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Le difficoltà di concepimento possono avere natura e causa diverse. Per affrontarle e superarle, la Procreazione Medicalmente Assistita è un percorso di comprovata efficacia nella terapia della sterilità di coppia.
Gli ultimi dati dell’ISS-Istituto Superiore di Sanità relativi al 2020 attestano che l’efficacia dei trattamenti continua a migliorare.

Quali sono le indicazioni per i diversi tipi di trattamento di PMA? Lo abbiamo chiesto al Dottor Vincenzo Marrone, specialista in ginecologia e medicina della riproduzione.

La definizione di coppia infertile

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (2010) e l’American Fertility Society (2016) una coppia è da considerarsi infertile quando non è in grado di concepire e di avere un bambino dopo un anno o più di rapporti sessuali; viceversa è da considerarsi sterile quella coppia nella quale uno od entrambi i coniugi sono affetti da una condizione fisica permanente che non renda possibile avere dei bambini.

L‘infertilità secondaria

In aggiunta vengono definite affette da infertilità secondaria, quelle coppie che non riescono ad avere un bambino dopo una gravidanza coronata da successo.

Le cause di infertilità/sterilità possono essere attribuite a fattori maschili (anomalie di produzione ed escrezione di spermatozoi) nel 20-30% dei casi, a fattori femminili (disturbi ovulatori, patologie ovariche, difetti tubarici, cervicali e malformazioni uterine) nel 20-35% (Cunningham J 2017).

La situazione in Italia

L’Italia si colloca agli ultimi posti tra i paesi del mondo per tasso di fertilità con una media di 1,39 figli per donna e si stima che 1 coppia su 5 abbia difficoltà a concepire naturalmente (Ministero della Salute, “Tavolo consultivo in materia di tutela e conoscenza della fertilità e prevenzione delle cause di infertilità” per il piano nazionale per la fertilità, 2015).

Le cause dell’incremento dei casi di infertilità/sterilità possono ricondursi a:

  • età media dei coniugi al momento del matrimonio, mediamente più elevata rispetto al passato;
  • difficoltà ed esigenze sociali che inducono la coppia a programmare il concepimento in un’epoca più tardiva;
  • incremento delle malattie sessualmente trasmesse;
  • stress;
  • abitudini voluttuarie (fumo, alcol, ecc.);
  • nuovo ruolo sociale della donna che, essendo sempre più allontanata dal nucleo familiare, convive sempre meno con il proprio coniuge.

Il ruolo della PMA nella terapia della sterilità di coppia

La PMA costituisce un mezzo di comprovata efficacia nella terapia della sterilità di coppia. La legge 40, formulata nel 2004, ha introdotto il concetto di “progressività” nell’approccio terapeutico alla coppia infertile/sterile, classificando le tecniche di PMA come segue (cfr art. 7):

  • tecniche di primo livello: anche dette intracorporee, procedure in cui la fecondazione dell’ovocita si verifica “in vivo”, prive di ricorso ad anestesia;
  • tecniche di secondo livello: procedure contrassegnate dal prelievo dei gameti femminili eseguito in anestesia locale o in sedazione profonda e dalla fertilizzazione “in vitro” dei gameti.

Le prime consistono nell’inseminazione intrauterina (IUI o AIH), ovvero nella inoculazione via catetere di spermatozoi, opportunamente preparati in laboratorio, nella cavità uterina.

Le metodiche di “fertilization in vitro with embryo transfer” (FIVET) e “intracitoplasmatic sperm injection” (ICSI) costituiscono invece le tecniche di secondo livello, progressivamente perfezionate nel corso degli anni, fino a diventare procedure affidabili e con ottimi risultati in termini di efficacia. Entrambe prevedono una manipolazione dei gameti femminili (ovocita) e maschili (spermatozoo) ed una successiva fecondazione in vitro.

Con tali procedure, la fertilizzazione degli ovociti, prelevati direttamente dall’ovaio (fig.1), viene effettuata in vitro, ossia al di fuori della sede anatomica preposta (tratto terminale delle tube).

L‘approccio terapeutico alla coppia infertile

Come già anticipato la legge 40/2004, stabilisce il concetto di “gradualità” nell’approccio terapeutico alla coppia infertile. Una volta effettuata la diagnosi di infertilità è necessario instaurare un work-up diagnostico terapeutico che riesca a coniugare un approccio graduale ma che eviti spreco di tempo, per non allungare il time to pregnancy (tempo necessario alla coppia per raggiungere la gravidanza) e per evitare il drop out dal percorso di cura.

In linea generale il primo approccio prevede l’analisi dei principali fattori che possano determinare il mancato ottenimento della gravidanza per incanalare la coppia nel trattamento più adeguato a quella data situazione clinica.

I fattori da considerare

In particolare, i dati più salienti da valutare in una coppia in apparente buona salute sono:

  • Età della coppia e anni di sterilità
  • Pervietà tubarica
  • Pervietà cervicale
  • Presenza di cicli ovulatori e valutazione della riserva ovarica della paziente
  • Valori del liquido seminale

Le indicazioni terapeutiche

In una coppia infertile giovane, in apparente buona salute, dove nessuno di questi fattori elencati risulti alterato (infertilità idiopatica) o dove al massimo vi sia una compromissione lieve del liquido seminale o una impervietà tubarica monolaterale è possibile eseguire un monitoraggio dell’ovulazione con rapporti mirati.

In caso di fallimento ripetuto di monitoraggi dell’ovulazione o talvolta come primo approccio in coppie che presentano una storia di infertilità di più anni è possibile eseguire invece una tecnica di I livello e quindi un’inseminazione intrauterina o AIH.

Laddove sia presente impervietà tubarica bilaterale (rilevata mediante isterosalpingografia o sonoisterosalpingografia), compromissione severa del liquido seminale, o dove vi siano fallimenti ripetuti delle tecniche di primo livello è indicato proporre alla coppia una tecnica di II livello e quindi a seconda del caso FIVET o ICSI. Queste tecniche possono essere eseguite con gameti della coppia o con donazione di gameti maschili/femminili in caso di azoospermia o riserva ovarica estremamente ridotta con mancata risposta alla stimolazione ovarica controllata.

Grafico ISS

 

Questo grafico tratto dal 16° report ISS sull’attività dei centri PMA in Italia mostra la percentuale relativa alle indicazioni all’esecuzione di una tecnica di FIVET o ICSI senza e con donazione di gameti.

Fonti:

  • ISS – Istituto Superiore di Sanità, Attività del Registro Nazionale italiano della procreazione medicalmente assistita. Attività 2020. Disponibile a questo link.
  • Cunningham J, Infertility: A Primer for Primary Care Providers. JAAPA, 30(9), 19-25 Sep 2017.

 

Per approfondire, leggi anche:

Qual è il ruolo della tiroide nei percorsi di PMA? I fattori che incidono sulla fertilità umana sono molti e complessi. Tra questi i disturbi della tiroide, che sono molto diffusi e talvolta asintomatici. Cosa fare? Ne parliamo con il Dottor Domenico Mossotto, specialista in Ostetricia e Ginecologia e Responsabile del Centro PMA Clinica Sedes Sapientiae di Torino.

La definizione di infertilità dell’OMS

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce l’infertilità come “malattia del sistema riproduttivo definita dal mancato raggiungimento di una gravidanza clinica dopo 12 mesi o più di rapporti sessuali regolari non protetti.”

Complessivamente è stato stimato che circa una coppia su sei incontrerà difficoltà a concepire (infertilità primaria) o a concepire il numero di figli desiderati (infertilità secondaria).

Inoltre, la prevalenza dell’infertilità può variare considerevolmente anche a seconda dell’origine etnica.

Diagnosi e trattamento dell’infertilità: lo studio della task force dell’OMS

La task force dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sulla diagnosi e il trattamento dell’infertilità ha condotto uno studio su 8500 coppie infertili, nei Paesi sviluppati.

L’infertilità correlata alle donne rappresentava il 37%, mentre il 35% delle cause di infertilità combinava fattori maschili e femminili.

Le cause più frequenti di infertilità femminile sono state:

  • disturbi ovulatori (25%)
  • endometriosi (15%)
  • aderenze pelviche (12%)
  • blocco tubarico (11%)
  • altre anomalie tubariche (11%)
  • iperprolattinemia (7%).

Di fronte a difficoltà a concepire, le coppie spesso consultano specialisti della fertilità per ricercarne le cause.

Disturbi della tiroide e fertilità

La procreazione è un processo evolutivo fondamentale per sostenere la vita. Complessi fattori regolatori endocrini e immunitari determinano sia la fertilità umana sia l’impianto dell’embrione.

Tra i fattori di rischio vi sono la presenza di autoimmunità tiroidea e la disfunzione tiroidea. Pertanto, lo screening per la funzionalità della tiroide – TSH e anticorpi anti-tireoperossidasi (TPO-abs) – è generalmente parte del work-up iniziale. Inoltre, sono state proposte diverse linee guida per la gestione di questi disturbi della tiroide durante la gravidanza. Recentemente sono state rilasciate le nuove linee guida dell’ATA, American Thyroid Association.

Patologie della tiroide e infertilità femminile

L’interazione tra malattie della tiroide e fertilità è complessa. Una disfunzione tiroidea conclamata porta spesso a disturbi mestruali, problemi di fertilità e complicazioni della gravidanza e deve pertanto essere trattata di conseguenza.

I dati epidemiologici hanno mostrato un’alta prevalenza di disturbi della tiroide (disfunzioni e autoimmunità) nelle donne in età riproduttiva.

L’incidenza dell’ipotiroidismo varia tra il 2% e il 4% ed è in gran parte attribuita all’autoimmunità tiroidea (TAI-Thyroid Autoimmunity).

L’importanza degli ormoni tiroidei è stata evidenziata sin dalla scoperta del TSH, del suo recettore e dei recettori degli ormoni tiroidei (TR-α1 e TR-β1) sull’epitelio della superficie ovarica e negli ovociti dei follicoli primordiali, primari e secondari. Gli ormoni tiroidei sembrano partecipare alla complessa regolazione della funzione ovarica; possono influenzare gli aspetti della fertilità anche in modo indiretto, alterando l’ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH) e la secrezione di prolattina, i livelli di globulina legante gli ormoni sessuali (SHBG) e i fattori della coagulazione.

Ipertiroidismo e infertilità femminile

La misura in cui l’ipertiroidismo è correlato a problemi di fertilità non è ben stabilita a causa dei dati limitati in letteratura. Tuttavia, in generale, se non trattato adeguatamente, l’ipertiroidismo è associato ad interruzione precoce della gravidanza. I disturbi mestruali sono comuni nelle donne ipertiroidee.

Ipomenorrea, polimenorrea, oligomenorrea e ipermenorrea sono le anomalie mestruali più diffuse. È interessante notare che, secondo uno studio molto recente sulle biopsie endometriali, la maggior parte delle donne ipertiroidee sembra mantenere cicli ovulatori.

Ipotiroidismo e infertilità femminile

L’ipotiroidismo conclamato è associato ad un aumentato rischio di problemi di fertilità e complicanze sfavorevoli precoci e tardive della gravidanza.

L’ipotiroidismo si traduce in una serie di cambiamenti ormonali portando ad una serie di disturbi ovulatori nelle donne in età fertile. Ci possono essere cambiamenti nella durata del ciclo così come nel volume del sanguinamento mestruale e/o disturbi nei fattori emostatici associati all’ipotiroidismo.

Il disturbo mestruale predominante descritto nelle donne ipotiroidee è l’oligomenorrea.

Autoimmunità tiroidea (TAI) e infertilità femminile

L’autoimmunità tiroidea è la malattia autoimmune più frequente nelle donne in età fertile e aumenta il rischio di disfunzione tiroidea. La prevalenza di TAI è generalmente stimata intorno al 10%.

Anche altre cause di infertilità sono state collegate alla TAI. Ad esempio, le donne con sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) hanno una maggiore prevalenza di TAI.

Per quanto riguarda l’endometriosi i dati sono più controversi, con risultati incoerenti di un’aumentata prevalenza di TAI. Esistono tuttavia prove che l’endometriosi è associata a una varietà di cambiamenti immunologici, inclusi gli anticorpi contro gli antigeni endometriali.

Autoimmunità tiroidea e tecniche di riproduzione assistita

L’autoimmunità tiroidea è stata collegata a esiti avversi della gravidanza con un aumentato rischio di aborto spontaneo e parto pretermine in gravidanza spontanea così come in gravidanza dopo PMA. Dalla fine degli anni ’90 sono stati pubblicati diversi studi sull’impatto della TAI sull’esito dopo PMA. I risultati di questi studi sono tuttavia contrastanti, probabilmente a causa dei diversi disegni di studio, del piccolo numero di pazienti arruolati con un basso numero assoluto di eventi analizzati e dell’uso di endpoint surrogati per l’esito della fertilità.

I meccanismi fisiopatologici sottostanti che collegano il possibile impatto negativo della TAI sull’esito della gravidanza dopo la PMA rimangono incerti.

La presenza di autoimmunità tiroidea potrebbe essere il segno di uno squilibrio immunitario generale, che potrebbe portare al fallimento della fecondazione, dell’impianto e a una gravidanza prolungata. La TAI, inoltre, potrebbe alterare la ricettività endometriale.

La presenza di anticorpi tiroidei può anche avere un effetto sfavorevole sulla qualità degli ovociti e degli embrioni. La citotossicità di questi anticorpi potrebbe quindi danneggiare l’ovocita in maturazione e infine ridurre la qualità dell’ovocita e il potenziale di fecondazione.

Trattamento con levotiroxina e PMA

Ipotiroidismo clinico

Le informazioni dettagliate sull’effetto dell’ipotiroidismo sull’iperstimolazione ovarica controllata (COH) e sugli esiti della fecondazione in vitro sono limitate, poiché non sono disponibili studi controllati randomizzati. È probabile che non avremo mai questi dati poiché non sarebbe etico non trattare pazienti con ipotiroidismo clinico conclamato. Numerosi effetti dannosi dell’ipotiroidismo materno conclamato sugli esiti della gravidanza e sugli effetti neurocognitivi avversi della prole sono stati documentati in letteratura.

Il trattamento dell’ipotiroidismo con levotiroxina di solito ripristina un normale ciclo mestruale, inverte le alterazioni ormonali e migliora la fertilità. Tuttavia, alcune donne con ipotiroidismo trattato non riescono ancora a concepire spontaneamente e si rivolgono alla PMA.

Il trattamento dell’ipotiroidismo conclamato in gravidanza è obbligatorio e consiste nella terapia con levotiroxina aggiustata per raggiungere i normali livelli sierici trimestrali specifici dell’ormone stimolante la tiroide (TSH).

Ipotiroidismo subclinico

Vi sono dati in letteratura che mostrano alcuni effetti benefici del trattamento con levotiroxina sulla gravidanza dopo PMA in donne con ipotiroidismo subclinico. Sebbene non sia stato mostrato alcun beneficio per quanto riguarda i tassi di gravidanza clinica, si è verificato un aumento dei tassi di parto.

Trattamento con levotiroxina in donne eutiroidee positive agli anticorpi TPO

Al momento, il beneficio del trattamento con levotiroxina sugli esiti della gravidanza nelle donne eutiroidee con TAI, sia per gravidanza spontanea che dopo ART, è dubbio.

Nonostante la scarsa evidenza, alcune linee guida raccomandano che il trattamento possa essere iniziato per qualsiasi aumento del TSH > 2,5 mIU/L prima della PMA, considerando i suoi potenziali benefici rispetto al suo rischio minimo. Tuttavia, alcuni potenziali pericoli sono stati recentemente evidenziati indicando l’associazione del trattamento eccessivo della tiroide materna durante le prime fasi della gravidanza con effetti deleteri sul QI della prole e sulla morfologia cerebrale durante l’infanzia. Più recentemente, sono state sollevate ulteriori preoccupazioni poiché il trattamento con levotiroxina può aumentare il rischio di parto prematuro, diabete gestazionale e pre-eclampsia.

Gli accertamenti

Si raccomanda che tutti i pazienti che richiedono consulenza medica per l’infertilità siano sottoposti a screening per la malattia tiroidea sottostante, dato il potenziale effetto dannoso della disfunzione tiroidea sull’esito della fertilità.

Un’anamnesi completa e un esame fisico dovrebbero essere il primo passo.

Oltre ai sintomi più evidenti come variazioni di peso, affaticamento, irritabilità e palpitazioni, si dovrebbe prestare attenzione anche a sintomi come disturbi mestruali che possono indicare una disfunzione tiroidea. La valutazione di laboratorio dovrebbe includere almeno TSH e TPO-abs.

Cosa fare in caso di disfunzione tiroidea?

In caso di disfunzione tiroidea conclamata deve essere tempestivamente iniziata la terapia appropriata, che verrà definita caso per caso dagli specialisti di medicina della riproduzione e che potrà includere un attento follow-up longitudinale, soprattutto in presenza di anticorpi tiroidei per le donne sottoposte a procedura di PMA.

Secondo un recente rapporto OMS una persona adulta su sei nel mondo soffre di infertilità nel corso della vita. L’enorme percentuale di persone colpite mostra la necessità di ampliare l’accesso alle cure per la fertilità.

Una persona su sei nel mondo, circa il 17,5% della popolazione adulta, soffre di infertilità nel corso della vita: è quanto emerge dal rapporto “Infertility prevalence estimates”, pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

Il report

L’obiettivo del report è di fornire delle stime sulla prevalenza regionale e globale dell’infertilità attraverso l’analisi di tutti gli studi di rilievo prodotti tra il 1990 e il 2021.

“Questo rapporto è il primo del suo genere in un decennio e rivela un’importante verità: l’infertilità non discrimina.” Questo il commento del direttore generale dell’OMS Tedros Ghebreyesus, che aggiunge: “Per milioni di persone in tutto il mondo “il percorso verso la genitorialità può essere difficile, se non impossibile” e questo “indipendentemente da dove vivono e dalle risorse di cui dispongono. L’enorme percentuale di persone colpite – aggiunge – mostra la necessità di ampliare l’accesso alle cure per la fertilità e garantire che questo problema non sia più messo da parte nella ricerca e nella politica sanitaria”.

Infertilità e accesso alle cure

L’infertilità, definita dall’OMS come la mancata gravidanza dopo 12 mesi di rapporti sessuali regolari non protetti, “può causare un disagio significativo, stigma e difficoltà finanziarie, influenzando il benessere mentale e psicosociale delle persone“ – si precisa nel rapporto.

Dai dati emerge che circa il 17,5% della popolazione adulta mondiale soffre di infertilità, con una variazione limitata nella prevalenza tra le Regioni, stimata al 17,8% nei Paesi ad alto reddito e al 16,5% nei Paesi a basso e medio reddito. Il rapporto evidenzia inoltre una mancanza di dati in molti Paesi ed esorta una maggiore disponibilità di cifre nazionali.

Nonostante l’entità del problema, le soluzioni per la prevenzione, la diagnosi e il trattamento dell’infertilità, comprese le tecnologie di riproduzione assistita come la fecondazione in vitro, rimangono sottofinanziate e inaccessibili per molte persone.

“Migliori politiche e finanziamenti pubblici possono migliorare significativamente l’accesso alle cure” – afferma l’OMS.

 

Fonti:

ANSAOms: una persona su 6 nel mondo soffre di infertilità.

WHO – World Health Organization, Infertility Prevalence Estimates, 1990-2021. Disponibille al link: https://www.who.int/publications/i/item/978920068315 

 

Il fallimento della PMA può innescare reazioni molto diverse, sia nella coppia sia nei componenti della stessa. Quali sono le più comuni e quali sono i consigli dello psicologo per superare la situazione, singolarmente e insieme?

Ce ne parla la Dottoressa Elena Bagalà, psicologa psicoterapeuta.

Il vuoto da superare

Il vuoto che si genera dall’impossibilità di donare la vita è una ferita che colpisce prima l’individuo e poi la coppia. È un lutto difficile da elaborare, in quanto viene vissuto come una mancata proiezione di sé nel futuro.

È un dolore forte e profondo, difficile da gestire, in quanto il fallimento del trattamento conduce ad una rivisitazione dell’immagine di sé come genitori e del bambino idealizzato. La coppia accusa fortemente il colpo: calano i livelli di speranza, ci si chiude rispetto alla relazione e agli affetti; l’entusiasmo cede il posto alla passività e all’insicurezza, calano così i livelli d’autostima.

Il supporto dello psicologo

Confrontarsi con il fallimento successivo al tentativo della Fivet, è per molte coppie fonte di sofferenza, angoscia e sconforto, a maggior ragione se questo è l’ennesimo da dover affrontare.

Un passo importante da effettuare davanti un esito negativo, è richiedere una consulenza psicologica. La coppia, durante il percorso di PMA, attraversa alcune fasi fondamentali. Per questo motivo la consulenza psicologica pone l’attenzione alla tutela dell’assetto psicologico già prima dell’inizio del trattamento. Come? Sostenendo e supportando tutti i risvolti emotivi e relazionali paralleli alle tecniche mediche della fecondazione assistita. In questo modo, la coppia sarà tutelata sin da subito, a far fronte alle legittime emozioni negative, conseguenti sia alla diagnosi d’infertilità e sia all’eventualità di un fallimento del trattamento.

Dunque, aiutare la coppia ad accettare la diagnosi, sostenerla nel percorso, ma soprattutto, accompagnarla nell’elaborazione del lutto in caso di insuccesso, è ciò che avviene durante la consulenza con le coppie. Viene spontaneo, dunque, chiedersi cosa sia necessario ed importante fare per cercare di far fronte ad una situazione del genere.

È importante condividere il dolore

Condividere il dolore è fondamentale. La verbalizzazione delle proprie emozioni è molto importante, sia attraverso il confronto con lo psicologo in sedute individuali o di coppia, sia all’interno di sedute di gruppi d’incontro. Questi incontri sono mirati alla partecipazione di coppie che vivono la stessa condizione. Ascoltare le esperienze altrui, condividere pensieri e sentimenti, prendersi cura dei loro vissuti, permette innanzitutto di sentirsi capiti ed accettati. Inoltre, con il confronto altrui ci si accorge che anche altre persone hanno dolori simili.

Nel condurre il gruppo d’incontro, il ruolo dello psicologo è quello di favorire l’interazione tra i partecipanti, al fine di facilitare un vissuto di universalità delle varie esperienze, rispettandone contemporaneamente, le loro unicità. La verbalizzazione delle proprie emozioni facilita una comunicazione empatica tra chi sta vivendo un’esperienza di fallimento.

L’importanza dell’approccio multidisciplinare

Inoltre, è importante per la coppia valutare insieme all’équipe del centro, gli aspetti che hanno potuto incidere sul fallimento; questo confronto è produttivo, in quanto permette di comprendere quali siano le indicazioni possibili su cui lavorare e migliorare così le probabilità di successo. La presenza dell’équipe multidisciplinare, in un momento così delicato e triste, rassicura lo stato d’animo dei pazienti ed aumenta in questo modo i livelli di benessere psicofisico grazie all’ascolto attivo e alla comunicazione empatica dell’équipe.

 

Renzo Poli

Responsabile centro PMA III° livello “Diagnostica Pavanello”, Padova

 

Lo spermiogramma è l’esame fondamentale per lo studio del partner maschile nell’iter diagnostico della coppia infertile ma è caratterizzato da scarsa riproducibilità. Di conseguenza, spesso, presenta incerta attendibilità, anche perché molte delle caratteristiche funzionali che contribuiscono a definire la fertilità non sono ancora oggi ben conosciute.

Per ridurre questo gap e rendere lo spermiogramma maggiormente attendibile il laboratorio di andrologia può avvalersi dell’ausilio dello SCA, un software per l’analisi computerizzata del seme che che rientra nei metodi di indagine validati dall’Organizzazione mondiale della sanità (World Health Organization, WHO). Questo software permette di introdurre nell’analisi del seme altri parametri non diversamente valutabili con oggettività.

L’esame seminale così eseguito diventa strumento efficace di valutazione del trattamento terapeutico

 

L’infertilità, un problema comune e complesso

Alcuni numeri: si calcola che ogni anno 60.000-80.000 nuove coppie si trovino a dover affrontare problematiche di infertilità, le cui cause sono da ricondurre per un buon 40% a un deficit della componente maschile, mentre per un altro 20% circa alla sovrapposizione di fattori maschili e femminili.

L’esame del liquido seminale, o spermiogramma, è il caposaldo dell’attività del laboratorio di andrologia, dal momento che rappresenta il punto di partenza dello studio della capacità fecondante di un uomo. Da una sua corretta esecuzione si possono avere indicazioni per indagini più approfondite e specifiche e, addirittura, per interventi terapeutici.

Lo spermiogramma, tra gli esami di laboratorio, si distingue per il significato particolare che si associa ai “valori normali” dei vari parametri che misurano la qualità dello sperma. Infatti, “normalità” non implica necessariamente “fertilità”, dal momento che molte delle caratteristiche funzionali che contribuiscono a definire la fertilità non sono ancora oggi ben conosciute. Ecco perché si possono avere gravidanze con liquidi seminali definiti patologici, e non averne con eiaculati definiti normali.

A questo, poi, si deve aggiungere il contributo della componente femminile alla fertilità di coppia: una partner con un elevato potenziale di fertilità, infatti, può compensare deficit seminali considerevoli.

La complessità dello spermiogramma è cresciuta a tal punto da indurre l’Organizzazione mondiale della salute (World Health Organization) a promuovere alcune linee guida per la standardizzazione delle indagini per lo studio di base del liquido seminale e per la descrizione e interpretazione dei risultati ottenuti. Tali linee guida periodicamente vengono tenute al passo dei progressi nel settore, attraverso aggiornamenti successivi (1987, 1992, 2010).

 

L’esecuzione dello spermiogramma: le informazioni per il paziente

I parametri di standardizzazione:

  • il campione di liquido seminale deve essere raccolto dopo un’astinenza da eiaculazione compresa tra 2 e 5 giorni
  • Lavare bene le mani e i genitali prima di effettuare la raccolta nel contenitore sterile per le urine
  • Il campione viene raccolto in una stanza dedicata, vicino al laboratorio di andrologia, per limitare l’esposizione del liquido seminale agli insulti ambientali e rendere tempestiva l’analisi
  • Il campione va raccolto in maniera completa, facendo attenzione anche alla prima parte che è ricca di spermatozoi. Se il campione non è raccolto completamente andrà annotato nell’apposita scheda di autocertificazione.

 

L’analisi del campione
Esame macroscopico – aspetti chimico/fisici del liquido seminale
  • Liquefazione
  • Aspetto
  • Volume
  • Viscosità (o consistenza)
  • Ph

 

Esame microscopico – quantità e qualità degli spermatozoi
  • Concentrazione
  • Motilità
  • Morfologia

 

Elementi cellulari diversi dagli spermatozoi – quantità e qualità delle altre cellule del liquido seminale
  • Leucociti
  • Emazie
  • Cellule epiteliali
  • Cellule della spermatogenesi

 

Sistema SCA – Sperm Class Analyzer

Il Laboratorio andrologico del Centro di PMA può dunque avvalersi del sistema SCA (Sperm Class Analyzer), un software per l’analisi computerizzata degli spermatozoi che rientra nell’ambito tecnologico dei sistemi CASA (Computer Aided Sperm Analysis) associato a un sistema di rilevazione microscopica di ultima generazione. Questa combinazione agevola così la standardizzazione di un esame il cui esito è notoriamente operatore-dipendente.

 

Studio del movimento degli spermatozoi

Il sistema SCA effettua un rilevamento elettronico sequenziale di immagini digitalizzate attraverso il quale vengono calcolate la concentrazione nemaspermica e le percentuali di mobilità facendo particolare attenzione ai parametri cinetici di ogni singolo spermatozoo. Infatti vengono rilevate con la massima precisione (vedi immagini sotto riportate):

  • la velocità curvilinea (VCL)
  • la velocità media della traiettoria (VAP)
  • l’ampiezza dello spostamento laterale della testa (ALH)
  • la velocità lineare (VSL)
  • la frequenza dei battiti della coda (BCF).

 

Successivamente, dalle tre misure di velocità (VCL, VAP e VSL) vengono calcolati i rapporti di progressione della cellula, ovvero la linearità (LIN), rettilinearità (STR) e l’oscillazione (WOB).

Lo studio accurato di questi parametri cinetici permette l’individuazione di una sottopopolazione di spermatozoi adatti, in modo ideale, a penetrare il muco cervicale.

 

Studio della forma degli spermatozoi

Lo studio morfologico degli spermatozoi permette di calcolare la percentuale di forme tipiche e atipiche, nonché i dettagli delle alterazioni presenti. È opinione comune che la valutazione della morfologia spermatica sia vincolata all’interpretazione soggettiva dell’operatore, ed è ancora difficile ottenere un accordo generalizzato sul ruolo predittivo dei risultati ottenuti con uno spermiocitogramma standard.

Lo studio computerizzato aiuta a ottenere un risultato estremamente preciso, oggettivo, riproducibile e difficilmente influenzato dall’operatore.

 

L’analisi si basa sulla misurazione microscopica delle componenti fondamentali dello spermatozoo:

  • la testa (area, perimetro, lunghezza, larghezza, acrosoma, ellitticità, rotondità, elongazione, regolarità)
  • il collo o segmento intermedio (area, distanza, angolo, larghezza)
  • la coda (lunghezza, presenza di angolazioni e avvolgimenti)
  • la presenza del residuo citoplasmatico

 

Gli indici morfologici

La determinazione qualitativa e quantitativa delle alterazioni rilevate a questi livelli permette di calcolare accuratamente i cosiddetti indici morfologici, e in particolare:

  • Indice di teratozoospermia (TZI), che rappresenta il rapporto tra il totale delle anomalie rilevate e il numero di spermatozoi atipici.
  • Indice di deformità (SDI), che rappresenta il rapporto delle anomalie sul totale di spermatozoi analizzati.

Il valore dell’indice di teratozoospermia deve variare tra 1,00 (ogni spermatozoo atipico ha una sola anomalia) e 3,00 (ogni spermatozoo atipico ha anomalie della testa, del tratto intermedio e della coda). L’importanza diagnostica e prognostica di questo esame è dettata dall’evidenza che le alterazioni morfologiche degli spermatozoi sono direttamente connesse a condizioni patologiche sottostanti che possono interessare le vie seminali e la maturazione stessa degli spermatozoi. Inoltre, così come riportato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, un elevato TZI è associato a un basso tasso di fecondazione in coppie infertili non trattate, così come un SDI aumentato è considerato incompatibile con la fecondazione in vitro. Al termine dell’esame del liquido seminale, si può parlare di:

  • Oligozoospermia se il numero di spermatozoi è inferiore a 15 milioni/ml
  • Astenozoospermia se la motilità progressiva è inferiore al 32%
  • Teratozoospermia quando la percentuale di spermatozoi con morfologia tipica è inferiore al 4%
  • azoospermia quando non sono presenti spermatozoi nell’eiaculato e nel centrifugato

 

Test di capacitazione

La definizione più precisa di questa indagine è il “test di preparazione in vitro del liquido seminale”. Si tratta di un esame che riproduce in vitro le modificazioni (capacitazione) a cui va incontro lo spermatozoo mentre attraversa le vie genitali femminili che gli donano una particolare motilità e lo rendono idoneo a fecondare l’ovocita. Perciò tale test consente di selezionare tra tutta la popolazione di spermatozoi quelli con la motilità e morfologia migliori e di attivarne la capacitazione.

Esistono diverse procedure per ottenere tale selezione e in particolare:

  • Swim-up (migrazione ascendente)
  • Separazione su gradiente di densità

Il risultato del test di capacitazione è fondamentale per verificare direttamente quale sia la reale frazione di spermatozoi di un campione in grado di attivarsi e di partecipare al processo della fertilizzazione vero e proprio, in vivo e in vitro. Si tratta di un indicatore fondamentale del potenziale fertilizzante maschile ed è adiuvante nella scelta del tipo di tecnica di inseminazione da utilizzare in un ciclo PMA (Fivet convenzionale o ICSI).

Sovrappeso e PMA: è noto da tempo che i chili di troppo minano la fertilità, ma la riproduzione assistita può venire in aiuto anche in questi casi, con alcuni accorgimenti.

Un recente studio ha infatti evidenziato che, nelle pazienti sovrappeso e obese, risulterebbe preferibile utilizzare il transfer da blastocisti congelata. Questo perché questa metodica, in tale categoria di persone, pare consentire maggiori probabilità di ottenere una gravidanza clinica, rispetto all’uso di blastocisti fresche.

A dimostrarlo i risultati di uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Fertility and Sterility.

 

Obesità e sovrappeso, un problema comune

In Italia il 46% della popolazione è sovrappeso (dati 1° Italian Obesity Barometer Report, IBDO Foundation). Non si tratta dunque di un problema marginale. Ad essere colpiti sia uomini che donne.

Rispetto alle pazienti normopeso, quelle obese hanno più probabilità di essere sterili e hanno meno probabilità di ottenere una gravidanza clinica con FIVET, forse a causa di un’associazione negativa tra obesità e ricettività endometriale.

È stato dimostrato che l’Embryo Transfer (ET) congelato migliora i risultati della FIV determinando maggiori ricettività endometriale e sincronia embrio-endometriale.

 

Lo studio

Lo studio ha voluto approfondire il rapporto tra sovrappeso e PMA, esaminando l’effetto dell’indice di massa corporea (BMI) sui tassi di gravidanza clinica nei cicli di ET freschi rispetto a quelli congelati.

I ricercatori hanno dunque condotto uno studio di coorte retrospettivo. Sono state confrontate donne di peso normale (BMI: 18,5-24,9 kg/m2), sovrappeso (BMI: 25,0-29,9 kg/m2) e obese (BMI superiori o uguali 30,0 kg/m2).

Lo studio ha preso in considerazione persone di età media, BMI e razza/etnicità simili. Sono stati presi in considerazione 527 cicli di trasferimento di blastocisti, di questi 247 (46,9%) sono stati freschi e 280 (53,1%) congelati. In particolare, oltre il 41% dei transfer sono stati effettuati in donne normopeso, circa 26% in quelle sovrappeso e circa il 32% in quelle obese.

 

I risultati

I risultati sottolineano un chiaro rapporto tra sovrappeso e PMA.

In particolare, nelle pazienti in sovrappeso, i tassi di impianto e di gravidanza clinica erano significativamente più alti nel caso di ET congelati. Anche nelle donne obese i tassi di gravidanza clinica sono risultati significativamente più alti con quest’ultima metodica.

Al contrario, nel gruppo di peso normale, dai dati non emerge alcuna differenza nei tassi di impianto o di gravidanza clinica tra la metodica che prevede la blastocisti fresca e quella con l’ET congelato.

Una curiosità, le pazienti in sovrappeso che hanno avuto un ET fresco hanno avuto un numero significativamente maggiore di gravidanze gemellari.

 

Bibliografia

Schointuch M et al. Clinical pregnancy outcomes of fresh versus frozen blastocyst transfers by body mass index. 2019;111(4):Se54–e55