ancora parlare di menopausa; la probabilità di concepimento sia spontanea che tramite procreazione assistita diventa di pochi punti percentuali, con un’abortività e un rischio elevato di patologia cromosomica.
Perché misurare la riserva ovarica?
Le ragioni per misurare la riserva ovarica sono più di una: ad esempio, può essere utile per una giovane donna che vuole avere un’idea della propria fertilità per pianificare un’eventuale gravidanza o pensare alla crioconservazione degli ovociti.
Inoltre, la riserva ovarica ha un ruolo fondamentale per quanto riguarda il trattamento della coppia durante un percorso di procreazione medicalmente assistita. Infatti, il tipo di percorso – di primo o secondo livello – e la scelta del farmaco e del dosaggio vengono valutati attentamente anche in funzione della riserva ovarica, in modo da personalizzare il più possibile il trattamento sulla base delle caratteristiche della paziente.
Tutte le donne, almeno una volta nella vita, provano dolore durante il ciclo mestruale. Ma quando il dolore si fa ricorrente, intenso, limitante, è importante fermarsi ad ascoltarlo. Perché non sempre è “normale” soffrire.
Ne abbiamo parlato con la Dottoressa Sara Scandroglio, Specialista in Ginecologia e Ostetricia, Responsabile SS Procreazione Medicalmente Assistita, Ospedale Filippo Del Ponte, ASST Settelaghi Varese.
Dolore e qualità di vita: un equilibrio che non va rotto
Il dolore mestruale ha un nome: dismenorrea. Nei primi anni dopo il menarca (il primo ciclo mestruale), può essere frequente avere cicli abbondanti e dolorosi. In questa fase della vita, infatti, una maggiore sensibilità pelvica e il processo di maturazione dell’apparato genitale femminile possono spiegare l’insorgenza del dolore.
Ma, anche in questi casi, se il dolore è tanto forte da impedire a una ragazza di andare a scuola o di fare sport, non va sottovalutato. Infatti, il dolore mestruale può avere un impatto concreto sulla qualità della vita, specialmente quando interferisce con lo studio, il lavoro, la vita sociale.
È importante sapere che la gestione del dolore è possibile: a partire da una semplice terapia antidolorifica assunta all’esordio dei sintomi, prima che si attivi la cascata infiammatoria, fino alla possibilità – se indicata – di una terapia ormonale personalizzata.
Quando il dolore cambia
Diversa è la situazione della giovane donna che, magari anni dopo il menarca, inizia a soffrire di un dolore pelvico nuovo, diverso, sempre più intenso. Quando la dismenorrea compare in età adulta e peggiora progressivamente, nel 90% dei casi può esserci una correlazione con l’endometriosi.
Il dolore mestruale, in questi casi, può irradiarsi alla zona lombare, agli arti inferiori, e può essere accompagnato da nausea, vomito, ipotensione e malessere generale. È fondamentale non sottovalutare questi segnali e “archiviarli” come “dolore mestruale normale”: è il momento di rivolgersi a un centro specializzato, che si occupa di endometriosi o di dolore pelvico, per andare a fondo e capire il problema.
Il percorso diagnostico: tutto parte dall’ascolto
Una diagnosi precoce e accurata inizia con l’ascolto attento del racconto della paziente. Il ginecologo raccoglie l’anamnesi completa e pone domande mirate: il dolore è presente anche durante i rapporti sessuali? E durante la defecazione? Seguiranno poi l’esame obiettivo, con la valutazione dei punti più dolenti, e l’ecografia, che può avvalersi anche del color-doppler o delle tecniche tri-e quadridimensionali, per un’indagine più approfondita dell’apparato riproduttivo.
La priorità è la qualità di vita
La gestione del dolore mestruale è un obiettivo prioritario per il ginecologo. È possibile intervenire con una terapia ormonale personalizzata e con antidolorifici assunti fin dai primissimi sintomi mestruali, prima che il dolore diventi insopportabile.
Il dolore mestruale non va minimizzato. Non è normale doversi assentare dal lavoro ogni mese, rinunciare a una gita, a una partita, a una cena. Non è normale dover “sopportare”.
Dare ascolto a questo dolore significa prendersi cura delle donne, proteggerne la quotidianità, salvaguardare il loro benessere, prevenire possibili complicanze in futuro.