Nell’articolo “Multipli fallimenti di impianto in PMA: facciamo chiarezza” abbiamo visto che nonostante le innovazioni della Medicina della Riproduzione nell’approccio ai trattamenti di procreazione medicalmente assistita e nelle tecniche di laboratorio, diverse coppie non riescono a concepire.
Si cerca allora di approfondire, di identificare eventuali fattori che possono causare o contribuire al fallimento di impianto.
È questo l’obiettivo degli accertamenti in coppie con fallimento di impianto e ne parliamo con la Dottoressa Silvia Guarnieri, specialista in Ginecologia e Ostetricia, responsabile dell’U.S.D. di PMA dell’AULSS 2 Marca Trevigiana presso l’ospedale di Oderzo.
Valutazione della storia clinica
Si presume che, in queste coppie, una valutazione sia già stata eseguita.
Quindi, una valutazione della storia clinica per entrambi i partner, una valutazione ecografica e ormonale per la donna e un’analisi del liquido seminale per l’uomo, sono sicuramente già in possesso del clinico che li segue.
Stile di vita e fattori di rischio
Fondamentale è valutare lo stile di vita delle coppie e l’uso e/o l’abuso di determinate sostanze
L’OBESITÀ rappresenta un fattore di rischio rilevante per quanto riguarda i fallimenti di impianto, in quanto può andare a modificare e a “spostare” la finestra di impianto; questo soprattutto nelle obesità di classe II – III.
Screening dei fattori genetici
Le alterazione cromosomiche embrionali rappresentano la principale causa di aborti. Le blastocisti con alterazioni cromosomiche hanno una minor capacità di sviluppo rispetto a blastocisti euploidi. L’analisi del cariotipo per entrambi i partner di una coppia che si approccia alla PMA rappresenta un esame abbastanza diffuso nella pratica clinica.
La prevalenza di anomalie cromosomiche varia dal 3 al 15% nella donna e dal 2.8 al 12% nell’uomo. Se vengono rilevate anomalie cromosomiche in uno o entrambi i partner è fondamentale una consulenza genetica e, dove necessario, è indicata la diagnosi preimpianto.
Anomalie ginecologiche
Sindrome di Asherman, endometriti, endometriosi/ adenomiosi, dilatazioni tubariche, spessore endometriale e fibromi sono tutti fattori che devono essere presi in considerazione in caso di ripetuti fallimenti di impianto. L’ecografia transvaginale già permette l’individuazione di alcune di queste problematiche. L’ecografia 3D, quando disponibile, dovrebbe essere presa in considerazione.
Quando è indicata l’isteroscopia
Quando l’ecografia transvaginale mette in evidenza anomalie uterina (fibromi sottomucosi, polipi endometriali, setti uterini, aderenze intrauterine) si deve considerare l’uso dell’isteroscopia che permette da un lato un approfondimento diagnostico, dall’altro un vero e proprio trattamento per queste patologie (polipectomia, miomectomia, lisi di aderenze ….).
L’isteroscopia permette inoltre la diagnosi di endometriti croniche (infiammazione localizzata della mucosa endometriale con o senza segni clinici di infiammazione), mediante biopsia endometriale e ricerca di plasmacellule. Tuttavia, non c’è ancora una standardizzazione sul numero di plasmacellule per campo da considerare come valore soglia (alcuni studi indicano più di una plasmacellula, altri più di 5 plasmacellule). In caso di diagnosi di endometrite cronica va considerata la terapia antibiotica (per esempio, con doxiciclina).
Spessore endometriale
Uno spessore endometriale < 7 mm può essere associato ad un fallimento di impianto. Questo si è visto sia nei cicli a fresco, sia nei cicli di scongelamento endometriale. Nel caso in cui lo spessore endometriale risulti inferiore ai 7 mm va aumentato il dosaggio dell’estradiolo utilizzato nella preparazione endometriale. Se nonostante questo non si ha un aumento dello spessore endometriale considerare, se non già eseguita, una valutazione isteroscopica per escludere la presenza di aderenze intrauterine.
Fattori endocrinologici e metabolici
La valutazione della funzionalità tiroidea, inteso come dosaggio del TSH, è ben riconosciuta nella pratica clinica. Nell’ambito delle pazienti che si apprestano ad eseguire un ciclo di Procreazione Medicalmente Assistita un dosaggio di TSH > 4 mUI/L (ipotiroidismo subclinico) o < 0.4 mUI/L (ipertiroidismo subclinico) vanno considerate disfunzioni tiroidee e richiedono ulteriori follow – up.
Negli ultimi anni si è puntato l’interesse anche sul dosaggio del progesterone.
In particolare, dapprima, ci si è concentrati sui livelli di progesterone al momento dell’induzione dell’ovulazione, constatando che livelli elevati di progesterone in quel contesto erano legati ad una diminuzione dell’impianto. Successivamente, l’attenzione è stata posta anche sui valori di progesterone al momento del transfer: in questo caso bassi valori di progesterone sembrano associati ad una diminuzione dell’impianto.
L’annullamento del transfer in caso di progesterone alto all’induzione dell’ovulazione e la personalizzazione del dosaggio del progesterone in caso di livelli plasmatici bassi sembrano migliorare l’impianto.
Vitamina D
Il dosaggio della vitamina D è un tema controverso nell’ambito della Procreazione Medicalmente Assistita: alcuni studi indicano una associazione con le probabilità di gravidanza, altri no.
La supplementazione di Vitamina D, nelle linee guida attualmente disponibili, è considerata un intervento rilevante in caso di multipli fallimenti di impianto.
Studio del microbioma
Circa il 10% della popolazione batterica del corpo umano risiede a livello del tratto genitale femminile. I lattobacilli fanno parte della flora batterica fisiologica. Il ruolo delle alterazioni del microbioma (disbiosi) nei fallimenti di impianto è argomento di studio.
Al momento attuale, una valutazione del microbioma vaginale ed uterino non trova indicazione.
Screening immunologico
Lo screening immunologico si basa sul concetto per cui una eccessiva risposta immunitaria della madre all’impianto nuoce all’impianto. I test più frequentemente utilizzati sono gli autoanticorpi antitiroide e gli ANA. Anche in questo caso non ci sono evidenze cliniche circa la loro utilità.
Così come non trova attualmente nessuna raccomandazione la ricerca di natural killer e linfociti T a livello periferico e uterino, il dosaggio delle citochine e i test di compatibilità HLA.
Screening trombofilico
Per trombofilia si intende la predisposizione a formare coaguli nel sangue. Questo porterebbe ad alterazioni vascolari locali con difficoltà all’impianto. La trombofilia può essere congenita o acquisita. La trombofilia congenita è una condizione in cui una alterazione genetica influisce sulla quantità o sulla funzione di una determinata proteina coinvolta nella via della coagulazione. Le mutazioni più frequentemente presenti sono la mutazione del fattore V Leiden, la mutazione del gene per la protrombina, mutazione dell’enzima MTHFR. Si è visto, tuttavia, che queste alterazioni sono presenti in donne con RIF in maniera sovrapponibile ai controlli.
Esempi di trombofilie acquisite sono il deficit di proteina C e di proteina S, deficit di AntiTrombina III, la sindrome da anticorpi antifosfolipidi.
Anche in questo caso non ci sono indicazioni forti circa la loro utilità nelle pazienti con multipli fallimenti di impianto. L’unica considerazione merita essere fatta per la sindrome da anticorpi antifosfolipidi: dato che può avere implicazioni sul neonato in caso di gravidanza, può aver senso ricercarla, ma solo in caso di sospetto clinico.
Analisi del liquido seminale
Come già detto in precedenza, un’analisi del liquido seminale dovrebbe già essere stata eseguita nel percorso diagnostico affrontato dalla coppia.
Ulteriori analisi, quali la FISH (test citogenetico che valuta la frequenza di anomalie cromosomiche) o la valutazione della frammentazione del DNA spermatico non sono al momento attuale raccomandate.
Leggi anche: