Preservare la fertilità: le tecniche di crioconservazione per l’uomo

Abbiamo visto in un articolo precedente che oggi è possibile prevenire l’infertilità dovuta ai trattamenti oncologici ricorrendo alla preservazione dei gameti prima dei trattamenti chemioterapici. Per preservare la fertilità maschile vi sono tecniche di crioconservazione specifiche, con le quali si congelano gli spermatozoi (anche singoli) o il tessuto testicolare.

Vediamo quali sono le tecniche, insieme alla Dr.ssa Maria Elena Vento, Senior Clinical Embriologist (ESHRE).

Crioconservazione degli spermatozoi

La crioconservazione degli spermatozoi rappresenta un insostituibile strumento per i pazienti che si sottopongono a trattamenti medici o chirurgici potenzialmente in grado di indurre sterilità. Il campione seminale viene congelato in azoto liquido, ad una temperatura di -196° C. Ciò permette di conservare i gameti maschili per un tempo indefinito e di utilizzarli successivamente, facendo ricorso alle tecniche di fecondazione assistita.

Gli spermatozoi possono rimanere in questo stato quiescente per moltissimo tempo; sono riportati casi di utilizzo con successo anche dopo 20-30 anni dal congelamento.

La tecnica è da tempo consolidata basti pensare che la prima gravidanza ottenuta con inseminazione da liquido seminale congelato risale al 1953.

Da allora si è assistito a un rapido sviluppo della criobiologia del liquido seminale e al sorgere delle cosiddette “banche del seme”.

Una opportunità anche nella PMA

La crioconservazione degli spermatozoi rappresenta inoltre un’importantissima strategia non solo per la preservazione della fertilità nei pazienti a rischio di esaurimento gonadico. La sua applicazione consente, infatti, alle coppie che devono affrontare il percorso della fecondazione assistita, di superare varie problematiche. Ad esempio il blocco psicologico, il giorno in cui è necessario avere gli spermatozoi del partner per inseminare gli ovociti. La tecnica è utile anche per potenziare la performance del campione seminale nel caso in cui vi sia un ridotto numero di spermatozoi. È possibile, infatti, congelare più campioni per incrementare il numero di spermatozoi disponibili al momento dell’inseminazione degli ovociti.

Il congelamento è comunque un evento stressante ma gli spermatozoi lo superano molto bene. Ciò è possibile grazie al piccolo volume cellulare che li caratterizza e quindi allo scarso contenuto di acqua. Inoltre, l’organizzazione cellulare della testa che presenta scarso citoplasma e il nucleo molto compatto consentono loro di subire pochissime variazioni della loro struttura durante il processo.

Il delicato momento dello scongelamento

È tuttavia possibile che, al momento dello scongelamento, il campione presenti alcune alterazioni dei parametri e una riduzione della motilità complessiva (30-50%). Le variazioni della qualità post-congelamento non dipendono dalla tecnica di congelamento utilizzata ma dalle caratteristiche biochimiche del campione stesso. Migliori sono le caratteristiche basali del liquido seminale, migliori saranno i risultati in termini di recupero di spermatozoi mobili. Purtroppo alcune patologie neoplastiche, come il tumore testicolare e i linfomi, interferiscono con la concentrazione degli spermatozoi e la loro motilità, In questi casi, come vedremo in seguito bisogna ricorrere a delle tecniche alternative.

Gli spermatozoi che sopravvivono alla procedura di congelamento/scongelamento sono perfettamente normali e vari studi dimostrano che la crioconservazione non li danneggia né geneticamente né metabolicamente.

Le norme e la procedura

Come già anticipato, l’accesso dei campioni biologici presso le Biobanche è regolato da una normativa europea recepita anche dall’Italia con la legge 16 del 25 gennaio 2010. Il paziente che crioconserva il proprio seme deve essere sottoposto a uno screening infettivologico per evitare la potenziale dispersione di microorganismi nel contenitore di crioconservazione ed il potenziale inquinamento degli altri campioni seminali in esso contenuti. Una volta consegnato il campione, il biologo valuterà la concentrazione di spermatozoi, il grado di motilità e la morfologia (VIDEO).

La presenza di detriti, o leucociti richiede una preparazione che ne permetta l’eliminazione e migliora la qualità del campione. In seguito si procederà con l’aggiunta del crioprotettore e il caricamento in dispositivi adeguati e opportunamente contrassegnati al fine di mantenere un’assoluta tracciabilità. Il raffreddamento avverrà gradualmente mediante un’iniziale esposizione ai vapori di azoto seguita dall’immersione in azoto liquido nel contenitore che lo accoglierà fino al suo utilizzo (FOTO 1 e 2).

CRIOCONSERVAZIONE-FOTO-1
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CRIOCONSERVAZIONE-FOTO 2
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Ogni contenitore, (DEWAR) è collegato ad una centralina che monitora costantemente la temperatura e il livello d’azoto. La Biobanca possiede un sistema di controllo da remoto e qualunque variazione dei parametri impostati che, possa compromettere la sicurezza del materiale congelato, genera un messaggio d’allarme che raggiunge telefonicamente gli operatori per un pronto intervento.

Crioconservazione del singolo spermatozoo

Talvolta può essere utile considerare la crioconservazione del singolo spermatozoo. Infatti, vi sono casi in cui, o per caratteristiche intrinseche del paziente o per la stessa malattia oncologica il campione seminale presenti solo un esiguo numero di spermatozoi.

Grazie ai progressi conseguiti nell’ambito delle tecniche di crioconservazione negli ultimi anni, è possibile crioconservare anche un singolo spermatozoo utilizzando un dispositivo di nuova generazione. La metodica, oltre al dispositivo in questione, richiede senza dubbio una grande abilità da parte dell’operatore.

La tecnica

La tecnica prevede l’utilizzo di strumenti molto sofisticati e di professionalità altamente specializzate.

Come si vede dal filmato, una volta individuato, lo spermatozoo è prelevato con un microago, (diametro interno 7mm, ricordiamo che 1mm è la millesima parte di un mm), comandato da un sofisticato strumento denominato micromanipolatore, e depositato nel minuscolo pozzetto del dispositivo contenente un microlitro soluzione con il crioprotettore. Il dispositivo verrà quindi inserito all’interno di un piccolo cryo tubo contrassegnato con i dati del paziente ed infine immerso in azoto liquido.  (Foto 3, Foto 4, Video)

CRIOCONSERVAZIONE-FOTO 3
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CRIOCONSERVAZIONE-FOTO 4
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Lo scongelamento prevede il recupero del cryo tubo dal contenitore dedicato, l’estrazione del dispositivo e la sua rapida immersione nella piastra in cui verrà inseminata la cellula uovo.

Si procederà quindi con il recupero dello spermatozoo, dalla goccia contenente il crioprotettore, che verrà trasferito nel medium di coltura dove recupererà la sua motilità. Lo spermatozoo sarà quindi caricato nell’ago e iniettato all’interno dell’ovocita (Foto 5, VIDEO)

CRIOCONSERVAZIONE-FOTO-5
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Crioconservazione del tessuto testicolare

La crioconservazione del tessuto testicolare è un’opzione che può essere utilizzata nei casi in cui, purtroppo, non si riscontrino spermatozoi nel campione seminale.

Nei pazienti oncologici che si rivolgono alle banche del seme, è stata riportata una percentuale di azoospermia variabile tra il 3,9% e il 13% e la crioconservazione del liquido seminale non è quindi possibile. In tali pazienti prima di iniziare le terapie gonadotossiche è possibile effettuare un prelievo chirurgico di spermatozoi dai testicoli (TESE TEsticular Sperm Extraction) che richiede una buona programmazione tra urologo e biologo della riproduzione ed è efficace in circa il 50% dei casi.

La tecnica

In questi casi si prova a isolare gli spermatozoi dal tessuto testicolare ottenuto mediante un prelievo bioptico.

Il tessuto, posto in una capsula di Petri contenente un terreno di coltura, viene sminuzzato in piccoli frammenti utilizzando appositi aghi. Il preparato è poi osservato al microscopio invertito per evidenziare la presenza di spermatozoi che, grazie a opportune procedure d’isolamento potranno essere sottoposti al congelamento.

Per approfondire la tematica, leggi anche: “La preservazione della fertilità nei pazienti oncologici” e “Preservare la fertilità: le tecniche di crioconservazione della donna”.

 

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