Tag: fertilità

L’approccio multidisciplinare ottimizza i risultati delle tecniche di procreazione medicalmente assistita

La procreazione medicalmente assistita (PMA) rappresenta un supporto prezioso per le coppie che affrontano difficoltà nel concepimento. Per massimizzare le probabilità di successo di queste procedure, è essenziale seguire un approccio diagnostico completo, che includa la valutazione di entrambi i partner.

In questo contesto, la diagnostica andrologica riveste un ruolo cruciale per l’identificazione di eventuali fattori maschili che possono incidere negativamente sulla fertilità della coppia.

Ce ne parla il Dottor Paolo Turchi, specialista in andrologia e sessuologia clinica, titolare della specialistica andrologica della Azienda USL Toscana Centro, a Prato, dove si occupa della prevenzione e della cura delle patologie maschili in età pediatrica, adulta e in terza età.

Il ruolo del maschio

È un dato condiviso ormai da tutti gli esperti del settore che di un fattore maschile di infertilità sia presente in almeno il 50% delle coppie infertili. Nonostante l’elevata incidenza di tali condizioni, spesso l’attenzione diagnostica si concentra maggiormente sulla partner femminile, trascurando una valutazione approfondita delle condizioni del partner maschile.

Questa minore attenzione si può trasformare in una mancata individuazione di patologie, talvolta anche importanti, non solo possibile causa dell’infertilità ma talvolta anche compromissorie dello stato di salute generale del soggetto. Il partner di una coppia infertile dovrebbe essere sottoposto a una valutazione specialistica andrologica di base anche in presenza di uno spermiogramma di buona qualità (European Association of Urology Guidelines 2024).

La diagnostica andrologica: elementi fondamentali

La diagnostica che viene richiesta per lo studio del maschio si basa, in genere, su uno o, meglio, due spermiogrammi, eseguiti in centri affidabili, che si basino sulle metodologie e sui parametri stabiliti dall’organizzazione Mondiale della Sanità (ultima edizione, 2021, del relativo manuale).

Spesso, se lo spermiogramma risulta di buona qualità, la procedura diagnostica si ferma. Il concetto che lo spermiogramma esprima esattamente la capacità riproduttiva del maschio però è un malinteso difficile da superare. Una valutazione di base, di I Livello, in questi casi di apparente normalità, deve comprendere anche una anamnesi accurata e una visita dei genitali esterni. Se l’una e l’altra procedura risultano nella norma, secondo quanto raccomandato dalle linee guida di settore, la diagnostica si conclude.

Se viceversa il quadro seminale è alterato, oltre alla raccolta anamnestica e alla visita, si richiede una diagnostica di II livello, che comprende valutazioni di laboratorio e strumentali guidate dalle caratteristiche dello spermiogramma e da quanto emerso da storia clinica e visita.

  • Ecografia scrotale: esame mirato allo studio lei testicoli, degli epididimi e del funicolo spermatico, ma anche delle ghiandole accessorie, prostata e vescichette seminali, nonché delle vie seminali distali, alla ricerca di eventuali segni di sofferenza testicolare o di presenza di masse tumorali (statisticamente maggiormente prevalenti nella popolazione dei maschi infertili), di condizioni infiammatore o ostruttive, o di un eventuale varicocele.
  • Analisi ormonale: il dosaggio degli ormoni coinvolti nel processo spermatogenetico, testosterone, ormone follicolostimolante (FSH) e luteotropo (LH) consentono di diagnosticare situazioni patologiche, quando sono presenti alterazioni dei livelli ormonali, ma anche di avere un’informazione prognostica che spesso guida i passi successivi, verso una terapia farmacologica o verso la procedura di PMA.
  • Diagnostica seminologica di II livello: comprende test funzionali come il test di capacitazione e il test di frammentazione del DNA spermatozoario. Entrambi possono far emergere anomalie qualitative e funzionali degli spermatozoi, non evidenziate dal semplice spermiogramma di base.
  • Diagnostica citogenetica: nei casi di oligozoospermia severa (presenza di pochi spermatozoi nell’eiaculato) o di azoospermia (assenza di spermatozoi nell’eiaculato) è necessario fare alcuni esami del sangue indispensabili per escludere problemi genetici e per accedere a procedure di PMA. La mappa cromosomica, cioè il cariotipo, l’analisi delle microdelezioni del cromosoma Y e la valutazione di eventuali mutazioni del gene CFTR, della fibrosi cistica, sono quelli raccomandati.
  • Esami ulteriori, che si richiedono solo in circostanze particolari, sono la risonanza magnetica dello scavo pelvico e la biopsia testicolare.

Vantaggi di un approccio integrato

Integrare la diagnostica andrologica nel percorso della PMA offre numerosi benefici:

  • Individuazione precoce di eventuali patologie di carattere generale, non diagnosticate precedentemente
  • Individuazione di patologie specifiche ostative alla fertilità e loro trattamento ove indicato.
  • Personalizzazione del trattamento: facilita la selezione della tecnica PMA più appropriata, come la inseminazione intrauterina (IUI), la fecondazione in vitro (IVF) o l’iniezione intracitoplasmatica di spermatozoi (ICSI).
  • Miglioramento della qualità del materiale genetico: Contribuisce ad aumentare le possibilità di concepimento sano e successo clinico (Practice Committee of the American Society for Reproductive Medicine, 2020).

Importanza della sensibilizzazione

Nonostante l’importanza della diagnostica andrologica, molti uomini mostrano riluttanza nel sottoporsi a controlli specialistici, spesso a causa di barriere culturali o di una insufficiente informazione. Risulta quindi fondamentale promuovere una maggiore consapevolezza sull’importanza di un approccio diagnostico di coppia, evidenziando come la valutazione del partner maschile sia parte integrante del percorso PMA.

Collaborazione tra professionisti sanitari

Ginecologi, andrologi e altri specialisti hanno un ruolo chiave nel sensibilizzare le coppie e nel garantire una gestione multidisciplinare del percorso diagnostico e terapeutico. La collaborazione tra questi professionisti consente di adottare un approccio integrato che valorizza la salute e il benessere di entrambi i partner.

Conclusione

La diagnostica andrologica rappresenta una componente imprescindibile per il successo delle tecniche di procreazione medicalmente assistita. L’inclusione di un’indagine accurata sul partner maschile garantisce un percorso più equilibrato e personalizzato verso la genitorialità. Promuovere un approccio bilaterale alla fertilità non solo aumenta le probabilità di successo, ma contribuisce anche a una comprensione più approfondita delle dinamiche legate alla fertilità di coppia.

Riferimenti bibliografici

  • Barratt CLR, Bjorndakl L, De Longe CJ, Lamb <>DJ, Martini FO, McLachlan R, Oates RD, van dr Poel S, St John B, Sigman M,Sokol R, Tournaye H. The diagnosis of male infertility: an analysis of the evidence to support the development of global WHO guidance-challenges and future research opportunities (2017) Male infertility: Overview and challenges. Human Reproduction Update, 23(6), 577-589.
  • Practice Committee of the American Society for Reproductive Medicine. (2020). Diagnostic evaluation of the infertile male: A committee opinion. Fertility and Sterility, 114(3), 481-487.
  • World Health Organization. (2021). WHO laboratory manual for the examination and processing of human semen. 6th ed.
  • EAU Guidelines on sexual and reproductive health. European Association of Urology 2024.

Secondo i dati del Ministero della Salute, in Italia il 10-15% delle donne in età riproduttiva è affetto da endometriosi, una patologia che interessa circa il 30-50% delle donne infertili o che hanno difficoltà di concepimento. Le donne con diagnosi conclamata sono almeno tre milioni.

Che cos’è l’endometriosi e che impatto ha sulla fertilità? Ne abbiamo parlato con la Dottoressa Sara Scandroglio, Specialista in Ginecologia e Ostetricia, Responsabile SS Procreazione Medicalmente Assistita, Ospedale Filippo Del Ponte, ASST Settelaghi Varese. 

Cos’è l’endometriosi?

L’endometriosi è una patologia caratterizzata dalla presenza di tessuto endometriale, cioè che mestrua, al di fuori dall’utero. Può avere delle localizzazioni ovariche, sotto forma di cisti endometriosiche, ma anche extra ovariche, può interessare i legamenti uterosacrali, il cavo di Douglas o tutta la pelvi, con dei foci cosiddetti endometriosi diffusi.

Dai sintomi alla diagnosi

Purtroppo, il tempo di latenza tra la comparsa dei sintomi e la diagnosi di malattia oscilla tra i 5 e i 10 anni. Questo accade perché la paziente con endometriosi a volte riferisce dei sintomi vaghi, può avere dolore mestruale (dismenorrea), dolore durante i rapporti (dispareunia), dolore durante la defecazione (dischezia). A volte questi sintomi, in assenza di evidenti segni ecografici, vengono interpretati in vario modo dal ginecologo curante, proprio perché si tratta di una malattia estremamente subdola.

L’impatto sulla infertilità

L’endometriosi è una patologia che merita molta attenzione perché impatta notevolmente sulla qualità della vita portando sofferenza, disagio e difficoltà ad avere rapporti. Inoltre, c’è una stretta associazione tra l’endometriosi e l’infertilità. Infatti, circa il 20% delle pazienti con endometriosi è infertile già in giovane età e circa il 30% delle pazienti infertili è affetta da endometriosi.

L’endometriosi in sé, per la presenza di un quadro infiammatorio pelvico cronico, comporta un danno a livello dell’apparato genitale, con una riduzione della riserva ovarica e una riduzione della capacità dell’embrione – che si sia formato spontaneamente o tramite tecniche di riproduzione assistita – di attecchire all’interno dell’utero, che può essere ulteriore sede di malattia (adenomiosi).

Come trattare l’endometriosi

In molti centri è presente un servizio dedicato al trattamento dell’endometriosi, che collabora strettamente con il centro di procreazione assistita. L’obiettivo è dare il supporto migliore alle pazienti, distinguendole fondamentalmente in due categorie: le pazienti con endometriosi che dobbiamo prendere in cura e alle quali dobbiamo migliorare la qualità di vita, e le pazienti che cercano un figlio.

Nelle prime, il trattamento si basa sull’utilizzo di farmaci – pillola in continua estroprogestinica o solo progestinica – o, se necessario, tramite l’intervento chirurgico.

Nelle pazienti che desiderano diventare mamma, ovviamente la terapia medica deve essere sospesa per favorire la ricerca della gravidanza ed eventualmente ricorrere ad una tecnica di PMA.

Come dicono le linee guida pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale a maggio 2024, l’endometriosi è una patologia per la quale, già dopo 6 mesi di ricerca della gravidanza, è necessario ricorrere ad una tecnica di PMA secondo livello, FIVET o ICSI. Il motivo è che la probabilità di gravidanza in queste donne è bassa, la riserva ovarica è spesso molto ridotta e la sintomatologia della paziente non consente di prolungare a lungo i trattamenti; perciò, la tempestività di intervento è cruciale.

Il consiglio

In caso di sospetta endometriosi, il consiglio è di rivolgersi a centri specializzati, dove effettuare un’anamnesi accurata, una visita e, soprattutto, un’ecografia, anche eventualmente con l’ausilio del color-doppler o delle ricostruzioni tri e quadri dimensionali, che consentono di identificare anche noduli più piccoli.

Il secondo passo è condividere con gli specialisti i propri obiettivi, in modo che possano essere oggetto di counseling multidisciplinare che coinvolga il ginecologo specialista in endometriosi, il ginecologo esperto in procreazione assistita ed eventualmente anche lo psicologo. L’obiettivo è dare ampio supporto a queste pazienti, che spesso hanno una qualità di vita veramente difficile, notevoli difficoltà ai rapporti di coppia e hanno bisogno di essere supportate a 360gradi.

La fertilità femminile è un tema complesso e affascinante, strettamente legato a un concetto fondamentale: la riserva ovarica. Ma cosa si intende esattamente con questo termine? E perché è così importante per le donne?

Ne abbiamo parlato con la Dottoressa Sara Scandroglio, Specialista in Ginecologia e Ostetricia, Responsabile SS Procreazione Medicalmente Assistita, Ospedale Filippo Del Ponte, ASST Settelaghi Varese 

Cos’è la riserva ovarica? E come cambia nel corso della vita?

La riserva ovarica è un parametro di misurazione della ricchezza follicolare ovarica ed è estremamente importante per la donna. Infatti, è strettamente legato sia alla probabilità di concepimento spontaneo sia alla riuscita delle tecniche di procreazione medicalmente assistita.

A differenza degli uomini, che producono spermatozoi nel corso dell’intera vita, le donne nascono con un numero finito di ovociti, che diminuisce progressivamente. Infatti, con l’avanzare dell’età, la riserva ovarica si riduce gradualmente, fino ad esaurirsi con l’arrivo della menopausa, che in media si presenta attorno ai 50 anni.

Come viene misurata la riserva ovarica?

La riserva ovarica viene misurata e valutata mediante tre parametri principali, che sono:

  • I valori ormonali – attraverso gli esami del sangue, che si eseguono entro il quinto giorno del ciclo mestruale. In particolare, si considerano i rapporti tra l’ormone follicolo stimolante, l’ormone luteinizzante e l’ormone antimulleriano
  • La conta dei follicoli antrali e preantrali presenti su ciascun ovaio – attraverso un’ecografia, da eseguire entro il quinto giorno del ciclo
  • Un’attenta raccolta anamnestica che riguarda la regolarità mestruale, la storia dei cicli mestruali, l’eventuale presenza di menopausa precoce nella famiglia della paziente stessa

La riserva ovarica cambia con l’età?

La riserva ovarica cala con l’età, e questo è un aspetto ormai noto. Il picco di fertilità si verifica solitamente tra i 27 e i 30 anni, inizia a diminuire con il decrescere della riserva ovarica – in maniera logaritmica – dai 35 anni. Attorno ai 43-45 anni la riserva ovarica è quasi esaurita, nonostante non si possa ancora parlare di menopausa; la probabilità di concepimento sia spontanea che tramite procreazione assistita diventa di pochi punti percentuali, con un’abortività e un rischio elevato di patologia cromosomica.

Perché misurare la riserva ovarica?

Le ragioni per misurare la riserva ovarica sono più di una: ad esempio, può essere utile per una giovane donna che vuole avere un’idea della propria fertilità per pianificare un’eventuale gravidanza o pensare alla crioconservazione degli ovociti.

Inoltre, la riserva ovarica ha un ruolo fondamentale per quanto riguarda il trattamento della coppia durante un percorso di procreazione medicalmente assistita. Infatti, il tipo di percorso – di primo o secondo livello – e la scelta del farmaco e del dosaggio vengono valutati attentamente anche in funzione della riserva ovarica, in modo da personalizzare il più possibile il trattamento sulla base delle caratteristiche della paziente.

Che il fumo di sigaretta fosse un nemico della fertilità femminile e un ostacolo al concepimento “naturale” è un’informazione consolidata e nota a tutti. Ma che le sigarette potessero essere un elemento nocivo anche per il successo di una gravidanza ottenibile attraverso le tecniche di fecondazione assistita non era una deduzione così scontata e immediata.

Lo studio

Uno studio pubblicato sulla rivista Journal of Gynecological Obstretics Human Reproduction mette in luce gli effetti fortemente dannosi delle sigarette sull’esito delle tecniche di fecondazione assistita se la donna è fumatrice anche quando si sottopone a queste procedure.

Lo studio ha preso in esame 28 ricerche cliniche pubblicate in lingua inglese. Complessivamente, i dati di questi studi oggetto dell’analisi si riferivano a 5.009 donne fumatrici che si erano sottoposte a tecniche di fecondazione assistita e a 10.078 donne non fumatrici ricorse anch’esse a queste procedure per ottenere una gravidanza.

I risultati

L’analisi dei dati evidenzia con chiarezza quanto il fumo di sigaretta incida negativamente sul successo delle tecniche di fecondazione assistita e sul conseguente conseguimento della gravidanza. In particolare, i dati dimostrano che nelle donne fumatrici – rispetto alle non fumatrici – sono riscontrabili esiti significativamente negativi ed esprimibili come:

  1. riduzione significativa del tasso di nascite di neonati vivi;
  2. riduzione significativa del tasso di gravidanze cliniche;
  3. riduzione significativa del numero di ovociti recuperati;
  4. riduzione significativa del tasso medio di fertilizzazione;
  5. aumento significativo del tasso di aborti spontanei per gravidanza.

In sostanza, lo studio condotto su questa ampia casistica dimostra che nelle donne il fumo di sigaretta non solo è causa d’infertilità ma ha anche un impatto significativamente negativo sugli esiti delle tecniche di fecondazione assistita.

Tale evidenza pone quindi le basi scientifiche per raccomandare fortemente alle donne di smettere di fumare sia in generale per questioni salutistiche sia per quelle che devono sottoporsi alle tecniche di fecondazione assistita: smettendo di fumare prima di sottoporsi a queste procedure procreative, le donne potranno difatti trarre enormi benefici, con maggior successo e probabilità di rimanere incinta e di coronare il desiderio di maternità.

 

Fonte

Zhang RP et al. The effects of maternal cigarette smoking on pregnancy outcomes using assisted reproduction technologies: an updated meta-analysis. J Gynecol Obstet Hum Reprod 2018. doi: 10.1016/j.jogoh.2018.08.004.

Sessualità e infertilità sono correlate? La WHO World Health Organization definisce la sessualità come un aspetto centrale dell’essere umano, che abbraccia il sesso, l’identità di genere, i ruoli, l’orientamento sessuale, l’erotismo, il piacere, l’intimità, la riproduzione. Inoltre, la sessualità si esprime attraverso i pensieri, le fantasie, i desideri, ma anche con le credenze, le attitudini, i valori, i comportamenti, la pratica, i ruoli e le relazioni.

D’altro lato, sappiamo che l’infertilità è definita come la difficoltà a concepire dopo oltre 12 mesi di rapporti sessuali non protetti.

Abbiamo parlato di sessualità e infertilità con la Dottoressa Giulia Bertapelle, ginecologa e sessuologa clinica, impegnata nel campo della medicina della riproduzione presso l’Instituto Bernabeu di Venezia. Le abbiamo chiesto come sono correlate e quali possono essere le implicazioni all’interno della vita sessuale di una coppia quando si riceve una diagnosi di infertilità.

Qual è il rapporto tra sessualità e infertilità?

Se dovessimo rappresentare graficamente il rapporto tra sessualità ed infertilità, potremmo disegnare una freccia che collega queste due parole in ambo i versi: esistono infatti delle disfunzioni sessuali che possono ostacolare la coppia nell’avere rapporti sessuali completi, come ad esempio condizioni o patologie che determinano un dolore alla penetrazione o alcuni casi di disfunzione erettile e/o eiaculatoria, ma esiste anche un rapporto inverso che molto spesso non viene considerato e del quale si parla davvero troppo poco.

Per alcune coppie infatti avviene già una prima modifica nella frequenza e nella qualità dei rapporti, prima ancora di arrivare ad una diagnosi di infertilità, già nel momento in cui il rapporto diventa finalizzato al concepimento.

Se per alcune coppie l’aspetto prettamente ludico del rapporto viene mantenuto anche durante il periodo di ricerca di un figlio, per altre questo viene progressivamente a scemare, fino, a volte, a perdersi completamente.

Cosa cambia con dopo una diagnosi di infertilità?

Con l’arrivo di una diagnosi di infertilità la sessualità della coppia può modificarsi ulteriormente ed in modalità diverse anche in base al tipo di causa riscontrata durante la fase diagnostica.

In alcuni casi l’impatto sulla sfera sessuale può diventare così importante da determinare delle disfunzioni vere e proprie che prima non erano presenti e che purtroppo tendono ad essere messe in secondo piano dalla coppia stessa che durante l’iter di procreazione assistita è portata a concentrare tutte le energie nel percorso, mettendo in secondo piano altri aspetti della vita, tra cui quello legato alla sfera sessuale.

Esistono dei “momenti” nell’iter della PMA che possono incidere sulla vita sessuale della coppia?

Esistono poi dei momenti nell’iter della procreazione medicalmente assistita, sia diagnostici che terapeutici, nei quali il medico di medicina della riproduzione darà delle prescrizioni alla coppia che inevitabilmente potranno avere delle implicazioni sulla vita sessuale dei pazienti.

Pensiamo ad esempio quanto può essere difficile per un uomo anche solo fare uno spermiogramma, in un ambiente asettico nel quale evidentemente ginecologo, biologo, segretarie, infermiere ed ostetriche sanno cosa sta succedendo all’interno di quella stanza, o pensiamo a quanto può essere faticoso per la coppia avere dei rapporti programmati “oggi sì, domani no”, “oggi sì”, anche se magari non c’è desiderio, “domani no” anche se magari la coppia ne ha voglia.

Queste prescrizioni sono spesso necessarie per massimizzare le possibilità di successo e quindi di nato vivo, ma possono involontariamente implementare un meccanismo secondo il quale il rapporto o la masturbazione nel caso del partner maschili diventano più delle prestazioni che degli atti naturali e fisiologici all’interno della coppia.

Quali sono i suoi suggerimenti?

È molto importante che i professionisti della medicina della riproduzione siano sensibilizzati a prendersi carico anche della salute sessuale della coppia, oltre che di quella riproduttiva, in modo da identificare precocemente alcuni segnali d’allarme e lavorare prima di tutto sulla prevenzione o, quando siano già evidenziate al colloquio delle disfunzioni sessuali vere e proprie, indirizzare la coppia a specialisti di riferimento del settore.

L’ormone antimulleriano (AMH) è un importante indicatore della riserva ovarica che, a sua volta, è indicatore di fertilità della donna. Ha un ruolo fondamentale, perché regola la crescita e lo sviluppo dei follicoli nelle ovaie e impedisce che si sviluppino follicoli non ancora maturi.

Ci spiega bene il suo ruolo la Dottoressa Alessandra Tiezzi, ginecologa, Responsabile del Centro di Fecondazione assistita della CLINICA NUOVA RICERCA di Rimini.

Cos’è l’ormone antimulleriano

L’ormone antimulleriano è un importante indicatore di riserva ovarica, prodotto dalle cellule della granulosa che rivestono i follicoli nella fase iniziale del loro sviluppo. È un ormone importante, perché regola la crescita e lo sviluppo dei follicoli nelle ovaie e impedisce che si sviluppino follicoli non ancora maturi, evitando che questi ultimi crescano in maniera intempestiva e quindi causino alterazioni dell’ovulazione.

Qual è il suo ruolo?

L’ormone antimulleriano AMH svolge un ruolo molto importante nella fertilità.

Innanzitutto, è un ormone che non è influenzato dalle fluttuazioni cicliche, come invece lo sono l’FSH l’estradiolo; quindi, è un dato più costante della riserva ovarica e può essere utilizzato anche per predire la risposta alla stimolazione ovarica.

Spesso nei centri di PMA viene utilizzato per stabilire la dose iniziale di gonadotropine per stimolare la paziente, in quanto predice la risposta a questo tipo di stimolazione.

Se il valore di AMH e più alto, di solito si ha una miglior risposta e un maggior numero di ovociti: queste sono condizioni sicuramente positive, ma bisogna prestare attenzione per gestire l’aumentato rischio di iperstimolazione ovarica. Questo ci aiuta a capire qual è la dose migliore per gestire anche eventuali complicanze.

L’ormone antimulleriano ci aiuta anche a predire certe patologie: ad esempio, risulta molto più alto nelle donne con la sindrome della policistosi ovarica, e molto più basso in donne con un’insufficienza ovarica precoce o in menopausa precoce.

AMH ed età della donna

L’AMH ha valori diversi nelle varie età della vita e i valori normali di questo ormone sono compresi tra 1 e 4 nanogrammi su millilitro. In questo caso le pazienti hanno una buona riserva ovarica e, se sottoposte trattamenti di fondazione assistita, di solito hanno un recupero di un buon numero di ovociti.

Un valore superiore a 4 nanogrammi su millilitro è considerato elevato e di solito implica una buona riserva ovarica e un maggior numero di ovociti recuperati con i trattamenti di fecondazione assistita. Valori di molto superiori, invece, parliamo di 10-15 nanogrammi su millilitro, si trovano in patologie come la policistosi ovarica.

I valori che possiamo considerare bassi sono quelli compresi tra 0,5 e 1 nanogrammo su millilitro: in questi casi possiamo dire che la riserva ovarica della paziente è ridotta. Infine, valori molto molto bassi, inferiori a 0,5 nanogrammi su millilitro si rilevano nelle donne che di solito sono in premenopausa o in menopausa, o che hanno un fallimento ovarico precoce.

Come si dosa l’AMH

L’ormone antimulleriano AMH viene dosato con un prelievo di sangue, in qualsiasi momento del ciclo mestruale. Questo perché, come detto sopra, non è influenzato dalla ciclicità dalle fluttuazioni.

Quali sono i limiti dell’AMH?

Innanzitutto, è un valore che non predice in maniera assoluta la fertilità: questo perché la fertilità è influenzata da diversi fattori. Inoltre, non sostituisce altri test, ad esempio l’ecografia transvaginale per la conta dei follicoli antrali, ma anche test che riguardano la parte maschile. Infatti, dobbiamo sempre valutare anche la qualità del liquido seminale.

Come interpretare i valori

I valori di ormone antimulleriano vanno interpretati in un contesto clinico ampio ed è necessario fare sempre riferimento a uno specialista esperto in fertilità.

È comunque un ormone che può essere utilizzato anche ai fini della pianificazione familiare, quindi va tenuto sotto controllo, ad esempio, nelle donne che desiderano posticipare la gravidanza.

Inoltre, va monitorato nelle donne che già si stanno sottoponendo ai trattamenti di fecondazione assistita perché è importante per valutare la dose iniziale di farmaco, per valutare le possibilità di successo del trattamento.

Infine, è importante nei casi di diagnosi di insufficienza ovarica precoce o di menopausa precoce.

Per concludere, possiamo dire che l’ormone antimulleriano è soltanto una parte della valutazione complessiva della fertilità va sicuramente interpretato insieme ad altri valori e ad altri fattori, come l’età della donna, lo stile di vita, le sue abitudini, i fattori ambientali, il fumo.

Per questo, è importante che la donna si affidi non soltanto al risultato di questo esame, ma che consulti sempre un esperto in fertilità.

L’infertilità è un problema che riguarda milioni di persone e ha effetti significativi non solo sulla salute fisica ma anche su quella emotiva, sociale ed economica. L’infertilità è definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come l’assenza di concepimento dopo 12-24 mesi di rapporti mirati non protetti. In Italia è un fenomeno in crescita, che coinvolge circa il 15-20% delle coppie, mentre a livello globale il 10-12%.

L’indagine

I dati emersi dall’indagine ‘Il fenomeno dell’infertilità: percezioni e vissuti degli italiani’ condotta dall’Istituto Piepoli, e presentati durante il Congresso Nazionale 2024 della Società Italiana della Riproduzione (Sidr), sono un campanello d’allarme.

La ricerca ha rivelato che la maggior parte degli italiani riconosce l’infertilità come una difficoltà reale e trasversale, che non riguarda solo le donne ma coinvolge anche gli uomini in misura significativa. Sebbene ci sia una crescente consapevolezza del fenomeno, persiste una scarsissima conoscenza delle soluzioni disponibili e, soprattutto, dei costi e delle barriere che le persone devono affrontare per poter accedere alle cure.

Con il 74% degli italiani che considera la fecondazione assistita come uno strumento utile a contrastare il calo demografico, la domanda di un’azione concreta e di un maggior supporto da parte delle istituzioni è sempre più forte. Non si tratta semplicemente di una questione medica, ma di una vera e propria emergenza sociale.

In Italia, la natalità è in continuo calo, e le previsioni per il 2024 parlano di ben 200mila bambini in meno, un dato che segna un futuro sempre più incerto per il Paese. Questo fenomeno, che colpisce in modo crescente le nuove generazioni, è legato a una molteplicità di fattori: dall’età avanzata alla scarsa informazione, passando per gli stili di vita dannosi e l’inquinamento ambientale.

Si stima che solo il 25% della popolazione italiana abbia consapevolezza delle opzioni terapeutiche esistenti e, ancor di più, di come queste possano realmente supportare chi è colpito da infertilità. Le terapie, per quanto efficaci, rimangono un miraggio per tanti, spesso frenato da barriere economiche o culturali: le disuguaglianze nell’accesso ai trattamenti, che sono ancora condizionati da costi elevati e da una disparità regionale significativa, peggiorano ulteriormente la situazione.

Le cause percepite dell’infertilità

L’indagine condotta dall’Istituto Piepoli ha anche evidenziato come la maggior parte degli italiani (69%) percepisca l’infertilità come un problema diffuso e in continua espansione, che coinvolge entrambi i sessi. Questo dato, già significativo, assume contorni ancora più preoccupanti quando si analizzano le cause identificate dalla popolazione.

Se la causa principale è rappresentata dall’età avanzata, con il 39% degli italiani che la considera un fattore determinante, altre motivazioni non sono meno rilevanti. Gli squilibri ormonali (34%) e le malattie pregresse (29%) sono altre cause ritenute cruciali. A queste si aggiungono i fattori legati allo stile di vita, come il fumo (26%) e l’abuso di alcol (23%), ma anche fattori psicologici ed emotivi (24%), inquinamento e stress (23%).

Questo quadro suggerisce una crescente consapevolezza dei legami tra le abitudini quotidiane e la fertilità, ma al contempo evidenzia una grande difficoltà nel prevenire il problema. Si parla di infertilità come di un “problema moderno”, legato all’incapacità di modificare comportamenti dannosi, spesso legati alla frenesia della vita urbana o al peggioramento delle condizioni ambientali.

Ciò che emerge con chiarezza dall’indagine è l’urgenza di una maggiore informazione e sensibilizzazione, in modo da ridurre il divario tra consapevolezza e azione. La consapevolezza sulle cause dell’infertilità, infatti, non basta: è fondamentale che i cittadini ricevano un supporto concreto, non solo in termini di accesso a trattamenti ma anche in termini di educazione alla salute riproduttiva.

Il futuro della fertilità in Italia

In un contesto così complesso e frammentato, le aspettative degli italiani sono chiare e forti. Secondo l’indagine, la maggior parte della popolazione ritiene che la risposta al calo demografico e alle difficoltà legate all’infertilità debba passare anche da un’azione concreta sul fronte dell’accessibilità e della sensibilizzazione.

Ben il 36% degli intervistati ha indicato la necessità di facilitare l’accesso ai trattamenti attraverso il Sistema Sanitario Nazionale, mentre il 34% sottolinea l’importanza di formare i medici per affrontare al meglio la patologia. Altri suggeriscono di incrementare il numero di centri specializzati e di destinare più risorse alla ricerca medica (29%), elementi tutti imprescindibili per garantire un reale miglioramento.

L’infertilità non può essere più vista come una questione privata o una difficoltà da affrontare in solitudine. Occorre un’educazione alla fertilità che parta dalle scuole e che prosegua nelle campagne di sensibilizzazione. Il tema deve essere affrontato in modo aperto e informato, per ridurre lo stigma e la vergogna che spesso circondano chi non riesce ad avere figli.

 

Fonte: ADNKRONOS.

Come saranno i giovani del futuro? Sanno già cosa vogliono dalla vita, non solo dalla professione? E conoscono l’importanza della prevenzione e della preservazione della propria salute riproduttiva?

I giovani: futuro in coppia, con figli

Al 1° gennaio 2024 i residenti in Italia con età tra gli 11 e i 19 anni erano oltre 5 milioni 140 mila. Nonostante le proiezioni demografiche dicano che il numero dei giovanissimi nei prossimi decenni è destinato a diminuire, dalle intenzioni espresse dai ragazzi intervistati una ripresa demografica non sembrerebbe impossibile. Infatti, i giovani vedono il loro futuro in coppia (74,5%) e molti pensano al matrimonio (72,5%). Inoltre, tra i giovanissimi desidera avere figli il 69,4%; di questi soltanto l’8,8% è per il figlio unico, mentre il 18,2% pensa a tre o più figli. È quanto emerge dall’Indagine Bambini e Ragazzi Anno 2023”, condotta da ISTAT, Istituto Nazionale di Statistica.

Anche per i figli il calendario che i giovanissimi hanno in mente è anticipato rispetto a quello attuale delle nascite. In Italia, nel 2022 l’età media delle madri al primo figlio è di 31,6 anni. Il 65% dei giovanissimi pensa di avere un figlio entro i 30 anni (il 14,6% prima dei 26 anni). Solo il 2,6% colloca la nascita del primo figlio dopo i 35 anni. Per le ragazze la quota di coloro che pensa di avere il primo figlio entro i 30 anni raggiunge il 71,6%.

Questi risultati potrebbero essere motivo di ottimismo, perché indicano che una ripresa della natalità nel nostro Paese è possibile. Tuttavia, i dati resi noti nel corso dell’ultima edizione dell’ICAR, International Conference on Aids and Antiviral Research, relativi all’aumento esponenziale dei casi di infezioni sessualmente trasmesse (gonorrea, sifilide, clamidia) proprio nei giovani, sono a dir poco allarmanti.

La fertilità non è scontata

Le infezioni sessualmente trasmesse, infatti, insieme ad alcuni disturbi del sistema riproduttivo, sono tra gli elementi – spesso asintomatici – che possono avere un impatto anche importante sulla fertilità e sulla salute riproduttiva e impedire la realizzazione dei sogni di molti ragazzi.

Ne abbiamo parlato con la Dottoressa Nicoletta Maxia, Responsabile per la parte biologica degli interventi di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) del Policlinico San Marco di Bergamo, Presidente dell’Associazione ProcreARTE Onlus.

“L’infertilità è un problema ancora troppo sottovalutato che riguarda uomini e donne, intorno al quale non esiste ancora una vera cultura della prevenzione. Per vincere questo tabù, l’associazione ProcrearTe Onlus, in collaborazione con ATS Bergamo e con il patrocinio dell’Ordine dei Biologi della Lombardia, ha offerto uno screening precoce gratuito della fertilità rivolto a tutti i ragazzi e ragazze, dai 16 ai 25 anni. “

Lo screening

Lo screening ha rappresentato la terza fase di un ampio progetto di prevenzione e sensibilizzazione sul tema dell’infertilità nei giovani di cui si è parlato nel corso del recente convegno dal titolo “Preservare la fertilità per coltivare il futuro. Prevenzione e rimedi”. Il convegno è stata un’occasione importante di confronto tra specialisti ed esperti, per un approccio multidisciplinare a queste tematiche. “È importantissimo che la fertilità venga tenuta monitorata fin dalla giovane età: questo consente di mettere in atto eventuali strategie risolutive il prima possibile. Preservare la fertilità significa preservare il futuro!” ha commentato la D.ssa Maxia.

Era rivolto a tutti i ragazzi e ragazze di età 16-25 anni residenti a Bergamo e provincia e si è svolto presso il Centro PMA del Policlinico San Marco di Zingonia.

I giovani che hanno partecipato si sono sottoposti ad accertamenti diagnostici che includevano:

Per i ragazzi:

  • Visita uro-andrologica e colloquio anamnestico
  • Spermiogramma con capacitazione e test di frammentazione del DNA (Linee guida WHO 2021) e valutazione del referto da parte di biologi e medici
  • Eventuali esami di approfondimento, se necessari e richiesti dall’urologo/andrologo e/o dallo specialista in medicina della riproduzione
  • Attuazione di eventuali strategie per preservare la fertilità (crioconservazione del liquido seminale)

Per le ragazze:

  • Visita ginecologica e colloquio anamnestico
  • Eventuali esami di approfondimento, se necessari e richiesti dallo specialista in medicina della riproduzione
  • Ecografia transvaginale (se possibile) per studiare utero e ovaie con ecografo di ultima generazione
  • Attuazione di eventuali strategie per preservare la fertilità (crioconservazione degli ovociti)

La diagnosi precoce ha consentito di svolgere approfondimenti e di intervenire tempestivamente su disturbi asintomatici che, se trascurati, avrebbero certamente avuto un impatto sulla fertilità futura.

Ai risultati dello screening abbiamo dedicato un articolo, che puoi trovare a questo LINK.

 

Fonti:

L’inositolo è una sostanza naturale appartenente alla famiglia delle vitamine del gruppo B, anche se tecnicamente non è una vitamina. È disponibile in molte forme, ma le più note sono il mio-inositolo e il D-chiro-inositolo. Questi composti giocano un ruolo cruciale in diverse funzioni cellulari e sembra che abbiano un impatto sulla fertilità sia nell’uomo sia nella donna.

Facciamo chiarezza con il Dottor Carlo Torrisi, ginecologo, responsabile clinico e Direttore Sanitario del Centro di Medicina della Riproduzione e Infertilità di Catania.

L’inositolo

L’inositolo è un isomero appartenente al gruppo delle vitamine B, noto a molti ginecologi anche di quelli che non si occupano di infertilità grazie alle sue proprietà. Infatti, sembra che l’inositolo possa svolgere un’azione benefica sull’ovulazione, sulla formazione e sulla qualità degli ovociti e sulla qualità degli embrioni.

L’inositolo ha anche mostrato effetti positivi sulla fertilità maschile: può migliorare la qualità dello sperma, aumentando la motilità e la morfologia degli spermatozoi.

Gli inositoli più rilevanti per la salute umana sono il mio-inositolo e il D-chiro-inositolo.

I meccanismi di azione

Il mio-inositolo e il D-chiro-inositolo influenzano diversi percorsi biologici che possono migliorare la fertilità. Questi includono la modulazione dei recettori insulinici, che aiuta a migliorare l’uso del glucosio e ridurre l’insulino-resistenza. Inoltre, l’inositolo agisce come secondo messaggero per diversi ormoni e neurotrasmettitori, contribuendo così alla regolazione del ciclo mestruale e dell’ovulazione.

Nella donna, il mio-inositolo ripristina una ovulazione spontanea direttamente, con la riduzione dei livelli di insulina, quindi degli androgeni, stimolando la produzione dell’FSH.

Inositolo e Sindrome dell’Ovaio Policistico (PCOS)

Una delle principali applicazioni dell’inositolo nella medicina riproduttiva riguarda il trattamento della sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), una delle cause più comuni di infertilità nelle donne.

La PCOS è spesso caratterizzata da insulino-resistenza, iperandrogenismo e disfunzioni ovulatorie. Studi clinici hanno dimostrato che l’inositolo, specialmente in combinazione con l’acido folico, può migliorare la sensibilità all’insulina, ridurre i livelli di androgeni e ristabilire l’ovulazione regolare nelle donne affette da PCOS.

Benefici dell’inositolo nella fertilità maschile

L’inositolo ha anche mostrato effetti positivi sulla fertilità maschile. L’utilizzo del mio- o del D-chiro-inositolo nell’uomo crea essenzialmente un rimodellamento dei dosaggi di FSH che, come sappiamo, sono responsabili della spermatogenesi. È  soprattutto è un agente antiossidante, per cui migliora complessivamente l’ambiente spermatico, determinando un miglioramento del numero, motilità e morfologia degli spermatozoi.

Le fonti alimentari di inositolo

L’inositolo è presente in vari alimenti di origine sia vegetale sia animale. Alcune delle fonti alimentari più ricche di inositolo sono:

  • Frutta: melone, arance, kiwi
  • Verdure: cavoli, carote e piselli
  • Cereali integrali: riso integrale, avena e grani intero (specialmente nella parte esterna, la crusca)
  • Noci e semi: noci, mandorle, semi di girasole
  • Legumi: piselli, fagioli, lenticchie

Per chi ha bisogno di una quantità di inositolo superiore al normale, specialmente in contesti terapeutici come il trattamento della PCOS o il miglioramento della qualità dello sperma, gli integratori possono essere una soluzione efficace. Come per tutti gli integratori, è sempre consigliabile consultare un medico prima di iniziare qualsiasi trattamento.