Approccio multidisciplinare nei casi di fallimento d’impianto: quando può fare la differenza

Quando, nonostante i diversi tentativi, il desiderio di genitorialità attraverso la procreazione medicalmente assistita non si realizza, è naturale chiedersi quale sia il passo successivo. In questi casi, più che insistere con nuovi cicli, può essere utile fermarsi e riconsiderare il percorso da una prospettiva più ampia, che tenga conto della complessità biologica, immunologica, psicologica e ambientale che caratterizza ogni coppia — e, in particolare, ogni donna.

È in questo contesto che nasce l’esigenza di un approccio multidisciplinare, capace di integrare competenze diverse in un unico progetto di cura. La collaborazione tra ginecologo, microbiologo, immunologo, biologo, genetista, psicologo, nutrizionista, endocrinologo e agopuntore consente di analizzare in modo approfondito tutti i fattori che possono ostacolare l’impianto dell’embrione e, allo stesso tempo, di promuovere il benessere globale della paziente.

Si tratta di un modello che va oltre la semplice gestione clinica del ciclo di PMA: un lavoro di squadra che mira a personalizzare il percorso diagnostico e terapeutico, restituendo centralità alla donna e al suo equilibrio psicofisico. Come spiega la Dottoressa Nicoletta Maxia, biologa, Responsabile per la parte biologica degli interventi di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) del Policlinico San Marco di Bergamo, «non è un “riprova, sarai più fortunato”, ma uno studio a più livelli che aiuta a comprendere davvero cosa accade e come intervenire per migliorare le possibilità di successo».

In cosa consiste concretamente questo approccio multidisciplinare?

L’idea è quella di offrire alla coppia — e in modo particolare alla partner femminile — un percorso di valutazione e supporto che coinvolge più specialisti, con l’obiettivo di migliorare lo stile di vita, il benessere generale e, di conseguenza, la capacità di accoglienza dell’embrione. È una sinergia tra discipline diverse che consente un approccio completo e coordinato a una fase molto delicata della vita, come quella del desiderio di genitorialità non ancora realizzato.

Microbiologia e ambiente uterino

Uno dei primi livelli di approfondimento riguarda la microbiologia. Oggi, grazie a tecniche di analisi sempre più avanzate, come la PCR (Polymerase Chain Reaction), possiamo individuare numerosi patogeni sia a livello endometriale (mediante endometriocoltura e analisi delle plasmacellule CD138) sia nel liquido seminale.

La valutazione del microbioma endometriale ci ha aperto un mondo sull’importanza delle infezioni subcliniche e sul loro impatto nei meccanismi di impianto dell’embrione. Anche una minima alterazione della flora microbica può modificare le “competenze” delle cellule endometriali nel dialogo con l’embrione, compromettendo l’impianto.

Immunologia e compatibilità materno-embrionale

Un altro aspetto cruciale è quello immunologico. Il test KIR-HLA-C sta assumendo un ruolo sempre più rilevante nella valutazione della compatibilità tra madre e feto.

Si tratta di un esame genetico che analizza le proteine KIR presenti sulla superficie delle cellule Natural Killer materne e gli antigeni HLA-C dell’embrione, per valutare il grado di compatibilità nel “dialogo” materno-embrionale.

Quando il pattern immunologico risulta ostile all’impianto, l’immunologo, sulla base di esami del sangue personalizzati, può impostare protocolli immunosoppressori mirati, migliorando così le possibilità di successo dell’impianto uterino.

Biologia e genetica: la finestra d’impianto

Il biologo, insieme al genetista, svolge un ruolo determinante per individuare la cosiddetta finestra d’impianto, ossia il momento di massima ricettività dell’endometrio.

Ogni donna, infatti, ha nel suo ciclo ovarico spontaneo una finestra di impianto personale, cioè un periodo preciso del ciclo in cui vi sono maggiori probabilità che l’embrione possa attecchire. Questa finestra è regolata dall’attività di alcuni geni che, con livelli diversi di espressione, creano un profilo personale di ricettività dell’endometrio.
All’interno di questo “intervallo”, l’endometrio, valutato geneticamente, potrebbe cadere in tre fasi differenti: fase pre-ricettiva, ricettiva e post-ricettiva. Esiste tuttavia una tolleranza di circa 24 ore, durante la quale l’impianto può ancora avvenire dando inizio a una gravidanza.

Attraverso test genetici e lo studio morfologico dei pinopodi (microstrutture della superficie endometriale), è possibile identificare con maggiore precisione le 48 ore più favorevoli all’impianto. In particolare, il test genomico della recettività endometriale ha un alto profilo di sensibilità e precisione e consente di personalizzare il momento di trasferimento dell’embrione, al fine di aumentare la probabilità di efficacia dell’impianto.

Questa ottimizzazione rende la procedura più aderente alle caratteristiche biologiche individuali della paziente.

Il sostegno psicologico

Il percorso di PMA è un’esperienza emotivamente impegnativa. Per questo, la figura dello psicologo dovrebbe essere sempre parte integrante del team. Il supporto psicologico può riguardare la coppia nel suo insieme o un singolo membro che manifesti maggiore difficoltà ad affrontare le fasi del percorso.

È un sostegno fondamentale per elaborare ansie, aspettative e momenti di scoraggiamento che fanno inevitabilmente parte del cammino, e per favorire un equilibrio emotivo che si riflette anche sul piano fisico.

Nutrizione e benessere metabolico

Anche la nutrizione gioca un ruolo essenziale. Il nutrizionista affianca la coppia — e in particolare la donna — adattando il piano alimentare alle diverse fasi del trattamento: dalla stimolazione ovarica al pick-up ovocitario, fino alla preparazione dell’endometrio al transfer.

Un’alimentazione bilanciata, calibrata sul metabolismo e sulle esigenze ormonali della paziente, contribuisce a creare un ambiente più favorevole all’impianto e allo sviluppo embrionale.

Il ruolo dell’endocrinologo

Non va dimenticato l’aspetto endocrino, con particolare riferimento alla funzione tiroidea. Sempre più evidenze mostrano come la tiroide possa influenzare il metabolismo e la fertilità, anche attraverso meccanismi autoimmuni.

Una corretta valutazione e gestione della funzione tiroidea è dunque parte integrante del percorso di PMA, poiché permette di ottimizzare il quadro ormonale generale e ridurre eventuali ostacoli all’impianto.

Wellness e terapie complementari

Infine, in quello che io ritengo approccio completo alla persona e alla coppia rientrano anche strategie di wellness, di benessere e cura di sè, come ad esempio l’ozonoterapia e l’agopuntura. Questi trattamenti, se inseriti in un contesto medico strutturato, possono favorire una migliore ossigenazione dei tessuti, stimolare la microcircolazione e promuovere un equilibrio psico-somatico che predispone positivamente all’accoglienza di una nuova vita.

Uno sguardo verso una medicina della riproduzione più consapevole

Tutti questi elementi contribuiscono a costruire un percorso diagnostico e terapeutico realmente personalizzato. È un lavoro che richiede tempo e collaborazione tra professionisti, ma che oggi, grazie all’avanzamento delle conoscenze, ci consente di parlare di una scienza della riproduzione più consapevole ed efficiente.

Vale la pena fermarsi, studiare, e trovare nuove strategie per “aggiustare” il corpo umano rispetto agli insulti esterni — infezioni, anticorpi, stress, stili di vita scorretti — e renderlo pronto ad accogliere una nuova “vita che nasce”.

 

Riferimenti:

  • Wasilewska A, et al., Immunological Aspects of Infertility-The Role of KIR Receptors and HLA-C Antigen. Cells. 2023 Dec 27;13(1):59. doi: 10.3390/cells13010059. PMID: 38201263; PMCID: PMC10778566.

 

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