Riuscirò a sentire mio il bambino? Mi somiglierà, almeno un po’? Cosa penseranno gli altri? È giusto rivelare a mio figlio com’è nato? Sono questi i principali dubbi e preoccupazioni della coppia che intraprende un percorso di fecondazione eterologa.
Ritrovarsi di fronte alla diagnosi d’infertilità o ancor di più di sterilità, può generare una profonda crisi a livello sia individuale che relazionale. Nella coppia, l’altalena di emozioni provate, se non gestita con efficacia, con il tempo rischia di compromettere il legame, invece di rafforzarlo. Non solo, la scelta di affidarsi alla medicina può risultare difficile da maturare e anche quando si decide di intraprendere un percorso di PMA, il cammino che si prospetta è spesso faticoso e non sempre risolutivo del problema. Ogni tecnica di procreazione medicalmente assistita potrebbe generare specifiche difficoltà psicologiche. Queste possono riguardare il tipo di procedura medica utilizzata, i tempi del trattamento, l’alta frequenza dei controlli e la probabilità di successo. In generale, le coppie che arrivano in un centro di PMA hanno già precedentemente vissuto frequenti delusioni e insuccessi.
La fecondazione eterologa
L’esigenza di un’informazione accurata e di sostegno psicologico emerge ancor di più nei casi di fecondazione eterologa, in cui le emozioni conflittuali si moltiplicano in relazione all’inserimento, nel processo generativo, di un donatore esterno.
È necessaria una profonda elaborazione da parte dei coniugi rispetto ai fattori psicologici implicati e la possibilità di analizzare le fantasie e le aspettative della coppia per riportare il bambino ideale sul piano della realtà e fare i conti con gli aspetti fisici non completamente a carico del patrimonio genetico dei due genitori.
La fiaba della vita
Tra le principali preoccupazioni delle coppie che affrontano un percorso di fecondazione eterologa emergono molto frequentemente, vari dubbi e timori, tra questi un grande dilemma è: “come spieghiamo a nostro figlio quali sono le sue origini?”
Da un punto di vista psicologico, non si possono dare indicazioni specifiche ed assolute sull’opportunità o meno di rivelare le origini al figlio. In base ai risultati di vari studi condotti sugli effetti psicologici derivanti dal comunicare o meno questa circostanza al figlio, si giunge alla conclusione che non esistono decisioni giuste o sbagliate.
Negli anni sono aumentate le coppie che si sottopongono alla tecnica di fecondazione eterologa, che sono orientate a rivelare la donazione al bambino mentre prima solo una piccola percentuale si sentiva di affrontare l’argomento; altre coppie sono intenzionate a rivelarlo alla maggiore età del figlio. È bene ricordarsi che per il bambino è fondamentale sentire l’intensità e la qualità del desiderio d’averlo voluto concepire ed allevare poi, con amore nonostante la sterilità.
Dare spazio al dialogo, anche di gruppo
La coppia che decide di intraprendere questo tipo di tecnica, al fine di essere supportati in questo delicato compito, necessita di uno spazio adatto dove poter esprimere ogni emozione contrastante. Richiedere una consulenza psicologica è necessario, per confrontarsi con uno psicologo psicoterapeuta che si occupa di tematiche legate all’infertilità, per ricevere le indicazioni e la consulenza specifica per il proprio caso.
In questa fase le coppie devono trovare uno spazio di dialogo, condivisione e confronto su questi dubbi. Se la coppia si regge su basi solide avrà le risorse per affrontarlo: condividere il più possibile questo momento, le ansie e le preoccupazioni con il proprio compagno aiuta la coppia a superare i momenti di incertezza e di difficoltà ed a costruire solide basi per una maternità e una paternità serene. I vantaggi maggiori, trattandosi di fecondazione assistita, provengono da un lavoro di coppia e di gruppo.
E’ fondamentale che all’interno della coppia vi sia una relazione equilibrata ed armoniosa. Nel momento in cui sono state affrontate le legittime paure ed incertezze, la coppia riuscirà a mettere in atto un processo decisionale congruo con il proprio stato emotivo.
Fecondazione eterologa: l’infertilità in Italia è un problema in costante crescita: secondo l’Istituto Superiore di Sanità essa interessa attualmente il 15% delle coppie. L’impossibilità di conseguire una gravidanza in maniera spontanea induce tali coppie a rivolgersi a Centri specializzati in procreazione medicalmente assistita per sottoporsi a tecniche di fecondazione omologa o eterologa: nella omologa sono utilizzati i gameti (ovociti o spermatozoi) della coppia, mentre l’eterologa richiede l’impiego di gameti donati da persone al di fuori della coppia.
In Italia, l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è regolato dalla Legge N. 40 del 2004, che nella versione iniziale vietava alle coppie infertili il ricorso alle tecniche di fecondazione eterologa. Questo divieto aveva dato vita ad un vero e proprio “turismo procreativo” in quanto le coppie infertili – non potendo rivolgersi alle tecniche di fecondazione eterologa qui in Italia – avevano iniziato a recarsi in Centri di procreazione medicalmente assistita di Paesi esteri. Dopo vari anni, il 9 aprile 2014 la Corte Costituzionale con la sentenza N. 162 ha posto fine a questa ingiustizia, dichiarando illegittimo il divieto di ricorrere alla fecondazione eterologa per violazione degli articoli 2, 3, 13 e 32 della nostra Costituzione. Oggi possono dunque accedere alle tecniche di fecondazione eterologa le “coppie maggiorenni di sesso differente, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile ed entrambi viventi, per le quali è stata accertata e certificata una patologia che sia causa irreversibile di sterilità o infertilità per uno o entrambi i partner”.
Dopo legittimazione al ricorso alla fecondazione eterologa, sempre nel 2014 si è tenuta a Roma la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, in occasione della quale sono state elaborate e definite le principali linee guida per standardizzare su tutto il territorio nazionale l’accesso alle tecniche di fecondazione eterologa. Esse prevedono che la donazione dei gameti maschili (spermatozoi) e femminili (ovociti) debba essere volontaria, anonima (cioè il donatore non potrà conoscere la coppia ricevente e viceversa) e non debba prevedere alcun compenso economico; l’età dei donatori maschi deve essere compresa tra i 18 e i 40 anni, mentre le donatrici devono avere un’età compresa tra i 20 e i 35 anni. I gameti di un medesimo donatore non potranno dare origine a più di 10 nascite e, per tutelare la salute della coppia ricevente, i donatori e le donatrici devono sottoporsi a test di screening genetici e infettivologici. Al fine di evitare selezioni illegittime, la coppia ricevente non può scegliere il donatore o le donatrici; i Centri di procreazione medicalmente assistita sono tuttavia chiamati ad assicurare la compatibilità delle principali caratteristiche fisiche del donatore con quelle della coppia ricevente, come il colore della pelle, degli occhi, dei capelli e il gruppo sanguigno.
Nel 2017 il Ministero della Salute ha inserito nei nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) anche le tecniche di fecondazione eterologa come prestazione sanitaria garantita dal Servizio Sanitario Nazionale. Analogamente a quanto previsto per quella omologa, negli ospedali pubblici possono accedere alle tecniche di fecondazione eterologa le donne di età non oltre i 43 anni e sottoporsi alla procedura per un massimo di 3 trattamenti. L’inserimento della fecondazione eterologa nei LEA ha sollevato però il problema dei costi che le coppie devono sostenere per accedere a tale procedura. Un altro problema è la disponibilità limitata di gameti maschili e femminili in Italia per poter effettuare i cicli di eterologa; proprio per questo motivo i Centri specializzati in procreazione medicalmente assistita sono costretti a importarli dall’estero, soprattutto da Danimarca, Grecia, Repubblica Ceca, Spagna e Svizzera.
Questa carenza sottolinea quindi l’esigenza di promuovere nel nostro Paese la donazione dei gameti, organizzando anche campagne di sensibilizzazione tra i giovani sul tema dell’infertilità e sull’importanza di donare i gameti al fine di favorire la creazione di criobanche di gameti utilizzabili per la fecondazione eterologa, facilitando e rendendo uniforme l’accesso a questa procedura su tutto il territorio nazionale, al fine di tutelare e rispettare il diritto di genitorialità delle coppie che desiderano realizzare il sogno di costituire una famiglia con prole. Fonti bibliografiche
Norme in materia di procreazione medicalmente assistita. Legge 19 febbraio 2004 N. 40, G.U. N. 45 del 24 febbraio 2004.
Sentenza della Corte Costituzionale N. 162/2014.
Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome 14/109/CR02/C7SAN. Documento sulle problematiche relative alla fecondazione eterologa a seguito della sentenza della Corte Costituzionale N. 162/2014.
Le coppie, per potere accedere alle metodiche di fecondazione eterologa, devono essere costituite da coniugi o conviventi di sesso diverso, maggiorenni, in età potenzialmente fertile, e comunque in buona salute per affrontare una gravidanza, entrambi viventi (articolo 5, legge 40 /2004).
Le indicazioni cliniche alla fecondazione eterologa nella donna sono:
l’ipogonadismo ipergonadotropo (alterazione della funzionalità ovarica caratterizzata da livelli alti di ormoni endogeni FSH)
avanzata età riproduttiva in età potenzialmente fertile
ridotta riserva ovarica dopo fallimento di fecondazione omologa
significativo difetto genetico o storia familiare di una condizione per la quale lo stato di portatore non può essere determinato
ovociti e/o embrioni di scarsa qualità o ripetuti tentativi di concepimento falliti tramite tecniche di PMA
donne con infertilità iatrogena (cioè secondaria a terapie chirurgiche o farmacologiche).
Per potere accedere alle metodiche di procreazione eterologhe, il partner maschile invece deve essere affetto da:
azoospermia e oligoastenoteratozoospermia severa
disfunzione eiaculatoria incurabile
significativo difetto genetico o storia familiare di una condizione per la quale lo stato di portatore non può essere determinato
infezione sessualmente trasmissibile che non può essere eliminata
fattore iatrogeno di infertilità
partner femminile Rh-negativo e gravemente isoimmunizzato e partner maschile Rh-positivo
mancata fertilizzazione dopo ICSI.
Dott. Alessandro Giuffrida
Nonostante la prima gravidanza ottenuta mediante il ricorso a tecniche di fecondazione in vitro sia stata eseguita prelevando la cellula uovo da un ciclo ovulatorio spontaneo, allora fu subito chiaro che uno dei punti chiave del successo della tecnica sarebbe stato legato all’elaborazione di adeguati protocolli di stimolazione ormonale necessari per ottenere un numero maggiore di ovociti maturi.
Pochi anni dopo, infatti, fu confermata l’efficacia delle gonadotropine (ormone follicolo stimolante FSH e ormone luteinizzante LH) per laProcreazione Medicalmente Assistita. Tali ormoni, inducendo un’ovulazione multipla, ovvero la maturazione di più ovociti, consentivano il trasferimento di un maggior numero di embrioni aumentando in tal modo le probabilità di successo della tecnica.
La prima gravidanza ottenuta in un ciclo “superstimolato” risale al 1980 e, da allora, l’induzione della crescita follicolare multipla è divenuta una tappa fondamentale dei cicli di procreazione medicalmente assistita.
Le dosi di gonadotropine per la Procreazione Medicalmente Assistita variano in base alla paziente
Dal 1980 ai nostri giorni molte cose sono cambiate in merito a tutto ciò che ruota intorno alla PMA. Ci riferiamo in questo senso sia alla purezza delle preparazioni farmacologiche, con relativo aumento dose/efficacia, sia all’elaborazione di protocolli di stimolazione ovarica “personalizzati” sulla base di specifici parametri.
Il primo fattore da prendere in considerazione è l’età della paziente. È noto, infatti, che dopo i 38 anni la donna abbia un calo della sua “performance riproduttiva” legato a una diminuzione fisiologica della sua riserva ovarica. In questi casi è importante sottolineare che, oltre a una ridotta risposta, intesa come numero di ovociti recuperabili dopo la stimolazione ormonale, abbiamo anche una ridotta qualità ovocitaria.
Ragionando in termini numerici, proprio per rafforzare il concetto, possiamo affermare che se una donna di 30 anni ha soltanto 1/3 del suo patrimonio ovocitario costituito da cellule uovo non idonee alla fecondazione, in una donna di 40 anni il numero di ovociti “compromessi” è almeno del 50%.
In forza di queste premesse le donne di età biologicamente avanzata sono, in linea di massima, sottoposte a protocolli di stimolazione ovarica con dosi maggiori di gonadotropine per la procreazione medicalmente assistita.
Vanno presi in considerazione anche i marcatori della riserva ovarica
L’età non è però il solo fattore che il ginecologo valuterà; esistono i cosiddetti “markers” della riserva ovarica, come il dosaggio dell’FSH al terzo giorno del ciclo della paziente unitamente alla conta ecografica dei follicoli antrali (quelli che risentono della stimolazione con gonadotropine) e il dosaggio dell’ormone antimulleriano (una sorta di marcatore dell’età ovarica), che può invece essere eseguito in qualunque momento del ciclo ovulatorio.
Il ginecologo mette insieme questi dati come le tessere di un puzzle al fine di elaborare il protocollo di stimolazione più adeguato, ovvero le giuste dosi di gonadotropine per la Procreazione Medicalmente Assistita da somministrare alla paziente.
Sulla base di tali criteri predittivi le pazienti vengono classificate come Normo-responder, Poor-responder e Hyper-responder.
La conoscenza della riserva ovarica, dunque, è uno strumento che consente di “personalizzare” il protocollo di stimolazione per le pazienti che accedono a un percorso di PMA.
Dott. Placido Borzì
Cosa succede a livello emotivo? Quale il giusto approccio psicologico per supportare la coppia?
La reazione emotiva al fallimento della FIVET (anche a più di un tentativo) dipende sostanzialmente dalla capacità della coppia di far fronte alle difficoltà della vita.
In psicologia si utilizza il termine “resilienza”, intesa come quella capacità di una persona o di un gruppo di svilupparsi positivamente, di continuare a progettare il proprio futuro, a dispetto di avvenimenti destabilizzanti. Le risposte degli individui alle malattie sono quindi chiaramente diverse a seconda, sia delle caratteristiche di queste ultime, in relazione al tipo, alla gravità, alla durata della malattia stessa, sia delle caratteristiche personali, intese come stili cognitivi, emotivi e relazionali. Ognuno di noi ha, inoltre, un modo diverso di percepire gli eventi e di ritenere che gli eventi della sua vita siano prodotti dai propri comportamenti o azioni, oppure da cause esterne indipendenti dalla propria volontà.
La reazione emotiva al fallimento della FIVET varia in base ai caratteri: c’è chi si colpevolizza e chi sa prendere la distanza
Ci sono quindi tipologie di persone più propense a colpevolizzarsi, di solito le più difficili da trattare in tali contesti di PMA perché perdono molta energia a cercare le cause disperdendola, invece, rispetto alla ricerca della soluzione. Ce ne sono altre, invece, capaci di saper prendere distanza dalle responsabilità degli eventi e di concentrarsi su possibili soluzioni alternative. Pensare la propria sterilità di coppia secondo un’attribuzione causale esterna, protegge la coppia da sentimenti di vergogna e bisogno di isolamento, rendendola più libera nelle richieste di aiuto e nella ricerca di una nuova ristrutturazione della propria vita.
Solo un’attenta analisi permette allo psicologo di gestire la reazione emotiva al fallimento della FIVET
Un’attenta analisi da parte del clinico sulle modalità personali dell’individuo di affrontare le difficoltà della vita permetterà allo psicologo di prevedere quale sarà la reazione emotiva al fallimento della FIVET e quale interpretazione darà quella persona all’insuccesso del proprio progetto procreativo. In questo modo sarà possibile andare a individuare meglio quali possano essere le alternative al fallimento. Compito dello psicologo è, infatti, saper distinguere le personalità più rigide da quelle più flessibili, lavorare sul senso di colpa e sulle strategie di “coping” (gestione attiva) che permettono alle persone d’individuare soluzioni alle proprie difficoltà, aiutandole a superare, quando necessario, quelle restrizioni mentali inconsapevoli, dettate da vecchie credenze implicite della persona, che non le consentono di poter procedere ed evolversi sulla linea del ciclo vitale. Dott.ssa Angela Petrozzi
Esistono numerosi protocolli di stimolazione ovarica ma, per la fecondazione in vitro, i più utilizzati sono i protocolli di stimolazione lungo e corto. In entrambi i casi i farmaci impiegati sono gli stessi, mentre le differenze sostanziali riguardano il momento di somministrazione e le candidate all’accesso.
Vediamo allora di vedere, un po’ più nel dettaglio, quali sono le differenze sostanziali tra i protocolli di stimolazione lungo e corto.
Come funziona il protocollo di stimolazione lungo
Nel protocollo di stimolazione lungo la paziente inizia ad assumere gli ormoni il secondo giorno del ciclo. La funzione svolta da questi farmaci è di sopprimere gli ormoni FSH e LH in modo da bloccare l’ovulazione e la produzione di estradiolo. La soppressione controllata delle ovaie con il protocollo FIVETdi stimolazione lungo prevede che i follicoli che si origineranno non saranno di dimensioni superiori ai 15 mm e consente allo specialista di controllare completamente la stimolazione ovarica, al fine di evitare una luteinizzazione precoce, ovvero un picco di LH intempestivamente determinato come risposta a concentrazioni crescenti di estrogeni, cioè quando il follicolo è ancora immaturo.
La stimolazione ovarica si effettua con antagonisti dell’ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH) e di norma la crescita follicolare è stabile. Una volta verificato che i follicoli hanno le giuste dimensioni (inferiori a 17 mm) e che il livello di estradiolo è buono (150-200 pg/ml), si somministra hCG (human chorionic ormone) o gonadotropina corionica per ottenere la maturazione ovarica finale. Queste iniezioni di hCG vengono somministrate, infatti, 32-36 ore prima del prelievo degli ovociti.
Come funziona il protocollo di stimolazione corto
Il protocollo di stimolazione corto ha durata di circa 4 settimane e corrisponde al ciclo naturale. Tende a essere consigliato alle donne “più avanti con l’età” (in genere dai 37 anni in su) soprattutto se hanno mostrato una bassa risposta delle ovaie nei precedenti cicli.
Tra i protocolli di stimolazione lungo e corto, la differenza è che in quest’ultimo la stimolazione inizia subito il primo giorno del ciclo per sfruttare la liberazione massiva di gonadotropine endogene che si verifica con la somministrazione di GNRHa, prima che s’instauri il blocco ipofisario. Se tutti i controlli e le analisi del sangue vanno bene si procede subito con la somministrazione delle GnRH antagoniste.
I vantaggi sono che, a differenza del protocollo lungo, la quantità introdotta di ormoni è molto più bassa. Se la donna non risponde a questo tipo di stimolazione è chiaramente evidente fin da subito che non può produrre ovuli per conto proprio e che, se desidera un figlio, l’unica opzione praticabile è un programma di FIVET che preveda l’ovodonazione.
Dott. Placido Borzì
Un pò di chiarezza sulla terminologia
Innanzitutto per riproduzione assistita si intende qualsiasi forma di supporto al processo riproduttivo (monitoraggio ecografico dell’ovulazione con rapporti mirati, induzione della crescita follicolare multipla con rapporti mirati etc…); per riproduzione artificiale invece si intendono solo le procedure ad elevata tecnologia che introducono nel processo generativo una più o meno netta artificiosità, con passaggio in vitro degli spermatozoi e/o degli ovociti e/o dell’embrione.
I cicli di riproduzione assistita possono avvalersi di differenti metodiche che vengono suddivise in base all’incisività, all’utilizzo della tecnologia e alla complessità, in metodiche di:
I livello
II livello
III livello
Le metodiche di I livello comprendono unicamente le metodologie che si limitano ad utilizzare il seme; quelle di secondo e terzo livello hanno invece la prerogativa di manipolare sia i gameti maschili sia quelli femminili. La riproduzione assistita può essere di tipo omologo o eterologo. Le metodiche di procreazione assistita omologhe sono quelle che fanno uso di materiale biologico (spermatozoi ed ovociti) esclusivamente della coppia. Per ciclo di procreazione medicalmente assistita eterologa si intende il ciclo in cui il gamete femminile, il gamete maschile o entrambi non appartengono ad uno dei due o ad entrambi i membri della coppia.
Dott. Alessandro Giuffrida
Per un corretto iter diagnostico il primo step fondamentale per il corretto approccio terapeutico nella coppia infertile così come in ogni atto medico, è il corretto inquadramento diagnostico. Innanzitutto è necessario acquisire i dati anamnestici e clinici di entrambi i partners.
Per la donna, ad esempio, è fondamentale conoscere:
l’anamnesi familiare (casi di menopausa precoce, patologie dell’apparato genitale, mammarie, dismetabolismi, patologie legate alla coagulazione, anomalie cromosomiche e/o genetiche, patologie autoimmuni)
l’anamnesi personale (età, indice di massa corporea, tabagismo, alcolismo, uso di sostanze stupefacenti, allergie a farmaci, dismetabolismi, patologie autoimmuni, trombofilia, pregressi ricoveri e/o interventi, contatti professionali con sostanze tossiche, eventuali terapie in atto)
l’anamnesi ginecologica (precedenti gravidanze, annotazione sui cicli: durata, quantità, intervallo, eventuale dismenorrea e dispareunia, pregressi interventi, durata dell’infertilità, precedenti tentativi di PMA e pregressi cicli di stimolazione, disturbi della sfera sessuale quali riduzione della libido, vaginismo, anorgasmia…).
Infine importante è l’esame obiettivo (valutazione genitali esterni, visita bimanuale, valutazione di vagina e cervice dopo apposizione di speculum).
Per l’uomo è necessario acquisire informazioni su:
età
durata dell’infertilità
abitudini di vita (alcolismo, tabagismo, uso di sostanze stupefacenti, eventuali terapie in atto, possibili contatti professionali con sostanze tossiche)
pregressi episodi febbrili di lunga durata, ricoveri e/o interventi
disturbi della sfera sessuale (eiaculazione precoce, impotenza coeundi, assenza di eiaculazione).
Una volta acquisite queste informazioni e prima di procedere con qualunque tipo di metodica di procreazione medicalmente assistita, entrambi i partners dovranno sottoporsi ad una serie di esami per completare l’iter diagnostico.
La donna, per un corretto iter diagnostico, dovrà sottoporsi ad una ecografia pelvica per potere valutare l’eventuale presenza di quadri patologici (miomi uterini, cisti ovariche, dismorfismi uterini, infiammazioni pelviche, endometriosi…). L’ovulazione sarà valutata mediante un monitoraggio ecografico e la riserva ovarica mediante la conta dei follicoli antrali; un PAP test e i tamponi cervicali consentiranno di escludere la presenza di infezioni. Fondamentale è il dosaggio ormonale al terzo giorno del ciclo per potere valutare lo stato funzionale delle ovaie e la riserva ovarica. La valutazione della cavità uterina e della pervietà tubarica verrà effettuata mediante isteroscopia ed isterosalpingografia o isterosonosalpingografia 3D.
L’uomo deve iniziare il suo iter diagnostico con uno studio del liquido seminale mediante spermiogramma e spermiocoltura per valutare eventuali alterazioni dei parametri seminali e/o infezioni; qualora questi fossero alterati dovrà proseguire l’iter diagnostico con una visita andrologica, ecografia prostatica, dosaggi ormonali. Infine, ad entrambi i partners verrà richiesto lo studio del cariotipo e accertamenti necessari ad escludere lo stato di portatore di anemia falciforme o di fibrosi cistica e/o altre anomalie. Alla donna, in taluni casi, è richiesto anche la valutazione della possibile trombofilia genetica ed autoimmunità mentre all’uomo la ricerca della microdelezione del cromosoma Y.
Dott. Alessandro Giuffrida
Per evitare che le pazienti abbandonino il percorso di procreazione medicalmente assistita (PMA),oltre ai fattori predittivi su cui poter intervenire, esistono i cosiddetti fattori correttivi, ovvero quelli su cui si può intervenire per far cambiare idea alle donne e, in generale, alle coppie.
Che cosa si può fare per aiutare le pazienti: quali i fattori correttivi?
I fattori correttivi intesi dalla parte delle pazienti consistono nell’andare a definire al meglio quali siano le realistiche aspettative del trattamento e, soprattutto, focalizzarsi sulle motivazioni genitoriali. Spesso in questi casi si propone un supporto psicologico di vario genere e molte coppie scelgono poi di beneficiarne.
I fattori correttivi che spettano all’équipe medica
Da parte del team medico i fattori correttivi riguardano:
• fornire ogni necessario supporto al fine di rendere il peso delle terapie il meno oneroso possibile;
• assicurarsi che le pazienti ricevano informazioni chiare e che abbiano la possibilità di mettere in luce valori, problemi, dubbi e cattive interpretazioni di tutto quanto concerne il trattamento di procreazione medicalmente assistita;
• prospettare in modo trasparente, ovvero sin dall’inizio del percorso, la possibilità di dover ricorrere a più cicli di trattamento. In questo senso andrà fornito un adeguato supporto decisionale in tutte le varie fasi del percorso diagnostico e terapeutico;
• cercare di personalizzare i trattamenti e di assicurare un riferimento medico per ogni coppia che necessiti ulteriori informazioni o supporti;
• organizzare turni di lavoro che rispettino un turnover non eccessivo;
• fornire un recapito telefonico destinato a comunicazioni urgenti;
• dopo un ciclo concluso negativamente, fornire una consultazione di tipo critico sulle motivazioni del fallimento e su eventuali aggiustamenti terapeutici;
• addestrare lo staff medico, biologico e infermieristico a migliorare le proprie capacità di comunicazione coi pazienti.