Autore: Redazione

Ogni giorno la Scienza affina sempre più le sue armi nella lotta contro il cancro soprattutto quando la malattia colpisce pazienti in giovane età. Diagnosi sempre più precoci e terapie innovative migliorano il tasso di sopravvivenza. Non solo: vi sono anche i mezzi per aggirare quello che tra gli effetti collaterali delle terapie antitumorali è il più temuto, ovvero, la possibile compromissione della funzione riproduttiva.

Oggi, infatti, è possibile prevenire l’infertilità dovuta ai trattamenti oncologici ricorrendo alla preservazione dei gameti prima dei trattamenti chemioterapici. Ce ne parla la Dr.ssa Maria Elena Vento, Senior Clinical Embriologist (ESHRE).

Effetti delle terapie antitumorali sull’apparato riproduttivo femminile e maschile

Le attuali terapie antitumorali permettono la guarigione o la sopravvivenza a lungo termine nella maggioranza dei giovani pazienti oncologici. Tuttavia, possono compromettere la funzione riproduttiva in maniera temporanea o permanente. Questo riguarda sia i trattamenti locali come la radioterapia e la chirurgia, che i trattamenti sistemici come la chemioterapia e l’ormonoterapia.

È importante precisare che la reazione ai trattamenti varia da individuo a individuo e dipende da una serie di fattori. Ad esempio: tipo di farmaco, dose utilizzata, patologia in atto, durata del trattamento e, infine, età del paziente.

L’uomo

Nell’uomo alcuni effetti collaterali, conseguenti ai trattamenti antineoplastici, sono facilmente misurabili con la valutazione del numero di spermatozoi nell’eiaculato, la loro motilità e morfologia e l’integrità del DNA di cui sono vettori. Vi possono essere altri danni, evidenziabili solo con esami molto complessi, come le alterazioni nella struttura e nel numero dei cromosomi che portano inevitabilmente all’aborto in caso di concepimento.

La donna

Nella donna i trattamenti antiblastici, quali chemioterapia e radioterapia, in particolare quelli che danneggiano il DNA, riducono drasticamente il numero degli ovociti primordiali, diminuendo la cosiddetta riserva ovarica e aumentando il rischio d’infertilità e menopausa precoce.

Trattamenti chirurgici e/o radioterapia possono indurre cambiamenti anatomici o della vascolarizzazione a carico delle tube e impedire il concepimento naturale anche in presenza di funzione ovarica conservata. In questi casi è possibile ricorrere alle tecniche di riproduzione assistita per ottenere la gravidanza.

Le raccomandazioni AIOM

Ritengo importante citare le raccomandazioni dell’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica): ”La crescente complessità dei trattamenti oncologici integrati, più efficaci ma anche più tossici, impone già in fase di programmazione terapeutica una maggiore attenzione alla qualità di vita a lungo termine, compresa un’attenta discussione sui temi riproduttivi.  È pertanto indispensabile assicurare a questi pazienti un percorso privilegiato e tempestivo per l’attuazione di strategie per preservare la fertilità che consentano l’accesso ai trattamenti oncologici nei tempi appropriati, senza ritardi che possano comprometterne l’efficacia. Al superamento della malattia, laddove le condizioni cliniche lo consentano, i pazienti potranno ricorrere alle tecniche di fecondazione assistita utilizzando il materiale biologico in precedenza prelevato e conservato presso la banca biologica dedicata”.

I tumori e la popolazione giovane

Le patologie neoplastiche sono in crescente aumento e colpiscono fasce sempre più giovani di popolazione. Si calcola che, in Italia, circa il 3% dei casi di tumore maligno sia diagnosticato in pazienti di età inferiore ai 40 anni.

I più comuni tipi di cancro nei giovani sono rappresentati nell’uomo dal tumore del testicolo, del colon-retto, della tiroide, dal melanoma e dal linfoma non Hodgkin, mentre nella donna dal carcinoma mammario, dal tumore della tiroide, della cervice uterina, del colon-retto e dal melanoma. Diverse condizioni socioculturali hanno inoltre determinato, negli anni, uno spostamento in avanti dell’età della prima gravidanza e non è raro, quindi, che il cancro possa colpire uomini e donne che non hanno ancora terminato il proprio percorso riproduttivo.

Il tempo: un fattore chiave

La diagnosi di qualunque neoplasia rappresenta un momento drammatico per la vita del paziente ma l’insorgenza in giovani-adulti può influenzare la salute riproduttiva e sessuale e incidere in modo rilevante sulla vita futura. Ricorrere alla crioconservazione delle cellule riproduttive, prima di intraprendere il difficile percorso delle terapie antitumorali, fornisce ai pazienti la possibilità di non rinunciare a una genitorialità futura rimandando la scelta di diventare genitori in tempi più consapevoli.

Il fattore tempo gioca un ruolo fondamentale. In genere è lo stesso Oncologo che, una volta comunicata la diagnosi, invita il paziente o la famiglia, in caso di minori, a prendere contatto con i Centri specializzati, distribuiti almeno uno per regione, nel territorio nazionale.  Essi saranno in grado di offrire una strategia personalizzata per raggiungere un importante obiettivo: crioconservare le cellule riproduttive senza interferire con il percorso della guarigione.

Le norme

A indicare la strada è l’accordo “Tutela della fertilità nei pazienti oncologici”, su proposta del Ministero della Salute e, approvato nella seduta del 21 febbraio 2019 dalla Conferenza Stato Regioni.

Il documento definisce sia i criteri di accesso dei pazienti al Percorso diagnostico- terapeutico assistenziale (Pdta), che le regole per l’istituzione, organizzazione e gestione delle Biobanche per la conservazione di questo prezioso materiale biologico.

Proprio per assicurare una conservazione sicura e qualitativamente garantita di gameti e tessuti riproduttivi, il documento dispone regole precise per l’istituzione, organizzazione e gestione delle biobanche. Queste devono essere istituite in centri pubblici o senza scopo di lucro, il loro numero definito in ogni Regione e rispondere a criteri organizzativi e strutturali rigorosi periodicamente verificati, definiti a livello europeo. La progettazione delle sale criobiologiche, deve essere eseguita seguendo rigide regole costruttive e gestionali, per garantire la qualità dei materiali conservati e la sicurezza degli operatori della biobanca.

Nonostante l’accesso alle strutture autorizzate in territorio nazionale sia tempestivo, solo 5 regioni (Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania) hanno già recepito il documento pertanto le modalità d’accesso variano da Centro a Centro.

L’importanza del counseling multidisciplinare

Il counseling multidisciplinare è fondamentale e il Ginecologo della Riproduzione, insieme all’Oncologo, sono figure chiave nell’elaborazione della strategia terapeutica più adeguata. Il raggiungimento dell’obiettivo richiede, come già accennato, anche altre figure specialistiche (chirurgo, radioncologo e psicologo) e strutture adeguate. Il Laboratorio di Criobiologia, gestito da Biologi esperti nelle tecniche più all’avanguardia per congelare cellule e tessuti, rappresenta il perno di questo proposito. L’incontro con lo psicologo è, inoltre, parte integrante del percorso poiché consente ai pazienti momenti di riflessione che favoriscono la partecipazione attiva al percorso di cura.

Le tecniche

Le tecniche di crioconservazione consentono il mantenimento della vitalità cellulare per un tempo prolungato a bassissime temperature (- 196° C) in azoto liquido, permettendo il loro impiego anche dopo molti anni.

Per preservare la fertilità si congelano nell’uomo gli spermatozoi o il tessuto testicolare, nelle donne gli ovociti o il tessuto ovarico.

Per contrastare il possibile danno che le basse temperature provocano sulle cellule, il campione è preparato aggiungendo particolari sostanze denominate “crioprotettori”. Il loro utilizzo, in concentrazioni e tempi di esposizione adeguati, protegge il materiale biologico dallo shock termico e salvaguarda l’integrità della membrana cellulare.

Nella fattispecie il crioprotettore a contatto con la cellula:

  1. Penetra all’interno e va a sostituire l’acqua intracellulare. Ciò determina un abbassamento della temperatura di congelamento in modo da evitare la formazione di cristalli di ghiaccio che possono ledere la struttura intracellulare.
  2. Stabilizza le membrane cellulari proteggendole dallo shock termico.

 

In due articoli dedicati, affronteremo più un dettaglio le tecniche di crioconservazione per l’uomo e per la donna.

 

Bibliografia:
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Gli ultimi dati ISTAT parlano chiaro: è nuovo record di denatalità in Italia. Inoltre, la pandemia ha accentuato il calo dei nati, che continua anche nel 2021.

Nel 2020 i nati sono 404.892 (-15 mila sul 2019). Il calo (-2,5% nei primi 10 mesi dell’anno) si è accentuato a novembre (-8,3% rispetto allo stesso mese del 2019) e dicembre (-10,7%), mesi in cui si cominciano a contare le nascite concepite all’inizio dell’ondata epidemica.

La denatalità prosegue nel 2021. Secondo i dati provvisori di gennaio-settembre le minori nascite sono già 12 mila 500, quasi il doppio di quanto osservato nello stesso periodo del 2020. Il numero medio di figli per donna scende nel 2020 a 1,24 per il complesso delle residenti, da 1,44 negli anni 2008-2010, anni di massimo relativo della fecondità.

Questo è quanto emerge dal Report Natalità 2020 dell’Istituto Nazionale di Statistica.

  • 1,17 è il numero medio di figli delle donne di cittadinanza italiana, il più basso di sempre
  • 31,4 anni è l’età media alla nascita del primo figlio
  • 47,5% è la percentuale di primi figli, 8 mila in meno in un solo anno, -4,1% rispetto al 2019
La popolazione femminile in età feconda si è modificata

Si tratta di un fenomeno di rilievo, in parte dovuto agli effetti “strutturali” indotti dalle significative modificazioni della popolazione femminile in età feconda, convenzionalmente fissata tra 15 e 49 anni. In questa fascia di popolazione le donne italiane sono sempre meno numerose: da un lato, le cosiddette baby-boomers (ovvero le donne nate tra la seconda metà degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta) stanno uscendo dalla fase riproduttiva (o si stanno avviando a concluderla); dall’altro, le generazioni più giovani sono sempre meno consistenti. Queste ultime scontano, infatti, l’effetto del cosiddetto baby-bust, ovvero la fase di forte calo della fecondità del ventennio 1976-1995, che ha portato al minimo storico di 1,19 figli per donna nel 1995.

8 mila primi figli in meno in un anno

La fase di calo della natalità avviatasi nel 2008 si ripercuote soprattutto sui primi figli (47,5% del totale dei nati): nel 2020 sono 192.142 (oltre 8 mila in meno sul 2019, pari a -4,1%; -32,5% sul 2008).

La forte contrazione dei primi figli rispetto al 2008 interessa tutte le aree del Paese. Tale fenomeno testimonia la difficoltà che hanno le coppie, soprattutto le più giovani, nel formare una nuova famiglia con figli. Questa problematica è diversa rispetto all’inizio del millennio, quando la criticità riguardava soprattutto il passaggio dal primo al secondo figlio.

Tra le cause del calo dei primi figli vi è la prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine. A sua volta, questa è dovuta a molteplici fattori: il protrarsi dei tempi della formazione, le difficoltà che incontrano i giovani nell’ingresso nel mondo del lavoro e la diffusa instabilità del lavoro stesso, le difficoltà di accesso al mercato delle abitazioni, una tendenza di lungo periodo di bassa crescita economica, oltre ad altri possibili fattori di natura culturale.

Forte impatto della pandemia sulle nascite

Il forte calo dei nati a gennaio 2021, tra i più ampi mai registrati, dopo quello già marcato degli ultimi due mesi del 2020, lascia pochi dubbi sul ruolo svolto dall’epidemia. Il crollo delle nascite tra dicembre e febbraio, riferibile ai mancati concepimenti della prima ondata pandemica, poteva essere dovuto al posticipo di pochi mesi dei piani di genitorialità. Tuttavia, dai primi dati disponibili, tale diminuzione sembra l’indizio di una tendenza più duratura in cui il ritardo è persistente o, comunque, tale da portare all’abbandono nel breve termine della scelta riproduttiva.

Posticipano la maternità soprattutto le donne più giovani

L’evoluzione della natalità è fortemente condizionata dalle variazioni nella cadenza delle nascite rispetto all’età delle madri. In questo scenario è interessante osservare come abbia agito la crisi sulle scelte riproduttive di una popolazione che diventa genitore sempre più tardi. A livello nazionale, nel periodo gennaio-ottobre 2020 la contrazione dei nati riguarda soprattutto le giovanissime (-5,6% per le donne fino a 24 anni) ed esclude solo le età più avanzate, che presentano invece un aumento (+7,1% nella classe di età 45 e oltre).

Le fasce di età più giovani sono le uniche a mostrare un rinvio della maternità, facendo evidenziare variazioni sempre negative in tutto il periodo considerato.

La fecondità delle cittadine italiane è al minimo storico

Il record di denatalità in Italia è confermato anche dai dati che seguono. Nel 2020 le donne residenti in Italia tra 15 e 49 anni hanno in media 1,24 figli (1,27 nel 2019), accentuando la diminuzione in atto dal 2010, anno in cui si è registrato il massimo relativo di 1,44. Per trovare livelli di fecondità così bassi per il complesso delle donne residenti bisogna tornare indietro ai primi anni Duemila.

 

Fonte: ISTAT – NATALITÀ E FECONDITÀ DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE | ANN0 2020. Disponibile al link: https://www.istat.it/it/files//2021/12/REPORT-NATALITA-2020.pdf 

Endometriosi e gravidanza: un binomio che sembra impossibile. Cos’è l’endometriosi? Quali sono i sintomi e quali le terapie? Chi soffre di questa patologia può realizzare il sogno di diventare mamma?

Ne abbiamo parlato con la Dr.ssa Sara Scandroglio, specialista in ginecologia e ostetricia.

Cos’è l’endometriosi

L’endometriosi viene definita come la presenza di tessuto simil-endometriale funzionale (epitelio, ghiandole e stroma) al di fuori della cavità uterina. Le cellule che compongono i focolai endometriosici, infatti, sono estremamente simili a quelle che compongono l’endometrio (la mucosa che riveste la superficie interna dell’utero) dal punto di vista strutturale e funzionale: il tessuto endometriosico si trova perciò in sede “ectopica” (dove normalmente non dovrebbe essere), ma risponde agli stimoli ormonali ciclici femminili esattamente come farebbe l’endometrio. Lo stimolo ormonale di natura estrogenica stimola la proliferazione delle cellule endometriosiche e, conseguentemente, determina la sintomatologia clinica [1].

La causa dell’endometriosi

Sebbene la causa dell’endometriosi non sia a tutt’oggi chiaramente definita, sono state sviluppate diverse ipotesi: secondo alcuni autori, le cellule endometriali sfaldate durante la mestruazione arriverebbero in cavità peritoneale attraverso le tube di Falloppio, mediante un processo definito “mestruazione retrograda”, e si impianterebbero; altre teorie ipotizzano che le cellule endometriosiche derivino da cellule staminali dislocate in sede ectopica durante il processo di organogenesi in fase embrionale, le quali rimarrebbero quiescenti durante la fase pre-puberale e si riattiverebbero durante la fase fertile della vita, in seguito agli stimoli ormonali [2].

A prescindere dalla modalità con la quale le cellule endometriosiche arrivano e si impianto in cavità pelvica, queste ultime in condizioni fisiologiche dovrebbero venire attaccate ed eliminate dal sistema immunitario (linfociti T, cellule Natural Killer e macrofagi) della paziente: nelle pazienti affette da endometriosi è stato osservato in numerosi studi che questo “controllo immunitario” a livello peritoneale appare limitato, per cui le cellule endometriosiche “evadono la sorveglianza” da parte del sistema immunitario e si impiantano e proliferano in cavità pelvica [3]. Appare chiaro perciò che la genesi della patologia sia riconducibile a diversi aspetti, non mutuamente esclusivi, di natura genetica, epigenetica ed immunologica.

Le caratteristiche della patologia

L’endometriosi si caratterizza come una patologia dell’età riproduttiva. Secondo le ultime linee guida dell’European Society of Human Reproduction and Embryology, la patologia colpisce circa una donna su dieci, ed è associata all’infertilità in circa il 50% dei casi [4]. Le sedi dove si sviluppano più frequente le lesioni endometriosiche sono: le ovaie, il peritoneo che riveste la cavità pelvica, il cavo di Douglas ed il setto-retto-vaginale ed i legamenti dell’utero. In una percentuale minore di casi viene interessato l’intestino e/o l’apparato urinario (soprattutto vescica ed ureteri. In casi estremamente rari la patologia può interessare sedi molto lontane dalla cavità pelvica, quali gli organi toracici o l’encefalo.

I sintomi

La sintomatologia è riconducibile principalmente al dolore pelvico acuto (usualmente in concomitanza della fase mestruale) e cronico, dispareunia (dolore durante i rapporti), sterilità/infertilità, sanguinamenti intermestruali. A questi si possono aggiungere alcuni sintomi specifici, quali dolore alla defecazione e sanguinamento rettale (in caso di interessamento intestinale) o ematuria (in caso di interessamento uretero-vescicale). Chiaramente la sintomatologia può presentare notevoli ripercussioni invalidanti sulla vita della paziente: basti solo pensare all’impatto che il dolore pelvico cronico può avere sul lavoro della donna o, parimenti, la presenza di dispareunia e l’infertilità sul rapporto di coppia [5]. Per questo motivo è assolutamente fondamentale avere un approccio multidisciplinare alla paziente, con professionisti di diverse discipline, possibilmente in centri di riferimento per il management della patologia [6].

La classificazione

Usualmente l’endometriosi viene classificata in 4 stadi secondo il “revised American Fertility Society score”, a seconda della gravità della patologia [7]. È importantissimo sottolineare, però, che non sempre lo stadio di malattia è correlato alla gravità della sintomatologia: anche pazienti al I-II stadio possono presentare elevati livelli di dolore pelvico o essere infertili. Dal punto di vista prettamente clinico, si distinguono tre tipi principali di lesioni endometriosiche: lesioni peritoneali superficiali, endometriomi (cisti endometriosiche) ovarici ed endometriosi profonda infiltrante (“Deep Infiltrating Endometriosis”). Quest’ultimo tipo è quello più difficile da trattare dal punto vista chirurgico e farmacologico, e che può comportare esiti invalidanti [8].

La diagnosi

Il sospetto diagnostico per endometriosi viene posto innanzitutto sulla base di un’accurata raccolta della storia clinica della paziente e della visita ginecologica (o rettale, in caso di paziente virgo), a cui segue usualmente il supporto ecografico, utile nella diagnosi di endometriomi e di focolai di endometriosi profonda infiltranti [9]; in casi selezionati si potranno utilizzare anche altre metodiche, quali la Risonanza Magnetica Nucleare o la cistoscopia per escludere la presenza di cistite interstiziale, che spesso si associa ad endometriosi. Sebbene ci sia anche la possibilità di utilizzare marcatori sierologici come il CA-125, le ultime linee guida dell’European Society of Human Reproduction and Embryology raccomandano di escluderli data la loro bassissima sensibilità e specificità (non è raro infatti avere valori di CA-125 nel range di normalità anche in caso di diagnosi accertata!) [4]. Una volta posto il sospetto diagnostico, il “gold standard” per la diagnosi è rappresentato dalla laparoscopia, cui deve seguire necessariamente conferma istologica dei campioni prelevati dai focolai visualizzati.

La terapia medica

La terapia medica si avvale dell’utilizzo di diversi preparati ad azione ormonale [10], quali i progestinici o gli estroprogestinici in regime continuativo (senza interruzione, al fine di evitare il sanguinamento pseudo-mestruale), somministrabili per via orale, vaginale, intrauterina (intrauterine device – IUD, cosiddetta “spirale”), transdermica o ancora mediante impianti sottocutanei. Qualora queste terapie dovessero risultare non sufficienti, c’è la possibilità di prescrivere gli analoghi del Gonadotropin-releasing hormone (GnRH), da riservare esclusivamente per brevi periodi di tempo (massimo 6 mesi), possibilmente con l’utilizzo contemporaneo di un estroprogestinico (cosiddetta “add-back therapy”) ed escludendo le pazienti adolescenti, considerando i deleteri effetti di questo farmaco sulla massa ossea.

La terapia chirurgica

La terapia chirurgia attualmente è principalmente laparoscopica [11], per il ridotto rischio di emorragia nel corso dell’intervento, la minore incidenza di aderenze post-operatorie, la riduzione della degenza e della convalescenza, il minimo danno estetico. Una delle nuove prospettive della chirurgia mini-invasiva è rappresentata altresì dalla chirurgia robotica. Qualunque sia la tecnica chirurgica utilizzata, è fondamentale l’eradicazione di tutto il tessuto patologico, l’elettrocoagulazione dei focolai peritoneali, e, per quanto possibile, il ripristino della normale anatomia e la preservazione del parenchima ovarico indenne. In ogni caso, chirurgia per endometriosi dovrebbe essere riservata a centri di riferimento [6], specialmente nel caso di endometriosi profonda infiltrante.

Il percorso di Procreazione Medicalmente Assistita

L’endometriosi nei suoi diversi stadi può comportare infertilità e in questo caso risulta fondamentale il ricorso precoce da parte della coppia a tecniche di Procreazione Medicalmente assistita. Il medico specialista ha il compito di informare la coppia e di avviarla ad un percorso specialistico volto all’ottenimento della gravidanza.

Secondo le ultime linee guida ESHRE solo in caso di coppia giovane con endometriosi stadio primo è possibile proporre un percorso di I livello con 3 cicli di inseminazione intrauterina, in tutti gli altri stadi di malattia, tenendo conto sia della componente infiammatoria della patologia che della riduzione della riserva ovarica che della distorsione della anatomia pelvica è indicato un percorso di IVF di II livello (FIVET o ICSI).

Ottenere la gravidanza risulta dunque possibile e la gravidanza stessa, con l’allattamento successivo potranno costituire fattori protettivi per tutto il periodo dalla sintomatologia dolorosa e dal peggioramento del quadro endometriosico.

Dr.ssa Sara Scandroglio, Specialista in Ginecologia e Ostetricia

 

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  7. Johnson NP, Hummelshoj L, Adamson GD, Keckstein J, Taylor HS, Abrao MS, Bush D, Kiesel L, Tamimi R, Sharpe-Timms KL, Rombauts L, Giudice LC; World Endometriosis Society Sao Paulo Consortium. World Endometriosis Society consensus on the classification of endometriosis. Hum Reprod. 2017;32(2):315-324.
  8. Raffaelli R, Garzon S, Baggio S, Genna M, Pomini P, Laganà AS, Ghezzi F, Franchi M. Mesenteric vascular and nerve sparing surgery in laparoscopic segmental intestinal resection for deep infiltrating endometriosis. Eur J Obstet Gynecol Reprod Biol. 2018;231:214-219.
  9. Noventa M, Scioscia M, Schincariol M, et al. Imaging Modalities for Diagnosis of Deep Pelvic Endometriosis: Comparison between Trans-Vaginal Sonography, Rectal Endoscopy Sonography and Magnetic Resonance Imaging. A Head-to-Head Meta-Analysis. Diagnostics (Basel). 2019;9(4):225.
  10. Vercellini P, Viganò P, Somigliana E, Fedele L. Endometriosis: pathogenesis and treatment. Nat Rev Endocrinol. 2014;10(5):261-75.
  11. Laganà AS, Vitale SG, Trovato MA, Palmara VI, Rapisarda AM, Granese R, Sturlese E, De Dominici R, Alecci S, Padula F, Chiofalo B, Grasso R, Cignini P, D’Amico P, Triolo O. Full-Thickness Excision versus Shaving by Laparoscopy for Intestinal Deep Infiltrating Endometriosis: Rationale and Potential Treatment Options. Biomed Res Int. 2016;2016:3617179.

 

Riuscirò a sentire mio il bambino? Mi somiglierà, almeno un po’? Cosa penseranno gli altri? È giusto rivelare a mio figlio com’è nato? Sono questi i principali dubbi e preoccupazioni della coppia che intraprende un percorso di fecondazione eterologa.

Abbiamo chiesto alla Dottoressa Elena Bagalà, psicologa psicoterapeuta, come affrontarli.

La scelta di affidarsi alla medicina

Ritrovarsi di fronte alla diagnosi d’infertilità o ancor di più di sterilità, può generare una profonda crisi a livello sia individuale che relazionale. Nella coppia, l’altalena di emozioni provate, se non gestita con efficacia, con il tempo rischia di compromettere il legame, invece di rafforzarlo. Non solo, la scelta di affidarsi alla medicina può risultare difficile da maturare e anche quando si decide di intraprendere un percorso di PMA, il cammino che si prospetta è spesso faticoso e non sempre risolutivo del problema. Ogni tecnica di procreazione medicalmente assistita potrebbe generare specifiche difficoltà psicologiche. Queste possono riguardare il tipo di procedura medica utilizzata, i tempi del trattamento, l’alta frequenza dei controlli e la probabilità di successo. In generale, le coppie che arrivano in un centro di PMA hanno già precedentemente vissuto frequenti delusioni e insuccessi.

La fecondazione eterologa

L’esigenza di un’informazione accurata e di sostegno psicologico emerge ancor di più nei casi di fecondazione eterologa, in cui le emozioni conflittuali si moltiplicano in relazione all’inserimento, nel processo generativo, di un donatore esterno.

È necessaria una profonda elaborazione da parte dei coniugi rispetto ai fattori psicologici implicati e la possibilità di analizzare le fantasie e le aspettative della coppia per riportare il bambino ideale sul piano della realtà e fare i conti con gli aspetti fisici non completamente a carico del patrimonio genetico dei due genitori.

La fiaba della vita

Tra le principali preoccupazioni delle coppie che affrontano un percorso di fecondazione eterologa emergono molto frequentemente, vari dubbi e timori, tra questi un grande dilemma è: “come spieghiamo a nostro figlio quali sono le sue origini?”

Da un punto di vista psicologico, non si possono dare indicazioni specifiche ed assolute sull’opportunità o meno di rivelare le origini al figlio. In base ai risultati di vari studi condotti sugli effetti psicologici derivanti dal comunicare o meno questa circostanza al figlio, si giunge alla conclusione che non esistono decisioni giuste o sbagliate.

Negli anni sono aumentate le coppie che si sottopongono alla tecnica di fecondazione eterologa, che sono orientate a rivelare la donazione al bambino mentre prima solo una piccola percentuale si sentiva di affrontare l’argomento; altre coppie sono intenzionate a rivelarlo alla maggiore età del figlio. È bene ricordarsi che per il bambino è fondamentale sentire l’intensità e la qualità del desiderio d’averlo voluto concepire ed allevare poi, con amore nonostante la sterilità.

Dare spazio al dialogo, anche di gruppo

La coppia che decide di intraprendere questo tipo di tecnica, al fine di essere supportati in questo delicato compito, necessita di uno spazio adatto dove poter esprimere ogni emozione contrastante. Richiedere una consulenza psicologica è necessario, per confrontarsi con uno psicologo psicoterapeuta che si occupa di tematiche legate all’infertilità, per ricevere le indicazioni e la consulenza specifica per il proprio caso.

In questa fase le coppie devono trovare uno spazio di dialogo, condivisione e confronto su questi dubbi. Se la coppia si regge su basi solide avrà le risorse per affrontarlo: condividere il più possibile questo momento, le ansie e le preoccupazioni con il proprio compagno aiuta la coppia a superare i momenti di incertezza e di difficoltà ed a costruire solide basi per una maternità e una paternità serene. I vantaggi maggiori, trattandosi di fecondazione assistita, provengono da un lavoro di coppia e di gruppo.

E’ fondamentale che all’interno della coppia vi sia una relazione equilibrata ed armoniosa. Nel momento in cui sono state affrontate le legittime paure ed incertezze, la coppia riuscirà a mettere in atto un processo decisionale congruo con il proprio stato emotivo.

 

Per la preservazione della fertilità, la crioconservazione degli ovociti e il social freezing sono tecniche ormai consolidate nella medicina della riproduzione. Fino a che punto possono aiutare una donna e una coppia a capire qual è il momento giusto per concepire un figlio? In cosa consistono queste tecniche? Qual è il ruolo del ginecologo?

Abbiamo approfondito l’argomento con la Dr.ssa Sara Scandroglio, specialista in Ginecologia e Ostetricia.

Preservare la fertilità

Nella società attuale il desiderio di gravidanza emerge sempre più tardivamente ed in particolare nel nostro paese l’età media al parto del primo figlio è sempre più avanzata.

Il desiderio di completare la famiglia con l’arrivo di uno o più bambini, ci dicono sociologi e psicologi, è chiaramente parte della natura umana ed in particolare spiccato desiderio della maggior parte delle donne. Tenendo però conto di come sia cambiata la società e di come si sia evoluta in senso pienamente positivo la figura della donna, sempre più capace di emergere nel lavoro, di sviluppare una brillante carriera, di occupare posizioni in passato prevalentemente occupate dall’uomo, si comprende come il desiderio di maternità si sia dovuto confrontare con le difficoltà organizzative di una donna che dedica anni della sua vita allo studio, a cercare un impiego, a dimostrare le sue capacità ed evolvere in senso professionale.

Ciò ha portato a procrastinare sempre più in là con gli anni la ricerca del primo figlio, che si è spostata dai 25-30 anni fino ai 40 anni.

Quando concepire un figlio?

D’altra parte, sempre più complesse sono le dinamiche di coppia e l’età media in cui si giunge ad una relazione stabile di matrimonio o convivenza che poi sfocia nel desiderio di avere un bimbo è altresì più avanzata.

Da ultimo, non dobbiamo dimenticare che concepire un bimbo in una realtà in cui entrambi i genitori hanno un impiego lavorativo comporta una necessità di supporto logistico per l’accudimento del bambino stesso; non tutte le coppie hanno la possibilità di poter contare sul prezioso aiuto dei nonni ed asili nido e baby sitter comportano un impegno economico non indifferente per il bilancio familiare.

Nel complesso potremmo ampliare la discussione su ciascuno dei temi sopraccitati ma risulta comunque chiaro che l’età media in cui inizia la ricerca di una gravidanza risulta oggi significativamente più alta che in passato e le cause sono molte.

Il punto di vista biologico

Tuttavia, dal punto di vista puramente biologico, l’età anagrafica e l’età ovarica sono rimaste quelle di un tempo e se oggi molto più che in passato una donna di 40 anni si trova nel fiore dei suoi anni, nel corso della sua carriera lavorativa, nel pieno delle sue forze fisiche e mentali, più consapevole dei suoi desideri tra cui quello di maternità, d’altra parte dobbiamo ricordare che la fertilità declina in modo esponenziale già dai 35 anni e in modo molto molto marcato dopo i 40 anni. A 43 anni la probabilità di concepimento si assesta non oltre il 3-5% e il tasso di aborti spontanei, la contropartita dell’invecchiamento ovocitario, intorno al 70%.

Neppure il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita può ovviare al declino della fertilità correlato con la riduzione della riserva ovarica per l’invecchiamento in quanto anche le procedure di fecondazione in vitro necessitano di una risposta multifollicolare alla stimolazione ovarica che viene meno con il passare del tempo. Per le pazienti over 40, in particolare over 43, la procreazione assistita non è in grado di garantire un tasso di gravidanza significativamente superiore a quanto avviene spontaneamente e sopra menzionato.

Il social freezing

Ed è così che negli Stati Uniti dove la situazione socio-economico-culturale descritta per il nostro paese risulta ancora più accentuata, è nata l’idea del social freezing ovvero di procedere preventivamente alla crioconservazione di un certo numero di propri ovociti, da utilizzare poi quando, finiti gli studi, raggiunti gli obiettivi di carriera fosse venuto il tempo “giusto” per la gravidanza.

Ciò apre una moltitudine di scenari e pone una serie di interrogativi.

La tecnica di congelamento degli ovociti

Innanzitutto la tecnica: per poter congelare ovociti è necessario che la donna si sottoponga ad una stimolazione ovarica farmacologica in modo da produrre un certo numero, quanto più elevato possibile, di follicoli da sottoporre ad aspirazione ecoguidata (pick up) da cui recuperare gli ovociti che verranno poi crioconservati mediante vitrificazione. Il procedimento risulta di un certo impegno sia dal punto di vista fisico che psicologico, applicato in età di piena fertilità (25-30 anni) potrebbe con minimi rischi permettere di bancare dai 20 ai 30 ovociti che costituirebbero una ottima scorta da usare poi mediante FIVET/ICSI (fertilizzazione in vitro) al momento della ricerca della gravidanza.

Teniamo anche conto del fatto che la cellula uovo in passato crioconservata con modalità di congelamento lento sopravviveva male al successivo scongelamento. In tempi più recenti con l’introduzione routinaria della vitrificazione la sopravvivenza ovocitaria allo scongelamento è aumentata notevolmente ma varia dal 30 al 90% in relazione ad una serie di fattori. Ciò significa che congelare oggi 10 ovociti può voler dire averne poi da 3 a 9 da poter realmente utilizzare al momento in cui si desideri intraprendere la ricerca della gravidanza.

Social freezing per tutte le donne?

In secondo luogo ci domandiamo se sia giusto proporre questa tecnica a tutte le giovani donne, facendo così passare in secondo piano la modalità naturale di concepimento spontaneo, l’età di maggiore fertilità e l’età della maternità biologica, rendendo socialmente accettabile che la donna debba dedicarsi necessariamente prima alla carriera e poi alla maternità ed infine trasmettendo il messaggio che un figlio si può fare quando si vuole, un po’ come avviene quando la donna in età avanzata decide di sottoporsi ad una tecnica di fecondazione eterologa come l’ovodonazione. Certamente l’utilizzo di ovociti “giovani”, siano essi propri o donati aumenta le chance di gravidanza di una donna over 40 ma ricordiamo che il tasso di successo della fecondazione in vitro varia dal 30-35% ad un massimo del 40% per embriotransfer con un tasso di bimbi in braccio tra il 20-22% delle fecondazioni omologhe ed il 30-35% delle eterologhe.

Tolti questi limiti, tenendo conto dell’evoluzione della nostra società, dovremmo anche considerare i risvolti nettamente positivi di una politica di programmazione familiare di tipo misto, laico, lungimirante in cui l’egg freezing costituisca una opportunità, una libera scelta, da proporre accanto ad un accurato counselling sulla fertilità e sulla maternità consapevole.

Una opportunità insomma che forse in futuro dovrebbe essere offerta a tutte le donne: ciascuna poi sarà in grado di effettuare una libera scelta sulla possibilità di crioconservare i propri ovociti da utilizzare in un futuro se si rendessero necessari.

La pianificazione responsabile della gravidanza

Esistono in particolare alcune categorie di donne per le quali il passare del tempo costituisce un rischio molto importante per la possibilità di avere un bimbo, pensiamo ad esempio alle pazienti con endometriosi, con storia familiare di menopausa precoce, con mutazione BRCA che le predispone al cancro ovarico e mammario. Per queste donne il pool di ovociti crioconservati in giovane età potrebbe costituire l’unica successiva chance di dare alla luce un bimbo.

Ovviamente le difficoltà di sviluppare un progetto di egg freezing così ambizioso nel nostro paese stanno anche nelle ridotte risorse economiche del nostro sistema sanitario, che ha evidenziato proprio in tempi attualissimi, nel corso della pandemia da COVID 19, i suoi limiti legati ad una politica di tagli alla sanità degli ultimi decenni ma anche la capacità fondata sul lavoro, sulla intelligenza, sulla scienza e sulla ragione di aggiustare il tiro e di sviluppare interi reparti a disposizione delle necessità contingenti. Mai come ora, in un presente reso incerto dal SARS-Cov2, viene da pensare al futuro e a come poter pianificare una gravidanza responsabilmente, anche con l’aiuto della medicina della riproduzione.

Il ruolo chiave del ginecologo

In conclusione non essendo al momento disponibile una proposta di egg freezing a tutta la popolazione, la figura del ginecologo resta estremamente importante nell’informare le giovani donne sulla loro fertilità, sulle problematiche che potrebbero presentarsi, favorire una maternità consapevole in età più giovane ed eventualmente indirizzare a centri di procreazione assistita pazienti eligibili a crioconservazione ovocitaria volontaria o per patologie minori, fermo restando che la crioconservazione rimane la tecnica di scelta praticata e offerta ad oggi in modo sistematico alle pazienti oncologiche in età riproduttiva e grazie alla quale, una volta guarite, potranno tentare di concepire un figlio.

Dr.ssa Sara Scandroglio, specialista in Ginecologia e Ostetricia

 

Bibiliografia:
  1. Assessing the quality of decision-making for planned oocyte cryopreservation J Assist Reprod genet. 2021 Feb 11.
  2. Social egg freezing and donation: waste not, want not. J Med Ethics. 2021 Jan 5.
  3. Freezing fertility: oocyte cryopreservation and the gender politics of aging. New York University Press. 2020 dec.
  4. Upholding success: Asian Americans, Egg freezing, and the fertility paradox. Med Anthropol. 2021 Jan.

Il fallimento della PMA può innescare reazioni molto diverse, sia nella coppia sia nei componenti della stessa. Quali sono le più comuni e quali sono i consigli dello psicologo per superare la situazione, singolarmente e insieme?

Ce ne parla la Dottoressa Elena Bagalà, psicologa psicoterapeuta.

Il vuoto da superare

Il vuoto che si genera dall’impossibilità di donare la vita è una ferita che colpisce prima l’individuo e poi la coppia. È un lutto difficile da elaborare, in quanto viene vissuto come una mancata proiezione di sé nel futuro.

È un dolore forte e profondo, difficile da gestire, in quanto il fallimento del trattamento conduce ad una rivisitazione dell’immagine di sé come genitori e del bambino idealizzato. La coppia accusa fortemente il colpo: calano i livelli di speranza, ci si chiude rispetto alla relazione e agli affetti; l’entusiasmo cede il posto alla passività e all’insicurezza, calano così i livelli d’autostima.

Il supporto dello psicologo

Confrontarsi con il fallimento successivo al tentativo della Fivet, è per molte coppie fonte di sofferenza, angoscia e sconforto, a maggior ragione se questo è l’ennesimo da dover affrontare.

Un passo importante da effettuare davanti un esito negativo, è richiedere una consulenza psicologica. La coppia, durante il percorso di PMA, attraversa alcune fasi fondamentali. Per questo motivo la consulenza psicologica pone l’attenzione alla tutela dell’assetto psicologico già prima dell’inizio del trattamento. Come? Sostenendo e supportando tutti i risvolti emotivi e relazionali paralleli alle tecniche mediche della fecondazione assistita. In questo modo, la coppia sarà tutelata sin da subito, a far fronte alle legittime emozioni negative, conseguenti sia alla diagnosi d’infertilità e sia all’eventualità di un fallimento del trattamento.

Dunque, aiutare la coppia ad accettare la diagnosi, sostenerla nel percorso, ma soprattutto, accompagnarla nell’elaborazione del lutto in caso di insuccesso, è ciò che avviene durante la consulenza con le coppie. Viene spontaneo, dunque, chiedersi cosa sia necessario ed importante fare per cercare di far fronte ad una situazione del genere.

È importante condividere il dolore

Condividere il dolore è fondamentale. La verbalizzazione delle proprie emozioni è molto importante, sia attraverso il confronto con lo psicologo in sedute individuali o di coppia, sia all’interno di sedute di gruppi d’incontro. Questi incontri sono mirati alla partecipazione di coppie che vivono la stessa condizione. Ascoltare le esperienze altrui, condividere pensieri e sentimenti, prendersi cura dei loro vissuti, permette innanzitutto di sentirsi capiti ed accettati. Inoltre, con il confronto altrui ci si accorge che anche altre persone hanno dolori simili.

Nel condurre il gruppo d’incontro, il ruolo dello psicologo è quello di favorire l’interazione tra i partecipanti, al fine di facilitare un vissuto di universalità delle varie esperienze, rispettandone contemporaneamente, le loro unicità. La verbalizzazione delle proprie emozioni facilita una comunicazione empatica tra chi sta vivendo un’esperienza di fallimento.

L’importanza dell’approccio multidisciplinare

Inoltre, è importante per la coppia valutare insieme all’équipe del centro, gli aspetti che hanno potuto incidere sul fallimento; questo confronto è produttivo, in quanto permette di comprendere quali siano le indicazioni possibili su cui lavorare e migliorare così le probabilità di successo. La presenza dell’équipe multidisciplinare, in un momento così delicato e triste, rassicura lo stato d’animo dei pazienti ed aumenta in questo modo i livelli di benessere psicofisico grazie all’ascolto attivo e alla comunicazione empatica dell’équipe.

 

Perché sono poco fertile? Quali strategie posso adottare per aumentare la mia fertilità? Esistono farmaci o integratori in grado di migliorare la qualità del mio seme? Sono queste le principali domande di molti uomini che si trovano ad affrontare una situazione di infertilità di coppia.

Risponde nel dettaglio il Dottor Emilio Italiano, Specialista Urologo, Andrologo, Consulente Sessuologo.

L’andrologo, le cause, gli esami

In precedenti articoli abbiamo analizzato come la figura dell’Andrologo sia spesso determinante nella salute riproduttiva di una coppia infertile. Sono state valutate le possibili cause che possono determinare un peggioramento della qualità degli spermatozoi e gli esami appropriati per valutare un maschio con potenzialità riproduttive ridotte.

In questo articolo prenderemo in considerazione le terapie che possono essere eseguite per permettere un miglioramento della qualità seminale. Questo sia in un’ottica di ricerca di una gravidanza spontanea, sia nell’eventualità di fornire al ginecologo esperto in medicina della riproduzione un seme di migliore qualità. È noto, infatti, che le tecniche di riproduzione assistita abbiano una “live birth” (bimbo in braccio) migliore quando anche l’uomo è stato curato.

Le infezioni del tratto riproduttivo

Se la visita andrologica ha fatto sospettare un’infezione del tratto seminale (ad esempio prostatiti, orchiti o MAGI, Male Accessory Gland Infections – infezioni delle ghiandole cosiddette accessorie del tratto riproduttivo maschile) si effettuerà una spermiocoltura con ricerca di tutti i possibili patogeni che possono aggredire il tratto seminale. Una volta individuato il germe patogeno la spermiocoltura indirizzerà verso una terapia antibiotica mirata, che deve necessariamente essere eseguita dalla coppia. In tal modo si cercherà di evitare l’effetto ping-pong” legato ad una ricaduta o recidiva per mancato trattamento della partner.

Il varicocele

Il varicocele è la presenza di vene varicose del plesso pampiniforme. Si verifica quasi esclusivamente sul lato sinistro dello scroto a causa di una assenza o incompetenza delle valvole nella vena spermatica interna di sinistra. Può provocare una sintomatologia gravativa all’emiscroto sinistro, raramente dolore e, se trascurato negli anni, ipotrofia (rimpicciolimento) testicolare in alcuni pazienti. Tra le coppie infertili, l’incidenza di varicocele aumenta al 30-40%.

La prevenzione delle possibili conseguenze del varicocele è molto importante ed è attuabile mediante una diagnosi e un trattamento precoci. Infatti, quando ne esiste l’indicazione, prima si interviene sul varicocele migliori saranno i risultati per il mantenimento o il recupero della fertilità.

L’indicazione al trattamento viene posta dall’andrologo e ha come scopo principale quello di migliorare la salute testicolare. Se non c’è indicazione al trattamento, è opportuno comunque effettuare controlli andrologici periodici. Attualmente per la varicocelectomia, cioè l’asportazione del varicocele, sono disponibili diverse opzioni terapeutiche:

  • approccio chirurgico o microchirurgico e la scleroembolizzazione anterograda
  • metodica radiologica endovascolare.
Altre cause di infertilità maschile

Vi sono naturalmente molte altre cause che possono ridurre la fertilità maschile ed ognuna richiede una diagnosi accurata ed una conseguente terapia:

  • Anomalie genetiche
  • Malattie sistemiche
  • Farmaci che alterano la spermatogenesi (è noto l’effetto dannoso della finasteride utilizzata per la caduta dei capelli) o l’eiaculazione
  • Forme immunologiche
  • Droghe ‘ricreative’
  • e tante altre

L’andrologo indagherà, per esempio tra le cause pre-testicolari, su un eventuale ipogonadismo (una condizione patologica caratterizzata da insufficiente produzione di testosterone da parte delle cellule di Leydig con conseguente deficit androgenico a ridotta o assente produzione di spermatozoi con conseguente infertilità). Tale condizione a sua volta potrebbe essere sostenuta da altre patologie indagabili e possibilmente correggibili.

La supplementazione con nutraceutici

L’impatto clinico dei nutraceutici sulla qualità dello sperma e sui tassi di concepimento1 è stato ampiamente studiato e la più importante review pubblicata2 ne ha legittimato l’utilità. Ricordiamo che col termine nutraceutici definiamo un alimento, o parte di un alimento, con comprovati effetti benefici e protettivi sulla salute sia fisica che psicologica dell’individuo. Per essere tale deve avere le seguenti caratteristiche:

  • sicurezza e meccanismo di azione ben definito
  • efficacia dimostrata
  • assenza di eventi avversi

Il razionale di azione di un nutraceutico utilizzato nella infertilità maschile si basa fondamentalmente sull’evidenza che lo stress ossidativo (una condizione patologica che si verifica quando in un organismo vivente si produce uno squilibrio fra la produzione e l’eliminazione di specie chimiche ossidanti) produce una quantità abnorme di radicali liberi che danneggiano lo spermatozoo in diverse maniere. I radicali liberi possono essere conseguenza di fattori fisici (radiazioni ionizzanti, radiofrequenze, raggi UV), chimici (farmaci di sintesi chimica, chemioterapici, veleni ambientali, inquinamento atmosferico), o biologici (virus, batteri, infezioni). Un buon nutraceutico, per migliorare la qualità del seme, richiederà spesso un insieme di componenti antiossidanti: vitamine (C, E), carnitina, licopene, glutatione, zinco, selenio, acido folico, coenzima Q10.

Terapie con gonadotropine

A luglio del 2021 si è svolta a Palermo una Consensus Conference sulla terapia del maschio infertile. In tale contesto è stata consacrata l’utilità delle gonadotropine nel maschio infertile. Le gonadotropine sono ormoni prodotti dall’ipofisi, una piccola ghiandola che si trova alla base del cranio. La loro funzione principale è quella di regolare l’attività riproduttiva degli organi genitali femminili e maschili. È noto come nella procreazione medicalmente assistita (PMA) nella tecnica della FIVET o della ICSI3 la donna viene stimolata con gonadotropine per forzare le ovaie a produrre un numero maggiore di ovociti rispetto ad un ciclo usuale.

Alla stessa maniera l’andrologo valuta un maschio infertile richiedendo un dosaggio dell’FSH che, se basso, potrebbe essere motivo della alterazione dei parametri seminali. Una terapia con urofollitropina o altre gonadotropine nel maschio di una coppia infertile può, in buona percentuale di casi, migliorare il quadro seminologico. Quando parliamo di un miglioramento del quadro seminale non ci riferiamo soltanto ai parametri cosiddetti convenzionali (numero, motilità, morfologia), ma anche a quelli “non convenzionali” che usualmente non vengono studiati in un esame di base.

Conclusioni

L’alleanza ginecologo-andrologo è alla base delle soluzioni delle problematiche di una coppia a rischio infertilità. Prima di correre per eseguire una tecnica di riproduzione assistita uno studio accurato del maschio può fare individuare cause maschili, spesso potenzialmente correggibili, che ostacolano il percorso riproduttivo di una coppia. Altre volte migliorando la qualità del seme si permette al ginecologo della riproduzione di ottenere successi più elevati nelle tecniche di PMA.

Dottor Emilio Italiano, Specialista Urologo, Andrologo, Consulente Sessuologo.

 

BIBLIOGRAFIA:

  1. Antioxidants for male subfertility – Smits RM, Mackenzie-Proctor R, Yazdani A, Stankiewicz MT, Jordan V, Showell MG.Cochrane Database Syst Rev. 2019 Mar 14;3(3)
  2. Antioxidants for male subfertility – Showell MG, Mackenzie-Proctor R, Brown J, Yazdani A, Stankiewicz MT, Hart RJ.Cochrane Database Syst Rev. 2014;(12)
  3. Istituto Superiore di Sanità. https://bit.ly/3pMLZYh

 

L’infertilità maschile, le possibili cause e il ruolo della prevenzione sono temi che suscitano sempre grande interesse e dei quali non si parla mai abbastanza.

Ce lo conferma il Dottor Emilio Italiano, Specialista Urologo, Andrologo, Consulente Sessuologo, con il quale abbiamo fatto il punto sull’argomento e messo in evidenza gli aspetti più rilevanti.

Fattore maschile di infertilità di coppia

Un fattore maschile, tra cause maschili dirette e quelle miste, è ormai presente nel 60% circa delle coppie infertili. Nell’ambito di una valutazione di coppia, quindi, è importante iniziare precocemente l’analisi del partner di sesso maschile, per evitare terapie inutili o inappropriate o indagini invasive nella donna.

La visita andrologica comincia da una corretta anamnesi, per indagare poi su eventuali anomalie alla nascita o nel percorso di sviluppo del maschio.

Cause di infertilità maschile

Le possibili cause di infertilità maschile possono essere suddivise in tre grandi categorie:

  • Pre-testicolari
  • Testicolari
  • Post-testicolari

Tutte possono determinare alterazioni dei parametri seminali e portare ad anomalie del liquido seminale, di cui abbiamo trattato nel precedente articolo “Infertilità di coppia: gli esami per l’uomo“.

Tra le cause più frequenti descriviamo:

  • Anomalie genetiche
  • Criptorchidismo (mancata discesa di uno entrambi i testicoli nello scroto alla nascita)
  • Varicocele
  • Malattie sistemiche
  • Farmaci
  • Forme immunologiche
  • Infezioni del tratto riproduttivo
  • Fattori socio-ambientali
  • Età avanzata
Cosa dicono le Linee Guida

Le Linee Guida della principale Società scientifica Urologica Europea, la EAU, European Association of Urology, mettono al primo posto come importanza e raccomandazione la correzione degli stili di vita nel maschio ipo/infertile.

Quindi l’attenzione sarà posta su:

  • Stress psico-fisico
  • Sovrappeso, obesità
  • Temperature scrotali elevate (talvolta per rischi lavorativi)
  • Esposizione ad agenti fisici o chimici
  • Utilizzo di sostanze voluttuarie (fumo di sigaretta, alcool, sostanze stupefacenti, farmaci voluttuari).
Il riconoscimento delle cause

L’andrologo indagherà per esempio tra le cause pre-testicolari su un eventuale ipogonadismo (una condizione patologica caratterizzata da insufficiente produzione di testosterone da parte delle cellule di Leydig con conseguente deficit androgenico a ridotta o assente produzione di spermatozoi con conseguente infertilità). Tale condizione, a sua volta, potrebbe essere sostenuta da altre patologie indagabili e possibilmente correggibili.

Inoltre, si valuteranno possibili cause testicolari, tra queste il varicocele, che rappresenta la causa più frequente, senza tralasciare l’idrocele, la pregressa torsione del funicolo o i tumori testicolari che, ricordiamo, sono i tumori più frequenti dell’età giovanile (15-40 anni) e curabili in altissime percentuali.

Per finire, l’andrologo indagherà sulle cause post-testicolari, da quelle congenite a quelle acquisite per infezioni delle ghiandole accessorie maschili (prostata, vescicole seminali, epididimi), ostruzioni delle vie seminali, disfunzioni eiaculatorie.

Il ruolo delle infezioni

Anche le infezioni acute e croniche del tratto urogenitale hanno notevole importanza. Infatti, possono contribuire in vario grado all’infertilità maschile attraverso molteplici meccanismi:

  • Risposta infiammatoria (leucocitospermia, produzione di radicali liberi dell’ossigeno e conseguente danno perossidativo al DNA, iperproduzione di citochine) (1)
  • Anomalie funzionali delle ghiandole sessuali accessorie coinvolte nel processo flogistico-infiammatorio (alterazioni biochimiche del plasma seminale, ridotta attività scavengers) (2)
  • Fenomeni sub-ostruttivi/ ostruttivi post-flogistici (3)
Obiettivi di una corretta valutazione dell’uomo infertile

In precedenti articoli abbiamo visto che già da alcuni anni le cause di una infertilità di coppia possono dipendere in oltre il 50% delle volte da cause maschili (leggi l’articolo “La salute riproduttiva maschile: il ruolo chiave dell’andrologo”).

La corretta valutazione ed attenzione parte dunque dalla PREVENZIONE. Infatti, così come le donne vanno dal ginecologo per la loro prima visita alla comparsa del primo ciclo mestruale (menarca), alla stessa maniera il maschio va periodicamente visitato dall’andrologo. Ciò andrebbe fatto preferibilmente prima della pubertà, se si sospettano anomalie, e successivamente, se nella norma, ogni 2 anni.

L’Andrologo inquadrerà correttamente:

  • Condizioni potenzialmente correggibili
  • Condizioni a rischio vita o salute che possano sottostare all’infertilità e richiedere attenzione medica
  • Condizioni irreversibili per le quali sia possibile ricorrere a tecniche di PMA omologhe (parliamo di tecniche di recupero degli spermatozoi)
  • Condizioni irreversibili per le quali non sia possibile ricorrere a tecniche di PMA omologhe e per le quali siano proponibili opzioni eterologhe (in condizioni estreme in cui non sia possibile un recupero, ricorrere alla banca del seme di donatore può rappresentare un’opzione percorribile)
  • Anomalie genetiche che possano influenzare la salute della progenie in caso di utilizzo di PMA
  • Condizioni in cui si possono prevedere scenari di ulteriore peggioramento della qualità del seme ed in cui si deve consigliare un deposito preventivo degli spermatozoi alle banche del seme.

Dottor Emilio Italiano, Specialista Urologo, Andrologo, Consulente Sessuologo

 

 

 

Bibliografia

  1. Aitken et al, 1995; Sikka et al., 1995; Ochsendorf, 1999; Depuydt et al., 1996; Diemer et al., 2003; Agarwal et al., 2003; Sanocka et al., 2003
  2. Depuydt et al, 1996; Comhaire et al., 1999
  3. Salgado et al., 2003