Molto spesso capita, allo psicologo che opera nei reparti di PMA, d’incontrare coppie tormentate da dubbi e domande, che se non vengono accolte e ragionate insieme alla coppia stessa, rappresentano un vero ostacolo al successo del percorso procreativo. Nei lavori precedenti ho cercato di mettere in luce i vissuti delle coppie che intraprendono i percorsi di PMA dando alcune risposte ai loro quesiti. “Cosa raccontare al bambino?È giusto parlarne con gli altri? E se anche questo tentativo fallisse?
Nel presente lavoro mi dedichèrò di più a fornire un’analisi delle domande che emergono invece nei percorsi di fecondazione eterologa assistita mettendo in luce alcune differenze importanti in termini emotivi tra un tipo di percorso e l’altro. Il ricorrere alle tecniche di PMA indica l’importanza data dalla coppia al mantenimento di un vincolo biologico con il figlio, che ricorrendo alla fecondazione eterologa in parte si perderebbe, un po’ come avviene nelle genitorialità adottive. Il ricorrere al seme di un donatore esterno alla coppia per procreare il figlio tanto immaginato e desiderato, richiede alla persona di doversi confrontare fino in fondo con il fallimento di un progetto procreativo che affonda le sue origini fin dai primi anni della vita di un individuo, e da alcuni anni nella vita della coppia. In tali casi la situazione della sterilità assume le sembianze di quella del lutto (Vegetti Finzi, 1997). La persona, di fronte alla prospettiva di ricorrere ad una fecondazione eterologa, non solo deve elaborare il lutto della possibilità di generare un prolungamento di se stesso, attraverso una genitorialità biologica, ma deve anche sopportare l’idea che sia qualcun altro esterno/estraneo alla coppia, a poterlo realizzare al proprio posto, o al posto del proprio partner.
Assistiamo a questo punto allo sviluppo di una serie di sensazioni che hanno a che fare con il crollo dell’autostima, vissuti paranoici e sentimenti d’impotenza e d’esclusione. La prospettiva di ricorrere al gamete di un donatore esterno alla coppia per poter realizzare il progetto procreativo ideato con il proprio partner rappresenta un vero attacco all’immagine di Sé e all’ideale dell’Io. La stabilità della coppia viene minacciata dall’insorgenza di ulteriori insicurezze che rappresentano una minaccia vera e propria al progetto originario della coppia stessa. Il superamento dell’empasse procreativo dipende da molteplici fattori, in particolare la personalità dell’individuo e l’equilibrio che la coppia riesce a mantenere.
Lo psicologo in questi casi ha il dovere di aiutare la coppia a riflettere sulla possibilità di intraprendere un ciclo di fecondazione eterologa, come sulla possibilità di intraprendere altre scelte. Lo psicologo deve porre molta attenzione alle domande sollevata dalla coppia, perché proprio attraverso queste domande potrà verificare la consapevolezza della scelta indicata dalla coppia e aiutare i partner a sostenersi durante un percorso estremamente delicato. “È giusto ricorrere alla fecondazione eterologa? In tal caso il bambino a chi somiglierà? Gli vorrò’ bene come fosse mio?” Sono domande estremamente complesse che esprimono principalmente la difficoltà, almeno in uno dei due partner, di superare il desiderio di avere un figlio biologico, “un figlio che lo somigli”. Rinunciare ad una genitorialità biologica rappresenta un passaggio estremamente delicato e complesso: l’esperienza della fecondazione eterologa richiede alla coppia la capacità di tollerare la presenza dei genitori biologici del bambino, presenza che pur non essendo concreta può diventare, in alcuni momenti, invadente e suscitare ansia e sentimenti di perdita rispetto ad un rapporto esclusivo con il figlio.
Sebbene la legge preveda la riservatezza assoluta del donatore, da un punto di vista psicologico non è sempre possibile per la coppia ricevente cancellare la storia biologica del bambino. Il genitore, nella costruzione del legame con il proprio bambino ha bisogno di riconoscersi anche negli aspetti somatici del bambino, non a caso le caratteristiche somatiche della coppia ricevente vengono abbinate attentamente a quelle del donatore. “E’ chiaro che avrei preferito che mi somigliasse in tutto- afferma sorridendo Marco durante un colloquio- ma sono convinto che ci si affeziona stando nella relazione…i figli sono di chi li cresce”. Effettivamente Marco fa riferimento ad un concetto più allargato di genitore; dove la parola “genitore” significa qualcosa di molto più impegnativo che generare in senso biologico un figlio. Genitore è colui che con la propria dedizione amorosa consente lo sviluppo armonico del bambino. Basti pensare a quanti, da Winnicott a Bowlby, hanno affermato che “non esiste un bambino da solo, ma sempre un bambino col genitore”.
Dottoressa Petrozzi