Le difficoltà di concepimento possono avere natura e causa diverse. Per affrontarle e superarle, la Procreazione Medicalmente Assistita è un percorso di comprovata efficacia nella terapia della sterilità di coppia.
Gli ultimi dati dell’ISS-Istituto Superiore di Sanità relativi al 2020 attestano che l’efficacia dei trattamenti continua a migliorare.
Quali sono le indicazioni per i diversi tipi di trattamento di PMA? Lo abbiamo chiesto al Dottor Vincenzo Marrone, specialista in ginecologia e medicina della riproduzione.
La definizione di coppia infertile
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (2010) e l’American Fertility Society (2016) una coppia è da considerarsi infertile quando non è in grado di concepire e di avere un bambino dopo un anno o più di rapporti sessuali; viceversa è da considerarsi sterile quella coppia nella quale uno od entrambi i coniugi sono affetti da una condizione fisica permanente che non renda possibile avere dei bambini.
L‘infertilità secondaria
In aggiunta vengono definite affette da infertilità secondaria, quelle coppie che non riescono ad avere un bambino dopo una gravidanza coronata da successo.
Le cause di infertilità/sterilità possono essere attribuite a fattori maschili (anomalie di produzione ed escrezione di spermatozoi) nel 20-30% dei casi, a fattori femminili (disturbi ovulatori, patologie ovariche, difetti tubarici, cervicali e malformazioni uterine) nel 20-35% (Cunningham J 2017).
La situazione in Italia
L’Italia si colloca agli ultimi posti tra i paesi del mondo per tasso di fertilità con una media di 1,39 figli per donna e si stima che 1 coppia su 5 abbia difficoltà a concepire naturalmente (Ministero della Salute, “Tavolo consultivo in materia di tutela e conoscenza della fertilità e prevenzione delle cause di infertilità” per il piano nazionale per la fertilità, 2015).
Le cause dell’incremento dei casi di infertilità/sterilità possono ricondursi a:
età media dei coniugi al momento del matrimonio, mediamente più elevata rispetto al passato;
difficoltà ed esigenze sociali che inducono la coppia a programmare il concepimento in un’epoca più tardiva;
incremento delle malattie sessualmente trasmesse;
stress;
abitudini voluttuarie (fumo, alcol, ecc.);
nuovo ruolo sociale della donna che, essendo sempre più allontanata dal nucleo familiare, convive sempre meno con il proprio coniuge.
Il ruolo della PMA nella terapia della sterilità di coppia
La PMA costituisce un mezzo di comprovata efficacia nella terapia della sterilità di coppia. La legge 40, formulata nel 2004, ha introdotto il concetto di “progressività” nell’approccio terapeutico alla coppia infertile/sterile, classificando le tecniche di PMA come segue (cfr art. 7):
tecniche di primo livello: anche dette intracorporee, procedure in cui la fecondazione dell’ovocita si verifica “in vivo”, prive di ricorso ad anestesia;
tecniche di secondo livello: procedure contrassegnate dal prelievo dei gameti femminili eseguito in anestesia locale o in sedazione profonda e dalla fertilizzazione “in vitro” dei gameti.
Le prime consistono nell’inseminazione intrauterina (IUI o AIH), ovvero nella inoculazione via catetere di spermatozoi, opportunamente preparati in laboratorio, nella cavità uterina.
Le metodiche di “fertilization in vitro with embryo transfer” (FIVET) e “intracitoplasmatic sperm injection” (ICSI) costituiscono invece le tecniche di secondo livello, progressivamente perfezionate nel corso degli anni, fino a diventare procedure affidabili e con ottimi risultati in termini di efficacia. Entrambe prevedono una manipolazione dei gameti femminili (ovocita) e maschili (spermatozoo) ed una successiva fecondazione in vitro.
Con tali procedure, la fertilizzazione degli ovociti, prelevati direttamente dall’ovaio (fig.1), viene effettuata in vitro, ossia al di fuori della sede anatomica preposta (tratto terminale delle tube).
L‘approccio terapeutico alla coppia infertile
Come già anticipato la legge 40/2004, stabilisce il concetto di “gradualità” nell’approccio terapeutico alla coppia infertile. Una volta effettuata la diagnosi di infertilità è necessario instaurare un work-up diagnostico terapeutico che riesca a coniugare un approccio graduale ma che eviti spreco di tempo, per non allungare il time to pregnancy (tempo necessario alla coppia per raggiungere la gravidanza) e per evitare il drop out dal percorso di cura.
In linea generale il primo approccio prevede l’analisi dei principali fattori che possano determinare il mancato ottenimento della gravidanza per incanalare la coppia nel trattamento più adeguato a quella data situazione clinica.
I fattori da considerare
In particolare, i dati più salienti da valutare in una coppia in apparente buona salute sono:
Età della coppia e anni di sterilità
Pervietà tubarica
Pervietà cervicale
Presenza di cicli ovulatori e valutazione della riserva ovarica della paziente
Valori del liquido seminale
Le indicazioni terapeutiche
In una coppia infertile giovane, in apparente buona salute, dove nessuno di questi fattori elencati risulti alterato (infertilità idiopatica) o dove al massimo vi sia una compromissione lieve del liquido seminale o una impervietà tubarica monolaterale è possibile eseguire un monitoraggio dell’ovulazione con rapporti mirati.
In caso di fallimento ripetuto di monitoraggi dell’ovulazione o talvolta come primo approccio in coppie che presentano una storia di infertilità di più anni è possibile eseguire invece una tecnica di I livello e quindi un’inseminazione intrauterina o AIH.
Laddove sia presente impervietà tubarica bilaterale (rilevata mediante isterosalpingografia o sonoisterosalpingografia), compromissione severa del liquido seminale, o dove vi siano fallimenti ripetuti delle tecniche di primo livello è indicato proporre alla coppia una tecnica di II livello e quindi a seconda del caso FIVET o ICSI. Queste tecniche possono essere eseguite con gameti della coppia o con donazione di gameti maschili/femminili in caso di azoospermia o riserva ovarica estremamente ridotta con mancata risposta alla stimolazione ovarica controllata.
Questo grafico tratto dal 16° report ISS sull’attività dei centri PMA in Italia mostra la percentuale relativa alle indicazioni all’esecuzione di una tecnica di FIVET o ICSI senza e con donazione di gameti.
Fonti:
ISS – Istituto Superiore di Sanità, Attività del Registro Nazionale italiano della procreazione medicalmente assistita. Attività 2020. Disponibile a questo link.
Cunningham J, Infertility: A Primer for Primary Care Providers. JAAPA, 30(9), 19-25 Sep 2017.
Per approfondire, leggi anche:
Qual è l’impatto della PMA sulla crescita dei bambini nati con queste tecniche? Alcuni ricercatori hanno tentato di dare una risposta.
I bambini nati con la PMA hanno dei pattern di crescita diversi rispetto ai bambini concepiti naturalmente. Le differenze si mantengono fino ai 17 anni circa, poi sembrano scomparire. Questo è ciò che hanno osservato i ricercatori norvegesi del Centre for Fertility and Health presso il Norwegian Institute of Public Health di Oslo. Il loro studio è stato recentemente pubblicato su Human Reproduction [1].
Lo studio
I ricercatori, guidati dalla Dr.ssa Dr Maria Magnus, hanno analizzato migliaia di informazioni. I dati riguardavano 81.461 bambini arruolati nello studio norvegese MoBa (Mother, Father and Child Cohort Study) e 544.113 teenager sottoposti a screening per il servizio militare. In particolare, 79.740 soggetti concepiti naturalmente e 1.721 con tecniche di procreazione medicalmente assistita, fino all’età di 7 anni. Tra quelli concepiti naturalmente, 5.279 sono nati da genitori con difficoltà di concepimento, che hanno impiegato oltre 12 mesi prima di ottenere una gravidanza. Tra i soggetti nati con PMA, per 1.073 sono stati utilizzati embrioni freschi, per 179 embrioni congelati.
I risultati
I bambini nati con PMA avevano alla nascita un peso medio e una lunghezza media inferiore rispetto a quelli concepiti naturalmente. Tuttavia, i bambini nati con PMA hanno avuto una crescita più rapida nei primi 18 mesi di vita. Inoltre, questi ultimi a un anno erano leggermente più alti e più forti dei primi. Tale differenza si è mantenuta fino ai sette anni.
I ricercatori hanno anche analizzato i dati dei diciassettenni e hanno trovato differenze minime tra i ragazzi concepiti naturalmente e quelli nati da PMA.
Il commento dei ricercatori
Come è noto, l’uso di tecniche di PMA è associato a un peso alla nascita inferiore rispetto al concepimento naturale. Tuttavia, sostengono i ricercatori, i dati emersi dallo studio dovrebbero rassicurare i genitori. “Rilevare che non c’è differenza nell’altezza, nel peso e nel BMI dei bambini concepiti con PMA rispetto a quelli concepiti naturalmente all’età di 17 anni è rassicurante. Il nostro studio è il primo ad evidenziare chiare differenze nei pattern di crescita tra bambini concepiti con embrioni freschi o congelati, differenze che persistono fino all’età scolare – ha commentato la Dr. Maria Magnus. Occorre avviare nuovi studi per valutare le ragioni di queste differenze. Inoltre, occorre un follow-up più lungo per capire se la crescita accelerata che abbiamo osservato nei bambini concepiti con PMA nei loro primi anni di vita può avere un impatto sulla loro salute futura.”
Sovrappeso e PMA: è noto da tempo che i chili di troppo minano la fertilità, ma la riproduzione assistita può venire in aiuto anche in questi casi, con alcuni accorgimenti.
Un recente studio ha infatti evidenziato che, nelle pazienti sovrappeso e obese, risulterebbe preferibile utilizzare il transfer da blastocisti congelata. Questo perché questa metodica, in tale categoria di persone, pare consentire maggiori probabilità di ottenere una gravidanza clinica, rispetto all’uso di blastocisti fresche.
A dimostrarlo i risultati di uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Fertility and Sterility.
Obesità e sovrappeso, un problema comune
In Italia il 46% della popolazione è sovrappeso (dati 1° Italian Obesity Barometer Report, IBDO Foundation). Non si tratta dunque di un problema marginale. Ad essere colpiti sia uomini che donne.
Rispetto alle pazienti normopeso, quelle obese hanno più probabilità di essere sterili e hanno meno probabilità di ottenere una gravidanza clinica con FIVET, forse a causa di un’associazione negativa tra obesità e ricettività endometriale.
È stato dimostrato che l’Embryo Transfer (ET) congelato migliora i risultati della FIV determinando maggiori ricettività endometriale e sincronia embrio-endometriale.
Lo studio
Lo studio ha voluto approfondire il rapporto tra sovrappeso e PMA, esaminando l’effetto dell’indice di massa corporea (BMI) sui tassi di gravidanza clinica nei cicli di ET freschi rispetto a quelli congelati.
I ricercatori hanno dunque condotto uno studio di coorte retrospettivo. Sono state confrontate donne di peso normale (BMI: 18,5-24,9 kg/m2), sovrappeso (BMI: 25,0-29,9 kg/m2) e obese (BMI superiori o uguali 30,0 kg/m2).
Lo studio ha preso in considerazione persone di età media, BMI e razza/etnicità simili. Sono stati presi in considerazione 527 cicli di trasferimento di blastocisti, di questi 247 (46,9%) sono stati freschi e 280 (53,1%) congelati. In particolare, oltre il 41% dei transfer sono stati effettuati in donne normopeso, circa 26% in quelle sovrappeso e circa il 32% in quelle obese.
I risultati
I risultati sottolineano un chiaro rapporto tra sovrappeso e PMA.
In particolare, nelle pazienti in sovrappeso, i tassi di impianto e di gravidanza clinica erano significativamente più alti nel caso di ET congelati. Anche nelle donne obese i tassi di gravidanza clinica sono risultati significativamente più alti con quest’ultima metodica.
Al contrario, nel gruppo di peso normale, dai dati non emerge alcuna differenza nei tassi di impianto o di gravidanza clinica tra la metodica che prevede la blastocisti fresca e quella con l’ET congelato.
Una curiosità, le pazienti in sovrappeso che hanno avuto un ET fresco hanno avuto un numero significativamente maggiore di gravidanze gemellari.
Quale e’ la tecnica migliore per la crioconservazione di ovociti ed embrioni?
La crioconservazione di gameti maschili e femminili ed embrioni è ormai diventata di fondamentale importanza nell’ambito delle procedure di Procreazione Medicalmente Assistita per far fronte alle numerose problematiche che possono presentarsi durante il trattamento dell’infertilità di coppia.
In seguito al prelievo degli ovociti è possibile conservare mediante congelamento gli ovociti maturi prodotti in soprannumero che non verranno utilizzati per la successiva fecondazione in vitro.
Secondo quanto disposto dall’articolo 14 della legge n.40/2004, la crioconservazione degli embrioni è possibile
nel caso in cui si presentino impedimenti imprevisti al trasferimento degli embrioni originati in laboratorio
per limitare i rischi associati alla comparsa di gravidanze gemellari e alla ripetizione di cicli di stimolazione ovarica.
Solitamente gli embrioni vengono congelati al 2-3° giorno dopo la fecondazione, quando si trovano allo stadio di 4-8 cellule, o quando si trovano allo stadio di blastocisti (5°-6° giorno dopo la fecondazione).
Nella maggior parte dei laboratori di embriologia il congelamento degli ovociti e degli embrioni avviene mediante la tecnica di “vitrificazione” che ad oggi è quella che dà i migliori risultati rispetto alla tecnica tradizionalmente impiegata del “congelamento lento”, in quanto offre una maggior efficacia in termini di sopravvivenza degli embrioni e di tasso di impianto, il che significa miglior tasso di gravidanza. A differenza del congelamento classico, la vitrificazione raffredda in maniera estremamente rapida le cellule ad una velocitá di piú di 15.000 °C al minuto, in modo da evitare la formazione di cristalli di ghiaccio che danneggerebbero le strutture interne. Essa prevede l’immersione diretta di ovociti o embrioni in azoto liquido (gas atmosferico che, liquefatto, raggiunge la temperatura di 196 °C sotto lo zero) e l’utilizzo di elevate concentrazioni di sostanze che proteggono dai danni cellulari in minimi volumi. Gli embrioni e gli ovociti possono così restare in azoto liquido fino al loro successivo utilizzo.
Dott.ssa Stefania Luppi
Come si dividono le tecniche di PMA e cosa si intende per Inseminazione intrauterina omologa?
Le tecniche di Pma si dividono in tecniche di I, II e III livello. Del primo livello fa parte l’inseminazione intrauterina, nel secondo livello rientrano le tecniche di Fivet e ICSI e per il terzo livello intendiamo procedure quali la TESE o TESA e cioè tecniche che ci permettono di prelevare gli spermatozoi a livello dei testicoli in caso di azoospermia (mancanza di spermatozoi).
Per AIH (Inseminazione intrauterina omologa) si intende una tecnica di semplice esecuzione e soprattutto poco invasiva per la paziente. Tale metodica permette la deposizione di liquido seminale, opportunamente trattato, nell’utero della donna con lo scopo di avvicinare i due gameti. La tecnica dell’Inseminazione intrauterina omologa viene eseguita in caso di liquido seminale normale o con lieve compromissione della motilità e del numero; buona funzionalità delle tube e problemi di natura ovulatoria.
Tale trattamento comporta, per lo più, una moderata stimolazione farmacologica per la crescita di uno o due follicoli (per evitare gravidanze multiple) e controlli ecografici e ormonali per individuare il preciso momento dell’ovulazione. In coincidenza di tale evento, il partner maschile produrrà il campione di seme che, dopo opportuna preparazione verrà introdotto, tramite piccoli cateteri, nell’utero della donna.
Dott. Fulvio Cappiello
Quali sono i fattori di insuccesso della PMA?
tra i fattori di insuccesso della PMA troviamo:
l’abuso di sostanze stupefacenti e/o di alcol
il tabagismo
l’inquinamento
l’eccesso ponderale (BMI)
la presenza di patologie preesisistenti
la presenza di malattie genetiche
Tutti questi fattori determinano non poco la probabilità diun insuccessodellaPMA e vanno ben valutati. Vediamoli uno per uno.
Età della paziente: fino ai 35 anni, la possibilità di gravidanza è del 30 % circa; scende al 15-20 % tra i 35 e i 39 anni mentre, a 40 anni, si abbassa bruscamente al 5-7% e diminuisce gradualmente nelle età successive.
Tabagismo: il tasso di infertilità delle fumatrici è maggiore, la fecondità è ridotta i tempi di concepimento più lunghi. Il fumo danneggia le ovaie in modo direttamente proporzionale al numero di sigarette fumate e alla durata della dipendenza: gli effetti negativi sulla fertilità si manifestano a iniziare da 10 sigarette al giorno. Anche la qualità del liquido spermatico risente del fumo di sigaretta sia in termini di quantità di spermatozoi sia se ci riferiamo alla morfologia e alla motilità degli stessi.
Eccesso ponderale: nelle donne obese la frequenza di amenorrea e di infertilità è più elevata rispetto alle normopeso. Nel Nurses’ Health Study (storica ricerca prospettica condotta negli Stati Uniti su oltre 80 mila infermiere seguite per vent’anni) le donne con BMI >30 (Body Mass Index, si ottiene dividendo il peso in kg per l’altezza, espressa in metri al quadrato) mostravano un rischio 2,7 volte superiore di infertilità, rispetto alle normopeso (normopeso = BMI 18,5-24,9). Inoltre, nelle donne obese, il trattamento dell’infertilità ha minor successo, con tassi di gravidanza inferiori e maggior rischio di patologia abortiva. Ma anche negli uomini obesi il tasso di infertilità cresce: vi sono, infatti, numerosi studi che avvalorano la correlazione tra l’obesità e l’infertilità maschile, specie se l’obesità è associata alla presenza di patologie quali il diabete, l’ipertensione e la dislipidemia.
Abuso di alcol: anche questo fattore pregiudica la fertilità in entrambi i sessi, in quanto compromette la funzionalità delle ghiandole che regolano la produzione di ormoni sessuali, causando l’inevitabile contrazione della fertilità di coppia.
Inquinamento: abbiamo dovuto riscontrare che la qualità media del liquido seminale è peggiorata di decennio in decennio. Sicuramente il fattore inquinamento ambientale ne è la causa principale. Infatti, quotidianamente entriamo in contatto con numerose sostanze chimiche presenti nell’aria, nell’ambiente di vita e di lavoro, che costituiscono un rischio per la nostra salute, esercitando un effetto dannoso su vari organi ed apparati compreso ovviamente quello riproduttivo.